½. 𝐈𝐋 𝐂𝐋𝐀𝐍 𝐌𝐜𝐍𝐀𝐈𝐑
𝐈𝐋 𝐂𝐋𝐀𝐍 𝐌𝐜𝐍𝐀𝐈𝐑
𝐒𝐞𝐜𝐨𝐧𝐝𝐚 𝐏𝐚𝐫𝐭𝐞
Ritrovarsi alla fine della via, con l'imponente casa a tre piani da cui proveniva una leggera musica, fu d'impatto per Raven.
L'ultima volta che era stata lì aveva tredici anni e guardava l'edificio allontanarsi seduta sui sedili posteriori di un auto che l'avrebbe portata verso l'aeroporto. Raven prese un respiro profondo e si strinse nello scialle leggero. Le cavigliere di zia Bertha tintinnavano ad ogni passo scandendo la distanza verso il patibolo.
Non si accorse che erano arrivate davanti al portone in legno, finché la zia non suonò il campanello, che spezzò lo strano silenzio di quella sera di fine agosto. Raven ebbe solo il tempo di leggere il nome 'McNair' scritto su una targa d'ottone, che qualcuno aprì la porta.
"Raven?", la ragazza distolse lo sguardo per concentrarlo sulla figura che si stagliava sull'entrata. La luce proveniente dall'ingresso ne illuminava i contorni, facendola sembrare eterea nel suo abitino azzurro.
Le labbra di Raven si distesero in un sorriso. "Ellie."
La ragazza le saltò addosso, stringendo il collo di Raven in un abbraccio. "Mi sei mancata così tanto."
"Anche tu.", disse, ricambiando l'abbraccio, il viso premuto contro i capelli rossi della cugina.
"Zia Bertha! Sei venuta anche tu! Sono così felice, davvero." Ellie lasciò la presa su Raven, fissando gli occhi sulla zia. Gli occhi verdi dei McNair. "Su entrate! Non stiamo sulla porta.", si girò verso la cugina. "Alexander e Andros saranno così felici di rivederti. La nonna ha fatto venire un catering che è una prelibatezza! Non pensavo potesse essere così buono. Su, su, venite, che gli ospiti hanno finito il cibo migliore."
La zia lanciò un'occhiata a Raven. "Te l'avevo detto.", sussurrò.
Due stanze saloni - a destra e a sinistra - si affacciavano sul corridoio, l'uno di fronte all'altro. Solo una veniva utilizzata dalla famiglia, ma venivano aperti entrambi in occasioni come quella, così che gli ospiti potessero avere abbastanza spazio per muoversi e abbastanza privacy per chiacchierare.
"Nonna?", gridò Ellie, ignorando il fatto che la casa fosse piena di persone. "Raven è qui! È tornata!"
Fu come se qualcuno avesse fatto cadere l'intera vetrinetta piena di cristalleria di Rosalie. Gli sguardi degli invitati - che parevano essersi tutti riuniti sulla soglia dei salotti e in corridoio - si concentrarono sulla ragazza fasciata dall'abito nero e dai capelli del medesimo colore. Non sulla vecchietta stravagante vestita col sari, non sulla graziosa ragazzina col vestito azzurro.
Sembrava che i brillantini dell'abito attirassero gli sguardi come gli avvoltoi sono attratti dai cadaveri.
E Raven si sentiva morire.
Poi lo udì.
Il lento battere di un bastone sulla casa ricoperta di tappeti. La punta di metallo ora stava toccando il parquet e poi di nuovo un tappeto. Dalla fine del corridoio, sbucò una figura che pareva uscita dal ritratto di una famiglia dei Windsor.
Rosalie era vestita con un lungo abito da sera di colore viola scuro. Le punte delle scarpe erano appena visibili sotto lo spesso velluto. Su un bastone nero, sul cui manico faceva capolino la testa di un qualche animale dipinto d'oro, vi era appoggiata la parte destra del corpo di Rosalie.
Raven si sentì piccola piccola, mentre levava, piano, lo sguardo sul suo volto.
Era una maschera di rughe, certo, ma ogni filo era indossato con orgoglio. I capelli rossi, leggermente più chiari dall'ultima volta che l'aveva vista, erano raccolti in un importante chignon, e nonostante il loro colore, non facevano a pugni con la tonalità dell'abito, anzi, si sposavano perfettamente. Raven a confronto, si sentì una sciattona.
"Raven, cara.", la voce della nonna era ferma. Non c'era dolcezza in essa, né una parvenza d'affetto. Rosalie distese il braccio sinistro verso di lei, stringendo con l'altra mano il manico della borsa. Sull'anulare della nonna, la fede e l'anello di fidanzamento sembravano catturare la luce. "Vieni qui."
Raven capì in quel momento che la zia Bertha sarebbe potuta venire anche in costume da bagno: nulla riusciva a scalfire l'alterigia e la sicurezza della nonna. La loro era stata una mossa stupida. La brutta figura l'avrebbe fatta solo Bertha; Rosalie, come sempre, non ne sarebbe stata toccata.
Hai passato gli ultimi mesi in mezzo ai Vampiri, Raven. Non puoi farti mettere in soggezione da una settantenne col bastone.
Raven sorrise e percorse il corridoio, gli occhi di tutti che zigzagavano tra lei e sua nonna come ad un torneo di Wimbledon.
A un passo da Rosalie, Raven alzò il braccio e la nonna le strinse le dita tra le sue. Erano calde, e come zia Bertha, la nonna aveva un vago sentore di menta. La sua stretta le fece venire in mente l'ultima volta che lo aveva fatto.
La nonna prese un coltello. La lama argentea risplendeva sotto la luce del tramonto.
"Dammi la mano, Raven." Una Raven tredicenne, il viso ancora rigato dalle lacrime di dolore per la morte del padre, allungò una mano verso sua nonna. La donna strinse il dorso tra le sue dita. "Brava. Ora devi promettere che tornerai quando avrai compiuto diciassette anni. Servirai la famiglia. Prometti."
Raven pianse.
Rosalie la tirò al suo fianco poi alzò il mento con l'intenzione di fare un annuncio. "Mia nipote Raven, la figlia del mio caro defunto Logan, è tornata da un lungo viaggio trascorso negli Stati Uniti.", fece una pausa, assicurandosi che l'attenzione di tutti fosse rivolta verso il suo discorso. "Ma è tornata per restare.", sorrise rassicurante, come se da ciò dipendesse la vita dei presenti, "Andrà alla Rosegard, e quando avrà finito i suoi studi, tornerà qui a Inverness, e sarà al mio fianco per apprendere quanto più possibile prima di prendere le redini della famiglia."
Scrosci di applausi fu tutto ciò che Raven udì per qualche infinito minuto. Non aveva ancora visto Andros o Alexander, e nemmeno lo zio Graham si era fatto vivo. In compenso, il sorriso di Ellie con affianco zia Bertha, entrambe ancora sulla porta ora chiusa, bastava per compensare la mancanza dei cugini e dello zio.
"Ora vi lascio ai vostri festeggiamenti.", sorrise un'ultima volta Rosalie, come se la gente non fosse venuta lì per scroccare cibo e fare pettegolezzi.
Le dita della nonna scivolarono via dalle sue e Raven sentì il suo abito di velluto frusciare sul tappeto, allontandandosi. Qualcuno la abbracciò da dietro, poi le prese le spalle e la fece voltare, il tutto nel giro di pochi secondi.
Raven sapeva già di chi si trattava. "Andros!", lo strinse a sé. "Sono così felice di vederti.", e lo era davvero. Andros era il suo cugino preferito. Lui era più grande di lei di un anno e mezzo circa, erano cresciuti insieme. Ellie non era ancora nata quando giocavano con costruzioni e macchinine, e Alexander, fratello maggiore di Andros, era già entrato nel circolo vizioso dei McNair.
Andros ricambiò e la sollevò di qualche centimetro dal pavimento. "Come sei cresciuta.", constatò. "E ti sei fatta crescere i capelli."
Raven accarezzò i lunghi capelli neri che le arrivavano quasi alla vita. "Sì, sono cresciuti molto." In quei tre anni aveva solo dato una spuntatina ogni tanto, per non rovinarli. A Miami non doveva vergognarsi di non aver ereditato i capelli rossi dei McNair, caratteristica che accomunava tutti e tre i figli di Rosalie, compreso suo padre, come anche i suoi cugini.
"Sono belli, davvero. Ora è ancora più chiaro perchè ti chiami Raven."
Raven, già. Corvo. Quando era venuta al mondo nessuno si aspettava che avesse i capelli diversi dalle tonalità del fuoco. Ma i suoi erano neri, come quelli di sua madre, e allora a suo padre era venuta la brillante idea di chiamarla Raven, tanto erano scuri e folti, nonostante fosse nata da poche ore. Nell'ospedale nel quale era nata, si raccontava ancora della sfuriata della nonna quando aveva scoperto che sua nipote aveva i capelli neri come l'ebano.
Andros avvolse le dita attorno al suo braccio. "Vieni. Con tutto il trambusto non avrai neanche salutato mio padre e Alex."
Raven lo seguì, felice di togliersi dal mezzo del corridoio. "E tua madre?"
Gli occhi chiari di Andros si rabbuiarono. "Ultimamente ha sempre più emicranie."
"Mi dispiace.", fu tutto ciò che riuscì a dire.
"Non importa,", scosse la testa, "adesso sei qui!"
Raven sorrise, scorgendo, vicino alla finestra, suo zio e suo cugino parlare con un altro uomo.
"Zio Graham! E Alex!"
I due si voltarono verso Raven, ma nessuno di loro fu toccato da un sorriso. Raven strinse le dita attorno al braccio di Andros.
"Raven, sei qui.", disse lo zio Graham con voce piatta, come se ne avesse già avuto abbastanza della sua presenza, per quella sera.
Alexander voltò il busto verso di lei. "Abbiamo sentito il discorso della nonna." Raven pressò le labbra. "Comodo da parte tua tornare proprio ora, non è così?"
"Alexander.", lo ammonì il padre. "Mi scusi.", fece poi, riferendosi all'uomo con cui stavano prima parlando, "Potrebbe lasciarci?", l'uomo annuì e si defilò: nessuno amava intromettersi nelle questioni di famiglia dei McNair.
Raven si fece coraggio. Non era più una bambina ormai. Certo, non era neanche una donna, ma ora aveva abbastanza carattere da poter rispondere all'austero zio e al rigido Alexander. Sotto i loro completi di alta sartoria, Raven sapeva che nascondevano armi letali per ogni Vampiro. Ripensò a Marvin e a come si sarebbe sentito se avesse mai scoperto che cosa faceva davvero la sua famiglia. Una volta le era sfuggito con lui che sapeva sparare, e aveva dovuto mentire dicendogli che la sua era una famiglia amante della caccia.
Non gli aveva detto di cosa.
Raven fino ad allora aveva avuto paura dei Vampiri, però non si era mai resa conto che i Cacciatori potessero essere altrettanto letali con quelli della propria specie.
"Non so che cosa tu stia insinuando, Alexander. Io di questa cosa sono venuta a sapere soltanto poche ore fa, se proprio lo vuoi sapere. E da zia Bertha, tra l'altro. E avevo una bella vita a Miami." aggiunse, "Quindi no, non mi è stato per nulla comodo tornare qui proprio ora."
Contrariamente a quanto si aspettasse, Alexander distese le labbra fini in un sorriso. "Sono contento di sentirlo."
Andros sospirò. "La nonna ama metterci l'uno contro l'altro."
Raven girò il viso verso di lui, aggrottando le sopracciglia. "E perchè?"
"Dice che serve per tenere unita la famiglia.", rispose lo zio, anche lui meno ostile di qualche minuto prima. "E per metterci alla prova."
"Non vedo come i litigi possano farlo ma... se piace a lei."
"Noi cerchiamo di tenerci lontano da queste cose.", Andros fissò il fratello, "Io e Alex abbiamo avuto una brutta discussione per colpa delle macchinazioni della nonna. Non ci siamo parlati per un po'."
"E ora siete più uniti che mai." Nessuno aveva sentito la nonna arrivare nonostante il bastone. Al suono delle sua voce, tutti si raddrizzarono, come soldati all'arrivo del loro generale. "Tesoro, perchè non vieni con me di là nel mio studio? Dobbiamo parlare.", disse con voce calma, rivolgendosi a Raven.
I tre uomini percepirono uno sguardo di terrore negli occhi della ragazza, che fu costretta a seguire la nonna al piano superiore. Andros avrebbe voluto trovare un modo per trattenerla, ma quando la nonna apriva bocca bisognava ubbidire.
"Spero solo che non voglia mettere in atto il suo piano con lei.", sussurrò Andros, quando vide loro salire le scale.
Lo sguardo di Graham bruciava. "Io spero solo che non finisca come suo padre."
@/Silver_Grant_
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