VII. 𝐔𝐍𝐀 𝐍𝐎𝐓𝐓𝐄 𝐒𝐎𝐋𝐈𝐓𝐀𝐑𝐈𝐀

𝐔𝐍𝐀 𝐍𝐎𝐓𝐓𝐄 𝐒𝐎𝐋𝐈𝐓𝐀𝐑𝐈𝐀

𝐏𝐫𝐢𝐦𝐚 𝐏𝐚𝐫𝐭𝐞

Scendendo le scale, Raven strinse così forte i manici della borsa, che le nocche sbiancarono. Non si accorse che alla fine della scalinata la aspettava Andros. Alzò lo sguardo solo quando si ritrovò quasi schiacciata contro di lui. Andros la prese gentilmente per un braccio e la condusse nel vicino sottoscala.

"Come è andata?", fece il cugino con voce greve.

"È stato terribile," disse con tutta la franchezza che aveva in corpo. "Non ricordavo che la nonna fosse così... perfida. E il suo sguardo? Sembra albergarci il diavolo dietro quegli occhi. Mi ha chiesto di fare una cosa per lei. Per dimostrare il mio valore. Mi ha persino dato una cartella con delle informazioni. Neanche lavorassi per l'MI6."

L'espressione del viso di Andros non presagiva nulla di buono. "Ricordo quelle cartelle. Quando eravamo bambini i nostri genitori ci hanno tenuti lontano da lei il più possibile. Non andavamo mai a trovarla. Era lei che veniva da noi, e quando si presentava davanti alla porta in casa scendeva sempre un'aria tetra. Ricordo che io e Alexander smettevamo di giocare ed Ellie persino di piangere e fare i capricci. E tutte le volte portava sempre una di quelle cartelle con sé."

Raven aveva obliato quei ricordi quando si era trasferita a Miami. Ma ora la investirono con tutta la loro prepotenza. La cartella nella borsa divenne quasi un peso insostenibile.

"Sì," sussurrò, abbassando lo sguardo, "anche a casa mia era così. Ricordo che, anche se restava meno di un'ora, una volta andata via era difficile che l'aria ritornasse la stessa. Era come se portasse del miasma con sé. Ricordo che la mamma gridava e inveiva contro mio padre, e lui si assentava sempre per giorni."

"Finché non è più tornato.", concluse Andros per lei. "Una volta cresciuti mio padre non ha potuto fare a meno di portarci da lei, sempre più spesso, sempre più a lungo. Non ho mai ricevuto una di quelle cartelle, né ne ho mai aperta una. Ma Alex sì. Mamma odia mio padre, per questo. Dice sempre che avremmo dovuto fare come voi, che tua madre era stata intelligente ad andarsene via. Lei e papà non si parlano quasi più, mamma trova sempre scuse per non uscire con lui, per non venire qui."

Raven strinse le dita di Andros con le proprie. "Mi dispiace non essere stata qui per te, e per i tuoi fratelli."

Andros fece un sorriso amaro. "E invece io ero felice che tu fossi scampata a tutto questo. Quando ho saputo che tornavi," si passò una mano sul viso, "ho pensato che fossi la ragazza più stupida del mondo. Volevo parlarti, avvisarti, ma non sapevo come fare. Poi, quando io e Alex ti abbiamo vista, la faccia che hai fatto, ciò che ha detto la nonna riguardo alla sua eredità..."

"Mi ha incastrata.", disse Raven prima che Andros potesse aggiungere altro. "Ho fatto un vincolo con lei prima di partire per gli Stati Uniti. All'epoca non sapevo che avesse tutto quel peso. Ma quando lo dissi alla mamma... impazzì.", si accorse del suo tono stridulo perciò si schiarì la voce e riprese con tono più fermo. "Non dico che mia abbia costretto. Ma ci è andata vicino." Raven specchiò gli occhi in quelli di Andros, così simili ai suoi, gli occhi della famiglia McNair, e vide quasi come un'intuizione nello sguardo del cugino. Un'idea, forse. Ma il ragazzo non ebbe il tempo di dire niente, perché sentirono la voce squillante di Ellie, venire verso di loro.

"Ecco dove eravate ragazzi!" entrambi si voltarono. "Raven, ti ho cercata per oltre dieci minuti. Andros, ti vuole papà.", disse rivolgendosi al fratello.

Andros annuì e disse a Raven che avrebbero continuato la loro conversazione più tardi.

Ellie a quel punto prese Raven per mano e la trascinò in uno dei salotti.

"Eccola qua Noah." Ellie la portò da un ragazzo che aveva la schiena poggiata alla parete. Aveva una posa strafottente, le spalle curve verso il cellulare, un piede contro la carta da parati. Raven pensò che se l'avesse visto la nonna, lo avrebbe cacciato senza vergognarsi. Appena vide Raven, il ragazzo si raddrizzò e mise il cellulare in tasca. "Raven, ti ricordi di Noah? Andavate a scuola insieme."

Raven sbatté le palpebre un paio di volte. Poi arrossì, scoccando un'occhiata alla cugina. Noah intanto allungò una mano per salutarla. Raven gliela strinse. "Ciao Noah.", quella vocetta non era la sua. Si schiarì la gola nel modo più educato possibile.

Il sorriso che fece il ragazzo era come quello dello Stregatto.

Noah Campbell era stata la sua cotta delle medie, fino a che non era partita e aveva dovuto dimenticarsi di lui. Noah aveva occhi scuri e capelli biondi, contrasto che faceva impazzire tutte le preadolescenti della loro scuola.

Se alle medie lui e Raven avevano la stessa altezza, ora lui la superava di almeno quindici centimetri, aspetto che la ragazza giudicò positivo. Sotto la giacca elegante, che probabilmente era stato costretto ad indossare, si intravedevano braccia muscolose. Un altro punto a suo favore, dato che per gli ultimi tre anni si era abituata a vedere solo ragazzi in costume.

Noah le sorrise malizioso, accorgendosi del modo in cui lo stava squadrando. Un modo di fare che sicuramente non possedeva quando erano bambini. "Ciao Raven. È bello rivederti. Sei cambiata."

Raven si morse il labbro superiore. "Anche tu.", disse stupidamente.

Ellie si dondolò sulle punte. "Vado a vedere se sono rimaste quelle tartine al patè, arrivo subito." Raven la seguì con lo sguardo, ma Noah tenne il suo su Raven. La ragazza si sentì in imbarazzo come non le accadeva da un po'. E non il tipo di imbarazzo che aveva provato prima, stando al centro dell'attenzione di tutti gli invitati, ma un genere più intimo. Che le era mancato.

"Ho sentito il discorso di tua nonna prima.", riprese Noah, seguendo con lo sguardo la scia dei lunghi capelli neri di Raven e il modo in cui catturavano la luce.

"Lo hanno sentito tutti.", rispose sarcastica.

Noah riportò lo sguardo nei suoi occhi. Aggrottò le sopracciglia, ma non parve affatto turbato dal suo tono, anzi, sorrise. "E così sei stata negli Stati Uniti questi anni.", non era una domanda. Le parve quasi che si fosse informato su di lei. La cosa la lusingò. Forse aveva chiesto ad Ellie. Poi si ricordò che la nonna lo aveva raccontato nel suo discorso di poco prima.

Sorrise. "Sì, sono stata via per un po'."

"Tre anni non sono pochi, Raven." Aveva tenuto il conto?

"Be', adesso sono tornata."

"Resterai?" Il modo in cui lo disse la fece sorridere. Magari restare in Scozia aveva i suoi pro.

"Sì, questa volta sì."

Lui ridacchiò. "Continui ancora a combinare guai? A scappare dalla scuola per cercare i folletti, e a rincorrere i bulli sullo skateboard?"

Raven "Guai? No... sì. Dipende da cosa intendi per guai. E tu continui ancora a leggere tutti i libri della scuola?"

"Un po' meno ora. Ho trovato altri hobby nel corso degli anni, ma non ho mai smesso di leggere."

Raven credette di capire a quale tipo di hobby si riferisse. Ricordava quanto fosse carino quando era poco più che un bambino, ma adesso, con quegli occhi scuri contornati da ciglia folte e il sorriso furbesco, Noah non aveva più le sembianze di quel bambino che si rifugiava tra gli scaffali della biblioteca scolastica. Raven non fece fatica ad immaginare che avesse un gran seguito.

"Non sono l'unica che si caccia nei guai, allora.", alzò un angolo delle labbra.

Mentre lo disse, si accorse che i caldi occhi di Noah non erano gli unici a fissarla.

Si guardò intorno. Noah per qualche minuto le aveva fatto dimenticare dove si trovasse. Non era a Miami tra milioni di persone che a stento si accorgevano del suo passaggio. Ma chiusa nel salotto di Rosalie McNair per una festa in suo onore. Non era stupido che la gente la guardasse, dato che era l'ospite della festa. La consapevolezza di ciò che era, e del motivo per il quale si trovava lì, per cui era tornata, la fecero vacillare.

D'un tratto sentì l'aria sparire dai polmoni e si ritrovò a inspirare profondamente. Gli occhi degli invitati le bruciavano sulla pelle come laser. Si scusò con Noah, che cercò di trattenerla, e, scivolando fra gli invitati, si diresse verso la porta d'ingresso.

Zia Bertha, accortasi del suo pallore, le andò incontro e la prese per le spalle. "Raven.", la scosse piano, i bracciali dorati che tintinnavano. "Raven, guardami. Esci dalla porta della cucina, d'accordo?" Raven espirò con la bocca. "Esci dalla cucina. Tua nonna ha mandato due dei suoi sottoposti a sorvegliarti. Tu va in cucina. Fa finta di andare a prendere dell'acqua o che so io, poi esci. Io li distraggo."

Raven annuì. "Grazie zia Bertha.", sussurrò con affanno.

"Su, su, va!", e la spinse.

Raven camminò a passo svelto verso la cucina e non appena vide zia Bertha avvicinarsi ai due uomini per distrarli, entrò.

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