V. 𝐈𝐋 𝐂𝐋𝐀𝐍 𝐌𝐜𝐍𝐀𝐈𝐑
𝐈𝐋 𝐂𝐋𝐀𝐍 𝐌𝐜𝐍𝐀𝐈𝐑
𝐏𝐫𝐢𝐦𝐚 𝐏𝐚𝐫𝐭𝐞
Bevuto il tè, Raven portò al piano di sopra solo il borsone e lo zaino, lasciando invece il trolley e la chitarra da basso. Dopo le estenuanti ore di volo, aveva deciso che era ora di togliersi di dosso tutta la stanchezza e la sporcizia del viaggio. Prese dei vestiti puliti dal borsone e li mise sul letto, poi andò il bagno e aspettò che la vasca si riempisse. Nel mentre, mise il cellulare in carica sperando che la madre l'avesse richiamata o per lo meno, lasciato un messaggio. Niente, tranne qualche notifica di twitter ed e-mail spam. Raven abbandonò il telefono sul comodino, sbuffando. Sua madre era stata apprensiva prima della sua partenza. Perché non si era curata di sapere se fosse arrivata a destinazione sana e salva?
Da sola in casa - dato che zia Bertha era uscita per delle commissioni - accese la vecchia radio poggiata su un mobile e abbandonò i vestiti sul pavimento, immergendosi nella vasca.
L'acqua calda la cullò, facendole ricordare l'umidità di Miami, città che aveva lasciato soltanto da un giorno. Ora che era tornata in Scozia poteva fare tutti i bagni caldi che voleva, ma a che prezzo? Non aveva ancora visto sua nonna, ma il peso del loro imminente incontro gravava sulle sue spalle sempre più. L'avrebbe giudicata? Avrebbe avuto da ridire sul suo abbigliamento? Sul trucco? Sul modo di ridere, scherzare, parlare?
Sopraffatta, Raven scivolò sul fondo della vasca, dimenticandosi di essere ancora truccata. Erano passati tre anni dall'ultima volta che aveva visto il resto della sua famiglia, e lei era cambiata, cresciuta. Non si vestiva più come una tredicenne alla quale la madre comprava ancora gli abiti da mettere. Adesso amava indossare jeans e i colori scuri, così come osare con gli accessori, che fossero calze a rete, bracciali appariscenti o glitter sulle spalle come quando andava al BloodLust.
Il BloodLust.
Erano ore che non ci pensava più, e si sentiva in colpa. Per Marvin, per ciò che era accaduto, per non aver ancora aperto la custodia della chitarra. E persino per Yuri. E per Tricia.
E per far parte di una famiglia tanto spregevole.
Marvin prese la chitarra dal supporto e le mostrò come mettere le dita. "Ora importa solo come tieni le dita sulla tastiera. Devi riuscire a creare un legame di familiarità. Questo non deve essere uno strumento sconosciuto che prendi in mano solo per accompagnare la voce; deve essere un'estensione di te, Raven. Il pubblico deve rendersi conto che siete una cosa sola."
"Non credi di star esagerando Marvin?", James tirò su una cassa di liquori e la posò sul bancone in legno. "Stai solo togliendo del tempo alle prove con i Manifests."
Marvin, dal palco, sbuffò. "Non tolgo tempo a niente, James. Gli altri hanno delle vite al di fuori della band. Cynthia si è appena fidanzata e Lucas ha avuto un bambino, se ricordi. Ci piace suonare nei locali, stare insieme ed esprimerci attraverso la musica. Non vogliamo diventare famosi."
Gli occhi di James si indurirono, Raven potè notarlo persino da quella distanza. "Fa come vuoi Marvin."
Marvin lo fissò un'ultima volta e poi si concentrò su Raven. "Allora, siccome abbiamo tempo io direi di cominciare ad accordare il La, poi faremo..."
Il cellulare, nell'altra stanza, prese a squillare.
La ragazza riemerse con forza, rompendo la placida barriera che l'acqua aveva creato in superficie.
Fin troppo presto per i suoi gusti, Raven fu costretta ad uscire dalla vasca e ad avvolgersi in un asciugamano.
Con i capelli che le gocciolavano sulle spalle, prese il telefono e rispose, senza vedere chi fosse.
"Oh Raven, cara. Ascolta, tua nonna pare essersi liberata. Non ti vedrà domani, come avevamo previsto, ma stasera. Ha organizzato una cena. Il catering se ne sta già occupando. E ha trovato anche un fioraio che decori il salone. È straordinario quanta gente si muova, appena lei alza la cornetta.", borbottò zia Bertha e Raven pensò che quest'ultima frase non era qualcosa che avrebbe dovuto sentire.
"Stasera?", si ritrovò a dire.
"Sì, Raven. Sei sorda per caso? E che cos'è questo fracasso?"
"Ho solo lasciato la radio accesa, zia. A che ora... per che ora devo essere pronta?", si corresse.
"Sei e mezza, per sicurezza. È quella l'ora per la quale arriveranno i primi invitati, ma siccome tu sei l'ospite d'onore, sarà bene che ti presenti verso le sette. Un piccolo ritardo elegante non fa mai male."
Ma Raven era rimasta ferma alla parola 'invitati'. "Credevo che i fiori, il catering... fossero solo per noi, perché non aveva avuto molto preavviso. Ma addirittura una festa, con degli invitati... che poi chi sono?"
Zia Bertha farfugliò qualcosa dall'altra parte del telefono. "Mmh... non lo so. Conoscenze di tua nonna, suppongo. Ha detto qualcosa riguardo al tuo debutto o che so io... ma non le stavo prestando molto ascolto, lo sai che odio quando inizia a parlare con quel tono saccente."
Raven cominciò ad agitarsi. "Immagino zia, ma qui non si tratta di te. Si tratta di me e della mia rovina. E poi un debutto?", gocce d'acqua gelide le scivolarono lungo le braccia. "In quale secolo crede di vivere?", disse piccata.
"Ascolta Raven, so solo che anche i tuoi cugini lo hanno fatto. Siccome sono ragazzi per loro era più una sorta di rito di iniziazione... una cosa orribile e di cattivo gusto. Ma tu sei una ragazza. Una donna McNair, e sei nata per comandare la famiglia, a detta di Rosalie. Credo che tua nonna si sia stancata e che voglia lasciarti il testimone. Ma questa è solo una mia supposizione. A pensarci bene..."
"Cosa?!", le gambe non la ressero e si abbandonò sul letto. "Lasciarmi il testimone? Zia, ricordi il discorso che abbiamo fatto oggi?", chiese esasperata.
Potè quasi vedere zia Bertha annuire con la sua testolina. "E tu ricordi quello che ti ho detto io, Raven?"
Non credo ci sia alcun bisogno che la nonna o il resto dei McNair vengano a sapere delle tue vere intenzioni. Non credi, Raven?
Ci fu silenzio tra loro per qualche teso istante. "Bene. Penso che tu possa fingere per una serata. Tra tre giorni inizierai la scuola, e sarà finita. Per un po', almeno. Truccati un po', ma non esagerare, tieni i capelli in ordine, mi raccomando. Ci vediamo alle sei, così ti porto il vestito e vediamo come ti sta, e poi anche io devo prepararmi."
Raven stava per far scivolare il telefono dalle dita quando udì la voce squillante di zia Bertha richiamarla. "E, Raven?"
"Sì?"
"Questa sera arriveremo più tardi degli altri, credo tu sappia cosa voglio dire."
Sì, pensò Raven, che quando entrerò in casa sarà sottoposta allo scanner e ai giudizi di decine di invitati.
Zia Bertha invece disse: "Ci sarà il buffet questa sera. Ti consiglio di spiluccare qualcosa a casa prima di uscire. Quando arriveremo noi non ci sarà più niente da mangiare."
Immersa nelle Highlands scozzesi, Inverness era un diamante di pietra incastonato nel verde, uno di quei luoghi da essere tanto belli quanto irreali. Gwendolyn aveva sempre fatto sentire Raven orgogliosa di vivere in un posto del genere, raccontandole storie di fate e folletti che vivevano nascosti tra i monti.
Ma la casa della famiglia McNair, era situata al limitare del centro, sul lato est del fiume Ness. Perciò da lì non si potevano scorgere creature magiche muoversi nelle ombre della sera, come le raccontava la mamma quando Raven era bambina. La casa a tre piani si trovava alla fine di una via, ed univa due edifici, formando così un vicolo cieco. Quando Raven chiedeva alla nonna perchè non avesse una bella casa in periferia, come le sue amiche, Rosalie rispondeva che una casa del genere sarebbe stata troppo esposta agli attacchi dei Vampiri, allora Raven abbassava lo sguardo e tornava a giocare in silenzio.
Crescendo, Raven aveva capito quanto la nonna avesse ragione.
Zia Bertha tirò il freno a mano e si diede un'altra occhiata nello specchietto retrovisore.
"Amo far fare brutta figura a tua nonna, Raven.", disse tutta soddisfatta e picchiettando le dita sui tre brillantini che aveva messo sotto gli occhi.
Raven rise. "Tutti gli sguardi saranno puntati su di te, zia. Non potranno fare a meno di notarti.", fece, guardando il sari di zia Bertha impreziosito da gemme brillanti. "Sembri un uccello della foresta amazzonica."
"Grazie cara.", sorrise. "Piuttosto tu... come ti senti?"
In gabbia. Ma non voleva far preoccupare la zia. Aveva fatto anche troppo indossando quel vestito particolare, per fare in modo che la maggior parte dei pettegolezzi e degli sguardi non si concentrassero su Raven.
Sviò la domanda. "Grazie per quello che fai per me, zia. Ti devo molto."
Bertha fece il suo solito gesto: mosse la mano come per scacciare un insetto. "Non è niente. E poi questa tua vecchia prozia deve pure divertirsi ogni tanto. In vecchiaia mi sto rifacendo di tutte la cattiverie di tua nonna. Lo so che mi giudicherai infantile, ma non c'è niente di male ad umiliarla un po'."
Raven aggrottò le sopracciglia, ma tenne la bocca chiusa. A quel punto, sospettava che sua zia lo facesse più per una sorta di vendetta personale, che per aiutare lei. Che fosse vero o no, aveva bisogno del suo aiuto, e finché poteva lo avrebbe sfruttato.
"Ho visto che eri al telefono prima. Era tua madre? Come sta?"
"Sì, stavo chiamando la mamma. Ma non mi ha risposto. Le ho anche inviato dei messaggi... il nulla. È strano da parte sua fare così."
"Vedrai che si farà sentire. Forse era solo stanca per il lavoro. Ora abbiamo problemi più concreti di cui occuparci. Sei pronta? Possiamo scendere?"
Raven abbassò lo sguardo sul vestito che la nonna le aveva fatto recapitare. Ringraziava il fatto che fosse nero - e non rosa o giallo - ma la gonna ornata di piccole pietre, la faceva sembrare una ballerina incastrata in un carillon. Poteva essere bello per una qualche ragazza là fuori, ma Raven si sentiva a disagio. Non era nel suo carattere, né nel suo stile. A Miami era abituata ad indossare abiti che la facessero sentire forte, sicura. "Sì. Speriamo che questa serata finisca presto.", disse, prendendo la borsa dai sedili posteriori.
Zia Bertha le gettò un'ultima occhiata, poi scese dall'auto.
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