IV. 𝐋𝐀 𝐋𝐔𝐂𝐄 𝐄𝐒𝐂𝐄 𝐄𝐃 𝐄𝐍𝐓𝐑𝐀

𝐋𝐀 𝐋𝐔𝐂𝐄 𝐄𝐒𝐂𝐄 𝐄𝐃 𝐄𝐍𝐓𝐑𝐀

𝐏𝐫𝐢𝐦𝐚 𝐏𝐚𝐫𝐭𝐞



"Starai bene, vero? Ho bisogno di sapere che starai bene.", Gwendolyn tirò su col naso e poggiò il borsone sul pavimento dell'aeroporto. Le luci del tramonto tingevano di arancione il biancore delle mura.

Raven alzò gli occhi al cielo. Erano passati tre giorni dalla chiamata di sua nonna. "Non posso sapere se starò bene, mamma. Non sono una veggente."

Gwendolyn le tirò su la bretella della custodia della chitarra, che stava scivolando dalla spalla. "Sicura di dover portare la chitarra? Hai già il borsone, lo zaino e il trolley..."

"Mamma non fare quelle scenette da rom-com americane.", sbuffò Raven.

Gwendolyn sorrise, gli occhi velati di lacrime. "Va bene. Hai tutti e due i biglietti? Sono dodici ore di volo fino al Gatwick di Londra. Ti ho messo un libro e qualche rivista nello zaino, dovrebbero esserci anche dei cruciverba in fondo, ti ho messo una penna e una matita nella tasca interna. La matita ha già la gomma ma forse ne ho messa una..."

Raven strinse le labbra per non dare di matto.

"...Da Gatwick, una paio d'ore dopo che sarai arrivata, prenderai il volo per Edimburgo. Ti consiglio di mangiare qualcosa lì anche se non hai fame. So che non ti piace il cibo dell'aereo. Il volo per Edimburgo dura solo un'oretta e mezza circa. Da lì la nonna ha preso un'auto che ti porterà a Inverness."

Raven rise. "E un uomo vestito da schoffer si presenterà all'aeroporto con un cartello con su scritto 'Signorina McNair' o qualcosa così."

Sua madre ridacchiò. "Poi si caricherà delle tue valigie. E tu gli dirai che puoi portarle da sola, ma lui afferrerà tutto per non farti stancare, temendo l'ira di tua nonna."

"E a quel punto sì che sembrerà un film americano."

Sua madre tirò su col naso un'altra volta e agitò una mano in aria. "Su. Vai a fare questo check in o qualunque cosa sia, prima di perdere il volo."

Raven batté le palpebre un paio di volte. Le pizzicavano gli occhi. "Sì, hai ragione.", disse, prendendo il borsone e mettendolo sul trolley. "Altrimenti chi la sente nonna Rosalie."

Gwendolyn le accarezzò una guancia. "Dovresti andare prima che mi metta a piangere."

Raven sospirò. "Ti chiamo appena arrivo a Londra.", strinse la bretella dello zaino tra le dita e si voltò trascinando il trolley.

"Ti ho messo anche dei cerotti nello zaino.", gridò sua madre. "E ricordati di cambiare i soldi che ti ho dato, quando arrivi."

Raven gridò un 'Sì', ma non si voltò. Sapeva avrebbe pianto se l'avesse fatto.

"L'utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile. Richiami più tardi o lasci un messaggio dopo il segnale acustico."

"Ehi mamma. Sono atterrata a Edimburgo. Ho mangiato e sto bene, sono solo un po' stanca. Ricordi quando, prima che partissi, abbiamo detto che la nonna avrebbe mandato qualcuno a venirmi a prendere in aeroporto? Be', non ha mandato uno schoffer ma zia Bertha, sua sorella. Se te lo stai chiedendo, sì, quella mezza matta. Spero di sopravvivere, ciao."

Raven chiuse la telefonata e infilò il telefono nella tasca della felpa. Vista l'auto rossa di zia Bertha, Raven spinse il carrello con le valigie verso il parcheggio.

"Avanti Raven, su! Non vorrai mica farmi aspettare. Inverness non è dietro l'angolo cara.", sentì gridarle.

"Ciao anche a te, zia."

"Sì, sì." Bertha aprì l'auto, e in un colpo solo prese il pesante trolley e lo infilò nel bagagliaio. Con uno scatto quasi nervoso sfilò la custodia della chitarra dalla spalla di Raven e la incastrò sopra la valigia; fece la stessa cosa col borsone. Nel frattempo Raven mise lo zaino sui sedili posteriori e mise il carrello a posto. "E ora che tutto è sistemato possiamo salutarci.", disse Bertha avvicinandosi a lei.

Raven si ritrovò stretta in un abbraccio che sapeva di caramelle alla menta. Qualcosa che le ricordava la sua infanzia e i regali portati dalla zia provenienti dai suoi numerosi viaggi. Zia Bertha la fissò con le sopracciglia aggrottate. "Nonostante il tuo cambio di look, sono contenta che tu sia tornata, Raven. Anche tua nonna e i tuoi cugini non vedono l'ora di vederti.", la donna sciolse l'abbraccio e si passò una mano tra i corti capelli tinti di castano chiaro. "Ma come mai questo trucco eccessivo, tesoro? Il rossetto rosso...", agitò le mani in aria, ma sorrise comunque. "Ma ora andiamocene, altrimenti mi toccherà pagare un'ora in più di parcheggio.

Raven ridacchiò e si infilò in auto, ricordandosi di sedersi a sinistra. Vivere per quasi tre anni negli Stati Uniti le aveva fatto perdere abitudini essenziali nel Regno Unito.

Zia Bertha si immise sulla Jubilee Road, dirigendosi sulla Eastfield. Da lì avrebbero percorso la Glasgow Road e la M9 per circa due ore e mezza: direzione Inverness. Raven aveva le mani sudate per l'agitazione, nonostante sapesse di dover fare ancora ore di viaggio. Era emozionata nel tornare nella sua città, il luogo nel quale aveva vissuto un'infanzia quasi dorata, dove lei e sua madre fingevano che non esistessero i Vampiri. Al contempo la avvolgeva una strana ansia, nel sapere che presto o tardi, sua nonna l'avrebbe messa alla prova.

Una decina di minuti dopo essere partite, e appurato che la vecchia radio di zia Bertha non prendeva nessuna delle stazioni radio che non fossero la BBC Radio 3 e la BBC Radio 5 - che trasmettevano musica classica e notizie sullo sport in continuazione - Raven capì che per trascorrere quelle ultime ore di viaggio, avrebbe dovuto fare conversazione con zia Bertha. Il che si rivelava interessante se la zia era dell'umore giusto.

"Come mai sei passata tu a prendermi? La nonna non poteva...", fece un gesto con la mano, "...che so, pagare qualcuno. Come fa sempre."

Zia Bertha arricciò le labbra. "Mmh... tua nonna è impegnata ultimamente, e con lei tutte le risorse dei McNair, persino lo schoffer.", ridacchiò, "Ma non è un problema per me distaccarmi un po' e fare un viaggetto.", ammiccò verso di lei, "Non vedo spesso mia sorella, ma la sua presenza è molto... come posso dire... pressante. Quando sarai tra le sue grinfie, non potrai passare a trovarmi tanto spesso, per non dire affatto. Staremo un poco insieme. E poi tra poco inizia la scuola. Il primo di settembre, giusto?", annuì tra sé, "Già. Alla Rosegard, poi. Non avevo idea che quella scuola accettasse studenti nati dopo il 1964."

La ragazza alzò gli occhi al cielo. "Fantastico. Quindi sarò in classe con gente della tua età zia."

Bertha ridacchiò. "Già, già. Ma tu, che mi dici dell'America? Com'è?"

Raven percepì una fitta al petto pensando a Marvin e alla chitarra che giaceva nel bagagliaio. Da quando Tricia gliel'aveva data, non aveva ancora avuto il coraggio di aprire la custodia. Ogni tanto si ritrovava a pensare che fosse vuota o che Tricia l'avesse riempita di sassi.

Si ridestò dai suoi pensieri, rispondendo alla zia. "Grande. La gente mangia cose strane, lì. Quello che vedi qui, moltiplicalo per mille. C'è una varietà di scelta tremenda, a volte ti senti sopraffatto. Le città sembrano inghiottirti. Ma c'è gente proveniente dai luoghi più disparati della terra. Nessuno può dire di essere completamente americano. È bello. Così puoi quasi sentirti a casa."

"Certo.", fece zia Bertha, che intanto aveva immerso la mano sinistra dentro un pacchetto di patatine unte. Raven non sapeva da quanto tempo quel pacchetto fosse lì, ma giudicare dai colori scoloriti della busta, doveva essere molto. "I veri americani sono quelli che noi chiamiamo 'indiani d'America', sono loro che abitavano quelle terre prima che i coloni...", afferrò un'altra manciata di patatine e se le infilò in bocca. Disse cose che Raven non capì e quando ingoiò disse: "Ho ragione o no, Raven?"

Raven non potè fare altro che annuire. "Sì."

"Bene, bene. E tua mamma come sta, si è un po' ripresa?"

"Io... credo di sì. Lo spero.", ripensandoci, in quei tre anni non aveva fatto altro che pensare al suo di dolore, al fatto che fosse diventata orfana in quel modo così... inusuale. Raramente si era soffermata nel pensare che sua madre potesse aver sofferto, tranne quando la trovava a piangere in silenzio, credendo che Raven non fosse a casa.

"È difficile, lo so.", sussurrò la zia Bertha, quasi percependo i suoi pensieri. Raven si chiese che cosa ne sapesse lei di quanto fosse difficile sopravvivere alla perdita di un marito, quando non si era mai sposata nè aveva una relazione che non fosse antecedente al 2004. "Be', parliamo di cose più felici ora. Non vorrai mica passare questo paio d'ore a piangere, cara. Credo che per farlo ti siano bastati i giorni che hanno preceduto la tua partenza."

"Hai ragione. Ma non ho pianto quando ho saputo della chiamata della nonna. Ero furiosa, in realtà."

Zia Bertha terminò le patatine e prese un tovagliolo di stoffa incastrato nel cruscotto, pulendosi velocemente le dita prima di cambiare marcia. "La rabbia è buona, sì. Ma un bel pianto non fa mai male Raven. Io ho pianto per giorni quando ho scoperto cosa aveva fatto tua nonna al mio fidanzato.", gracchiò.


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