Un ottimo passatempo.
Il giorno seguente Ben non incontrò la signorina Thompson, né il giorno dopo ancora. Cercò di convincersi che il fatto di averla riconosciuta al night club del Mirror non l'avesse spinta a licenziarsi prima che Ben lo riferisse al suo capo. In verità, almeno per il momento, non aveva alcuna intenzione di farlo: il gioco si faceva sempre più intrigante, anche grazie alla sua improvvisa scomparsa dalla scena.
Portava ancora i postumi dei festeggiamenti - che in genere duravano dai tre ai quattro giorni - quando, a metà del pomeriggio, all'interno della sua suite sentì squillare il telefono fisso dell'albergo. La chiamata in entrata arrivava dalla reception.
«Signor Barnes, una chiamata da Nizza».
Ben sospirò e tentò di reprimere i sensi di colpi mentre gli trasferivano la chiamata.
«Adesso ignori anche la mamma, Benjamin?» disse una voce di donna, marcando volutamente una nota di rimprovero. Aveva ignorato tutte le chiamate dei giorni precedenti e risposto agli auguri con un misero cuore in chat, tutto ciò per evitare che sua madre tornasse di nuovo su quel discorso di cui Ben non voleva sentire parlare nemmeno lontanamente. Decise di sorbirsi i rimproveri a bocca chiusa, borbottando qualche "scusa" e "hai ragione" di tanto in tanto, mentre sua madre si sfogava.
«Ho bisogno che tu venga qui per un paio di giorni la prossima settimana, Ben» annunciò la donna, cambiando discorso. I suoi genitori avevano base fissa a Nizza ormai da cinque anni, da dove gestivano altri due hotel della loro catena, e talvolta Ben li raggiungeva quando avevano bisogno di concludere partnership importanti. L'idea di lasciare Londra e cambiare ambiente, anche se per pochi giorni, gli dava uno strano senso di conforto. Amava la sua città: nato e vissuto lì, aveva avuto l'opportunità di girare l'Europa e oltre, ma casa è sempre casa. Soprattutto perché nelle altre città era poco più che uno sconosciuto, mentre a Londra lo trattavano da vip. E a lui, amante delle attenzioni, non dispiaceva per niente.
Quando riattaccò, accese il portatile e subito segnò sulla sua agenda digitale - condivisa con Daniel, naturalmente - le date del fine settimana successivo in cui sarebbe partito per Nizza, poi si mise a cercare un volo. Lo studio era stato più in disordine del solito negli ultimi giorni, e sulla scrivania giacevano ancora una bottiglia di gin mezza vuota con il suo bicchiere accanto. Per un istante fu tentato di calare giù qualche sorso, ma si convinse che la giornata era filata troppo bene rispetto al normale per bere già a quell'ora. Ben iniziò a bere alcolici all'età di sedici anni, gli anni delle comitive in cui i ragazzi più grandi cercano di svezzarti, ma mai in modo assiduo. Così continuò fino a l'estate di quello stesso anno, quando il suo rapporto con l'alcol divenne più intimo. Togliendo finalmente gli occhi dalla bottiglia avvertì già una fitta allo stomaco al solo pensiero che la sera stessa sarebbe dovuto uscire di nuovo con i suoi amici. E glielo avevano fatto giurare sulla cassa del Bitterweet, quindi era praticamente obbligato a presentarsi.
Dopo aver prenotato il volo, lasciò la suite e raggiunse il piano terra, dove incontrò un numeroso gruppo di turisti tedeschi alla reception in attesa delle loro chiavi. Con l'arrivo di quei clienti una buona parte delle stanze dell'albergo erano state occupate, ma niente in confronto al periodo natalizio: lì c'era da mettersi le mani tra i capelli, e sia Ben sia il resto dello staff potevano scordarsi di allontanarsi da Londra per più di due giorni con tutto il lavoro che c'era da fare.
Si guardò intorno nella hall in cerca di Dan, non trovandolo: la scusa perfetta per avvicinarsi alla sala conferenze. Ma poi da quando si faceva tanti scrupoli a camminare per il suo hotel? Aveva le chiavi di ogni singola porta, poteva fare irruzione in qualsiasi momento, senza dover dare conto e ragione a nessuno. Camminò a passo spedito lungo il corridoio e vide la porta della stanza aprirsi e Daniel uscirne, quando alle sue spalle finalmente riconobbe la figura della progettista che la notte del suo compleanno aveva ballato per lui sul palco del Mirror. Prima che il suo collega potesse dire qualcosa, il suo telefono squillò e rispose allontanandosi da Ben: l'occasione giusta al momento giusto. Strinse il polso della ragazza che stava per chiudere la porta e la costrinse ad uscire, per poi allontanarsi poco in fondo al corridoio, la presa sempre ben salda.
«Mi chiedevo con quanta audacia mi butti fuori dalla mia sala» iniziò, mollando la presa dal polso e sorridendo malizioso mentre si avvicinava al volto che qualche sera prima aveva riconosciuto da dietro una maschera, «...forse il tuo capo dovrebbe sapere che il suo braccio destro la notte fa la stripper». Pronunciò quella frase senza ombra di cattiveria, bensì con il suo solito tono provocante, sperando di non aver oltrepassato il limite.
Ma Deva, che si capiva già fosse un tipetto tosto, non lo deluse. Si avvicinò a sua volta ammiccante, facendo indietreggiare Ben di qualche passo.
«Consideralo un regalo di compleanno» rispose, incrociando le braccia con aria spavalda.
«Non sono soddisfatto al 100%».
«Dovrai accontentarti. Non avrai più il piacere di incontrarmi in quel covo di frustrati».
Più la ragazza ostentava di essere sfacciata, più Ben riusciva a cogliere un velo di timore nei suoi occhi verdi sempre più marcato. Riconobbe la tattica della psicologia inversa, a lui tanto cara, per ottenere ciò che si vuole, ma per sua sfortuna Deva Thompson non era ancora tanto brava quanto lui. Si lasciò scappare una risata alla parola "frustrati", sentendosi più lontano da quella categoria di tutte le persone che lo circondavano, ma non rispose. Piuttosto si allontanò, camminando lentamente all'indietro, le mani nelle tasche posteriori dei pantaloni.
«Tranquilla, se Nesbitt ti caccia sarò abbastanza gentile da permetterti di restare fino alla fine della tua prenotazione».
Si voltò, riprese a camminare normalmente e iniziò a contare. Aveva appena superato la porta della sala conferenze quando si sentì chiamare sottovoce. Bingo.
«Cosa vuoi per restare zitto?» sibilò la ragazza, gli occhi ridotti a fessura e il sorriso spavaldo improvvisamente scomparso dal suo viso. Ben, dal canto suo, era sempre più divertito.
«Esci con me».
Deva rispose con un sorriso acido. «Piuttosto inizio a fare i bagagli» disse, poi entrò nella stanza e si chiuse dietro la porta. Ben chiuse la mano a pugno e la portò vicino alla bocca, mordendo le prime due dita e ridendo soddisfatto. "Vedremo" pensò, mentre tornava alla ricerca di Daniel. Non aveva mai fatto particolari sforzi per conquistare le ragazze che gli interessavano, né gli piaceva perdere tempo dietro le tipe che se la tiravano, ma quello di spaventare e stuzzicare Deva poteva essere un ottimo passatempo per distrarsi prima della partenza per Nizza. Allo stesso tempo, più gli negavano di scoprire cosa stessero organizzando lì dentro, più la sua curiosità aumentava. Ma a questo problema avrebbe pensato successivamente.
*
Il cielo serale fuori dal Bittersweet Hotel era sereno, dopo due giorni di pioggia incessante. Se fosse andato tutto secondo i suoi piani, quella sera sarebbe stata l'ultima uscita etichettata come "festeggiamento". Sapeva già che sarebbero continuati ad uscire, ma almeno sarebbero state serate normali e non strascichi del suo compleanno. L'unica differenza rispetto alle altre sere: era sabato. Ben era di buon umore e perse poco tempo a prepararsi, facendo attenzione solo ad indossare la giusta dose di profumo.
Scelsero di andare a bere al Wilde Pub piuttosto che al Mirror e Ben ne fu grato, dato che le scorse sere le avevano tutte trascorse lì fino alle prime ore del mattino. Il Wilde si trovava due traverse dopo ed era molto più ampio e non nascondeva nessun night club. Le pareti erano ricoperte da finti mattoni rossi in richiamo ai loft americani, i tavoli metallici si mischiavano a divanetti neri bassi e in fondo al locale un unico grande bancone in muratura veniva preso d'assalto. Ben e i suoi amici si sedettero nei loro divanetti riservati in fondo alla sala, vicino al bancone, e aspettarono che un cameriere venisse a prendere le ordinazioni mentre studiavano le altre persone. Individuò un gruppo di ragazze sedute a un tavolo poco lontano da loro e fece un cenno a Conor alla sua destra.
«Stasera ci divertiamo come ai vecchi tempi» gli suggerì, per poi rivolgersi al cameriere, «un giro di shot per noi e per quel tavolo laggiù, offro io per le signorine».
Le ragazze notarono le occhiate provenienti dai due complici e iniziarono a mormorare e ridacchiare tra loro. Ben cercava di individuare la sua preda, per quanto la lontananza glielo permettesse, e aspettò che gli shot arrivassero ad entrambi i gruppi per poi alzare il suo bicchiere ammiccando verso la ragazza dal vestito azzurro che gli sorrideva. Sapeva che con quel brindisi aveva appena sancito un patto silenzioso con la sconosciuta che, dopo aver bevuto, si avvicinò a loro trascinandosi le sue amiche. I corti capelli biondi creavano una cornice perfetta attorno al viso dall'aria quasi innocente, mentre le curve del suo corpo accentuate da quel vestito lasciavano traspirare dell'altro.
«Possiamo accomodarci?» chiese, e prima che Ben o chiunque altro potesse rispondere erano già sedute con loro, la bionda si fece spazio tra lui e Conor. «Amelia» si presentò con il suo miglior sorriso.
Per tutta la serata, nonostante la poca affinità mentale che avvertì, Ben continuò a immaginare Amelia in ogni angolo della sua suite: prima distesa sul divano, poi sull'isolotto della cucina, sul letto, nella doccia, dopo di nuovo sul letto... fin quando, alla chiusura del pub alle due di notte, prese l'iniziativa e la invitò nel suo albergo. Amelia evidentemente sapeva con chi aveva a che fare dal primo momento che lo aveva adocchiato, perché non se lo fece ripetere due volte.
Quando entrarono nella hall del Bittersweet la reception era vuota e Ben stava già baciando la ragazza con foga spingendola verso l'ascensore, ma mentre passarono davanti il corridoio della sala conferenze ebbe un piccolo lampo di genio.
«Tu inizia a salire al dodicesimo» le disse, continuando a baciarle il collo, «arrivo».
Una volta chiuse le porte dell'ascensore, fece il giro del banco e cercò nei cassetti la chiave della stanza. L'alcol in circolo nel suo corpo aveva allentato i freni che negli ultimi giorni lo avevano tenuto lontano da lì, non riusciva più a dominare la curiosità. Prese la chiave e andò spedito verso la stanza, ma una volta arrivato davanti alla porta esitò nel vederla già socchiusa. Nello stesso momento in cui poggiò la mano sulla maniglia, la porta si aprì di scatto rivelandogli una piacevole sorpresa.
«Che meschino! Stavi venendo a spiare?» esclamò sdegnata la signorina Thompson, che alla vista di Ben sussultò rumorosamente.
«Non volevo spaventarti, tesoro» rispose Ben, cercando di controllare l'istinto che aveva di avvicinarsi alla ragazza e toccarle i lunghi capelli mossi. «Posso farmi perdonare».
«Ah sì?» replicò Deva, chiudendosi la porta alle spalle infastidita, «Allora puoi iniziare portando più rispetto per il lavoro degli altri». Se ne andò senza nemmeno controllare se Ben avesse ancora intenzione di irrompere nella stanza.
Ben non si offese, né si arrabbiò, né provò più ad entrare nella stanza. Sapeva che i modi scostanti e aggressivi della ragazza erano dettati dall'aver scoperto il suo segreto. Si ricordò all'improvviso che una ragazza bionda lo aspettava fuori dalla porta della suite e, con meno entusiasmo di quando l'aveva portata dentro, la raggiunse di nuovo assorto nell'alcol dimenticandosi per il momento della sala conferenza.
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HOLA! Mentre il carattere spavaldo di Ben diventa sempre più chiaro, si inizia a delineare anche il personaggio di Deva. Apparentemente molto simili: entrambi testardi, sfacciati, determinati e senza peli sulla lingua. Tutto ciò che si nasconde dietro le prime apparenze è da scoprire nei prossimi capitoli. Se stai continuando a leggere, lascia un parere! :)
-a (con tutto il mio cuore).
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