Seconda chance.
"Sapessero
che disarmato è il cuore
dove più la corazza è alta."
Nelo Risi.
L'euforia di quella domenica nacque e si esaurì lo stesso giorno; i giorni seguenti Ben tornò ad avvertire la familiare sensazione di respiro strozzato e peso sullo stomaco che aveva perso per meno di ventiquattro ore. I primi due giorni non fece altro che pensare alla cattiveria che aveva riservato alla progettista soltanto per averlo rifiutato, ma ogni volta che veniva colto dai sensi di colpa li scacciava via presto, ripetendosi che lavoro e relazioni non dovevano assolutamente mischiarsi. D'altronde, pensava Ben, la ragazza non poteva aspettarsi che dal nulla lui si innamorasse e decidesse di avere una relazione seria con lei. Poteva fingere che lui le fosse indifferente quanto voleva, ma Ben sapeva che a Londra non c'era una ragazza non interessata a lui, e il fatto che Deva avesse accettato di uscire con lui era la prova che anche lei rientrava in quella categoria. Ma soprattutto, ciò che più temeva era di non poter tornare più a respirare come aveva fatto con lei quella domenica. Dopo tanto tempo era stato spensierato, leggero, allegro, si era addirittura fatto trascinare da una stupida cartomante... si era già sbilanciato troppo per i suoi gusti.
Più volte negli ultimi due giorni aveva avuto la tentazione di irrompere nella sala conferenze a rompere gli equilibri dello staff di Nesbitt che aveva vietato l'ingresso a tutti i suoi dipendenti tranne Dan, ma fu fermato dal suo sentimento più forte: l'orgoglio. Se fosse entrato là dentro dopo la scenata di domenica notte, avrebbe dato una bella soddisfazione alla signorina e questo non poteva accadere. Così restò ben alla larga dal corridoio della sala, e cambiò strada ogni volta che da lontano vedeva arrivare la ragazza, che dal canto suo non lo degnava di uno sguardo.
Non che avesse smesso di pensarla in un certo modo, anzi, stava proprio peggiorando. Solo che, se prima immaginava Deva in lingerie nella sua camera da letto, adesso la immaginava con il suo pesante pigiama grigio sdivacata sul divano della suite con una birra in una mano e il telecomando nell'altra. E questo era senza dubbio un campanello d'allarme molto più forte di una sottoveste nera, campanello che Ben ignorò senza ritegno; anche quando, il pomeriggio precedente, l'aveva incrociata nella hall e lei gli passò accanto ostentando un sorriso beffardo e dicendogli: "Buonasera, signor Barnes!" con una voce squillante, come se niente fosse successo. Ben sapeva che non era segno di pace quello, ma la ragazza stava affilando ancora di più i coltelli.
Anche in quel momento, in sala riunioni con i tutti i responsabili dei vari settori dell'albergo, Ben aveva la testa da un'altra parte. Non aveva bevuto più di giorno dall'ultima volta, quindi era molto più lucido, ma proprio quel vagare a mente lucida lo spaventava ancora di più. Era seduto a un grande tavolo ovale di legno e stava cercando di seguire la relazione di fine mese della responsabile della ditta di pulizie che si occupava di igienizzare il Bittersweet Hotel, ma la voce calma e narrante della donna lo portava a distrarsi continuamente. Quando capì di non poter più reggere la situazione, dichiarò una pausa di dieci minuti e trascinò con sé Daniel alla solita panchina fuori l'hotel.
«Ti devo dire una cosa» gli disse, estraendo dalla tasca dei pantaloni il pacchetto di sigarette, mentre faceva avanti e indietro davanti l'amico seduto.
«Che hai combinato questa volta?» rispose Dan rilassato, anche lui si accese una sigaretta.
«Deva» iniziò Ben, dando a vedere tutto il suo nervosismo, «Deva Thompson sai, la designer di Nesbitt. Siamo usciti».
«Finalmente un po' di gusto, Benjamin. È davvero un amore di ragazza».
Ben lo guardò perplesso per un istante: possibile che stessero parlando di due Thompson diverse? Perché fino a quel momento tanto un amore non gli era parsa.
«Il fatto è che io ci ho provato e lei mi ha rifiutato».
«Scommetto che ti aspettavi il tappeto rosso».
«Sì, cioè no! Ma tu da che parte stai?». Daniel rideva sotto i baffi, mentre Ben continuava a fare avanti e indietro davanti la panchina, «comunque, io volevo portarla sopra e lei mi ha rifiutato, e ora non mi guarda nemmeno». Decise di non raccontargli di come lo aveva salutato raggiante davanti tutti i presenti nella hall, perché quella nonchalance lo faceva incazzare ancora di più dell'essere ignorato.
«Beh, ci credo, hai visto che tipo è? Magari ci sarebbe anche venuta a letto con te, ma tu avrai fatto lo stronzo di sicuro».
«Hai intenzione di aiutarmi o no?» gli chiese irritato. Era così facile pensare che si era comportato da stronzo? Era veramente quella la prima cosa che le persone pensavano quando una ragazza decideva di ignorarlo? Che lo era stato non poteva negarlo, ma sentirselo dire non lo faceva né stare meglio né sentire più figo. Per lui il rispetto veniva prima di ogni altra cosa e si vergognava di averne mancato a Deva. E si vergognava anche di aver appena ammesso davanti al suo amico che gli importasse di guadagnarsi di nuovo il saluto della ragazza.
«Io ti posso aiutare, ma pensaci bene Ben: non ti potrai tirare indietro. Chiedimi aiuto solo se hai davvero intenzione di rimediare» rispose Dan, stavolta molto più serio. Il suo amico, nonostante fosse più grande di lui, non assumeva mai toni paternalistici nei suoi confronti ma era sempre pronto a dargli una strigliata quando gli serviva. Ma in quel momento a Ben non serviva una strigliata: non voleva creare troppe aspettative né dare soddisfazione a Deva. Sapeva di doversi scusare, non era così maleducato da fare finta di niente - non a lungo per lo meno. Non disse niente, piuttosto entrambi spensero le sigarette consumate e tornarono alla riunione.
Dopo il report della ditta di pulizie toccava agli aggiornamenti sull'organizzazione dell'esposizione di Chanel che sarebbe stata poco più di una settimana dopo. Per l'occasione avevano permesso al signor Nesbitt di sedersi al tavolo con loro, che sembrava annoiato quasi quanto Ben dopo aver sentito le relazioni precedenti. Quando venne il suo turno di parlare, invece, si alzò entusiasta scoccando sguardi d'intesa a Daniel.
«Vorrei ringraziare il signor Barnes di avermi accolto alle sue riunioni private, dimostrazione di grande fiducia e interesse nel nostro evento» fece un cenno verso Ben, che ricambiò sorridente, «ora, sapete bene che abbiamo deciso di regalare l'effetto sorpresa a tutti voi, ma uno dei vostri colleghi sa per filo e per segno cosa stiamo combinando nella vostra sala conferenze. Vi posso dire che sta andando tutto secondo i piani, i miei ragazzi si muovono velocemente, e siamo sicuri che riusciremo a catturare l'attenzione di tutto il quartiere e oltre. Inoltre, abbiamo venduto tutti i biglietti per la data, per questo volevamo chiedervi se siete d'accordo ad aggiungerne un'altra».
Guardò verso Ben in attesa di approvazione, ma il ragazzo continuò a fissarlo per esortarlo a concludere il suo discorso.
«Questo anche perché arriveranno molti nostri partner dalle principali capitali europee, che chiedevano di alloggiare nel nostro stesso posto. Io e il mio team riteniamo che sarà un evento esclusivo e un momento in cui avremo i riflettori puntati addosso, sia noi che voi, per questo pensavamo di duplicare la data». Dopo aver finito il suo discorso si sedette, e tutti aspettarono che Ben prendesse parola.
«Grazie, signor Nesbitt» disse Ben, prendendo appunti sulla sua agenda, «ci penseremo. Sarebbe senza dubbio un piacere, ma visto che si parla della seconda settimana di dicembre dobbiamo valutare il carico di lavoro e la disponibilità effettiva della struttura. Al momento una grande parte delle nostre camere sono occupate e solo una decina se ne libereranno questa settimana, per non parlare delle ferie del mio personale. Anche loro hanno diritto al Natale».
Nesbitt rise, ma Ben sapeva che si aspettava di ricevere immediatamente un sì come risposta. Purtroppo per Nesbitt, loro avevano molte più cose da tenere in considerazione rispetto a lui e il suo staff di poche persone. In più, Ben aveva la sensazione che questo evento di cui continuava a vantarsi non sarebbe risultato niente di ché, solo qualche foto appesa alle pareti e le luci natalizie, che ancora non aveva capito a che servissero.
Quando la riunione terminò e Ben tornò nella sua suite, decise di approfittare del cielo relativamente sereno per portare Tonic a fare una passeggiata al parco lì vicino. Si portò uno dei suoi libri preferiti che stava rileggendo per l'ennesima volta e si sedette in una panchina appartata in fondo al parco, lasciando Tonic libero di girargli intorno. La cosa bella dell'essere il proprio datore di lavoro era poter sfruttare i tempi morti delle giornate: quando i suoi dipendenti non avevano da fare si limitavano a rilassarsi e parlare tra di loro, non potevano certo lasciare il posto di lavoro e tornare dopo come se niente fosse.
Mentre leggeva, di tanto in tanto lanciava uno sguardo a Tonic che si aggirava tra le aiuole e fiutava qua e là, quando lo vide sfrecciare verso una coppia poco lontana e iniziare a fargli le feste. Ben posò il libro sulla panchina e andò verso il cane, ma man mano che si avvicinava una spiacevole sensazione lo faceva pregare affinché la ragazza che stava con il tizio che accarezzava il suo cane non si girasse. Lunghi capelli castani le cadevano morbidi lungo la schiena...
«Scusate» disse Ben attaccando il guinzaglio al collare di Tonic, «colpa mia».
La ragazza si girò e il cuore di Ben perse un battito. Il destino era crudele.
«Già, colpa tua» rispose stizzita Deva, aggrappandosi in fretta al braccio del ragazzo biondo che fino a qualche momento prima accarezzava il suo cane, «sa che le dico? Che nessuno dovrebbe prendere un cane se non gli si vuole davvero bene! Lasciarlo così, abbandonato a sé stesso!».
Sia Ben che l'altro ragazzo la guardarono stizziti, l'unica differenza era che almeno il primo sapeva perché Deva stesse reagendo in quel modo. Non riuscì a trattenere un sorrisino vittorioso, e la ragazza girò i tacchi sbuffando, senza nemmeno aspettare il tipo biondo. Anche Ben se ne andò, diretto verso l'albergo, e non poté che pensare che la signorina Indifferenza si era appena tradita.
«Che traditore che sei» si rivolse a Tonic, «gli hai pure scodinzolato a quello».
*
Quella sera aveva insistito con i suoi amici per andare a bere in qualsiasi locale perché sentiva di nuovo il forte bisogno di evadere e loro non riuscivano a credere alle loro orecchie. Quando alle 23 fu pronto, mandò un messaggio nella chat di gruppo ma nessuno di loro rispose. Qualche minuto dopo, Dan gli mandò un sms in privato:
"Vediamoci sul tetto, adesso".
Non capiva se fosse uno scherzo o meno. La sua ansia gli suggeriva che Daniel stesse per lanciarsi dal tetto del Bittersweet, ma conoscendo l'amico poteva essere un messaggio in codice, o anche solo uno scherzo. Tuttavia l'idea del suicidio gli sembrò quella più plausibile, quindi si infilò in fretta il cappotto e corse fuori dalla suite, verso le scale d'emergenza. Si accedeva al tetto tramite una porta blindata elettronica che si apriva solo grazie a una speciale carta che veniva passata davanti un sensore, che naturalmente Ben non aveva preso dalla sua stanza. Fu sollevato nel trovare la porta già aperta, l'unica altra persona che aveva quella carta era Daniel.
Uscì nel grande terrazzo ma Dan non c'era. Fece il giro più volte, cercando di controllare giù oltre l'oscurità se ci fosse un corpo sul marciapiede, ma a quanto pareva non si era lanciato. Mentre scrutava verso il basso, sentì la porta chiudersi forte alle sue spalle e saltò in aria, girandosi di scatto.
«Non è possibile» disse di fronte l'ennesimo scherzo del destino. Davanti a lui non c'era il suo amico e collega Daniel, ma una sconvolta signorina Thompson con la bocca spalancata. Non capiva il motivo di quella imboscata, ma soprattutto aveva appena realizzato che Deva si era chiusa la porta alle spalle e lui non aveva con sé la sua tessera per aprirla.
«Che imbroglione, che imbroglione» iniziò lei, cercando di forzare la maniglia, «scommetto che hai minacciato il tuo collega per organizzare questa trappola».
«È inutile, non si aprirà. Serve una carta elettronica e io non l'ho. Siamo bloccati fuori» disse Ben ignorandola, mentre si affrettava a scrivere i messaggi più offensivi che avesse mai scritto a Daniel. Notò un secondo messaggio:
"Se cerchi c'è del vino. Fa' che non sia sprecato."
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HOLA! Come alcuni di voi già sanno, il capitolo stava venendo troppo lungo quindi ho deciso di tagliare per regalarvi un po' di suspense. Innanzitutto vorrei ringraziare per tutto il sostegno che sto ricevendo, specialmente da quei lettori fissi, grazie di cuore: siete il motivo per cui continuo a scrivere. Ma ora torniamo a noi: si accettano scommesse su cosa succederà sul tetto! Ricordate sempre che ho una vena sadica nei confronti dei miei personaggi quindi chissà...
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