Chapter XXVI - End of the year
[Jade]
Sospirai, appoggiando la testa tra le ginocchia, ero così triste e annoiata che tra poco avrei sbattuto ripetutamente la testa nel muro.
Così silenzio e nessun rumore nell'aria, soltanto la mia testa, che riesce a creare un immensa confusione dentro di me.
O forse non è la mia testa.
Giro la testa di lato e Beck mi spunta davanti.
Mi sorride ed io non posso fare a meno di ricambiare, lo amo ancora dopotutto.
«Ehi...» sussurra mentre io non posso fare a meno di fissarlo negli occhi, vorrei annegarci dentro e vorrei dirgli che mi dispiace per come l'ho sempre trattato, mi dispiace per quei sei anni di relazione buttati al vento, per tutte le volte che l'ho ignorato e per tutte le volte che mi ero allontanata da lui.
Ma stavolta era davvero finita, Beck non era il mio destino, ed io dovevo solo farmene una ragione.
Sorrisi tirata «ehi...» lui sospirò, sedendosi accanto a me, posizionando i gomiti sulle ginocchia e girando la testa verso di me. Siamo vicinissimi e il suo respiro è nella mia testa, essendo lui più alto di me. D'un tratto scoppia a ridere, lo guardo interrogativa e ruoto la testa.
Passo falso, il mio naso sfiorò il suo e i suoi occhi intrappolano i miei; lo stomaco iniziò a bruciarmi e avrei voluto poter rimanere così, avrei voluto che il tempo si fermasse in quello stanzino, in quella posizione, in quel gioco di sguardi.
Ma io non potevo di certo bloccare il tempo e lui aveva fatto la sua scelta. Abbassai il mio sguardo verso le sue labbra, fu automatico e lui fece lo stesso. Mille pensieri mi vennero in mente: il cervello diceva di scappare, l'stinto di agire, l'orgoglio di urlargli la mia frustrazione, ma il cuore, il cuore mi diceva di amarlo.
Ma io ascoltai il cervello e, mentre lui si avvicinava sempre di più, incatenandomi con le sue labbra e il suo sguardo, io mi scansai.
Lui non si mosse e continuò a fissarmi, ferito, amareggiato, non avrei saputo dirlo. Una cosa era sicura, lui era ancora innamorato di me, come io lo ero di lui.
Ma avevamo poca esperienza, lui era frivolo e genuino, io ero orgogliosa e decisa. Io ero la luna, lui era il sole, io ero il buio, lui la luce.
Io l'Est, lui l'Ovest. Non avremmo mai potuto funzionare, ne ora, ne mai. «Scusami» gli dissi, fissandolo. Solo quel muro teneva le nostre teste, inclinate verso l'altra, vogliose più di noi. I nostri occhi parlavano da soli, le nostre labbra desiderose di assaggiarsi un'ultima volta.
Chiusi gli occhi e sospirai «per cosa?» Mi rispose, la voce roca, il cuore a pezzi. Aprì gli occhi, guardandolo e innamorandomi di lui di nuovo, come se fosse la prima volta; quando mi aveva salvato dall'oblio in cui ero caduta, quando solo guardarlo mi faceva stare bene e quando solo averlo vicino mi riempiva il cuore di speranza.
Perché in fin dei conti, era questo l'amore. Un gioco di sguardi in cui nessuno dei due poteva sottrarsi, in cui l'altro riempiva il vuoto soltanto con la sua presenza; perché l'amore è complicità, è innamorarsi della tua metà ogni volta, in ogni vita, donargli il cuore come se non se ne potesse fare a meno.
Lo guardai con gli occhi con cui l'avevo ferito mille volte «per non aver creduto in noi» risposi e poi mi alzai, lasciandolo lì da solo, in compagnia dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti.
Perché tanto era la pura verità, nessuno dei due ci avrebbe mai creduto.
***
Tra non meno di due ore, ci sarebbe stata la festa di fine anno e, ovviamente, erano tutti elettrizzati all'evento.
Sospirai, indossando i miei trampoli neri e lo stesso vestito che indossavo per le occasioni speciali.
Il vestito di Beck.
Probabilmente mi sarei sposata con quel vestito, perché ero fatta così, restavo legata al passato, come una cozza, come se fosse la mia àncora di salvezza.
Mi arrivò un messaggio da Cat, che lessi immediatamente:
'Smuovi le chiappette bella, siamo qua sotto, wiii"
Sorrisi alle stupidaggini di quel messaggio e, prendendo il netto necessario e metterlo nella mia borsetta, scesi sotto.
Ad attendermi, la fatidica limousine di Robbie, che mi metteva in soggezione ogni volta. Alla guida proprio lui, che muoveva distrattamente le mani sul suo peraphone, chattando probabilmente con qualcuno dei nostri amici.
Cat si affacciò dal finestrino «ehiii, sali dietro con me, mangiamo dei bible buonissimi» urlò mentre Robbie sbuffava «amore, mi sento sfruttato» Cat gli mandò un bacio da lontano «cucciolo, sii uomo e guida» scoppiai a ridere e salì dietro.
Il tragitto casa - scuola, fu abbastanza rapido e quando scesi, la musica mi arrivò dritta alle orecchie.
Ogni quinta di ogni corso si affrettava a divertirsi come se fosse il primo giorno, la prima volta. Ogni singola persona cercava il proprio partner, il loro gruppo di amici, volevano tatuarsi quei momenti e fotografarli con la mente, indelebili.
Sorrisi e insieme a Cat e Robbie mi recai dal mio gruppo di amici.
Beck era già lì e l'istinto di abbracciarlo e baciarlo, prese il sopravvento. Ma non potevo, non dopo che oggi l'avevo categoricamente rifiutato. Lui mi fissò, io ricambiai. Sorrisi, lui no. Distolse lo sguardo, mi ferì. «Jade, come va?» mi chiese Tori, prendendomi per un polso e abbracciandomi di slancio, unendosi anche Cat.
Potrei vomitare, ma in questo momento un abbraccio era più che sentito. «Malinconica ma felice» le rispondo, continuando a guardare Beck, con la sua giacca blu notte, dei jeans e una t-shirt grigia.
Alzo gli occhi al cielo e, dopo aver salutato con un bacio sulla guancia tutti, mi dirigo da lui, a grandi falcate. Lui mi guarda, senza dire una parola. Gli sorrido, stavolta ricambia.
«Ehi.» Saluto, alzando la testa per guardarlo meglio.
«Ehi.» Sussurra lui. Lo guardo in silenzio, incapace di dire qualcosa, potrei piangergli da un momento all'altro, sopratutto sapendo che niente potrà più essere uguale.
Non sarei più tornata a scuola sclerando, non avrei più preso in giro Sinjin o spaventato tutti, non avrei più rivisto i miei amici. Ognuno avrebbe preso strade diverse, me lo sentivo. E l'angoscia mi mangiava viva, mi rodeva l'anima, scavava nei meandri del mio cuore.
Beck abbozzò un sorriso, allungandomi una mano «vuoi ballare?» ricambiai, accettando l'invito e prendendogli la mano.
Un'ultima volta. La mano di Beck era grande e calda e, facendomi trascinare da lui in pista, non potei fare a mano di intrecciare entrambe le mani e scatenarmi a ritmo della musica, e al ritmo di lui.
Lui mi guardava, incantato, malinconico; non avrei saputo definirlo, ma mi guardava. E alla fine, quando misero un lento, che solo il cuore poteva captare, non potei fare a meno di intrecciare le mani al suo collo, di avvicinarmi un'ultima volta e di farmi cullare tra le sue braccia.
Lo guardai negli occhi e scoppiai a piangere . «Ti amo» gli dissi, in preda ai singhiozzi. Lui mi accarezzò i capelli e mi fissò con uno sguardo bastonato «lo so Jade, ti amo anch'io, e lo farò per sempre.»
Fu in quel momento che entrambi capimmo che era finita, quei ti amo, detti poche volte, nei momenti di sconforto; quei ti amo sinceri, sarebbero rimasti in questa scuola.
La scuola in cui il nostro amore era sbocciato non so quante volte, la scuola che ci aveva visti litigare, fare pace, amarci, litigare nuovamente, baciarci.
La scuola che ci aveva cresciuti e la scuola che era pronta a lasciarci.
Proprio come eravamo pronti a farlo noi.
~Capitolo corretto il 23-10-19~
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