Capitolo 27
TI AMO, EVE
⎯ Alexander
La guardo lentamente sparire dietro il portone a vetri della Beat-HouseFM e poi entro in macchina.
Non posso credere a quello che ho fatto. Non posso credere di aver detto tutto quello che sento in una diretta radiofonica, solo perché volevo che lo ascoltasse lei.
È questo, quello di cui mi ha sempre parlato? L’amore?
Le parole di William mi hanno letteralmente acceso una luce dentro, una luce che sa di consapevolezza e di coraggio. E questo è stato il risultato.
Una cosa però continuo a chiedermi...
Mentre guido, diretto a casa, sulla strada che porta a Mellport, compongo il numero di William sullo schermo dell'auto.
«Ti ho sentito in radio...» esordisce, prendendo la chiamata.
«Davvero? Come hai fatto a trovarti in ascolto?» chiedo perplesso.
«Non è importante, quello che conta è che tu sia riuscito a dirle tutto. Sono fiero di te, ragazzo mio», dice, e posso sentire l’orgoglio nelle sue parole.
«È tutto merito tuo, grazie per avermi spinto a farlo...» dico. «William?»
«Sì?»
«Come facevi a sapere che Eve era innamorata di me?»
«Ho iniziato a pensarlo quando ha conosciuto Meghan, alla festa di Natale, e subito dopo le presentazioni si è dileguata... Mi è bastato guardarvi quei pochi secondi per capire che non era la prima volta che vi incontravate. È stato per questo che l'ho mandata al settore commerciale, da te, nei giorni successivi. E poi ne ho avuto conferma quando ti ha impedito di vederla e di sentirla tanto da spingerti a creare una situazione per poterla incontrare, chiedendomi di invitarla alla presentazione di Buckley.»
«E questo ti ha fatto capire che era innamorata di me?»
«Sì...»
«E perché?»
«Perché è stato allora che ho capito che lei non è la solita arrivista, interessata solo al tuo denaro o alla tua posizione. Ha rischiato di perderti, solo perché tu potessi capire che lei non voleva niente da te, se non amore...».
Resto un attimo in silenzio.
«È andata bene, Alex. Basta a farti domande o a ragionare... Vivi» dice.
«Stai tornando a casa?» mi chiede poi.
«Sì, e spero tanto che Meghan sia andata via...»
«Tranquillo, lo ha fatto. È lei che mi ha detto di accendere la radio. Scusa Alex, ora devo proprio andare. Ci sentiamo domani» conclude e mette giù.
E mi perdo sulla strada, ad alta velocità, mentre sento nelle casse della mia Tesla la sua voce dolce e sensuale terminare il programma alla radio.
Spero che mi chiami presto.
Entro in doccia e mi abbandono sotto il getto d’acqua bollente. Dopo tutta la pioggia che ho preso, ne ho proprio bisogno.
Nella mia mente torna solo l'immagine di lei, sotto la pioggia, che mi stringe e mi bacia.
Ripenso a tutto quello che abbiamo condiviso, al suo modo di fare, apparentemente sicuro e deciso, e in realtà ingenuamente dolce e provocante. Ripenso ai suoi occhi color cioccolato nei miei, alle sue mani su di me e a quella cura che dimostra nei miei confronti in ogni piccolo gesto che compie, dallo spostarmi un ciuffo di capelli dalla fronte al medicarmi la ferita alla mano.
Ripenso al modo in cui mi ha sempre ascoltato, con calma e attenzione, e al modo naturale in cui ha sempre capito ogni cosa di me, ogni minimo pensiero, azione ed emozione. Perché sì, lei è riuscita a far emergere in me emozioni che non sapevo neanche di poter provare.
Questa donna mi è entrata sotto la pelle, nelle ossa, giorno dopo giorno.
Non so come abbia fatto, ma so che la sento dentro di me e che non voglio assolutamente che vada via.
Mentre faccio per uscire dalla doccia, sento suonare il campanello. È ormai quasi l’una.
Mi avvolgo un asciugamani sui fianchi e vado a vedere chi è.
Apro la porta e mi trovo davanti lei.
Indossa una lunga giacca bianca, stretta da una cinta sui fianchi, ha dei tacchi alti, a spillo, dello stesso colore e i capelli mossi, morbidi, sciolti che le ricadono sulle spalle.
«Ehi... che ci fai qui, a quest’ora?» le chiedo, non riuscendo a trattenere un sorriso.
Lei non dice una parola, si avvicina a me, mi posa un dito davanti alla bocca e sibila solo: «Ssshhh».
Mi posa la sua mano fredda sul petto nudo, ancora disseminato di piccole goccioline d'acqua bollente e io indietreggio, facendola entrare in casa. Lei richiude la porta dietro di sé.
Spegne le luci, lasciando acceso solo il flebile bagliore della lampada da tavolo. Raggiunge lo stereo e fa partire una canzone che riconosco. L’ho già ascoltata prima, in radio, dovrebbe chiamarsi “Sex and candy”.
Io la lascio fare, come ipnotizzato.
Si volta e viene verso di me, lentamente. Continuando a camminare, si toglie le scarpe, prima una e poi l’altra. Scioglie la cinta. Ad ogni passo che fa, fa cedere dolcemente un bottone alla volta della giacca che porta. Poi la apre e mi accorgo che non indossa niente sotto. Così mi spinge, decisa, sul divano, mentre la lascia cadere sul pavimento. Ed io penso davvero di essere finito in uno splendido sogno.
Apro gli occhi e lei è qui, nel mio letto. È stesa su un fianco, mi mostra la sua schiena nuda e osserva la pioggia infrangersi incessantemente sull’oceano dalla vetrata della camera da letto.
È illuminata solo da una lieve luce giallo oro.
Le sfioro con le dita la linea sottile del suo fianco. Mi appoggio sul gomito e mi tengo la testa. Posso vederla sorridere da questa posizione.
«Che c’è?» le sussurro dolcemente.
«È bello restare così, a guardare la pioggia...» dice con un filo di voce. «Ed è bello poter restare di spalle...»
«Che cosa intendi?»
«Che non sono costretta a guardarti il più possibile, con gli occhi pieni di malinconia, perché temo che questo momento finirà e tu andrai via... è la prima volta che non ho paura. Perché lo sento che non andrai da nessuna parte...» sussurra sempre più lentamente e socchiude gli occhi.
La sento respirare e abbandonarsi al sonno. E anche se forse già dorme e non può sentirmi...
«No, non vado da nessuna parte... perché ti amo, Eve».
⎯ Eveline
Sento quel suo sussurro e resto così, immobile, con gli occhi chiusi. Sono tentata di riaprirli, voltarmi verso di lui e dirgli che anche io sono terribilmente innamorata di lui, ma resto semplicemente così: addormentata.
Mentre sento il sonno avvolgermi, penso che allora è questo che si prova quando qualcuno dice quelle due parole magiche e bellissime. Un senso di sicurezza, di pace, di amore. E di paura. Quella paura sottile che si ha quando stai per ottenere qualcosa e al tempo stesso sai che potrai perderla da un momento all’altro. Posso sentire il suo respiro, pesante accanto a me, le sue mani addormentate appoggiate sul mio corpo e il dolce tocco delle lenzuola morbide del letto che so essere il suo. Ora sono qui, con lui. Ma chi può assicurarmi che questo ci sarà anche domani, e dopodomani e per sempre? Che posso vivere senza avere paura che domani tornerò alla mia vita di sempre? Con quel vuoto nelle vene, quella mancanza d’amore che fa rumore?
È per questo che non apro gli occhi, non mi volto e non gli dico “Alex, anche io ti amo. Ti ho sempre amato”. Non posso farlo perché non sono pronta a mettermi nelle sue mani... non sono pronta a rischiare tutto, a rischiare di metterci la mente, il cuore e la mia verità. Rivelare una volta per tutte quello che sento dal primo giorno che l’ho visto. Quante prove ci servono per fidarci davvero di qualcuno? Perché penso che a me non basti neanche tutto questo. Il suo ritorno, la telefonata alla radio, l’avermi perdonata per essere fuggita dalla cena, la pubblica dichiarazione di stasera e le parole che ha pronunciato “Ti amo, Eve”. Perché le bugie rovinano tutto, una volta dette, non possono essere ritirate, ritrattate, dimenticate. E così continuo a respirare, lentamente, con gli occhi chiusi, confusa come mai lo sono stata nella vita. Sento il mio corpo rabbrividire, di tanto in tanto, come quando sei su una giostra così veloce da non riuscire più a percepirne la velocità. Ecco, questo è l’amore per me. L’amore sono le montagne russe... non sai mai quando la giostra si fermerà e dovrai scendere. E io non so se sono pronta a questo.
Si può evitare di prendere qualcosa che si desidera per non perderlo? Perché in amore è così. Oggi ami qualcuno, domani non puoi saperlo. Ma non può essere giusto rinunciare per paura. Non lo è mai. Non si può non vivere per paura di morire.
Ho sempre creduto che un “ti amo” fosse la fine di un percorso, ma solo ora sono pienamente consapevole, che è solo l’inizio.
E, forse, per la prima volta, non voglio chiedermi che cosa succederà domani, voglio solo vivere questo momento. Respirare il suo profumo nell’aria, dormire accanto a lui, sfiorare il suo corpo nel sonno.
Sì, Alex. Anche io ti amo.
Apro gli occhi, i primi raggi del sole penetrano dalla grande vetrata. Sento la mano di Alex che mi avvolge la pelle nuda e con piccoli movimenti provo a voltarmi senza svegliarlo.
Lo guardo dormire, abbandonato e rilassato al mio fianco.
Mi sollevo un po’ e riesco ad alzarmi senza svegliarlo. Chiudo la tenda per far sì che la luce del giorno non disturbi il suo sonno, leggo sulla sveglia che sono ancora poco più delle sette.
Mi infilo una sua camicia che trovo appoggiata sulla poltrona della camera da letto e vado in cucina a prepararmi un caffè.
Mentre sorseggio il caffè, passeggio scalza per casa di Alex. È così bella, ma talmente tanto impersonale. Non ci sono foto, calamite, niente che possa rivelare qualcosa di intimo o personale.
Osservo la grande libreria alle spalle del salone, scorro con gli occhi i titoli dei libri, molti dei quali pubblicati dalla Chester Publishing, immagino contengano le dediche degli autori.
Ne accarezzo qualcuno con le dita. C’è qualche classico della letteratura, alcuni manuali di informatica, un paio di guide turistiche e...
Non credo a quello che vedo.
Prendo tra le mani un libro familiare, dalla copertina blu, con su scritto: “Il treno degli istanti” di Francisco Ruiz.
Che cosa ci fa il libro di Francisco qui? Non è pubblicato con la loro casa editrice.
All’interno del libro le pagine si aprono da sole rivelandomi una vecchia fotografia.
Sbatto le palpebre più e più volte.
La foto ritrae un giovane Big Chester, al centro, che taglia sorridente un nastro rosso all’ingresso della casa editrice e al suo fianco riconosco, a sinistra Alexander e a destra Francisco.
Francisco conosce i Chester?
Giro la fotografia e una calligrafia ordinata recita: “William, Francis e Alexander Chester all'inaugurazione della Chester Publishing, ventuno aprile duemiladieci”.
Una miriade di brividi colpiscono il mio corpo, mentre accarezzo con le dita quella foto. Il cuore inizia a moltiplicare il suo battito, la vista quasi mi si appanna, mentre nella mia mente si fa strada un unico, terrificante, assurdo interrogativo.
Francis Chester?
Cari lettori, siamo giunti alla fine del nostro viaggio.
Non so spiegare quanto io sia emozionata.
Mi auguro di cuore di essere riuscita almeno un po' a coinvolgervi, emozionarvi e divertirvi con le mie parole e con le immagini raccolte in questa storia.
Spero che il nostro sia solo un arrivederci, perché penso proprio che Eve e Chester abbiano ancora tanto da raccontarci!
Grazie per il vostro sostegno, i vostri voti e i vostri simpatici commenti! ⭐💬
Siete speciali! ❤️
Baci, vostra, C. 💕
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