Capitolo 24
BLOCCATI IN UN MOTEL
⎯ Eveline
«Pronto? Chad?»
«Eve! Dove sei finita? Manca mezz’ora all’inizio del programma!»
«Chad, mi dispiace, sono bloccata sulla strada, poco lontana da Innsville, abbiamo forato e solo adesso sono riuscita a trovare campo per chiamare…»
«Accidenti, Eve! Sei a due ore da qui!»
«Lo so, mi dispiace tanto.»
«Tranquilla, non è colpa tua. Troverò una soluzione. Ci vediamo domani.»
«Grazie per la tua comprensione, a domani».
Metto giù con uno sbuffo.
Non ho fatto neanche in tempo a digerire la tensione per la scazzottata di Chester contro Patterson alla premiazione, che già mi sono ritrovata in questo film dell’orrore.
Siamo rimasti sul ciglio della strada, con la gomma a terra per più di un’ora, in un posto dimenticato dal mondo, in cui nessuna linea telefonica sembrava dare cenni di vita.
Abbiamo raggiunto a piedi – ci sono voluti quaranta minuti di cammino – questo luogo: un palazzotto con un’insegna al neon con la scritta ”Poetry’s Inn”, le cui lettere “o” e “r” si spengono anche ad intermittenza per chissà che guasto. Insomma, un motel senza troppe pretese.
«Camera 79» dice Chester, avvicinandosi a me e sventolando una chiave.
«Ah, grazie», dico prendendola, «a te quale hanno dato?»
«La numero 79» risponde, non riuscendo a trattenere una risata.
Lo guardo perplessa.
«Hai appena detto che io sono nella 79.»
«Eve, c’erano solo due camere libere… una l’hanno presa James e Lucinda e l’altra è la 79. Ma, tranquilla, la signora ha detto che questa ha i letti separati», dice prendendo il mio bagaglio con la mano sana, «andiamo, è di qui».
Lo seguo come un automa senza dire una parola.
Dovrò passare la notte, in una camera di uno squallido motel, con Chester? Non so più se questo è un sogno o un incubo.
Inizio a pensare di essermi addormentata in auto, magari sto ancora dormendo… ma no, di solito quando inizia a sembrarti un sogno, ti svegli. E invece niente, io sono ancora qui.
Raggiungiamo la porta con il numero 79. Io e Chester ci guardiamo e scoppiamo a ridere. Il “9” penzola a testa in giù, prendendo tutte le sembianze di un “6”.
«Oddio, questo posto mi mette una sensazione macabra addosso...» commento, e Chester sorride, divertito dalla situazione bizzarra.
Riusciamo ad aprire la porta, lui accende la luce e una stanzetta, direttamente uscita da un catalogo anni settanta, si apre davanti a noi. La osservo: un grande comò con una vecchia TV sulla destra, una poltrona nell’angolo, la porta del bagno di fronte e un grande letto matrimoniale con due comodini a sinistra.
Chester mi guarda.
«Letti singoli, dunque…» dico, mettendomi una mano sulla fronte.
Mentre Alex è sotto la doccia, accendo la radiosveglia che ho trovato sul comodino, cercando di sintonizzarmi sulla frequenza del programma, per capire chi mi abbia sostituita.
Quando finalmente riesco a trovarla, riconosco la voce di Chad. È lui che sta tenendo il programma al mio posto.
Resto ad ascoltare e noto che le telefonate che arrivano sono per lo più di donne al volante. Il pubblico femminile ha apprezzato la sua presenza, e mi scappa un sorriso.
«Sei molto meglio tu, hai una voce decisamente più sexy…» commenta Alex.
È lì, fermo sulla porta del bagno, con solo un asciugamani intorno ai fianchi. Di nuovo.
Eh vabbè, ma allora lo fa di proposito per provocarmi… Accidenti Chester! Tanto non ci vengo a letto con te.
«Hai bagnato la fasciatura!» lo rimprovero.
«Il dottore aveva lasciato della garza, l’ho messa nello zaino. Ora me la rifaccio…».
Prende dallo zaino l’occorrente e si siede sul letto, accanto a me.
Diavolo, Chester, ti vuoi rivestire o no?
Lo vedo provare a togliere la garza con l’unica mano che gli rimane: è davvero goffo e un po’ tenero. E non riesco a fare a meno di sorridere.
«Posso aiutarti io?»
«No, posso riuscirci…» sibila tutto preso, continuando a provare senza successo.
«Sei sicuro?».
Mi guarda, sorride e scuote la testa. Poi appoggia la sua mano fasciata, con il palmo rivolto verso l’alto, sulle mie gambe.
Srotolo lentamente la fasciatura, scoprendo la ferita che sanguina ancora un po’. Gliela disinfetto accuratamente e poi, con la garza pulita, lentamente la riavvolgo.
Lui guarda la sua mano e poi alza gli occhi su di me.
«Sei più delicata tu del dottor Hernandez…» commenta. «Nessuno si era mai preso cura di me così prima d’ora, mi piace…» sussurra poi, guardandomi dolcemente.
Il mio sguardo cade sulle sue labbra. Carnose, bellissime, una tentazione lancinante.
Restiamo in silenzio per qualche momento, mentre la distanza tra noi si accorcia sempre più.
Incontro i suoi occhi: anche il suo sguardo è dolce, oserei dire profondo, non l’avevo mai sentito così intimamente vicino…
«Vado a fumare una sigaretta, così puoi rivestirti…» sussurro.
E senza pensarci due volte mi alzo, prendo il pacchetto dal grande comò ed esco.
Accendo la sigaretta e soffio fuori il fumo.
Lo desidero ancora così tanto, vorrei sentire il tocco delle sue labbra sulle mie, le sue mani percorrere ogni centimetro del mio corpo e perdermi tra le sue braccia…
Appoggio le spalle alla porta e mi lascio scivolare fino a sedermi per terra.
No, non posso ricascarci di nuovo…
Ma quanto lo vorrei.
All’improvviso la porta si apre ed io finisco stesa, con la schiena sulla moquette della stanza.
Lui mi guarda attonito e poi scoppiamo a ridere.
«Oddio, Eve! Scusami, che cosa ci facevi qui dietro seduta per terra?» chiede, non riuscendo a smettere di ridere.
E tra le risate penso: menomale, se fosse uscito e avesse fatto un solo passo verso di me, non so che altro sarebbe potuto succedere.
La radiosveglia è ancora accesa, in sottofondo sento la voce di Chad annunciare la fine del programma e augurare la buonanotte ai radioascoltatori. La spengo. È ormai mezzanotte e io sono davvero esausta.
Mi siedo sul letto, mentre Chester è già steso sotto le coperte.
«Non hai sonno?» mi chiede.
«Sì, moltissimo.»
«E allora perché non ti stendi?».
Annuisco e mi infilo anch’io sotto le coperte.
Lui è adagiato sul fianco, con il viso rivolto verso di me. Mi giro sul fianco anche io e ci guardiamo.
«Che serata…» sussurra guardandosi la mano bendata.
«Da te che fai a pugni, alla ruota che si fora e ci lascia bloccati qui… non ci siamo fatti mancare davvero niente» sorrido.
«Hai gli occhi stanchi…» sussurra. «Spengo?» chiede, indicando la lampada dalla luce fioca sul comodino accanto a lui.
Annuisco.
«Buonanotte» sussurro, rimboccandomi le coperte.
«Buonanotte».
Mi giro e gli do le spalle.
Non riesco ad addormentarmi se continuo a guardarlo. Riesco solo a desiderarlo…
Chiudo gli occhi e mentre cerco di prendere sonno, lo sento muoversi accanto a me, come per trovare la giusta posizione.
Sento il calore del suo corpo accanto al mio e ad un tratto avverto il suo braccio avvolgermi dolcemente, mentre pian piano scivolo in un sonno profondo.
Apro gli occhi e li richiudo immediatamente.
Oddio. Sento il suo respiro sulle labbra.
Mi faccio coraggio e li riapro: a pochi centimetri dal mio viso c’è quello di Chester, ancora tra le braccia di Morfeo. È disteso su un fianco e tiene la mia mano a sé con le braccia.
Il suo viso è illuminato da timidi raggi del sole, che penetrano dai fori della serranda.
È bellissimo così, addormentato e dolce.
Ho una fitta allo stomaco: tutto questo mi fa una paura paralizzante. Devo liberarmi da questa tenera morsa.
Mentre provo lentamente a ritrarre la mano, un telefono inizia a vibrare ripetutamente. Richiudo gli occhi e mi fingo morta.
Chester si sveglia e agguanta il suo telefono dal comodino.
«Pronto?» sussurra.
Resta per qualche attimo in silenzio e poi aggiunge: «Sì, sì. Arriviamo» e riattacca.
Sento un bacio poggiarsi sulla mia fronte.
E il mio cuore inizia a battere forte nel petto.
«Eve?» sussurra poi. «Eve…» ripete a voce più alta.
Apro gli occhi.
«Buongiorno», mi saluta, «dobbiamo andare, James e Lucinda stanno già facendo colazione».
Annuisco, tirandomi su e poggiandomi sui gomiti. Si alza in piedi e solo ora mi accorgo che indossa solo i boxer.
«Ehi, Chester», dico, e lui si gira verso di me, «dove sono finiti i tuoi vestiti?» chiedo con un sorriso furbo.
Lui ride.
«Li ho tolti stanotte, quella coperta è una vera stufa!» si giustifica. «Se avessi dubbi… non sei stata tu» conclude, prendendo lo spazzolino e chiudendo la porta del bagno alle sue spalle.
Esco dalla stanza e vedo la nostra auto arrivare nel parcheggio del motel. Dal lato guidatore scende James, Chester si avvicina a lui e intuisco che parlino dell’auto, perché vedo James gesticolare indicando il portabagagli.
Li raggiungo.
Giro intorno alla macchina e noto che tutte le ruote sono a posto.
«Si può sapere come hai fatto?» chiedo a James.
«Stamattina ho chiamato il soccorso stradale e sono tornato con loro dove l’avevamo lasciata. Quando hanno visto il modello, mi hanno detto che quest’auto ha la ruota di scorta, solo che non si trova nel portabagagli, ma sotto il sedile passeggero. Ecco perché ieri non l’abbiamo trovata. Il cambio poi è stato un gioco da ragazzi» spiega.
Poi si rivolge ad Alex: «Peccato non sapessi della ruota», dice, «avremmo risolto tutto ieri sera…».
Guardo Chester perplessa. Ho la sensazione che James stia insinuando la malafede di Alex.
Davvero non sapeva della ruota sotto il sedile?
Dopo un viaggio di ritorno che mi sembra interminabile – James guida come il vecchio pensionato che ti ritrovi davanti proprio quando vai di fretta – finalmente arriviamo alla casa editrice.
Salutiamo i nostri compagni di viaggio e io e Chester saliamo a bordo della sua Tesla.
«Vuoi che guido io? Hai la mano in quelle condizioni...»
«No, non preoccuparti, non mi fa più male» risponde e mi sorride.
Mentre guida verso casa mia, sento una strana sensazione dentro di me: vorrei ancora stare con lui ed allo stesso tempo vorrei chiudermi a casa da sola e porre fine a queste ore a stretto contatto con un uomo che mi fa vivere sulle montagne russe.
Ho come il sentore che anche lui non voglia tornare a casa, ma non ne sono sicura.
Lo osservo guidare, nonostante la mano fasciata, e resto in silenzio, mentre in sottofondo in radio sta passando “Without a woman” di Zucchero.
Guardo la strada.
Sono stata bene, così bene da avere una paura assurda. Così bene come non stavo con nessuno da tempo. E poi Chester ha un che di diverso che mi confonde.
«Siamo arrivati» dice, fermandosi al 154 di Roosevelt Street.
Vorrei baciarlo, abbracciarlo. Restare con lui. Ma è meglio che io vada a casa.
E se adesso scendo dall’auto e sparisce di nuovo?
E lo stomaco mi si contorce.
«Grazie del passaggio.»
«Figurati…» risponde, aprendo lo sportello.
«Non preoccuparti, prendo io la valigia», dico, «tu hai fatto già abbastanza» e indico la sua mano.
Sorride.
Mentre raggiungo il portone di casa, dà un colpo di clacson e non appena sono dentro, lo sento ripartire.
E già mi manca.
Apro la porta di casa e sento dei rumori.
Oddio, pure i ladri no, eh?
«Chi c’è?!» grido, entrando quatta quatta in cucina.
«Eve! Sei tornata, ma dov’eri? Il tuo cellulare è spento…»
Oddio...
«Che ci fai qui… mamma?!».
Cari amici, siamo quasi alle battute finali... vi aspetto domani con un altro intenso appuntamento con Bitter Love 💕🖋️
Spero che il capitolo vi sia piaciuto... ⭐💬
Baci, C. 💕
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