Capitolo 18

UN ROSSETTO E UN TOVAGLIOLO

Esco dall’edificio dalla Beat-HouseFM che è ormai notte fonda. Il vento freddo di fine gennaio mi scompiglia i capelli come il ricordo della voce di Alex alla radio mi scompiglia i pensieri.

Chiamo un taxi per tornare a casa.
Dal finestrino del sedile posteriore osservo Brightintown semi-addormentata scorrere velocemente, mentre la mia meta si fa sempre più vicina.

Rigiro il telefono tra le mani, senza sapere ancora bene cosa fare. Rileggo quell’ultimo messaggio di Chester: “Mi dispiace, ti chiedo scusa... potremmo parlare di nuovo al telefono quando finisci? P.s. hai una voce davvero dolce alla radio”.

Parlarci di nuovo mi ha letteralmente dato i brividi. Che cosa dovrei fare? Chiamarlo?

Entro in casa, lancio i tacchi con i piedi e mi abbandono sul divano.
“Sono rientrata a casa adesso, ma penso che tu stia già dormendo...”, digito.

Ci penso un attimo. Sì, non lo chiamo... Rimando a domani.
E invio.

Ho ancora il telefono tra le mani, quando sul display appare: “Alexander Chester – chiamata in arrivo”.

Sento il respiro farsi corto, il cuore accelerare il suo battito... Non posso fuggire ancora, non voglio.

«Pronto?» sussurro.
«Temevo che non avresti risposto...» dice.
Resto in silenzio.

«Eve, non riattaccare...»
«No, sono qui» dico con un filo di voce.
«Non so con certezza per quale motivo tu ce l’abbia con me, ma un’idea ce l’avrei...»
«Va’ avanti, ti ascolto...»
«Mmmh... Penso, beh... penso che tu ci sia rimasta male per il fatto che non ti ho più cercata».

Bingo Chester! Allora, quando vuoi, sai essere perspicace...
Scelgo ancora il silenzio.

«È questo, vero?» incalza.
«Sì, è questo.»
«Ti chiedo scusa Eve, davvero. E so di non avere giustificazioni per il mio comportamento» ammette.
«Accetto le tue scuse» dico dopo una breve pausa.
«Sai, da quando Meghan è andata via... avevo paura che continuare a vederci avrebbe preso una piega... “complicata” e, sul momento, ho scelto la via più semplice...» spiega.

Le sue parole mi colpiscono come pugni di Tyson.

«Bene, hai preso la tua decisione... ti sei scusato con me...» dico. «Non penso che ci sia altro da dire, Alex» concludo lapidaria.

«In realtà, una cosa ci sarebbe... vorrei invitarti a cena, così magari parliamo un po’ di persona», sussurra, «e mi racconti anche come sei finita in radio» aggiunge con un tono più rilassato, posso sentire che sta sorridendo. «Che ne dici di domani sera?»

«Se ti dico che va bene, mi lascerai andare a dormire?» dico, per tenerlo un po’ sulla corda.
«Sì.»
«Ok, allora “va bene”» cedo.
«Perfetto, buonanotte Eveline.»
«‘Notte Chester».




Sono ormai le tre del pomeriggio, mancano poche ore all’ora di cena e Chester non mi ha ancora fatto sapere a che ora passerà a prendermi.
Sono tesa come una corda di violino. Ho passato tutta la mattinata tra doccia, piega ai capelli e cerette varie e lui forse neanche si ricorda della telefonata della notte scorsa.

In un momento mi sento di nuovo in quel vortice di dolceamara insicurezza, dubbio, instabilità.

Non ho scritto una sola parola del mio romanzo, ora che Chester è tornato ad impossessarsi dei miei pensieri e desideri inespressi.
Ho bisogno di una voce amica.

«Ami, ti disturbo?» chiedo giocherellando con il filo del telefono di casa.
«Niente affatto, sono contenta di sentirti, Eve! Ieri sera sei stata una rivelazione alla radio» dice con voce squillante.
«Mi hai ascoltata?» rido.
«Certo! Come potevo perdermi la mia amica speaker radiofonica per la prima volta in onda?» cinguetta. «E soprattutto la telefonata di Alex...» aggiunge.
«Incredibile, vero? Dopo quella telefonata alla radio, mi ha chiesto scusa con un messaggio e poi mi ha richiamata quando ho finito il programma...» le racconto.

Le riassumo la telefonata – o dovrei dire il semi-monologo di Chester? -, le dico dell’invito a cena e che non si è ancora fatto vivo.

«Eve, è Chester! Lo sai che è fatto così», commenta, «e poi non ti farebbe battere il cuore se non fosse il pilota delle tue montagne russe!» ride.

Ok, lo ammetto, Amira ha ragione. Mi conosce come le sue tasche.

«Quindi, rilassati. All’ultimo ti farà sapere a che ora passerà a prenderti» conclude sicura.
«Ok, ti tengo aggiornata. Grazie, Ami.»
«E di che? A presto, Eve».

Riaggancio il telefono fisso, mentre il suono del cellulare indica un nuovo messaggio.

“Passo a prenderti alle otto e mezza, va bene?”, è di Chester.
Che un nuovo giro sulle montagne russe abbia inizio!




Esco dal portone di casa. Rubo dei momenti per osservare Chester da lontano.
Credevo che non avrei mai rivisto la sua Tesla nera fiammante qui, ferma in Roosevelt Street.
Credevo che non avrei mai rivissuto quella scena del nostro primo appuntamento: io con il cuore in gola, che passeggio nervosamente mentre lo aspetto, e lui che arriva, come un cavaliere pronto a salvare la damigella in pericolo.
E, invece, eccoci qui.

Stasera sembra che tutto sia destinato a ripetersi, come quando ricominci la stessa puntata di un telefilm e sai già com’è che va a finire.

Allora, se è così, perché non riesco a sentirmi come quella sera? Perché ho questa terribile sensazione che sto facendo la scelta sbagliata? Perché ho così tanta... paura?

Si accorge di me e dà un colpo di clacson. Lo vedo sorridere oltre il finestrino, il motore ancora acceso e una canzone di Shawn Mendes di sottofondo.

Incontro il suo sguardo e tiro le labbra in un sorriso.
Attraverso la strada, raggiungo lo sportello e salgo in auto.

Quel profumo... l’avevo quasi dimenticato. Mi vengono i brividi.

«Buonasera Miss Valentine...» dice sorridendo e sporgendosi verso di me per salutarmi.

Mi avvicino titubante e mi posa un lento bacio sulla guancia.
«Ciao...» è tutto quello che riesco a dire.

È bello da togliere il fiato. Anche più di quanto ricordassi.

Ha i capelli leggermente più lunghi, la barba appena fatta e indossa un maglione a collo alto nero, con su una giacca tinta su tinta.
«Come sta?» mi chiede con quel suo fare sicuro, mentre si immette in strada.

Come sto?
Già, Eve... come stai? mi chiedo.
E per un attimo tutto quel dolore è di nuovo accanto a me.

«Molto bene» rispondo con un sorriso accennato, tentando di dissimulare quello che sento.

«Mi fa piacere che tu abbia accettato di vedermi», dice lanciandomi un’occhiata veloce, per poi tornare a guardare la strada.
Non riesco neanche a guardarlo.
«Ho prenotato in un posto, penso proprio che ti piacerà», continua lui, «si chiama “Il gambero rosso”, è un ristorante italiano...».
Colpo basso, Chester. Il ristorante della mia nazione preferita...




«Il nome della prenotazione, prego?» chiede una donna, avvolta in un elegante tailleur scuro, in piedi dietro ad un leggio all’ingresso.
«Chester» risponde lui.
«Tavolo per due, giusto?» chiede conferma la donna.
«Esatto» annuisce.

Un gentile cameriere con un grande papillon scuro ci fa strada attraverso la grande sala e ci indica il nostro posto.
Ci accomodiamo ad un tavolino rotondo al centro della sala. È coperto da una decorata tovaglia color avorio. Dinanzi a me, c’è un grande piatto rosso vivo, delle posate in argento – anche troppe per una persona sola – e, adagiato sul piatto, piegato in un modo particolare, un tovagliolo della stessa stoffa della tovaglia.
È davvero un ristorante di lusso.

«Beh, hai visto che, alla fine, l’abbiamo fatta questa cena?» dice con tono allegramente provocatorio.

Mi guarda fissa negli occhi, come se volesse carpire che cosa mi passa per la testa, e questa volta ricambio il suo sguardo.
Quanto mi sono mancati quegli occhi...
Non dico una parola e mi limito a sorridere.

«È molto bello qui...» commento poi, guardandomi intorno.
«Ricordavo della tua passione per l’Italia...» ribatte suadente.
«Sì, corretto».

Sento qualcosa vibrare in una tasca, deve essere il suo telefono, perché il mio ha la suoneria. Allunga una mano sotto il tavolo e la vibrazione si dissolve.

«Scusami un attimo, Eve. Devo fare un salto in bagno, torno subito...» dice sorridendo e alzandosi.
Lo vedo allontanarsi, chiedere qualcosa al cameriere e sparire alla fine di un corridoio.

«Buonasera signorina, è da sola o aspetta qualcuno?» mi domanda un altro cameriere, pronto con il taccuino delle ordinazioni.
«Ehm, sto aspettando. Si è allontanato un attimo...» rispondo, indicando il bagno.
«Bene, mi scusi. Torno tra poco», dice e si allontana.

Mi guardo intorno e poi abbasso gli occhi sulle mie mani. All’improvviso, in un attimo, tutto diventa così nitido. Mi tornano in mente le lacrime che mi rigano il viso nel bagno delle signore alla festa di Natale, quella volta che ho pianto dopo averlo visto con quella ragazza nel cortile del ristorante della zia di Dawson, e tutte le altre mille mila lacrime versate nei primi giorni della sua sparizione, immaginandolo ancora nel mio letto, ormai vuoto.

E adesso questo. A chi deve rispondere di così importante di domenica sera, da lasciarmi sola al tavolo di un ristorante?

No, non me lo merito. Non merito di ripassare questo inferno. Nessuno di buon cuore meriterebbe una cosa simile.

E se dopo stasera andasse via di nuovo? Così, come fa sempre? Sempre preso da qualcosa di più urgente, importante o chissà cos’altro di me?
E se al telefono fosse una delle sue avventure di queste settimane?

Non posso rivivere tutto...

Io me la sono guadagnata la mia serenità. Nell’ultimo mese senza Chester ho fatto più cose per me di quante io ne abbia mai fatte in tutta la mia vita: il romanzo, il lavoro in radio, le uscite con ragazzi carini e spontaneamente interessati a me.

Per tutte le volte che ho rincorso uomini... non posso permettere che accada ancora. Come dice Frost, “le donne devono darsi il giusto valore”.

Prendo il rossetto rosso dalla borsa e raccolgo il tovagliolo di stoffa adagiato nel piatto.
Mi alzo in fretta, prima che Chester torni dalla toilette, e mi dirigo dritta verso l’uscita, fingendo di dover rispondere ad una telefonata urgente, per superare la donna all’ingresso senza essere fermata.

Su quel tavolo, su cui avremmo dovuto cenare, parlarci, ritrovarci... adesso resta solo quel tovagliolo avorio con la scritta rossa: “Scusami”.




Fermo un taxi con la mano. Salgo a bordo e comunico all’autista l’indirizzo. C’è solo una persona che ho voglia di vedere in questo momento.

Mi sento tremare dentro per quello che ho appena fatto, ma avverto anche una sensazione che non ho mai sentito prima. È adrenalina, è libertà, amore per me stessa, senso di giustizia, rispetto per le mie emozioni e i miei sentimenti.

Non ero pronta e sono andata via, scusandomi. Ho avuto un momento di panico.

Chissà... se solo non si fosse alzato per prendere quella telefonata, forse io sarei ancora lì, seduta a quel tavolo, con lui. Se solo mi avesse dato la giusta importanza e avesse difeso il “nostro momento”. O se solo mi avesse detto qualcosa, del tipo: “Scusa, è mio fratello, devo rispondere”. Ma quell’atteggiamento ambiguo, ancor prima di iniziare a cenare, è stato come un panno rosso per un toro: non mi ha fatto più capire niente dalla rabbia.

Forse è questo che dovremmo imparare ad avere il coraggio di fare: andare via quando qualcosa non ci va bene, quando non ci sentiamo considerate abbastanza, quando qualcuno non ci rispetta o, semplicemente, non ha dimostrato di tenerci quanto basta.
Andare via, senza paura di perdere.
Perché se qualcuno non capisce il nostro valore, sin dal primo momento, beh... se accettiamo questa cosa, forse non sarà mai in grado di capirlo davvero. Ma se siamo noi, invece, per primi, a darci il valore e il rispetto che meritiamo... solo così, forse, gli altri impareranno da noi a rispettarci e, chissà, col tempo, anche ad amarci.

E allora perché mi viene da piangere? Sono ancora in tempo per tornare indietro? Dovrei?

«Siamo arrivati» comunica il tassista, interrompendo i miei pensieri.
Pago e scendo dal taxi. Cammino velocemente lungo il molo, lui è lì, che armeggia con delle corde. Alza lo sguardo.
«Eveline», dice, venendomi incontro, «che ci fai qui?»
«Sono andata via», mugugno scoppiando in lacrime sulla sua spalla, «non ce l’ho fatta, Jonathan».




E adesso è il vostro turno!
Se il capitolo è stato piacevole, potete lasciarmi qui una stellina ⭐
Cosa ne pensate? Sareste rimaste a cena con Chester? O sareste andate via come Eveline?
Siete team Alexander o team Jonathan?
Vi aspetto nei commenti! 💬
Baci, Claudia 💕

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