Trentuno

Skylar's POV:

Dico sul serio, Sky.

Mi svegliai di soprassalto, e avrei potuto giurare per un secondo di aver sentito quelle strane parole risuonare debolmente nelle orecchie. Come se qualcuno le stesse dicendo. Solo che qui sul mio letto non c'era nessuno tranne me.

E poi qualcuno bussò alla porta della camera da letto. A volume molto alto.

"Skylar, svegliati!"

Un piccolo gemito mi sfuggì dalle labbra mentre cercavo di ignorare il sole accecante che sembrava appiccicato al mio viso. Mi ci volle un attimo ma presto capii da dove veniva. La finestra aperta.

La mia stanza. Ero nella mia stanza e la finestra era aperta. E poi tutto mi crollò addosso.

"Cavolo." Gemetti di nuovo, strofinandomi la fronte. Non potevo nemmeno spiegare quanto mi facesse male la testa in quel momento. La mia gola si era seccata durante la notte e il mio cervello sembrava sul punto di esplodere da un momento all'altro.

"Skylar." Risuonò un altro colpo e sono sicuro che non fosse così forte, ma per me era come se qualcuno mi stesse forando il cranio.

"Chi è?" Scattai ad alta voce.

I colpi cessarono.

"Tua madre, Skylar." Disse lei. E sembrava incazzata.

Oh merda.

"Cazz–esco tra un secondo!" Gridai e sussultai alla mia stessa voce forte. Sentendo i suoi passi allontanarsi, alzai lo sguardo verso l'orologio a muro. Era decisamente presto, le lezioni non erano nemmeno iniziate. Normalmente non pensavo che mi sarei svegliata così presto.

Ma adesso ero sveglia. Grazie a mia madre. Che era qui a casa adesso, per qualche motivo.

Cercai di scovare informazioni nella mia testa, provai a trovare una spiegazione sul motivo per cui la mia testa si comportasse così da stronza. Mi ricordai di essere andata alla partita di Alex. C'era stato Blake ad un certo punto.

Blake mi aveva drogato?

Chicken uscì dal nulla ed emise un forte miagolio, mantenendo la sua meschina distanza da me. Le rivolse un'occhiata accigliata. Fu allora che mi ricordai il vero motivo. Ero andato a quella festa dopo la partita con Alex e avevo finito per ubriacarmi.

Oh Dio.

E mia madre era a casa. Se avesse scoperto che mi ero ubriacata, ero morta.

In punizione. E morta.

Mi alzai di corsa e scelsi velocemente dei vestiti prima di precipitarmi a fare una lunga e bella doccia. Puzzavo di alcol, sì, ma mia madre non doveva saperlo. Mi sarei vestita bene, mi sarei comportata bene, sarei stata una figlia gentile, e nessuno avrebbe saputo che ieri sera mi ero ubriacata dopo la partita, ubriaca marcia.

Ben presto, sistemando un po' il letto, visto che avevo tempo, uscii dalla mia stanza con i capelli castani arruffati oltre spalle e la testa estremamente pulsante.

"Cosa," disse mia madre appena mi vide, "indossi?"

Abbassai lo sguardo sui miei vestiti e stropicciai leggermente la gonna arancione scuro contro le caviglie. "Lo dici come se fosse qualcosa di estremamente indecoroso."

Rispetto al blazer elegante che indossava mia madre, , potevo vedere quanto sembrassi inappropriato. Nessuno poteva guardarci e dire che ero sua figlia.

"È un bel arancione." Mio padre alzò lo sguardo dal giornale che aveva in mano.

Provai a fargli un sorriso ma era davvero troppo presto per farlo. Inoltre, c'erano i postumi di una sbornia, ricordate?

"Non mi importa se lo odi, mamma." Alzai le spalle. "Mi odierai comunque, con o senza questa gonna."

Ok, non sapevo perché l'avessi detto.

Supposi che neanche lei se lo aspettasse visto che le sue sopracciglia si alzarono parecchio. "Certo, non ti odio, Skylar. Non stavo nemmeno parlando di quella gonna. Te l'ho comprata io stessa."

Giusto, pensai. Come avevo fatto a dimenticarlo?

"E allora, cosa odi così tanto del mio vestito, mamma?" Incrociai le braccia, affrontandola.

La me alla mattina più dopo una sbronza non era il modo migliore per litigare con mia madre.

Lei sospirò e scosse la testa, prima di continuare a piegare il cappotto nero. "C'è uno strappo sul bordo."

Aveva ragione, mi resi conto abbassando lo sguardo, al cento per cento. La gonna era leggermente strappata di lato, appena sopra la caviglia, cosa che probabilmente era colpa di Chicken. Ciò significava anche che non avevo più motivo di discutere.

Mio padre scoppiò a ridere quando doveva avermi visto diventare tutta rossa in faccia, probabilmente a causa del numero di discussioni che io e mamma avevamo ogni volta che eravamo insieme, e posò il giornale.

Decisi di arrivare al punto fondamentale.

"Quindi siete qui."

"A proposito," mio padre mi guardò. "Vuoi raccontarci qualcosa di ieri sera?"

Santo cielo, pensai. Lo sanno. Come facevano a sapere che ero andato alla festa ieri sera?

"Uhm, che mi dici di ieri sera?" Mi schiarii la gola e mi appoggiai al bancone della cucina.

Questa volta parlò mia madre. "Il sistema di allarme è entrato in funzione. Qualcuno è entrato e presumo che non conoscesse il codice per circa mezzo minuto prima che venisse inserito e gli allarmi si spegnessero."

Fissai lei, poi papà.

"Ero io." Mentii, poi risi nervosamente. "Ovviamente."

Non ero stata io. Non ricordavo nemmeno la metà delle cose successe ieri sera.

Doveva essere stato Alex. Era stato lì con me alla festa. Era l'unico passaggio che avevo.

"Cosa stavi facendo fuori a mezzanotte?" Chiese papà.

"Non c'è mai nessuno in casa che mi imponga il coprifuoco, papà. Andiamo."

"Pensavamo che fossi al sicuro, Sky." Mia madre scosse di nuovo la testa e si avvicinò al divano prima di sedersi accanto a papà. "Pensavamo di averti assicurato che la sicurezza è importante."

Non potevo crederci.

"Sì." Schioccai. "Certo che lo è. La mia sicurezza è così importante per voi che non vi importa nemmeno se qualcuno irrompe due volte e tenta letteralmente di uccidermi."

"Due volte?" Papà si accigliò.

Strinsi i denti e mi raddrizzai. Avevo bisogno di un'aspirina e di un caffè. Non pensavo di avere la forza di affrontare questa giornata senza.

"Siete pronti a parlare di quella cassaforte?" Chiesi invece. "Vi ho dato un sacco di tempo, o no?"

Mia madre distolse lo sguardo. Mio padre non disse niente.

"Ho bisogno di sapere di cosa si tratta." La mia voce uscì molto più ferma di quanto sentissi dentro.

"Skylar." Mio padre mi guardò e sapevo cosa mi stava chiedendo. Di non chiedere di quella cassaforte. "Dovremmo parlarne quando torni da scuola."

Lo fissai incredula. "Di cosa si tratta? Pensi che io sia così stupida da andare in giro a svelare i vostri segreti? È per questo che entrambi mi state nascondendo delle cose? Non... non lo dirò, papà."

Mia madre increspò le labbra ma continuava a non guardarmi. La guardai accigliata.

Lui si alzò e sospirò, stiracchiandosi un po' prima di entrare in cucina. Lo sentivo versare del caffè mentre fissavo la mamma.

"Hai bisogno di un caffè, bambina?" Chiese papà.

Strinsi la mascella. "A volte siete assurdi."

"Skylar." Alla fine mia madre mi guardò. "Ci stiamo provando, okay? Dai un po' di tregua a me e a tuo padre."

Non dissi niente. Perché lei era delusa e nascondeva qualcosa.

"Se non ti diciamo qualcosa è per il tuo bene." Aggiunse.

Mi morsi il labbro inferiore e abbassai lo sguardo. Adesso odiavo davvero l'arancione della mia gonna.

"E te lo diremo." Lei disse. "Lascia che ci assicuriamo solo che non causi più danni di quelli che ha già causato."

Annuii, poi iniziai a camminare verso il divano e presi la mia giacca di jeans.

"Certamente, mamma," Dissi. "Vi lascio stare.. In ogni caso, ho fatto così per tutta la vita. Ascoltando i vostri ordini e facendo esattamente quello che mi viene chiesto."

Mia madre sembrava ferita. Forse questo avrebbe dovuto sorprendermi. Ma anch'io ero rimasta ferita. Non l'avevano mai visto?

"Sai una cosa, in realtà?" Questa volta mi voltai e affrontai entrambi. "Non disturbatevi a ritagliarvi del tempo per me. Andrò da Alex dopo la scuola. Voi potete pure volare dal vostro prossimo impegnatissimo cliente. Starò bene."

"Skylar." Iniziò mio padre. Mi stava guardando accigliato. Raramente mi guardava accigliato.

"Avevo bisogno di voi quando quel tizio è entrato, papà." La mia voce si abbassò fino a diventare un sussurro. "Ero spaventata."

Il silenzio che seguì avrebbe potuto facilmente essere tortuoso.

Ma poi sospirai e presi la borsa. "Non importa," mormorai, aspettando che passasse un secondo di silenzio, prima di lanciare loro un'ultima occhiata. "Dovrei andare."

Nessuno di loro mi fermò.

Quindi me ne andai.

•••••

Caden's POV:

Chiudendo di colpo l'armadietto, presi il telefono e risposi alla chiamata prima che arrivassi allo stremo dei miei nervi.

"Che cos'è?" Chiesi, mettendomi lo zaino in spalla e attraversando a grandi falcate il corridoio della scuola, verso il parcheggio. Era Connor, e Dio solo sapeva perché questa era la sua sesta chiamata in quegli ultimi minuti.

Sapevo quanto fosse difficile mettere all'angolo qualcuno della East, ma non avevo mica chiesto a quello stupido di fargli da babysitter, cazzo.

"L'ho trovato." Dall'altra parte Connor respirava pesantemente.

"E?"

"E cosa? Cosa faccio con lui?"

Mi accigliai. Buon per lui che non era qui di fronte a me in questo momento. Non ero proprio dell'umore giusto, non da ieri sera, e onestamente non riuscivo a ricordare l'ultima volta che qualcuno aveva usato quel tono con me e se n'era andato senza essere picchiato a morte.

"Ti ho detto cosa dovresti fare." Digrignai i denti, sperando che capisse che non ero dell'umore giusto per affrontare le sue buffonate.

Dall'altra parte sentii un respiro più affrettato. Stava scappando?

"Cosa, allora passo tutta la giornata qui? Perdo tempo e aspetto che questo tizio parli?" Esclamò.

"Ascolta un po', Connor," dissi con tutta la pazienza che avrei potuto avere. "Fai questo maledetto lavoro se non vuoi che mi presenti lì. Perché se mi faccio vedere lì, ti ammazzo. È una dannata promessa."

Riattaccai prima di poter dire qualcosa di più. Perché in realtà, solo la sua voce stava iniziando a farmi incazzare più del solito, e mi era stato detto che le cose non funzionano mai come dovrebbero quando le mie minacce iniziavano a superare un certo limite. Non che fosse colpa mia, cazzo.

La notte scorsa. Mentre mi avvicinavo al cortile della scuola, pronto a andarmene da qui, mi ritrovai a pensare a ieri sera. Troppo frenetica. Non avevo dormito. Perché ogni volta che provavo a chiudere gli occhi, eccolo lì. Tracce dell'incubo lasciato alle spalle.

E poi c'era Skylar.

"Caden!"

Mi fermai e presi un respiro impaziente. Voltandomi, non ero nemmeno sorpreso di vedere quella pazza, correre verso di me. Correva nei corridoi anche se questo avrebbe potuto metterla in un sacco di guai.

Non le importava.

Questo era quello che mi piaceva di lei.

No, non è vero.

"Aspetta!" Skylar si fermò proprio di fronte a me, con gli occhi spalancati e in preda al panico mentre metteva le mani sulle ginocchia e faceva un respiro profondo.

E così aspettai.

"Perché corri sempre nei corridoi solo per fermare me?" Chiesi per pura curiosità.

Lei si raddrizzò e mi guardò. "Non è vero."

Alzai un sopracciglio con aria di sfida. In qualche modo, si rese conto che ero io ad avere ragione e i suoi occhi si spalancarono ancora una volta. Potevo quasi vedere le sue guance arrossarsi sotto il sole. Allora distolsi lo sguardo, sforzandomi di non sorridere a quella vista.

"Sai, Anderson," parlai solo per il gusto di questo improvviso tentativo di conversazione, mentre i miei occhi esaminavano il suo corpo. "Questa volta potresti davvero competere con il sole. E non lo dico in senso carino."

"Ehi." Incrociò le braccia. "Cosa ti ha mai fatto questa gonna?"

"Mi acceca con la sua orrenda scelta di colore."

Lei si accigliò e fu un po' sorpresa, che quasi mi rimangiai le parole. "Non è orrendo. È bellissimo."

Tu lo sei, pensai.

"Per cosa mi hai fermato?" Chiesi, cambiando attentamente argomento. Il sole, spostai di nuovo la mia attenzione su di esso. Luminoso, caldo e irritante. Così era meglio.

Si prese tutto il tempo necessario per rispondere, il che quasi mi fece dire che non volevo restare qui più di quanto già avessi fatto. Ma non potevo dirglielo. Le sue numerose domande non tardavano ad attaccarmi e non sapevo cosa potesse essere peggio: rispondere o schivarle.

"Mi hai riaccompagnato a casa ieri sera?" Chiese e notai il modo in cui aveva abbassato la voce.

Sbattei le palpebre prima di permettermi di sorridere. "Perché abbassi la voce a riguardo?"

Mi lanciò uno di quegli sguardi che la facevano sembrare per nulla spaventosa. Ma ci provò lo stesso e rimasi colpito dalla sua determinazione. "Io ho una reputazione, Caden. A differenza di te." Lei replicò. "Non faccio feste o serate di cui non ricordo nulla. Ieri sera è stato un grosso errore, cazzo, e nessuno deve saperlo."

"Un grosso errore, eh?"

"Sì?" Adesso sembrava un po' insicura. "Perché? Perché dici così? Non ricordo niente di ieri sera. Senti, Caden, sono già andata fuori di testa per la notte scorsa nel bagno delle ragazze. Quindi, se sai qualcosa, parla ad alta voce, per favore."

Non permettevo a nessuno di parlarmi in quel modo. Insistente e allo stesso tempo non insistente. Con Skylar, però, finivo sempre per rimanere sorpreso. E questo mi lasciava confuso.

"Cosa te lo fa pensare?" Le chiesi invece. "Che sono stato io a portarti a casa?"

"Be'," si guardò intorno. Potevo vederlo praticamente. Aveva i nervi tesi. Era deprimente, davvero. "Non lo so. Ma ci siamo visti ieri sera alla festa, no? Credo che abbiamo parlato. Non ricordo. Alex mi ha detto di averti visto con me."

Il mio telefono squillò ancora una volta ed ebbi l'improvviso bisogno di grugnire ad alta voce per la frustrazione.

Non ancora Connor.

"Se non eri tu, mi hai visto uscire con qualcun altro?" Chiese Skylar. Adesso sembrava spaventata.

Perché si era ubriacata, quando sapeva a cosa avrebbe potuto portarla? "Sono stato io," mormorai, tirando fuori il telefono e guardando il messaggio.

Connor: Sta dicendo che Blake ha assunto qualcuno per tenerla d'occhio. Ha menzionato qualcosa anche su Kevin ma non riesco a capirlo con le altre stronzate di cui sta parlando.

"Mi hai riportato a casa?" L'improvvisa sorpresa nella sua voce mi fece alzare lo sguardo dal telefono e vedere nei suoi occhi una sorprendente tonalità ambrata sotto la luce del sole. Non dovrebbe proprio stare sotto il maledetto sole. Qualcosa nell'espressione di Skylar mi diceva che non mi credeva del tutto.

Come avrebbe reagito se le avessi detto che non l'avevo semplicemente accompagnata a casa sua, ma che l'avevo anche baciata prima?

"Si." Digitai una risposta.

Io: Di chi stiamo parlando?

"Oh." Lei rispose, spostandosi leggermente sui piedi. "Come hai... ehm spento gli allarmi? E se avesse svegliato i vicini?"

La guardai e strizzai gli occhi. "Sì, Anderson, quello sarebbe stato un bel avvertimento. Ma visto che sei ancora più idiota del solito quando sei ubriaca fradicia, non mi aspettavo che lo facessi."

"Ti avrei detto degli allarmi se il tuo improvviso atto di gentilezza non mi avesse lasciata sbalordita."

La fissai. "Non è stato un atto di gentilezza."

Le sue labbra si aprirono per la sorpresa e in qualche modo, non so perché, il mio sguardo scivolò sulle sue labbra e rimase lì per un breve momento. Una parte di me non riusciva a dimenticare quanto si fossero state morbide contro i miei. Volevo dimenticarlo. Ne avevo bisogno. Ma c'erano alcune cose che mi erano sempre rimaste impresse, che non avrei mai potuto dimenticare, e sapevo che questa sarebbe stata una di queste.

"È successo qualcos'altro ieri sera?" Chiese un po' troppo in fretta.

"Perché sarebbe dovuto succedere qualcos'altro?"

"N-non lo so."

Continuavo a guardarla. Ero sicuro che non se lo ricordasse e questo mi stava più che bene. Se si fosse ricordata, le cose sarebbero diventate molto più complicate, non avevo bisogno di cose più complicate. Nemmeno dopo quando un solo bacio mi aveva incasinato in quel modo.

Era stato un errore.

Avevo fatto un errore. Avrei dovuto controllare quello stupido impulso. Perché ora volevo commettere altri centinaia di quegli errori, e quella era una cosa in più che Blake poteva usare contro di me. No, non potevo, sapevo che l'avrebbe fatto. Blake avrebbe fatto molto di più che limitarsi ad usarlo contro di me.

"Sei sicuro che non sia successo niente?" Chiese Skylar ancora una volta, questa volta con molta più esitazione nell'espressione. Non avrebbe dovuto guardarmi così.

Perché all'improvviso era difficile mentire?

"Mi stai facendo perdere tempo, Anderson," dissi.

Lei aggrottò leggermente le sopracciglia, poi finì per alzare gli occhi al cielo, spingendo una ciocca morbida e scura dei suoi capelli dietro l'orecchio. "Va bene allora. Grazie per... avermi riportato a casa." Lei mi guardò con un piccolo sorriso e fece qualche passo indietro. Continuai a fissarla finché non si voltò per andarsene, l'arancione bruciato della sua gonna ondeggiava contro la morbida curva dei suoi fianchi.

Poi guardai il mio telefono.

Connor: Quella ragazza Anderson. Ha incaricato qualcuno a seguirla a scuola. Quindi se la vedi, assicurati di–

Non aspettai di leggere tutto il dannato paragrafo che aveva scritto per me. Alzando lo sguardo dal telefono, cercai nel cortile della scuola con cautela e per istinto. Non c'erano molte persone qui fuori. La maggior parte non aveva ancora lasciato le lezioni.

Scetticamente, guardai di nuovo il mio telefono.

Connor: Non mi dice perché la tengono d'occhio. Ora dovrei ucciderlo proprio? Sta sanguinando davvero tanto.

Alzai lo sguardo verso la forma di Skylar che si allontanava. Adesso aveva quasi attraversato il parcheggio, tornando nel corridoio che conduceva anch'esso alla biblioteca. La biblioteca, pensai. Il personale non arrivava quasi mai lì. Se Skylar fosse andata lì–

I miei occhi guizzarono ancora una volta verso il corridoio. Perché non c'era nessuno lì dentro? Niente personale, niente studenti. Non era normale; era insolitamente vuoto. Aggrottai la fronte e guardai verso l'ingresso, solo per notare un ragazzo alto in piedi dietro uno dei pilastri, come se aspettasse qualcuno.

Skylar.

Felpa nera. Guanti neri. Ed ero sicuro che non ci fossero buone intenzioni quando c'erano di mezzo dei di guanti.

Il mio telefono squillò. Abbassai lo sguardo e iniziai a correre verso Skylar.

Connor: Ha una felpa nera.

Sembrava che quello fosse lo stalker.

Prima che Skylar riuscisse quasi a raggiungere il corridoio dove si trovava quel ragazzo, le feci scivolare la mano attorno al polso e la tirai indietro.

"Accidenti," si voltò, con gli occhi castani spalancati per la sorpresa. "Che diavolo, Caden?"

Guardai dietro di lei per vedere il ragazzo che si raddrizzava dalla sua posizione inclinata.

Oh no, non era lui.

"Dobbiamo andare," sussurrai prima di trascinarla con sé.

"Cosa?" Gridò dietro di me, strattonando il polso a cui mi stavo aggrappando.

"Stai zitta, Anderson."

E presto eravamo fuori dal cortile della scuola.



S/A.

Ecco a voi!

Cosa ne pensate?

Lasciate un voto e un commento se vi è piaciuto :)

Scusate per gli errori!

Xx.

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