Trentasette
Skylar's POV:
Non sapevo esattamente per quanto tempo avevo continuavo a bussare a quella porta, aspettando, sperando che qualcuno la aprisse e mi facesse uscire. Ma nessuno lo aveva fatto. Tutto quello che potevo sentire a quel punto era il mio battito cardiaco accelerato.
Inspirai tremante e smisi di chiedere aiuto. Allontanandomi dalla porta, tirai fuori il telefono dalla tasca posteriore dei pantaloni, non mancando di notare quanto mi tremassero le mani in quel momento. Sapevo che avrei potuto semplicemente chiamare chiunque e andarmene da qui, ma ero spaventata a morte. Ero senza fiato. Qualcuno là fuori mi aveva chiuso qui apposta. Per spaventarmi? Per uccidermi col semplice soffocamento? Non c'erano finestre o fonti di luce qui dentro. Era buio pesto e non riuscivo a smettere di farmi prendere dal panico.
Scorrendo i miei contatti, provai a cercare il nome di Alex. Ma le mie mani erano sudate e tremanti e non mi sorprese quando il telefono mi scivolò di mano, cadendo a terra. Caddi in ginocchio e lo raccolsi.
Odiavo questo. Lo odiavo così tanto.
Non potevo fare a meno di fare respiri rapidi. L'oscurità intorno a me e la mancanza di aria fresca, per non dimenticare l'atmosfera affollata, tutto mi faceva venire la nausea. Niente sembrava essere d'aiuto. Ero intrappolata. E se fossi rimasta intrappolata qui per sempre?
Feci del mio meglio per non soffermarmi su questo. Sicuramente ne sarei uscita in qualche modo. Qualcuno avrebbe aperto questa porta, giusto? Ero sicura di aver sentito suonare la campanella per la lezione successiva. Perché allora non veniva nessuno?
Rimasi intrappolata qui per l'intera lezione.
Stavo per premere sul nome di Alex, facendo del mio meglio per non spaventarmi troppo, quando sentii girare la maniglia. I miei occhi si spalancarono in risposta e mi alzai altrettanto velocemente, con la speranza che si riempiva dentro di me dal nulla. E mi sentii molto più sollevata quando vidi la porta aprirsi.
"Dio mio." Mi precipitai fuori l'istante successivo, l'aria fresca mi colpì da quasi ovunque.
Non credevo di essere mai stata così grata in tutta la mia vita. Sperando che il mio cuore avesse smesso di battere così forte, spinsi indietro i capelli inzuppati di sudore dal viso, facendo respiri forti e profondi per calmarmi.
Ero fuori di lì. Stavo bene.
"Cos'è...successo?"
Rivolsi la testa verso il ragazzo biondo familiare proprio di fronte a me, quello che penso avesse aperto la porta dietro la quale ero intrappolata. Ero stata troppo occupata a cercare di respirare per non averlo nemmeno notato.
Era Jesse.
Dalla gang di Caden. Quello che aveva lanciato il telefono di Shane e lo aveva rotto quando avevo visitato l'enorme villa isolata in mezzo al bosco.
Invece di rispondere, mi allontanai il più possibile dalla porta dietro la quale ero appena rimasta intrappolata e mi trovai ad appoggiarmi al muro più vicino.
"Da quanto tempo sei lì?" Mi chiese, guardando oltre la porta.
Lo fissai con gli occhi spalancati. Non sapevo cosa stesse facendo qui. Non studiava nemmeno in questa scuola e probabilmente era l'ultima persona che mi aspettavo di vedere qui. Ma dal momento che mi aveva praticamente salvato da un esaurimento nervoso estremo, non mi lamentavo.
"Io–qualcuno mi ha chiuso lì dentro," sussurrai, indicando la stessa porta.
Jesse mi fissò, ancora confuso. "Veramente?"
Gli lanciai uno sguardo incredulo. Pensava che mi fossi intrappolata lì dentro? "Sì," dissi in un sussurro urgente: sarebbe suonato stridulo se avessi provato ad alzarlo al di sopra di un sussurro, probabilmente perché ero ancora un po' scosso.
"Voglio dire, ovviamente." Alla fine superò la sua confusione. "Stai bene?"
Non stavo affatto bene. Rinchiudere qualcuno in una stanza completamente buia non andava bene. Perché qualcuno lo aveva fatto? Questo era stato davvero mortificante.
"Come–" Mi fermai e mi schiarii la gola quando la mia voce uscì un po' roca. "Come l'hai aperta?"
Alla mia domanda alzò le sopracciglia, prima di abbassare lo sguardo verso il pavimento, fermandosi su una sottile asta di metallo. "Questo impediva alla porta di aprirsi." Disse. "L'ho solo tirata fuori."
Tenevo gli occhi puntati sull'asta di metallo, totalmente spaventata. "E ancora non mi credevi?"
Si chinò e raccolse la bacchetta prima di lanciarmi di nuovo un'occhiata. "Rilassati, tigre. Ti credo." Affermò con una punta di esagerazione. "Ma perché qualcuno dovrebbe chiuderti dentro?"
Sbattei le palpebre e mi guardai intorno nella palestra. Era ancora vuota; non c'era nessuno qui, nemmeno il coach. Perché il coach mi aveva chiesto di venire qui?
"N-non lo so," sussurrai.
"Potrebbe essere qualcuno dei tuoi amici che ti sta facendo uno scherzo?" Chiese con un sorriso suggestivo. "Perché questo è stato mitico."
Gli rivolsi uno sguardo di totale incredulità, che per fortuna gli cancellò quel sorriso dalla faccia.
"Be'," disse. "Qualcuno deve aver voluto spaventarti."
"Mi ha spaventato."
Lui sorrise. "Lo vedo."
"Cosa ci fai qui?" Chiesi, abbracciandomi. "Tu non studi qui." Era quello che avevo pensato anch'io di Blake, e poi avevo scoperto l'esatto contrario. Era colpa di Blake? No, no, pensai. Non dopo ieri sera. Perché Blake avrebbe dovuto farlo? Perché qualcuno avrebbe dovuto farlo?
"Avevo bisogno di vedere Caden." Rispose con un'alzata di spalle, le sue parole intrise di quel suo accento inconfondibile. "Pensavo che fosse qui. Ma quando sono arrivato qui, ho sentito una damigella in pericolo. Quel qualcuno si è scoperto che fossi tu."
Non mi piacque come lo disse.
"Non hai visto la persona che ti ha chiuso dentro?" Chiese, voltandosi e guardando la porta questa volta, quasi come se la stesse ispezionando. Quando raccolse qualcosa da sotto la porta, mi avvicinai un po' a lui e provai a dare un'occhiata a qualunque cosa fosse.
"No,", risposi. "Che cos'è?"
Si voltò e mi guardò, prima di mostrarmi un piccolo dischetto di metallo arrugginito che aveva in mano. Era più piccolo della mia mano.
"Che cos'è?" Ripetei, questa volta un po' più piano.
Alzò le spalle come se non ne avesse la minima idea, ma per qualche ragione sembrava molto meno sincero, soprattutto perché anche le sue sopracciglia si aggrottarono un po'.
"Devi sapere di cosa si tratta." Lo guardai, sperando che mi dicesse qualcosa.
Presi con cautela il disco di metallo dalla sua mano e feci scorrere le dita sulla superficie metallica. Era affilato e sembrava assolutamente indistruttibile. Non avevo mai visto niente di simile prima. "A cosa serve questo?"
"Hai per caso visto Caden da qualche parte?" Chiese e rimasi un po' sorpresa dal modo in cui semplicemente evitò la mia domanda.
"No," risposi, accigliata.
"Oh beh, pensavo di si." Prese l'asta che mi impediva di aprire la porta e la infilò nella giacca marrone scuro.
"Non l'ho visto." Affermai attentamente e non avrei mentito se avessi detto che la mia mente sembrava essere in difficoltà in questo momento. Ero appena stata chiusa in un magazzino, avevo visto Jesse dal nulla e ora mi stava chiedendo di Caden?
Perché tutto accadeva così in fretta?
"Non siete amici stretti? Dovresti sapere dov'è in questo momento." Mi lanciò uno sguardo tagliente, come se Caden e io fossimo davvero amici stretti da anni.
"Perché dici così?"
"Si fida abbastanza di te riguardo al nostro segreto." Sussurrò.
Scossi la testa e gli restituii il dischetto, anche se sapevo che c'era qualcosa che non mi diceva a riguardo.
Cominciò a guardarsi intorno per tutta la stanza e i suoi occhi si fermarono su qualcosa... qualcosa sul muro. Mi voltai e seguii il suo sguardo, solo per vedere una telecamera piccolissima, proprio come quelle di casa mia.
E poi la realizzazione mi colpì. "Pensi che il personale della scuola ci permetterebbe di vedere il filmato della telecamera?" Forse così avrei potuto vedere chi mi aveva chiuso nella stanza delle attrezzature.
Jesse strinse leggermente gli occhi. Rimase in silenzio per alcuni secondi e stavo quasi per ripetere la mia domanda quando scosse la testa. "Non credo."
"Davvero? Perchè no?"
Scosse di nuovo la testa e si avvicinò alla telecamera. E gli ci vollero solo pochi secondi, dato che era ovviamente più alto di me, prima che si allungasse verso di essa e strappasse qualcosa, qualcosa che copriva la parte anteriore dell'obiettivo della fotocamera.
Quando Jesse si voltò verso di me con un piccolo pezzo di nastro adesivo nero in mano, i miei occhi si spalancarono per l'orrore.
"Immagino che sia stata la stessa persona che ti ha rinchiuso." Disse. "In modo da non scoprire chi è stato."
Jesse appallottolò il nastro fino a farne una pallina e lo gettò via. Inspirai un brivido e cercai di non cadere a pezzi proprio lì. Andrà tutto bene, mi dissi. Doveva andare bene.
"Se il coach ti vede qui, si arrabbia," dissi, cambiando argomento. Il coach aveva una regola secondo la quale era vietato portare estranei all'interno della palestra. E poiché non volevo più restare qui, cominciai ad andarmene.
Jesse si unì a me non molto tempo dopo. "Comunque, perché eri fuori dallo spogliatoio dei ragazzi?" Dato che era proprio accanto a me, non mancai di vedere il sorrisetto sul suo volto. Perché non era spaventato nemmeno un po'?
"Perché–" Mi accigliai. "Mi piace di più di quello delle ragazze."
Lui sorrise e annuì quasi con comprensione.
Quando finalmente uscimmo dalla palestra, non potei fare a meno di tirare un sospiro di sollievo. E pensavo che ieri fosse stata una brutta giornata. Mi sentivo ancora paranoica, al punto che non potevo fare a meno di guardarmi alle spalle ogni secondo circa, come se mi aspettassi che qualcuno mi seguisse nei corridoi della scuola.
Nello stesso momento suonò la campanella e tutti si precipitarono fuori dalle aule. Ben presto l'intero corridoio brulicò nuovamente di gente.
E avevo perso un'altra lezione. L'ultima.
"Sarà meglio che vada." Jesse mi fece un piccolo cenno del capo, iniziando a girarsi verso l'uscita.
"Grazie per avermi aiutata lì," dissi prima che potesse andarsene. "E non lasciarmi lì."
Allora mi sorrise. "Nessun problema." Disse. "Ma ehi, se vedi Caden da qualche parte, fammelo sapere."
Annuii anche se non avevo idea di come avrei potuto farglielo sapere. Ma d'altra parte, ero abbastanza sicura che non avrei rivisto Caden tanto presto. Se i suoi amici non sapevano dov'era, non lo avrei saputo anch'io. Sarei stata l'ultima persona a saperlo in realtà. Era preoccupante, però, che anche i suoi amici più cari non avessero idea di dove si trovasse in quel momento.
Non avrei dovuto. Non avrebbe avuto importanza, anche se mi fossi preoccupata.
"Ehi." Quasi sussultai quando sentii una voce proprio dietro di me. Non ebbi il tempo di voltarmi che Alex mi arrivò accanto, mettendomi un braccio intorno alle spalle. Fortunatamente, non era nel mio corso di chimica o letteratura per sapere che li avevo saltati.
"Ehi," risposi, cercando di comportarmi in modo altrettanto causale mentre ci dirigevamo verso il parcheggio. "Um, hai visto Caden da qualche parte?"
"No perchè?"
"Sai una cosa," mi fermai, facendo fermare anche lui. "Troverò un passaggio con qualcun altro a casa."
"Perché?" Chiese, un po' confuso, e poi il suo sguardo si spostò sulle mie mani. "Dov'è il tuo zaino?"
"Ho dimenticato di prenderlo," dissi. "E poi devo parlare col prof di letteratura. Mi sono dimenticata di chiedergli su un compito." Il che non era esattamente una bugia, tranne che non l'avevo dimenticato. Ero stata chiusa a chiave nella palestra per poter frequentare effettivamente la lezione. Ma non avrei potuto dirgli una cosa del genere.
"Sei sicura che andrà bene andare con altri?" Chiese Alex un po' scettico.
Gli feci un cenno rassicurante prima di tornare nei corridoi, non volendo restare ancora a lungo in una scuola vuota.
•••••
C'erano cinque chiamate perse da parte di mia madre quando controllai di nuovo il telefono. Era stata una sorpresa dato che l'avevo ricontrollato in palestra. Allora non c'erano chiamate.
Ancora arrabbiata con lei, ignorai le sue chiamate.
"Questi sono i compiti." Disse il professor William. "Assicurati di non perdere di nuovo la lezione, Skylar." Ero grata che non si fosse arrabbiato del tutto con me. Era stato così gentile da darmi un ulteriore compito e lasciarmi andare senza punizione.
Quando fui fuori dalla scuola, iniziai a cercare un taxi. Avevo detto ad Alex che mi sarei fatta accompagnare da qualcun altro. Ma l'unico problema era che a scuola non c'era più nessun altro.
In quel preciso istante sentii squillare il mio telefono. Era di nuovo mia madre. Questa volta, però, risposi. "Cosa c'è?"
"Skylar! Perché non rispondevi?" Chiese, e sembrava un po' seccata.
Alzai gli occhi al cielo, ancora cercando un taxi. "Abbiamo qualcosa di cui parlare?"
"Sky, so che sei arrabbiata."
"Sì, mamma, lo sono," Affermai, strizzando gli occhi sotto il sole accecante.
"Perché non mi hai chiamato prima?" Chiese. "Non hai visto i messaggi vocali che ti ho lasciato?"
"L'ho fatto," brontolai. Non sapevo nemmeno perché stessimo parlando. Avevo giurato a me stessa di non parlare con nessuno dei miei genitori finché non fossero tornati. Ed eccomi qui.
"Sky." Sospirò ed ebbi la sensazione che stesse per dire qualcosa che non mi sarebbe proprio piaciuto. Ecco perché parlai prima che lei potesse dire qualsiasi altra cosa.
"Sono arrabbiata, mamma," dissi. "Voi ve ne siete andati. E so che è quello che ho detto stamattina, che non mi sarebbe importato se ve ne foste andati, ma mi importava. Mi importa. Mi avete evitato e ho pensato...Avevo solo bisogno di voi, lo sai."
Lei dall'altra parte rimase in silenzio. Potevo sentire il suo respiro leggero, però.
"Ve en siete andati senza una scusa." Soffocai una risata, massaggiandomi il viso.
"Avevamo una buona scusa, tesoro." Per qualche motivo sembrava triste e questo non mi piaceva. Ero stanca di questo disastro. Ero stanca di essere presa di mira da queste stupide circostanze.
Non potevamo semplicemente passare del tempo normale in famiglia?
"Sì?" Tirai su col naso. "Va bene. Che cliente era questa volta?"
Dopo la mia domanda seguì uno strano silenzio, una specie di silenzio che ti tormentava fin dietro la testa. Pensavo quasi di aver terminato accidentalmente la chiamata. Ma poi alla fine parlò e sentii l'evidente tensione che stava cercando di nascondere.
"Tuo padre è stato... abbiamo dovuto portarlo all'ospedale. Ora l'hanno ricoverato."
Per un intero minuto rimasi in silenzio. Non stavo nemmeno più cercando il taxi. "Che cosa?"
"Non è niente di serio, e tuo padre mi ha chiesto di non farti preoccupare, ma io... volevo solo essere onesta con te, tesoro." Disse.
Onesta.
Potei sentire il mio stomaco stringersi in quel momento. "Che cosa è successo a papà?" A quel punto la mia voce si era ridotta a un sussurro. Per fortuna, sembrò sentirmi bene.
"Le sue emicranie. Sono diventate un po' forti negli ultimi giorni." Non sembrava quella di sempre. La sua voce era sempre così severa, mai così triste. E questo mi spaventò. E se fosse stata una cosa seria?
"Mamma, lo starà–"
"Starà bene, Sky." Mi interruppe e sentii la rassicurazione nella sua voce. E se stesse mentendo?
"Magari mi stai mentendo." La mia voce tremava un po'.
Lei rise piano. "Non lo sto facendo. Davvero, Sky."
"In quale ospedale?"
"Siamo in Pennsylvania in questo momento."
"Sono solo poche ore da qui, mamma! Potrei prendere un treno da qui–"
Mi interruppe ancora una volta e questa volta sapevo che non avrei vinto. "Non farlo, Skylar. Resta dove sei. Non è per questo che ti ho chiamata." La sua voce era morbida e non ero abituata a una cosa del genere. Mi fece riempire gli occhi di lacrime di frustrazione.
"Mamma--"
"Voglio che tu apra la cassaforte.""
S/A
Buongiorno a tutti!
Come state?
Ecco a voi un nuovo capitolo, per adesso ancora niente Caden.
Forse nel prossimo? Chi lo sa.
Per ora deve aprire la cassaforte, siete curiosi di sapere cosa ci sia dentro?
Lasciate un voto e un commento se vi è piaciuto!
Scusate per gli errori!
Xx
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