Capitolo 8.
Capitolo 8.
La mattina dopo io e Brian siamo sulla sua auto. Siamo rimasti fuori casa fino all'alba. Mi sono assaporata l'intera nottata, immersa nella neve ed il gelo.
Fortunatamente sono iniziate le vacanze e la mattina non devo avere quell'incessante timore di incontrare nei corridoi Candi. Insomma, mi sento spensierata.
Arrivati di fronte casa di Brian, in periferia, scendiamo dall'auto. Alzo in testa il cappuccio della felpa e lui fa lo stesso sfregando i palmi delle mani.
Saliamo le scale di un condominio ed arrivati al quinto piano, Brian sobbalza osservando la fessura devastata e la porta spalancata. Impreca ad alta voce e mette piede dentro. Non c'è nulla al proprio posto: sedie a terra, tavolo rovesciato, cassetti aperti, vestiti ed oggetti in giro. Si mette le mani fra i capelli e scalcia contro un mobile del salotto, per poi sbattere la testa contro il muro ed entrambi i pugni chiusi contemporaneamente.
Gli accarezzo il capo e lo osservo. Il suo respiro è irregolare, vorrebbe spaccare tutto, lo immagino già da me, ma io non sono nella posizione giusta per giudicarlo o anche semplicemente fiatare.
Si distanzia e cerca di rimettere in ordine, per poi avvicinarsi verso un mobiletto, dal quale esce fuori un portagioie. Lo apre delicatamente ed infine lo getta in aria. A parte qualche foto, è vuoto. Probabilmente ci teneva dietro ciò che ha guadagnato fino ad oggi.
«Posso fare qualcosa?» Balbetto.
Si abbassa lento e riprende le foto da terra, mentre passa una mano sulla fronte. Mi avvicino e mi calo al suo fianco. E' una vecchia foto. Probabilmente sarà la sua famiglia.
«Avevo guadagnato tutto per loro, perché volevo essere una persona migliore di quello che sono stato quando vivevo da loro...e adesso...» si blocca, «... è andato tutto a puttane!» Sbraita ringhiando.
Sussulto e respiro profondamente. «Ci deve essere un modo per risolvere questo...» mormoro con voce rauca.
«Hanno preso metà di quello che dovevo dargli...mancano 5 mila dollari....» parla sincero, «ed io devo ancora lavorare parecchio per averli» socchiude le palpebre scuotendo il capo.
Spalanco la bocca, «troveremo un modo, te lo prometto.»
Lui si volta scattante. «IO troverò un modo» sottolinea rigido. «Tu non farai assolutamente nulla» mi avverte con tono minaccioso.
Ruoto gli occhi e mi rimetto in piedi osservandolo dall'alto. «Non è un reato aiutarti.» Sbotto.
Si para di fronte il mio volto, con la foto ancora fra le dita di una mano. Mi osserva e non parla subito.
«Non ho intenzione di coinvolgerti in questa storia.» Assottiglia lo sguardo dritto contro il mio.
Sospiro. «Ma perché!» Alzo le braccia interrogativa.
«Perché devi starne fuori» continua con lo stesso tono.
Incrocio le braccia al petto ed accenno una smorfia con le labbra. «Fai come cazzo ti pare» mi allontano uscendo dalla casa.
Lui rimane dentro per venti minuti, poi quando rientro lo guardo sistemare la sua camera. Non è giusto. Non riesco a starmene con le mani in mano, mentre si rovina la vita. Devo agire, devo fare qualcosa. Sento l'esigenza di aiutarlo.
So che da un momento all'altro quella gente gli farà del male e non sarà bello. E questo lo sa anche lui. Perché è talmente stupido da non lasciare che io l'aiuti? Potrei chiedere ai miei genitori. Alla fine lo adorano già, non sarà un problema per loro.
Improvvisamente sento il cellulare vibrare dalla tasca del giubbotto. Lo sfilo ed osservo un messaggio di Candi.
Ho bisogno di parlare con te...
Prendo un lungo respiro e dopo aver esitato qualche minuto, rispondo.
Ok. Dove e quando.
La sua risposta non si fa attendere.
Stasera, ci vediamo al Green.
Ripongo l'iPhone in tasca e mi avvicino nuovamente a lui.
Senza fiatare sistemo il materasso e le lenzuola. Lui mi osserva interrotto per qualche istante, poi abbozza un mezzo sorriso dolce e continua sistemare i vestiti nei cassettoni.
Non parlo per la bellezza di mezz'ora e lui fa lo stesso.
«Vuoi pranzare con me?» Chiedo alzando i capelli in una coda alta disordinata.
Lui mi fissa divertito mordendosi le labbra. Poi sposta gli occhi sul mio corpo e sulla maglia che, con le braccia in alto, mostra la mia pancia piatta.
«No Liz.... Non andrò mai a pranzo con una ragazza sapendo che debba pagare lei. E' escluso.» Scuote il capo, poi odora la maglia e la sfila velocemente mettendo in mostra i suoi bicipiti in cui sono disegnati dei tribali, il suo petto con una breve e sottile scritta e gli addominali. Rimango senza fiato per qualche istante e poi ritorno alla realtà.
Si volta ed io osservo il suo fondoschiena, così scavato da rendere un sedere a dir poco perfetto. Uau.
Si veste con un'altra maglia e ritorna a guardarmi.
«Bè.. sono solo io, non è una ragazza con cui devi avere un appuntamento. Sono una qualsiasi...» scrollo le spalle accennando un breve sorriso.
Lui corruga la fronte ed emette una risatina, «una qualsiasi?» Domanda avanzando verso di me. «Come ti permetti a darti di una qualsiasi?» Continua accigliato.
Sbuffo, «insomma non sono una ragazza particolarmente importante per te, siamo amici... non cadrebbe il mondo se pagassi io.» Puntualizzo tranquilla.
Scuote il capo. «Non ho mai raccontato a nessuno... nessuno dei miei genitori, della mia famiglia. Nessuno sa qualcosa di me.» Arriccia il naso.
«E con questo?» Aggrotto la fronte.
Si avvicina, sfiorandomi il naso con un dito, scrolla le spalle, «datti una risposta» mi passa affianco, avanzando verso la cucina.
Rimango immobile per qualche secondo, poi lo raggiungo.
«Va bene... allora ci prendiamo solo un panino ed ognuno paga per sé. Okay?» Chiedo mentre lui mette apposto il cibo nel frigorifero.
Accenna una risata. «Hai paura a lasciarmi solo Liz?» Rimane di spalle.
Mi prendo qualche momento prima di rispondere. «Sì.»
Si volta, «Io non ho paura di niente» sorride.
Ma come fa a stare così sapendo che quella gente fuori gli ha appena dato un chiaro avvertimento?
«Tu stai male» borbotto con le braccia conserte.
Si morde le labbra e continua a ridere. «Me la caverò. In qualche modo. Come ho sempre fatto.» Dice serio, stavolta.
Mi accompagna fuori casa sua, mentre io gli intimo di stare tranquillo. Proseguirò a piedi. Non ho bisogno dell'autista personale. Casa sua è esposta a chiunque, non gli permetterò di allontanarsi di lì, con la fessura sfasciata.
«Come vuoi» dice lui incrociando le braccia al petto.
Annuisco e sospiro. «Ricordati che hai rifiutato di pranzare con un'innocente ragazza...» dico ironica.
Lui sorride, avvicinandosi al mio orecchio con le labbra, «innocente? Vorrei proprio vedere...» sussurra.
Mi distanzio e lo fisso. «In ogni caso non pensare ci sarà un'altra opportunità, non do il mio tempo a chiunque.»
Scoppia in una grossa risata e poi mi prende il viso tra le mani, mi fissa qualche secondo e mi stampa un bacio sulla fronte. «Vai via di qui...» si guarda attorno, «ciao piccola» mi spinge delicatamente facendomi cenno di svignarmela. Continuo a guardarmi da una parte all'altra, mentre lui rimane fermo sullo scalino.
Cammino svelta e, prima di svoltare all'angolo, lo guardo per l'ultima volta.
Dopo venti minuti sono al centro, proseguo tranquilla, osservando le vetrine allestite in tema natalizio. Poi mi imbatto in un volantino, che, a causa del vento, svolazza intorno a me, per poi finire a terra. Curiosa lo prendo fra le mani.
Cercano delle ragazze per un servizio fotografico di una casa di moda. Sicuramente pagano bene. Lo metto in tasca e velocemente mi avvio verso casa.
Al mio arrivo mia madre sta facendo le pulizie, corro in camera salutandola svelta e mi lancio sul materasso del mio letto. Metto davanti a me il foglietto raccolto per strada e digito il numero sul mio iPhone. Poi lo porto all'orecchio, attendendo che qualcuno risponda.
«Pronto?» Una voce maschile profonda e sensuale risponde.
«Salve sto chiamando perché ho letto che cercate ragazze per il servizio fotografico...ed io sarei interessata» parlotto velocemente.
«Sì, giusto... però dobbiamo fissare un incontro... insomma vogliamo vederti prima» dice tranquillo e gentile.
Annuisco e sobbalzo dal letto per prendere carta e penna.
«Ditemi dove e quando» dico decisa.
Mi appunto l'indirizzo, il giorno, cioè domattina, e riattacco.
POV BRIAN
Dopo aver chiesto aiuto a Julian, per aggiustare la serratura, visto che è pratico anche in questo, lascio casa e monto in auto per dirigermi a lavoro.
Il pub è pieno zeppo stasera, c'è gente in ogni tavolo e persino al bancone. Indosso l'uniforme e mi affianco a Brianne che serve dei cocktail.
Saluto velocemente e mi metto a lavoro.
Un'ora dopo osservo entrare da lì Liz. Rimango sbigottito dalla sua semplice bellezza.
Indossa solo una gonna aderente di pelle nera, delle calze scure, degli stivaletti ed un golfino beige, con il giubbotto nero sopra.
Si avvicina al bancone e mi saluta.
«Hai un appuntamento?» Chiedo curioso asciugando dei bicchieri.
Lei sorride bagnando le labbra con la lingua, «bè, sì...» sospira.
Annuisco senza guardarla. «Spero ti vada bene allora» mormoro.
«Lo spero anche io» dice tranquilla.
«Ti porto qualcosa o aspetti questa persona?» Domando con tono severo.
«Secondo te?» Sgrana gli occhi.
Metto le mani avanti, « scusa eh» borbotto.
«Ecco con chi ho appuntamento.»
Alzo lo sguardo ed intravedo Candi. Improvvisamente mi sento uno stupido. Socchiudo le palpebre e le lancio un'occhiataccia.
«Bel tipo» commento sarcastico.
Lei se la ride, «la prossima volta vuoi mandato un avvertimento? Pare che ti abbia detto che uscissi con Satana» ironizza.
Candi, nel frattempo avanza, io la fulmino con lo sguardo e lei fa lo stesso con me.
Mostra un sorrisetto beffardo, come se abbia in testa qualcosa che farà andare su di giri Grace. L'ammazzo, anche se è una fottuta donna.
«Ciao Brian» sventola i capelli da una parte all'altra. Troia.
Saluto con un cenno di capo, mentre lei e Grace si siedono in un tavolo poco più distante.
«Ehi quelle le servo io» dico alla mia collega.
Lei annuisce tranquilla, così, dopo aver asciugato le mani, acchiappo il blocchetto e la penna dirigendomi verso di loro.
«Che vi porto?» Le osservo.
«Due shot di tequila» risponde Liz svelta, senza dare il tempo all'altra di parlare.
Mi piace. Aggressiva!
Ritorno al banco, preparando l'ordine e poco dopo le servo. Ogni volta che mi avvicino Candi si blocca e non fiata. Che cazzo si sta inventando per mettermela contro?
Li osservo fino ad impazzire del tutto. Ho il respiro affannato, i battiti accelerati e la sudorazione decisamente in aumento. Che cazzo succede? Perché scaldarsi tanto? Per cosa poi? Per IL NULLA.
Prendo un lungo respiro, porto le mani sui fianchi e socchiudo le palpebre rilassando anche i muscoli del collo. Getto lo straccio sul bancone ed acchiappo una sigaretta dal pacchetto ignoto alle mie spalle, sfilo l'accendino dalla tasca del jeans e mi reco fuori. Inalo l'aria gelida di New York ed osservo il cielo nero sopra di me, con quale stella sparsa qua e là. Accendo la sigaretta e la porta alla bocca, poggiandomi al muro. Il nervosismo non passerà sicuramente così. Dovrei completamente allontanarmi da qui per una manciata di ore, fin quando quella vipera schifosa non porta il culo fuori da questo locale.
Rientro qualche minuto dopo, osservo i loro bicchierini vuoti e decido svelto di avanzare per portarli via. Così mi avvicino al loro tavolo, beccandomi le loro occhiate. Grace sembra tranquilla, mentre Candi abbozza sempre quel maledetto sorriso che non vuol dire affatto che va tutto bene.
Mi dileguo e ripongo il tutto nella lavastoviglie.
Brianne nel frattempo mi scruta curiosa, in quel lasso di tempo libero che ha.
«Cos'hai Brian?» Chiede incrociando le braccia al petto.
Scompiglio i capelli e la fisso. «Sì, lo so...sto lavorando di merda. Mi dispiace.» Mi scuso mortificato.
Mi posa una mano sulla spalla, ricordandomi mia madre da bambino.
«Cosa ti turba?...» Chiede dolcemente. «Non fai altro che guardare quelle ragazze» ammette.
«No... no» mormoro.
Inclina il capo da un lato, «dì la verità... una delle due ti piace eh» mi spintona ironica.
«Ma dai... sono due ragazzine» asciugo il bicchiere che mi trovo di fronte, senza rendermi conto che è ancora da lavare.
«Sono due ragazzine e tu ti sei rincoglionito!» Esclama togliendomelo dalle mani.
Ridacchio e passo una mano sulla fronte sudaticcia.
«Senti... vai a parlare con loro al tavolo se qualcosa ti rende nervoso o curioso.» Mi accarezza il capo e torna a lavoro, mentre io scruto l'idea di fare ciò che mi ha appena consigliato.
Così faccio. Mi accomodo affianco di Grace, così da poter guardare negli occhi quella bambina di merda.
«Brian?» Grace si scansa scattante ed interrotta.
«Ho una pausa. Vi infastidisco?» Chiedo tranquillamente.
«Sì.» Risponde Liz irritata dalla mia presenza improvvisa, beccandomi l'occhiata soddisfatta di Candi.
Stringo i pugni, «non me ne frega un cazzo» annuisco.
«Brian...ma che problema hai?» Grace mi guarda interrogativa.
Scrollo le spalle e scuoto il capo.
«Sappiamo badare a noi stesse!» Borbotta Candi.
La fulmino. «Tu stai zitta» dico a denti stretti.
«Senti fatti uno shot e calmati» mi intima Liz mentre mi spinge ad alzarmi.
Sbuffo qualche istante e mi rimetto in piedi. Gli rivolgo un ultimo sguardo e mi dileguo tornando al mio posto.
«Sei già tornato?» Ridacchia Brianne.
Non rispondo. Rimango con il musone, con le braccia conserte, al suo fianco.
Fin quando non mi rendo conto di Julian che entra con altri suoi amici.
Saluto con un cenno di capo, mentre loro prendono posto nel tavolo dietro quello delle ragazze. Julian ammiccante si rende conto di Grace, mentre gli altri quattro parlottano con curiosità e malizia.
«Forse dovrei tornare a casa, stasera» mi strofino la faccia con entrambe le mani ed inspiro profondamente.
«Brian, Brian» mormora cantilenante Brianne.
«E' tutto okay, ma ho mal di testa... capisci?» Mi massaggio le tempie, mentre di sottecchi osservo loro.
«Ehi Brian! Amico!» Julian urla in lontananza. «Vieni qui!»
Sbuffo ed avanzo.
«Ti presento altri quattro maestri di tatuaggi» sorride Julian, «accomodati, prendi qualcosa con noi» propone divertito. Poi si volta ed incrocia gli occhi di Grace. Lei lo saluta con un cenno di mano. «Volete unirvi?»
NO. NO. NO.
Si prendono qualche istante per pensarci, poi scrollando le spalle annuisce. Così mi accomodo anche io scattante, scansando in men che non si dica i due che mi si affiancano.
Grace prende posto in mezzo a Julian ed un altro, Candi è al mio fianco.
«Quant'è bello vedere la ragazza che si vuole in mezzo ad un branco di leoni?» Se la ride maneggiando un anello che porta al pollice.
Non rispondo, ma fisso lei. Non è imbarazzata. Discute e ride come se nulla fosse. Sembra abbia trovato il suo habitat naturale.
«Sai... ho chiamato io Julian... ho pensato che sarebbe stato carino passare una serata con Grace, lui ed altri suoi amici.» Con quella vocina flebile mi fa ribollire il sangue dentro le vene.
«Sei una puttana» scandisco ogni parola a denti stretti, ma lei risponde con una grossa risata, ricongiungendosi al discorso degli altri.
Io, invece, come sempre nella vita, sono solo. Prendono le ordinazioni, ridono, si divertono, mentre io, disinvolto mi metto in piedi, attirando solo l'attenzione di Grace.
Mi da una lunga occhiata, poi mi faccio spazio per uscire e dopo esser tornato al bancone, prendo il mio zaino, lo porto su una spalla ed esco senza neanche salutare.
Apro la portiera dell'auto e dopo esserci salito velocemente, metto in moto.
Sfreccio fra le strade e dopo vari giri, decido di tornare a casa. Faccio una lunga doccia e poi mi deposito come un parassita sul letto, a luci spente. Osservo il soffitto e ruoto continuamente il telefono fra le mani. Osservo l'orario ogni mezz'ora.
Poi decido di inviare un messaggio a Brandon, che sicuramente alle tre di notte imprecherà in tutte le lingue del mondo.
Tua cognata è nel pub in cui lavoro io con quella zoccola della sua amica ed altri ragazzi, amici di Julian.
CORRI
Venti minuti dopo ricevo la sua chiamata.
Rispondo.
«Allora, per prima cosa» biascica assonnato, «tu sei psicopatico» sottolinea, «seconda cosa perché non corri tu? Dove diavolo sei?» Aumenta il tono di voce, mentre sento Emily parlottare di sottofondo. «Terza cosa... che devi tenere a mente... TI AVEVO DETTO DI NON INNAMORARTI DI LEI.» Sbotta.
«Non sono innamorato di lei.» Rispondo fermo e deciso. «Io sono tornato a casa e lei è rimasta lì.»
«Sì, perché sei un geloso del cazzo...e invece di portarla via di lì, hai fatto l'orgoglioso del cazzo!» Esclama sbuffando. «Perché non sono tutti come me... che io Emily l'avrei trascinata fuori di lì anche in calci in culo» sento poi scappargli un risolino.
Probabilmente lei avrà risposto in qualche modo.
«Vai o no?» Domando nervosamente.
«Che minchione!» Esclama. «Dormi va» riattacca.
«Brandon, cazzo! Vai!»
Dopo di ciò, lancio il telefono alla fine del letto provando a distrarmi e pensare ad altro.
Fin quando, finalmente, riesco ad addormentarmi.
Al mio risveglio sento citofonare imperterritamente. Mi metto in piedi. Ho addosso solo un pantalone di tuta.
«Chi è?»
«Brandon.»
Apro la porta e lo aspetto sulle scale, poggiato al muro, ancora assonnato e sbadigliante. Quando arriva all'ultimo scalino, dell'ultima rampa di scale, mi lancia uno schiaffetto in volto e sgrano gli occhi.
«Dimmi cos'è 'sta storia!» Mi mostra un volantino con la sua solita aria che farebbe cagare sotto chiunque.
Lo prendo fra le mani e lo leggo sottovoce.
«Cercano una ragazza per un servizio fotografico...e bè? Mi dovrei travestire?» Scoppio a ridere accartocciandolo in un pugno.
«Quel foglio del cazzo» indica con un dito Brady, «era sulla scrivania di mia cognata» abbozza un sorriso decisamente incazzato, con gli occhi assottigliati e persino la barbetta tesa.
Mi massaggio il mento. «E' una cretina» sbotto mettendo addosso una maglia azzurra, «le avevo detto di starne fuori» continuo sfilando la tuta ed indossando i jeans. «Cazzo» impreco.
«Fuori da cosa?» Domanda lui. «Qui l'unica cosa che vedo fra poco fuori sei tu, dalla finestra, con la faccia spiaccicata su di un camion!» E' nervoso. Lo sono anche io. Stavolta non c'entro un cazzo. Grace è una testarda madornale.
«Senti quella bisbetica viziata di tua cognata non mi ascolta mai» gesticolo, mentre mi dirigo in bagno.
«Hai l'intero tragitto per spiegarmi cos'è successo. Perché noi adesso andiamo a prenderle quel culo sodo, per riportarlo a casa. Chiaro?» Aumenta gradualmente il tono di voce.
In men che non si dica montiamo sulla sua Porsche.
«Ho chiamato questo dannato numero per farmi dire l'indirizzo, fingendo di essere il padre di una ragazza interessata» rotea gli occhi, «tra parentesi mia figlia non farebbe mai una cosa del genere, piuttosto la prendo a calci e la rinchiudo in casa.»
Mi viene da ridere osservando quanto sia iperprotettivo.
«E' successo che... ho un debito da pagare e lei si era messa in testa di darmi una mano, quando le avevo chiesto gentilmente di farsi i cazzi suoi» metto una mano fra i capelli trascinandoli indietro e spettinandoli più di quanto già non lo siano.
«Sai che ti avrei aiutato se mi avessi chiesto dei soldi... ti ho trovato per strada, ti ho dato una mano, ti ho trovato una casa, ho provato ad aiutarti come meglio ho potuto... ti scandalizzavi a chiedermi del denaro?» Chiede con nonchalance.
«Brandon non mi va di mettere in mezzo persone che non c'entrano nulla. Non ho questa faccia tosta.» Borbotto con voce rauca osservando la strada fuori dal finestrino.
Lui abbozza un mezzo sorriso, «non mi è mai dispiaciuto aiutare un amico. Ho avuto l'età di Grace e anche la tua... so che vuol dire mettersi nei casini» annuisce.
«Non nei miei» lo correggo.
«E' vero... ma si può sempre migliorare.»
Quella frase mi fa riflettere. Vado avanti giorno per giorno solo per quel motivo. Perché so che voglio e ho il bisogno di migliorare, per me stesso, per chi mi vuole bene e per chi me ne ha voluto. Voglio migliorare per la mia famiglia, anche se non vorranno mai avere mie notizie. Voglio migliorare per mia sorella. Voglio diventare un uomo migliore per dimostrare agli altri che non c'è solo droga e puttanate varie. Nessuno si è mai preoccupato di cosa si nascondesse dietro il mio muso duro, dietro il cappuccio abbassato fino a metà volto, dietro uno sguardo indifferente...
E poi arriva Grace Elizabeth Stewart e mi strappa via la maschera di una vita.
Arrivati a destinazione, scendiamo dall'auto. Di fronte a noi una delle ville più lussuose di Manhattan. Quando suoniamo al campanello ci accoglie una donna, sulla quarantina suppongo.
«Salve» risponde Brady scattante, «è qui una certa Grace Stewart?»
La donna sembra tentennare, ma poi annuisce. «Sta facendo il servizio fotografico.» Decreta.
«Stupida» mormoro sbuffando. «Siamo suoi amici, possiamo entrare? Diamo solo un'occhiata» dico con tono severo.
Lei scuote il capo, «mi dispiace.»
«Sono il cognato, non si preoccupi... aspettiamo che finisca e andiamo via» interviene Brady.
La donna, ovviamente ammaliata dall'uomo che ha di fronte, si lascia convincere. Ci lascia passare e ci conduce in una stanza addobbata a tema natalizio. Persino "Last Christmas" di sottofondo. Mi viene da ridere.
Però, quando noto Liz lì in mezzo, con dell'intimo di pizzo rosso fuoco, sgrano gli occhi. Ha i capelli pieni di lacca e con dei boccoli, un trucco leggero, il rossetto rosso ed un fisico mozzafiato.
Non si è ancora accorta di noi.
«E' decisamente inaccettabile.» Brady è furibondo.
«Porca puttana» commentò stregato dalla sua bellezza.
«Ti cavo gli occhi» fa lui di rimando, nascondendo le mani nelle tasche del jeans.
«Portiamola via di qui no?» Faccio qualche passo avanti, ma lui mi blocca subito acchiappandomi dal polso.
«Mi farò i conti dopo io con lei. Lasciala fare.» Decreta severo.
Rimango ad osservarla impietrito, mentre delle luci le sono puntate contro e le vengono scattate continue foto. Lei sembra imbarazzarsi alle volte.
Improvvisamente i suoi occhi vagano da una parte all'altra incrociando i miei. E' di stucco.
«Credo basti così» dice un ragazzo di fronte a lei, «puoi rivestirti, grazie mille, sei bellissima» la lusinga.
Lei sfila le scarpe e corre da noi, coprendo il corpo con una vestaglia.
«Che diavolo ci fate qui?» Sgrana gli occhi.
Mi do una breve occhiata con Brady.
«Cambiati» le ordiniamo all'unisono.
Rotea gli occhi, sbuffa, ci alza il dito medio e sculetta via, per poi tornare mezz'ora dopo.
Ha un mazzetto di soldi fra le mani, si avvicina, mi guarda dritta negli occhi e con forza me li sbatte contro il petto. Indietreggio delicatamente.
«Prego!»
Bagno le labbra con la lingua ed acchiappandola da un braccio la trascino fuori, seguita da Brady. Montiamo in auto e lei non fiata.
«Grace, cosa ti salta in mente?» Brady la osserva dallo specchietto.
Io non mi volto.
«Volevo solo dare una mano ad un amico orgoglioso» sbotta mangiucchiandosi le unghie.
«Non potevi chiederli a me quei soldi?»
«Invece di metterti nuda davanti a dieci persone?» Continuo io.
«Ma che problema avete voi due?» Si sporge in avanti guardando prima me e poi lui.
Rimango impassibile.
«Non prenderò questi soldi» li sventolo fra le dita mostrandoli ad entrambi.
Mi fissano sbuffando, «hai rotto il cazzo» dicono all'unisono. A quel punto scoppiano a ridere ed io scuoto il capo.
«Davvero» sospiro.
«Davvero, prendili... a me non servono» dice Liz spaparanzandosi sul sedile dietro.
La discussione termina lì. Brady ci lascia entrambi di fronte casa di Grace. Lei si posiziona sugli scalini di casa, ricoperti ancora nei lati dalla neve e mi osserva dal basso.
«Perché sei andato via ieri?» Curiosa assottiglia lo sguardo.
«Mal di testa» rispondo tranquillo, scalciando una pietruzza a terra.
«Hai fatto venire Brady a recuperarmi» si rimette in piedi, avanzando verso di me. «Non ho bisogno di protezione. So cavarmela benissimo da sola.» Si lamenta infastidita.
«Ho solo avvertito Brady della tua compagnia» non la guardo.
«Pensavo che fossimo amici, quindi complici... non l'uno contro l'altro.» Mugugna. «Forse è meglio se prendiamo le distanze.»
A quel punto incrocio i suoi occhi indifferentemente. Lei fissa me ed io lei.
«Bè, fai come vuoi» gratto il capo, «alla fine hai chiarito con la tua amica, quindi non hai bisogno più del ripiego» accenno una risata amara.
«Ma cosa stai dicendo?» Domanda esausta.
Alzo le mani in segno di resa ed indietreggio. «Tutto ok. Ciao piccola.» M'incammino verso la mia strada, mentre lei mi richiama per due volte consecutive. Non mi volto mai.
Forse mi sto semplicemente immischiando in qualcosa che non mi appartiene.
Forse prendere le distanze servirebbe più a me che a lei.
Angolo autrice.
COME SEMPRE RITARDATARIA. Scusatemi. Sono ancora qui con il nuovo capitolo, che, spero vi sia piaciuto. Spero, anche, di leggervi nei commenti. Alla prossima, bacioni.
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