Capitolo 6.
Capitolo 6.
Sono seduta di fronte ad una tazza di caffè. Stamane ho convinto mia madre a farmi rimanere a casa. Non riesco proprio a camminare nei corridoi come se nulla fosse, fingendo che non sia successo nulla. Il mio occhio nero ne da la conferma. Non riesco neanche a chiuderlo bene. Ho imprecato per tutta la notte, non ho chiuso occhio e ho i nervi a mille. Meglio di così...si muore.
Quando mi accorgo di una chiamata da parte di mia sorella cerco di rallegrarmi un po' per non apparire giù di morale. Così rispondo.
«Em» dico.
«Peste» il suo tono è molto severo. Sa già tutto, suppongo.
«Non ne voglio parlare» sbotto. Da quando è entrata in maternità, nonostante non sia per adesso un'insegnante, è informata proprio su tutto. Marcus farà la telecronaca a Kris ed automaticamente quest'ultima la fa a mia sorella.
«Ma che vi prende? Da te non me lo sarei mai aspettata.»
«Ti ci metti anche tu? Basta!» Sospiro.
«Mi hanno detto che sicuramente era per un ragazzo... Grace devo sapere qualcosa?» Domanda cauta.
E che palle! «Sì, lei pensa che io e Brian abbiamo una storia...» borbotto.
Non fiata subito. «Dovrei non crederci a questa cosa...giusto?»
«Sul serio anche tu lo pensi? Non me ne frega nulla di quel tizio.» Aumento il tono di voce.
«Dico solo che magari ci passi troppo tempo» mi rimprovera.
«State tutti tranquilli che ho chiuso» dico con tono severo.
«Perché c'era qualcosa aperto...?»
La odio quando prende di mira ogni parola che dico. E' proprio una professorina.
«NO!» Esclamo esasperata.
«Va bene... io porto Nic e Tom dal pediatra, ma dopo passo da casa.» Uuh, sai che felicità.
La saluto velocemente e finalmente riattacco. Ci manca solo la sua ramanzina. Sono stufa.
Ritorno in camera, sotto il piumone e stringo fra le mani la Nikon. Solo qualche minuto dopo mi ricordo che lì dentro c'è qualcosa che riguarda Brian. Vorrei spaccargli la faccia, ma la curiosità mi induce ad accenderla per eliminare le cose superflue.
Così faccio. Scorgo nella galleria diverse facce buffe. Lui con la lingua di fuori, lui con il naso arricciato, lui con gli occhi strizzati, i suoi piedi, i suoi peli sulle gambe, la sua barba, il suo addome. Insomma Brian ha fatto il set fotografico del suo corpo. Peccato che a me non interessi. Mentre mi accingo a selezionare le foto da scartare, qualcuno citofona. Scendo controvoglia di sotto e dall'occhiello osservo la figura di Julian. Mi domando che diavolo voglia anche lui.
Non curante del mio abbigliamento e soprattutto del mio aspetto, apro la porta.
Julian sembra sorpreso di vedermi in quello stato e perplesso continua a fissarmi.
«Bè?» Scuoto il capo con fare interrogativo. «Dimmi.»
Boccheggia per qualche istante, poi nasconde le mani nelle tasche dei jeans e sorride. «Ho chiesto il tuo indirizzo a Brian...è un problema?» Prende un lungo sospiro.
«Sì. Grosso problema.» Annuisco. Mi dispiace prendermela anche con lui, ma la razza maschile deve scomparire dalla mia vista. Gli unici maschi che voglio vedere al momento sono i miei nipoti, il resto può andare a farsi fottere all'istante.
Lui sospira. «C'è qualcosa che posso fare?»
Mi guardo in giro con fare pensieroso. «No... non credo.»
«Senti io non voglio che tu creda che io sia come Brian» dice nervoso.
«Senti io al momento non voglio sentire parlare né di Brian né di un altro essere maschile. Chiaro il concetto?» Aumento gradualmente il tono di voce.
Lui sembra ugualmente non mollare. Andrà a finire che gli chiuderò la porta in faccia così.
«Mi concedi almeno quel famoso caffè?» Continua quasi implorandomi.
«Ti dirò una cosa... raramente accetto di prendere un caffè con qualcuno e quel giorno l'avevo fatto con te. Tu non sei venuto e non mi interessa per quale cavolo di motivo...» spiego tranquillamente. «E ti dirò di più, a me non è dispiaciuto affatto. Tanto l'avevo già preso.» Ridacchio antipatica. «Il treno è passato.» Concludo scrollando le spalle.
Lui accenna una smorfia con le labbra ed annuisce. Si volta e finalmente va via.
Chiudo la porta e ritorno in camera. Mentre sto per farmi spazio tra i cuscini del letto, mi accorgo del display del telefono illuminarsi.
E' un messaggio.... Da Brian.
Liz mi sento come se te l'avessi tirato io quel cazzotto...
Mi prendo una manciata di minuti per pensare se rispondere o meno. Poi decido di non farlo. Non mi va.
POV BRIAN
Sono al negozio. Julian sta facendo un tatuaggio ed io, stavolta, non ho voglia di assisterlo. Così me ne sto seduto fuori, sullo scalino, con il cellulare in mano, aspettando una risposta che, so già, non arriverà mai. Quella ragazzina ha orgoglio da vendere.
Vorrei semplicemente spiegarle che mi dispiace, che mi sento la causa di tutto e soprattutto che non pensavo potesse finire così male. Ho sottovalutato però le capacità di una diciassettenne in preda ad una cotta. Ho solo sbagliato a continuare una farsa come quella di dare confidenza a quella Candi. Avrei dovuto farmi gli affari miei, in tutto. Invece, adesso, mi sento come se gliel'abbia ridotto io quell'occhio nero. Mi sento in colpa, insomma.
Julian è rientrato da poco, è andato da lei. Ovviamente è ritornato come temevo. Deluso.
Pensava sul serio di poterle andare a genio. Grace non sopporta nessuno.
Dice di averla vista malconcia in tutti i sensi. E ci credo. Forse se andassi io, riuscirei a risolvere le cose.
Mi metto in piedi scattante, ritorno dentro ed indosso il giubbotto. Con una scusa lascio il negozio e mi precipito a casa sua. Quando sono di fronte la porta mi balzano nella testa tremila pensieri, come quello di potermi trovare il padre o la madre. Avvicino il dito al campanello e dopo lo stretching continuo, suono. Getto l'aria dalla bocca velocemente e trattengo il fiato alla vista della sorella.
Meglio di niente.
«Brian» assottiglia lo sguardo ed incrocia le braccia al petto.
«Ciao...» cerco di rilassarmi. «Volevo sapere solo se andava tutto bene. Mi sento un po' colpevole in tutto ciò.» Mi gratto il capo e la guardo di sottecchi.
Lei chiude la porta alle sue spalle e avanza verso di me. «Ho avuto la sua età... l'abbiamo avuta tutti. E credo che al momento lei non voglia vederti... o meglio non vuole vedere nessuno.» Spiega. «Brian io non so cosa tu ti sia messo in testa... ma quella è mia sorella.» Indica dentro con il pollice. «Quello che è accaduto, non accadrà mai più.» Mi minaccia con lo sguardo.
«Io non ho intenzione di provarci con lei se è quello che pensi» mi scappa un risolino, ma poi torno subito serio. «Candi si è inventata tutto... cioè io volevo solo scrollarmela di dosso, Liz non c'entra niente.»
A quelle parole arriccia il naso e corruga la fronte. «Siete entrati abbastanza in confidenza se ti permetti di chiamarla così...» trattiene un sorriso. Si nota.
Mi scappa una risata, che smorzo subito. «Dico solo che andavamo d'accordo... eravamo diventati amici insomma» mi giustifico come un coglione.
«Va bene, lei è nella sua stanza... ti faccio entrare e scappo, perché preferisco che mi insulti per telefono dopo.» Ride. «Nessun bacio. Mani apposto. Bocca chiusa. Distanza di sicurezza. Uccello nelle mutande. Nessuna carezza. Nessun abbraccio. Intesi?» Mi minaccia nuovamente puntandomi un dito contro il petto.
Sgrano gli occhi ad ogni comando. Mi viene da ridere, ma rimango serio ed annuisco.
Mentre lei riprende le sue cose per andar via, io salgo le scale lentamente. Grace comincerà a sbraitare appena mi vedrà.
La porta della sua stanza è socchiusa. E quando cerco di sbirciare mi accorgo che esattamente in quel preciso istante si è tolta la maglia per cambiarla. Ed è in quel mentre che vedo il suo seno completamente nudo. Porca troia. Quella terza mi fa dimenticare per una manciata di secondi tutto ciò che ha detto la sorella qualche minuto prima. Uccello nelle mutande. Così apro la porta e quando lei si accorge di me sgrana gli occhi e spalanca la bocca.
«Che diavolo ci fai qui? EMILY BUTTALO FUORI.» Sbraita come una forsennata.
Accenno una smorfia con le labbra, «non credo possa sentirti, è andata via.»
Socchiude le palpebre e balbetta qualcosa sottovoce.
«E puoi andare anche tu, immediatamente.» Sbotta.
Scuoto il capo. «No. Quante volte ti devo dire che con me quest'aria da comandante non funziona?» Avanzo verso di lei, mentre lei ha le braccia conserte, lo sguardo da un'altra parte ed un'espressione terribilmente incazzata. «E quando parlo esigo esser guardato» mormoro a denti stretti.
«'Sti cazzi.» Borbotta continuando a non degnarmi di uno sguardo.
Mi viene persino da ridere, ma continuo ad avvicinarmi fin quando riesco a prenderle il mento tra le mani e la costringo a voltarlo verso di me.
«Insultami» le dico.
Alza le sopracciglia. «Dovrei farlo perché lo dici tu?»
Annuisco convinto.
«Quante volte ti devo dire che con me quest'aria da comandante non funziona?» Mi imita e questo la rende terribilmente buffa.
Trattengo una risata. «Insultami.»
«E va bene» sbuffa alzando le mani in segno di resa. «Sei un pezzo di merda ed uno stronzo. Mi fai ribrezzo e vorrei non averti mai conosciuto. Per colpa tua ho un dolore lancinante all'occhio, ti odio profondamente e ti spedirei dritto all'inferno con un biglietto di sola andata.» Parlotta veloce e sembra esasperata. «Le tue foto fanno cagare.» Conclude.
Massaggio il mento con una mano e la osservo. «Tutto qui? Pensavo sapessi fare di meglio.» Commento sarcastico.
«Oh, sì?» Spalanca gli occhi ed in men che non si dica mi ritrovo il suo piede nei miei testicoli. Mi scanso scattante massaggiandomi il mio membro, mentre lei pare soddisfatta del calcio e del conseguente dolore che mi ha provocato.
«Stronza» sussurro a denti stretti, con espressione sofferente.
«Adesso puoi anche toglierti dalle palle» m'invita indicando l'uscita.
«Una ragazza dovrebbe usare un modo più garbato per dire le cose» le schiaccio un occhio ammiccando.
Mostra un sorrisetto soddisfatto. «Non devo piacere né a te né a nessun altro.»
«Non mi piaci infatti. Sei il tipo di ragazza che mi sta proprio qui.» Indico il mio "pacco".
«Ma allora andiamo d'accordo su qualcosa! Che bello!» Sembra sorpresa, ma so già che la sua è tutta una messa in scena.
Sogghigno. «Mi perdoni per l'occhio nero?» Stavolta sono serio.
«Perché ti preoccupi tanto del mio perdono?» Posa le mani sui fianchi ed assottiglia lo sguardo.
Eh, perché? Bella domanda del cazzo. «Non lo so...» ammetto sincero.
Lei non fiata.
«Non mi è mai interessato onestamente. Ho commesso tanti errori... e non sono mai stato perdonato da nessuno. Come vedi sono solo in tutto e per tutto.» Non voglio apparire la vittima della situazione, ma quella ragazza mi spinge ad essere completamente trasparente. Quello che riuscivo a fare con altri, a nascondere le mie fragilità, non riesco a farlo con lei.
Mi guarda e mi mette a nudo.
«Sono la classica ragazza che nessuno vorrebbe avere al suo fianco, per il suo caratteraccio. Sì, i ragazzi mi cercavano all'inizio... ma quando vedevano come venivano trattati scappavano a gambe levate.» Ed ecco che per la prima volta mi racconta di sé. «Come vedi sono anche io sola.» Alza le spalle sospirando. A lei non fa paura la solitudine.
«Quindi abbiamo qualcos'altro in comune» accenno un lieve sorriso.
Lei abbassa lo sguardo. «Non mi hai ancora detto però perché vuoi il mio perdono.»
Ma che cazzo! Le piace mettere in difficoltà la gente.
«Forse perché ho trovato una persona che riesce a capirmi come nessun'altro e mi dispiacerebbe pensare che mi odi.» Sono onesto, di nuovo.
Lei sembra soddisfatta. Che stronza! «Promettimi che saremo amici, confidenti... ma senza un doppio fine.» Mi guarda dritto negli occhi.
«Te lo prometto.» Poggio una mano sul petto.
Lei abbassa il capo e sorride. Avanza lentamente ed attorciglia le sue braccia intorno alla mia vita, poggiando la testa sul mio petto. L'abbraccio anche io, posando il mento sul suo capo ed accarezzandole la schiena.
Mezz'ora dopo siamo seduti sul suo letto. Stiamo giocando a battaglia navale e lei non accetta assolutamente di aver palesemente perso la partita. Così getta tutto in aria e con la scusa che si è scocciata, nasconde il viso con il cuscino.
«Ma tu non hai mai avuto una fidanzata?» Improvvisamente domanda come se niente fosse.
Mi gratto il capo e mi prendo un po' di tempo per risponderle. «Sì, ma non amava la vita che facevo» ammetto.
Corruga la fronte. «Continua... che vita?»
«Da più piccolo ero in un giro strano, rubavo e ho commesso dei reati di cui me ne vergogno parecchio. Non sono un santo neanche adesso... ma se fossi stata presente qualche anno fa, ti avrei allontanata dalla mia vita all'istante» spiego con onestà.
«Perché?»
«Perché sì.» Puntualizzo lasciandole ad intendere che non mi va darle altre spiegazioni.
Quando si avvicina al mio volto e mi fissa, mi balena l'idea di strapparle un bacio, ma quando scoppia a ridere, tutto passa in secondo piano.
«Attento a non affezionarti troppo. Hai promesso.» Non mi sta guardando.
«Perché hai paura che qualcuno possa volerti bene sul serio?» Mormoro con voce rauca.
Alza lo sguardo ed incrocia il mio. «Preferisco la solitudine che la sofferenza.»
Le accarezzo una guancia scostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Dimenticavo...chi potrebbe voler bene una tale vipera...» ironizzo beccandomi un'occhiataccia ed un conseguente pizzicotto.
«Cominciavi a starmi simpatico» si lamenta allontanandosi.
Arriccio il naso. «Tu no.» Mi metto in piedi, indossando nuovamente gli scarponi. Lego i lacci e continuo a fissarla, mentre lei stringe le ginocchia al petto, poggiando su di esse il mento.
«Hai più sentito quella stronza?» Domanda con tono dispregiativo.
Scuoto il capo. «In compenso sono riuscito a farle capire che con me non c'era nulla da fare» scrollo le spalle. «Cos'è? Adesso vuoi fargliela pagare? Vuoi che fingiamo?» Ridacchio.
Mi risponde alzando il dito medio, al suo solito. «Non ho bisogno di vendicarmi. E' lei la bambina.»
«Hai quello che vuole lei...» rifletto bisbigliando, sperando non abbia sentito, mentre sistemo il giubbotto.
Lei mi fissa accigliata. «Non ho sentito...» dice interrogativa.
La scruto, «no, dico che io mi sarei vendicato.» Alla fine non sono così male nel pararmi il culo.
Sospira e balza giù dal letto, «no, non mi va... non con lei» mormoro.
«Io vado» cambio discorso avviandomi verso la porta della camera. Fortunatamente la madre non è ancora rientrata.
Mi accompagna di sotto ed apre il portone di casa.
Mi accorgo che fuori diluvia, non ho un ombrello, così alzo il cappuccio della felpa sul capo, nascondendo le mani nelle tasche del giubbotto. Come se non bastasse si muore dal freddo.
«Amici Liz?» Le porgo una mano.
Lei mi da una lunga occhiata e poi annuendo la stringe. «Amici.»
Mi volto e scendo le scale velocemente. Attraverso la strada ed arrivo alla mia auto. Solo dopo esserci già salito, mi accorgo che lei è ancora lì fuori, con le braccia incrociate al petto, un'espressione pensierosa ed un aspetto trasandato.
Metto in moto e parto lasciandola con un cenno di mano.
Osservo i messaggi e mi accorgo di quello di Julian e uno di Brady. Decido di aprire quello di quest'ultimo. Non so perché ma qualcosa mi dice che laGrande Stewart abbia spifferato qualcosa.
Se ti innamori di Grace, sei morto.
Mi fermo al semaforo e fisso il telefono, poi la strada, poi nuovamente il telefono, ma non rispondo. Riparto non appena scatta il verde e leggo quello di Julian.
Domattina non aprirò il negozio... ci vediamo dopo domani.
Osservo l'orario e mi rendo conto di essere in ritardo. Devo essere al locale tra due ore e devo ancora andare a casa a fare una doccia. Così faccio.
Dopo essermi rilassato per venti minuti sotto il getto di acqua bollente, mi vesto e corro a lavoro. Questa frenesia mi ucciderà un giorno di questi. E come se non bastasse il locale è pieno. Mi posiziono dietro il bancone e sgobbo per la bellezza di cinque ore.
Fin quando, dalla troppa confusione, non mi rendo conto che di fronte a me c'è Candi.
Lavo dei bicchieri e faccio finta di non notarla.
«Ammettilo. Ti piace la mia amica.»
Sti cazzi, che coraggio a chiamarla così. «La pensavi cosi anche quando le hai fatto un occhio nero?» Incrocio i suoi occhi. E' imbarazzata ed intimorita.
Boccheggia. Non sa che dire. «Non ti importa questo.» Balbetta.
«Senti io sto lavorando... hai qualcosa da dirmi?» Chiedo esausto. Ho sonno arretrato. Mi duole ogni muscolo del corpo e vorrei solo gettarmi a terra e dormire.
«Ti piace sì o no?» Domanda nuovamente.
Sbuffo mentre preparo un cocktail e la evito. «Io non credo che tu abbia il diritto di sapere cosa o chi mi piace piccola» il tutto potrebbe risuonare molto dolce o sensuale, in realtà mi sto trattenendo nel mandarla a quel paese.
«Va bene. Vedrai quanto facile sarà per te conquistare Grace. Non la conosci neanche e fidati che non te la darà mai.» Mi guarda minacciosa.
A quel punto mi blocco. «Non ti do il permesso di insinuare certe cose sul mio conto perché non sai e non mi conosci... ma ti darò una dritta...fatti i cazzi tuoi.» Adesso sono incazzato.
«Sì, me li farò ...vedrai come. Vediamo chi dei due sceglierà la mia Liz.» Ridacchia soddisfatta e sculetta fuori.
E' la prima volta che mi balena in testa l'idea di strappare i capelli dalla testa di una ragazza. Quest'aggressività col genere femminile mi mancava proprio!
E proprio quando nella mia vita le donne erano passate in secondo piano, ecco che saltellano al primo, sconvolgendomi il presente e facendomi imprecare da mattina a sera.
Angolo autrice.
Buonasera bella gente! Chi ha letto ha notato che la storia comincia a delinearsi un po' di più. Fatemi sapere che ve ne pare. Bacioni, alla prossima.
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