CAPITOLO 2
Arlena
Spingo il maniglione anti-panico e una folata di vento mi investe il viso. Per fortuna che ho ancora i capelli legati nello chignon, altrimenti chissà con quale criniera scompigliata sarei uscita nelle foto.
Esco all'esterno e mi stringo nel cappotto.
I flash degli obiettivi esplodono attorno a me, cerco di sorridere e spero che nessuno mi abbia presa di profilo. La mia proboscide ricurva non è un granché, presa da quella angolazione.
Cammino senza pensare al dolore che ho alle dita dei piedi, e mi faccio largo tra la gente.
Una ragazzina mi porge una penna, una biro di plastica come quelle che avevo a scuola.
Procedo avanti mentre lascio un autografo sul blocchetto, la stanghetta della "a" finale si allunga più del dovuto, per colpa mia che continuo a camminare.
Ruoto la testa da un lato all'altro, incrocio lo sguardo di molte persone, ma non il suo.
Faccio finta di non essere a disagio e continuo a sorridere a tutti quelli che mi circondano. Accenno anche un piccolo saluto alzando il braccio.
Devo dire che mi sento più tranquilla mentre queste persone mi osservano da sotto il palco.
Adesso, nonostante questo cappotto che mi arriva alle ginocchia, mi sento come se fossi nuda per strada.
Poi finalmente lo vedo. Ero convinta non fosse venuto.
Massimo è un po' più in disparte rispetto agli altri. Mi guarda con un sorriso più imbarazzato del mio, ha un lungo mazzo di rose che tiene in braccio come se fosse un neonato.
Me lo passa appena arrivo di fronte a lui.
Poi divento sua. Mi avvolge con le sue braccia e mi schiocca un bacio in fronte.
Io divento piccola e affosso il viso nel suo collo, un po' come per nascondermi da tutti gli occhi che mi sento cadere addosso.
Mi stacco da lui e affondo il naso tra i petali delle rose. Il profumo dolciastro mi accarezza le narici, e lo inspiro più volte.
Alzo la testa e lo guardo, -Sono bellissimi- gli dico.
-Come te- risponde lui, e prendendomi la testa tra le mani fa scivolare le sue labbra sulle mie.
Mi batte più il cuore adesso che mezz'ora fa, quando mi stavo esibendo davanti alla platea del Teatro Nazionale.
Poi, di poche parole solo come lui sa essere, mi passa il braccio attorno alle spalle e mi invita a seguirlo.
Mi volto un'ultima volta per salutare le poche persone che mi stavano ancora guardando, nonostante stiano uscendo le altre ballerine e quindi io sono automaticamente già passata di moda. Saluto sventolando la mano, e con questo mazzo di fiori mi sento un po' una cantante che lascia l'Ariston di Sanremo.
Raggiungo la macchina insieme a Massimo: finalmente, dopo ore, posso assumere una posizione sgraziata e mi stravacco per bene sul sedile del passeggero. Continuo a tenere il mazzo di rose tre le braccia, le corolle rosse premono contro il finestrino.
Massimo sale dall'altro lato, inserisce la chiave e il rombo del motore ci scuote entrambi.
Vedo nello specchietto retrovisore il Teatro Nazionale farsi sempre più lontano, con la sua facciata bianca che splende alla luce dei lampioni.
Ci addentriamo spediti nel traffico genovese.
-Alla fine è durato più di due ore- rompe il silenzio Massimo, le mani strette attorno al volante.
-Due ore non sono tante, per un esibizione di balletto- gli spiego, -certo, se era una partita ti sarebbe passata molto più velocemente-.
-Su questo non ci sono dubbi. Di calcio me ne intendo anche di più. Posso anche dirti che sei stata stupenda e bravissima, e lo penso veramente. Ma forse non ti importa, per quanto me ne intendo-.
Gli appoggio una mano sulla coscia.
-Mi interessa, invece- rispondo, cerco di avere la voce più sicura possibile, -e non pensare che le persone sedute attorno a te se ne intendessero di più. Metà di quella gente non sa nemmeno cosa sia un rond de jambe-.
Lo sento strano. Ma faccio finta di niente.
Osservo fuori dal finestrino. Siamo appena saliti in sopraelevata, la lanterna sbuca maestosa nella notte, affacciandosi sul mare.
-E comunque posso ritenermi soddisfatta- aggiungo, -poteva andare molto peggio-.
Massimo inspira, -Te lo avevo detto che farsi tutte quelle paranoie non aveva senso- dice, tutto d'un fiato. Come se inizialmente non volesse dirlo.
Abbasso le palpebre, continuando a guardare oltre il finestrino. Non volevo parlare di questo, adesso.
-Fossero solo semplici paranoie...- mugugno, e avvicino un po' di più il mazzo di rose al petto, -te lo già spiegato cos'è-.
-In realtà no, non abbiamo ancora capito cos'è- replica lui, -se poi vuoi continuare a far finta di nulla senza avere risposte, fai come vuoi. Ma non si affrontano così i problemi-.
La mia mano si ritira dalla sua gamba.
Sapevo che voleva parlare proprio di questo.
Dopo la discussione di stamattina c'era da aspettarselo.
Senti il nervoso annodarmi la gola. Ma devo stare calma.
Massimo è stato da ammirare.
È venuto a sostenermi a una serata davvero importante per me, e lui lo sapeva bene. Mi ha accolta fuori dal teatro con un mazzo di rose e mi ha dimostrato tutto il suo amore davanti a tutti.
Non si merita il mio nervosismo. Ha fatto tutto ciò che potevo desiderare, andando anche oltre alle mie aspettative. Eppure sono così nervosa. Proprio come stamattina.
-Negli ultimi giorni ho lasciato perdere, perché eri stressata ancora di più per l'avvicinarsi di stasera. Ma adesso che è passata te lo dico con tutta sincerità: devi farti aiutare Arli. O da Caterina, o da chiunque altro. Non possiamo avanti così-.
Queste parole si annidavano nella sua bocca da stamattina, o da prima ancora. Lo sento.
Stasera non aspettava altro che entrare in macchina e liberarle.
-Va bene- mi limito a dire. Mi sento gli occhi lucidi, e anche la voce è inumidita dal pianto. Da un lato vorrei non se ne accorgesse, ma dall'altro sì. Deve capire che mi dispiace.
Mi dispiace fargli passare tutto questo, mi dispiace per stamattina e le altre volte, mi dispiace essere così difficile.
-Scusa, amore- aggiungo.
Questa volta è lui ad appoggiarmi la mano sulla coscia, -Troveremo una soluzione- mi rassicura.
Le sue parole mi scaldano il cuore. Spero vivamente sia vero. Ha proprio ragione, non posso andare avanti così. Non possiamo andare avanti così.
Rimaniamo in silenzio, nella macchina risuona solo il rumore sfrusciante del cartellino profumato alla lavanda che dondola appeso allo specchietto retrovisore.
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