CAPITOLO 1
Luigi
Tutti sanno cos'è il male, persino i bambini.
Certo, forse non saprebbero spiegartelo, ma lo sanno.
Non che un adulto sappia fare di meglio, questo bisogna dirlo. In ogni caso, il bambino sarebbe sicuramente più ottimista: se lui individua il male in qualcosa di esterno, sia esso il buio o l'uomo nero che lo attende sotto al letto, l'adulto sarà più negativo, nel trovare il male anche dentro di sé.
Questo, per lo meno, è quello che faccio io.
O meglio, che facevo io. Il male non esiste più dentro di me.
Non so cosa mi spinga a fare certi pensieri a quest'ora del mattino. Voglio dire, è presto, la giornata è ancora lunga, non devo già affumicarmi il cervello con questi discorsi.
Avessi un orologio adocchierei le lancette, ma mi basta osservare la folla che scende gli scalini della stazione per capire che è appena arrivato il treno delle otto e un quarto.
Aspiro la sigaretta stringendo il filtro tra le labbra screpolate. Certo, la prima della giornata ha sempre un sapore migliore rispetto a tutte le altre, ma preferirei fare colazione con qualcosa che non mi ingiallisca i denti.
Dove diamine è la signora Norma?
Solitamente prende il treno che arriva alle sette cinquanta, ed ero convinto che oggi avesse preso quello dopo. Ma non si è fatta ancora vedere.
Osservo l'ingresso della stazione e me la immagino uscire bardata con la sua sciarpa a scacchi, che si avvicina a me ciondolando come un'oca. Poi la immagino mentre mi saluta, mi chiede come va, se ho dormito bene. E poi, il mio momento preferito: quando mi offre la focaccia.
Io devo insistere per non seguirla fin dentro al bar, e lei ci mette ben poco a convincersi.
Dopo avermi portato fuori il sacchettino unto si allontana scendendo gli scalini, augurandomi buona giornata e raccomandandomi di smettere di fumare.
E io la saluto con la sigaretta tra i denti.
Questo è quello che succede ogni mattina, da circa un anno. Ce ne fossero al mondo di persone come la signora Norma.
Ma sono poche, e io sono davvero fortunato.
Anche se stamattina la sorte non è dalla mia parte, purtroppo. Speriamo non le sia successo nulla di grave.
Intanto io, per ora, devo accontentarmi del tabacco.
Forse dovrei alzarmi, ho passato tutta la notte seduto e devo ammettere che a stento riesco a sentirmi le gambe. Il freddo, poi, non aiuta.
Premo la schiena contro la parete e allungo un po' i piedi, tanto che le scarpe sbucano da sotto la coperta pile. Le ricopro subito.
Questa logora trapunta disseminata da chiazze di cenere riesce a farmi sentire dannatamente protetto, anche nelle mattine di febbraio dove la tramontana soffia verso Genova portando con sé il clima pungente delle montagne.
Espiro il fumo dalle narici e continuo a guardarmi attorno. A volte mi chiedo se le persone che camminano così irrequiete per la piazza della stazione mi osservano incuriosite così come io osservo loro.
Molto spesso le occhiatacce che mi arrivano sono come di qualcuno che sta osservando della spazzatura a terra, a dire il vero.
Altro che curiosità. Direi più disgusto.
-Sapevo che ti avrei trovato qui-.
Riconosco subito la voce, mi volto pentendomi di non essermi alzato poco fa. Adesso è troppo tardi per allontanarmi.
Olivier Girard mi osserva con i suoi minuscoli occhi a fessura, con la schiena ritta e le mani giunte di fronte a sé, avvolte in dei guanti di pelle che se vendessi in qualche asta farei i soldi che mi bastano per pagarmi una cena al porto.
-Mi trovi sempre qui- rispondo cercando di avere il tono più stizzito possibile. Voglio che percepisca il mio fastidio.
-Ti trovo sempre qui perché sei tu a volerlo- rispondi lui avvicinandosi. I suoi scarponi firmati risuonano sotto al portico ed ecco che me lo ritrovo accanto, che si piega sulle ginocchia per mettersi al mio livello.
-Preferirei parlarti nella hall del Bristol Palace, ma a quanto pare tu preferisci qui- continua con tono da rimprovero.
Vorrei spiegargli che in un hotel del genere alle persone come me non è neanche permesso chiedere l'elemosina sullo scalone dell'entrata.
Ma butto giù la risposta insieme al fumo della sigaretta.
-Io preferirei proprio non parlarti- rispondo continuando a guardare la piazza. Evito il più possibile di guardarlo negli occhi.
-Hai già fatto colazione?- domanda con lo stesso tono di un padre che si rivolge al figlio.
Ma io voglio la signora Norma.
Non un francese altolocato trapiantato in Liguria che mi offre il cibo con lo stesso spirito dei vecchietti che lanciano le briciole di pane alle anatre che nuotano giù alla foce.
Aspettandosi qualcosa in cambio, per di più.
-Non ho fame- mento, portandomi la sigaretta alla bocca. Rilascio una nuvola di fumo che spero gli arrivi in faccia. Ma la tramontana non è dalla mia parte. -E non credo tu possa comprarmi con un caffè- aggiungo.
-Io posso offrirti molto di più- replica lui abbozzando un sorriso. Penso voglia apparire rassicurante. Ma non ci riesce.
-I tuoi inviti in uno degli hotel più lussuosi di Genova per parlare di affari che non mi interessano valgono meno di una colazione offerta- rispondo secco.
-E allora parliamone qui, non ci sono problemi- insiste.
Adesso mi decido a voltarmi. E lo guardo dritto nelle sue iridi azzurre.
-Ti ho detto che non voglio- ripeto, -non mi interessa. Tornatene a sorseggiare il cognac con i tuoi amici parigini nella hall del Bristol Palace-.
E strozzatici, vorrei aggiungere.
-Ventimila euro- la butta lì. Per lui sono spicci. Ci si pulirebbe volentieri il suo culo francese, con una somma del genere.
-So che mi hai preso per un completo idiota- replico, e una risata mi scappa dalle labbra, -ma con un prezzo del genere non ci compri neanche un monolocale nei vicoli. Figuriamoci un teatro-.
-Non ho da offriti solo soldi- risponde deciso il signor Girard, -potrai avere anche una camera al Bristol Palace per tutta la vita. Ti assumerò e lavorerai con me al teatro. Ti comprerò vestiti nuovi, ti darò i soldi per sistemarti meglio... anche nell'aspetto- e il suo sguardo ricade sulla mia rigogliosa barba brizzolata.
Come se mi importasse qualcosa del suo giudizio.
Spengo la sigaretta sulle piastrelle, sento il fumo caldo avvolgermi le dita. Il mozzicone rimane lì incollato a terra, tutto storto e raggrinzito. Lo butterò nel bidone all'angolo quando lascerò la piazza, verso mezzogiorno.
Io sarò anche un rifiuto, ma non sono solito lasciare spazzatura per strada.
Olivier Girard intanto continua a fissarmi, vuole che risponda. O meglio, spera ancora che accetti la sua proposta.
Sto per alzare la voce e intimarlo ad andarsene, quando i miei occhi scivolano oltre la piazza. E vedo lei, il male .
Elegante e torva proprio come me la ricordavo.
Sta girovagando sotto le pensiline degli autobus come una donna qualsiasi, come per confondersi tra la gente normale.
Ma io so chi è lei. So che è il male.
Non l'ho mai vista da queste parti, e ho l'agghiacciante sensazione che sia venuta per me.
Mi alzo in piedi scostando la coperta, il signor Girard si sporge all'indietro per lo spavento, e lotta con sé stesso per rimanere in equilibrio piegato sulle ginocchia.
Carico la coperta sulla spalla, e mi dirigo verso l'entrata della stazione.
Abbandono il signor Girard. Non che mi dispiaccia.
Ma abbandono anche il mozzicone di sigaretta, che dimentico di raccogliere. Questo già mi dispiace di più.
Cammino con lo sguardo fisso oltre la piazza, mentre osservo lei dirigersi verso le strisce pedonali. Io scompaio oltre l'entrata dell'edificio, i tabelloni con gli orari dei treni si aprono davanti a me.
È un paradosso che lei, il male , mi abbia aiutato a far vincere il bene dentro di me.
Quello che mi chiedo, è se adesso sia tornata per minacciarmi di far tornare tutto come prima.
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