Scuola

All'età di 6 anni Francesco cominciò a frequentare la scuola nella vicina chiesa di San Giorgio.
Ma non gli piacque.
Ai bambini si insegnava il latino usando il Salterio, una raccolta di preghiere e salmi di imparare a memoria e per chi trasgrediva la verga del maestro era sempre in agguato.
Più di una volta Francesco era tornato a casa con i segni della verga sulle mani.
Non che non gli piacesse il latino, ma le infinite coniugazioni e declinazioni lo annoiavano a morte.
E per di più la sua classe dava proprio giù verso la pianura, dove l'azzurro degli ulivi sfumava dolcemente, dunque perché perdere tempo con un lingua che non avrebbe mai usato quando il mondo era là fuori in attesa di essere esplorato?
Quando giocava fuori sul sagrato della chiesa vedeva grandi nobiluomini a cavallo, con spade luccicanti ai fianchi e occhi di chi aveva visto tanto.
I cantastorie che si fermavano quando c'era il mercato narravano le gesta di Lancillotto e Re Artù, di Tristano e Isotta.
Francesco dentro a quelle storie ci si perdeva: voleva avere anche lui una spada magica e sconfiggere un drago, voleva salvare una principessa delicata come un giunco e coprirla di girasoli.
Ma, naturalmente, prima veniva la scuola, e tutto il bel paesaggio di Assisi e le storie dei cavalieri dovevano aspettare.
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Queste sono le allodole, amanti della luce e aralde del mattino, che si cinguettano l'un l'altra, dicono che vanno all'oliveto o in città.
Seduto su uno sgabello e piegato sullo leggio, Francesco faceva finta di ricopiare il pezzo del Vangelo che il maestro aveva dato agli alunni.
La luce mattutina entrava dalle sottili vetrate colorate, a cui una stava vicino Francesco, e per la chiesa non si udiva un suono.
Gli allievi non osavano neanche fiatare alla vista della temibile verga del maestro, il quale se ne stava seduto sulla sua scrivania rialzata a osservare con occhio attento gli studenti.
Ogni tanto sfogliava qualche pagina del libro che aveva di fronte e allora Francesco poteva girarsi verso la vetrata e parlare con le allodole.
Parlare sì, perché Francesco fin da piccolo riusciva a capire cosa dicevano gli animali pur non parlando la stessa lingua.
Per lui era come parlare con un fratello e parlare con un fratello era facile! Perché gli altri non ci riuscivano?
Fino ad ora aveva tenuto nascosto questo suo "dono".
Si girò ancora e guardò giù verso i campi di papaveri e gli oliveti, che ora cominciavano a perdere le foglie vista la vicinanza con l'autunno.
Ma anche d'autunno Assisi era bellissima: con gli alberi che di tingevano di arancione, rosso e giallo, come una tavolozza di colori e poi cadevano e i bimbi, facendovi mucchi, vi saltavano dentro felici.
Poi si sente mamma riccio che porta i piccoli nella tana e il cane del prete sta sonnecchiando proprio qui sotto e....
"FRANCESCO DI PIETRO DI BERNARDONE!".
Il richiamo del maestro colse all'improvviso Francesco che alzò la testa sussultando leggermente.
Oh oh...
Beccato in pieno.
Sul volto dell'uomo, un cinquantenne magro come un grissino, con un grande naso adunco e una tonsura di capelli bianchi, comparve un sorriso, come ad essere felice di poter mettere in punizione qualcuno.
Era un maestro davvero temibile e non poche volte gli allievi gli avevano giocato scherzi e burle.
Francesco cercò di mantenere la calma davanti a quel tizio con la faccia di topo. "Sì messere?".
"Con chi stavi parlando?".
Francesco cercò nella sua mente una scusa accettabile.
Trovata!
"Stavo pensando al pezzo del Vangelo  che ci avete dato da ricopiare, è davvero interessante!".
L'altro lo squadrò da capo a piedi con i suoi occhi di ghiaccio. "Ti piacerebbe ricordare alla classe di cosa parla?".
Oh mamma...
"Leggilo avanti".
Era un ordine e Francesco non aveva voglia di ricevere i colpi della verga.
"Se vuoi essere perfetto, va', vendi tutti i tuoi beni e distribuiscili ai poveri, poi vieni e seguiMi e avrai un tesoro nel cielo".
Non appena ebbe finito di leggere il maestro gli fece subito un altra domanda: "E il contesto?".
"Questo fu ciò che disse Cristo al giovane ricco che domandava la via della perfezione".
Ancora un'altra domanda: "E saresti così gentile da spiegarci il significato di queste parole di Nostro Signore?".
Francesco cominciava ad arrabbiarsi, quello ce la doveva avere con lui!
Cercando di calmarsi, pensò alla risposta della domanda.
"Allora?....". Il maestro aspettava.
Calma! Non è una risposta facile! E la pazienza non è di sicuro una delle tue virtù, Muso di Topo!.
"Significa.... Significa....".
Dall'inizio della conversazione tutta la classe era girata verso Francesco.
"Significa che dobbiamo spogliarci di tutto ed essere poveri o se no vivere in semplicità con poco di nostro e tanto per gli altri se proprio non possiamo. Il Signore vuole che siamo umili e poveri come è stato lui stesso nella Sua vita terrena".
Silenzio tombale.
Ho per caso detto qualcosa di sbagliato?
Poi dalle labbra del maestro scaturì una risata, una risata di presa in giro, sì, di presa in giro.
Lo stava prendendo in giro per ciò che aveva detto.
Poi parlò: "È chiaro, bambino caro, che non hai minimamente capito le parole di Nostro Signore, ma a sei anni non si può capire tutto d'altronde...".
Soffocò un'altra risata e poi continuò.
"Non si può essere poveri, perché altrimenti assomiglieremmo a quella marmaglia di pezzenti e lebbrosi che fuori dalla porta chiedono la carità e loro, specialmente i lebbrosi, hanno compiuto peccati tali da essere marchiati con la malattia e vivere nelle miseria. E la Santa Romana Chiesa non può essere così, Lei è grande, gloriosa ed eterna, non povera".
Francesco si arrabbiò ancora di più: ma sapeva leggere il Vangelo?
"Ma le parole sono quelle Messere! Di lasciare tutto e distribuirlo ai poveri! Lo sapete leggere il Vangelo coi che siete un chierico?!".
Aveva espresso i suoi pensieri ad alta voce e quei pensieri!
Punizione assicurata.
Il chierico e maestro sembrava felice di avere qualcuno da punire e fece un sorriso malvagio.
"Come osi mettere in discussione le mie parole e quelle del Santo Vangelo, piccolo insolente?!".
Il bambino rispose subito. "Io non ho messo in discussione le parole del Vangelo! C'è scritto quello!".
Il maestro gli si avvicinò e i due si guardarono a lungo.
Una sfida di sguardi, occhi marroni in occhi color del ghiaccio.
Poi la verga entrò in azione e colpì le mani di Francesco, un colpo doloroso.
"Come punizione per la tua insolenza, figlio del mercato di tessuti, riceverai 10 colpi di verga sulle mani, in modo da ricordarti chi comanda qui e che non devi MAI mettere in discussione".
Francesco deglutì ma non era spaventato: lui aveva detto ciò che pensava e aveva espresso la sua opinione.
"Vai vicino alla cattedra".
Il bambino si alzò e si sistemò sotto la cattedra in attesa del maestro.
"Voi tornate a ricopiare". Ordinò agli altri allievi. "E tu fa vedere le mani".
Francesco ubbidì e il maestro cominciò a colpire.
Colpi dolorosi, sferzate che gli graffiavano le mani, ma lui continuava a guardare l'uomo.
Lo guardava profondamente, nei meandri di quegli occhi di ghiaccio.
Era un sfida silenziosa.
"Recita il Pater Noster".
Francesco cominciò e le sferzate gli sembrarono meno dolorose.
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Quando tornò a casa si lavò subito le mani e corse in camera sua.
Nessuno doveva vedere quei graffi.
"Chicco perché ti sei chiuso in camera?". La voce di Angelo, che ora aveva 2 anni, risuonò limpida dietro la porta.
"Angelo per favore vai via". Lo scacciò il fratello.
Da un lato voleva vedere Angelo, dall'altro non voleva che vedesse quei segni.
"No!". Affermò convinto il minore. "Voglio vedere cos'hai perché ti sei chiuso in camera!".
E, con un po' di sforzo, aprì la porta e corse dal maggiore.
"Cos'è successo Francesco?".
Doveva considerare la situazione molto grave se l'aveva chiamato Francesco e non Chicco.
Il fratello sospirò e gli fece vedere le mani.
"Chi ti ha fatto questo?".
Francesco gli racconto del maestro, della discussione e della verga.
Alla fine, con suo grande stupore, Angelo lo abbracciò.
"Ma... Perché mi stai abbracciando?". Non ne comprendeva il motivo.
"Perché il mio fratellone sa tener testa ai grandi cattivi! Bravo Chicco da grande voglio essere come te! Anzi anche prima!".
Francesco ricambiò il suo abbraccio e gli accarezzò i riccioli biondi.
Cerca di non crescere troppo in fretta...
Stettero così per un po' finché da sotto si udì la voce di Pica.
"François! Ange! È l'ora del bagnetto piccoli miei!".
I due si guardarono.
"E adesso cosa diciamo a Maman?". Domandò Ange.
Francesco ci pensò sù. "Le dirò che questo pomeriggio stavamo giocando nell'oliveto quando sono scivolato e ho messo le mani vicino a un cespuglio di more, graffiandomi".
Speriamo che se la beva...
"Va bene Chicco!".
E mano nella mano scesero e si diressero verso il bagno, Pica credette all'invenzione di Francesco e poco dopo i due fratellini stavano nella vasca d'acqua calda mentre la loro Maman li lavava con la spugna ed oli profumati.
Fuori la sera stava calando sopra gli sfumati colori del tramonto.
"Da grande voglio essere coraggioso come te Chicco!". Disse Angelo mentre Pica gli insaponava i riccioli biondi.
Il sapone all'epoca non era molto usato, eppure qualche volta compariva nelle case dei più abbienti.
E Francesco strinse a sé il suo fratellino che profumava di paglia, fiori e latte.
"Sarai una brava persona Angelo, te lo dico io".

Si capivano l'un l'altro, la loro magica alchimia tornava e Angelo sapeva strappare un sorriso a chiunque.
Francesco aveva avuto ragione a dire che era il miglior fratello che si potesse desiderare.

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