5. In risposta all'annuncio

Il ristorante era abbastanza piccolo, una classica osteria ubicata nelle vie secondarie della città.

Valerio e Renato, finito il loro turno e depositate le uniformi alla caserma, decisero di ritagliarsi un paio d'ore di pace e buona cucina.

I tavolini erano tutti occupati, ma non c'era troppo chiasso, Sopra le pareti erano appese numerose immagini di divi del cinema, soprattutto italiani.

Il proprietario del locale, Tonino detto er nero era un appassionato di quest'arte e stava molto simpatico a Valerio, soprattutto per le sue doti culinarie e le idee politiche.

Figlio, com'è accaduto anche a lui, di famiglie di destra, si trovavano spesso a discutere della situazione attuale, provando grande nostalgia per gli anni del rigore, dove secondo loro si stava molto meglio e tutti potevano usufruire di un posto di lavoro sicuro, della pensione e di tanti altri diritti.

«Adesso siamo proprio in tempi bui» disse l'uomo grassoccio, con un viso liscio, dalla barba fatta e i capelli tirati indietro, mettendo due birre fresche davanti ai militari.

«Aiuto, lupi, son tornati i tempi cupi» rise Renato che amava dire tutto parafrasando frasi tipiche. Questa apparteneva alla tifoseria della Roma.

Il viso allungato dell'uomo tremò d'imbarazzo quando sguardi negativi lo intimidirono. Erano tutti laziali lì dentro, era stato un intervento di pessimo gusto. Prese il boccale, abbassando gli occhi. I due fecero un altro paio di battute su immigrazione e scuola.

«Senti Vale, a parte questi discorsi che rispetto ma non condivido. Mi dici cosa succede?» divenne serio Renato e l'altro si pulì la bocca, sospirando.

«Ho leccato una fica l'altro giorno...» 

«Uh, sai che novità. Non mi sembra che tu sia a corto di bonazze. Magari scappano dopo un paio di appuntamenti, ma...»

«Senti, stronzo, se trovo solo troie senza un minimo d'intelligenza, non è colpa mia!»

«Sai che sono sincero, Valerio! Sei un bel ragazzo e questo le attira, ma troppo inquadrato. Dovresti essere più sciolto! Non puoi certo proporgli il matrimonio e una vita segregata dopo due giorni che vi conoscete. Logico che scappano subito. Poi se aggiungi una spruzzatina di famiglia, patria e onore, finisce tutto sempre allo stesso modo. Devi uscire dal secolo scorso ed entrare negli anni duemila.»

Un secondo dopo arrivarono i panini ordinati e anche il cameriere espresse la sua opinione.

«Non mi diventare un succhiacazzi, eh Vale?»

«Ci mancherebbe solo questa, stai zitto Carlo, o rischi che davvero ti prenda a botte» rispose risoluto, strappandogli una risata.

«Adesso si possono sposare anche loro no? Trovati un grosso nero e goditelo tutto» aumentò la dose, ma quando vide che Valerio stava per spazientirsi, si mangiò la lingua, tornando a servire.

«In che bel localino mi hai portato. Sono tutti razzisti e omofobi. C'è per caso qualcuno che afferma anche che la donna debba stare in casa e tacere? Sarebbe un passo avanti, a modo loro» lo schernì ancora l'amico, cominciando ad addentare il suo pasto.

«Mangia e zitto. Ti ho detto di rispettare quello in cui credo» ordinò l'altro, masticando a sua volta.

«Ti ripeto che lo faccio, ma qui si esagera, dai! Sono argomenti finiti ottant'anni fa e anche squallidi. Cosa ti interessa dei gusti degli altri?»

Quei discorsi lo stavano innervosendo e dopo aver sorseggiato dell'altra birra, lo guardò storto: «Oh, Renato! Sarai mica come i comunisti, eh?»

«Valerio, ti rivelo una notizia: si può anche vivere bene senza parlare di politica ogni secondo e senza essere per forza di qualche fazione! Invece, cazzo, dimmi di questa fica che è un argomento migliore...»

Dopo qualche boccone, sempre avvolti da quella strana gente che si scambiava battute pesanti e nostalgiche di tempi passati, Valerio decise di esprimersi ancora una volta.

I suoi occhi trasparenti si rattristarono.

«Non mi era mai capitata una donna del genere, mi ha rapito, ammaliato... non so come spiegarlo.»

«Raccontami nel dettaglio come è successo.»

«Sono stato invitato a una festa tra ex compagni di liceo. La credevo una cazzata, ma speravo di poter scopare e ho pensato di farci un giro. Al contrario delle mie previsioni, sono andato in bianco quasi tutta la sera, finché è arrivata lei: Ginevra.»

«Uh, si chiama come la moglie puttana di Re Artù.»

«Va be', lasciamo perdere le tue cazzate. Farò finta di non aver sentito. La prendo come una vendetta? Siamo pari adesso?» continuò mordendo un altro pezzo del panino e ingoiandolo in fretta. Come al solito le pianto gli occhi addosso. Era bona da paura, una rossa naturale. Alta e magra, ma tonica. I capelli ondulati le scivolavano sulle spalle, il vestito semitrasparente lasciava intravedere molto togliendomi ogni fantasia. Due tette e un culo da starci ore intere a leccare e fottere. Avevo il cazzo che mi grattava i pantaloni dopo neppure un minuto.»

Renato mangiava in silenzio, mostrando espressioni di stupore.

«Dopo qualche altro attacco preciso, i suoi stupendi occhi provocanti incrociano i miei e le sorrido, ricambiato. Stavo per saltare sulla sedia, però mi sono trattenuto. Anni di addestramento sono serviti a qualcosa.»

«Ah certo, a mantenere la tua virilità intatta» lo punzecchiò.

«Insomma, per farla breve, mi porta con lei dietro un paio di piante e mi trovo la sua fica in bocca, senza neppure sapere come si chiama. Mi ha sconvolto quel modo di comandare, capisci? Ha guidato il gioco come più le piaceva e ho affondato con foga, senza le solite attenzioni. I suoi fianchi comandavano la mia bocca, il mio piacere e anche se a distanza, pure il mio cazzo! Cercava sesso puro, istintivo. Poi l'ho fatta godere anche dietro, giocando con le dita...»

«E tu?»

«Una sega da solo, ungendomi con i suoi umori come un deficiente. Lei era già sparita...» ammise Valerio e buttò giù la birra, finendola con un rutto sommesso.

Renato scoppiò in una forte risata. «Sei stato un coglione.»

«Lo so e la devo rintracciare. Mi ha dato il numero, ma non risponde a nessun messaggio o chiamata.»

«Quella ti ha fregato, bello mio. Si è divertita e ti ha illuso. Sarà il telefono di qualche ditta di pulizie e chissà chi risponde. Lascia stare, non rischiare altre umiliazioni.»

Mentre chiacchieravano sentì squillare il cellulare e credendo che fosse la risposta tanto attesa, lo estrasse subito. In realtà erano notifiche inutili.

«Novità?»

«No, nessuna. Solo assurdi messaggi dal social e... aspetta!» si bloccò un istante, consultando la lista e una di queste proveniva dal gruppo virtuale degli ex allievi del liceo.

Poi il cuore gli si annodò in gola e quasi stava per rimettere il pranzo se non si fosse calmato.

«Vale, stai bene?»

«Sì, un attimo... è il suo numero... oddio, me l'ha dato giusto, nessuno sbaglio. Guarda qui.»

Era comparso l'annuncio per l'affitto della stanza che Ginevra aveva fatto girare sui social.

«Be', se sei sicuro tu, io mi fido.»

«Certo, è lei. ho riletto quelle maledette cifre per tutta la mattina prima di venire al lavoro e conosco il numero a memoria.» 

«Almeno sai dove abita, falle una sorpresa.»

«No, direi molto meglio. Caro il mio collega di camera, vado ad abitare da una bella fica e ti lascio da solo a svegliarti in caserma vedendo uomini in mutande. Stasera, dopo il turno, corro subito da lei e la convinco a darmi quella stanza!»

«Deciso, vai sull'obiettivo, questo mi piace! Buona fortuna» disse l'altro, alzando il boccale in segno di augurio.

***

«Amore libero e in tutti i modi possibili» urlò il nonno Gino, alzando le braccia e rischiando di cadere;

Martino lo tenne ai lati della schiena, calmandolo.

«Nonno, ti prego, mantieni un certo contegno altrimenti mi cacceranno via.»

«Va bene, ma tu mi racconti qualcosa del tuo incontro?»

«Sì, ma prima stai tranquillo. Ci tengo molto al mio lavoro qui, sai che ho anche un pezzo di casa in cui tornare finché non ne prenderò una mia.»

«Devo essere io nostalgico, non tu. Adesso parlami di avventure fresche, mi ricorderà i bei tempi» incentivò il signore anziano e si appartarono in un piccolo salone, sedendosi sui divanetti.

Vicino a loro c'erano solo delle cameriere ai piani che stavano sistemando le stanze degli ospiti.

«È accaduto stanotte. Sono stato a una festa di ex compagni di classe. Mi annoiavo molto, ma non volevo tornare a casa troppo presto. Per puro caso ho trovato una chitarra e sedendomi in disparte a fumare qualche canna, le parole sono uscite da sole...» finì canticchiando una melodia l'altro mosse un po' il capo, mimando il ritmo.

«Ah, quanto mi manca cantare... libera l'anima, rallegra lo spirito, attira le donne...»

«Già, ma alla fine mi è rimasto solo lo spinello» ammise rattristato «dovevi vederla: quella creatura meravigliosa è apparsa dal nulla, come una dea che cade dal cielo. Non mi ha chiesto chi fossi, ma si è seduta su di me, offrendomi il frutto del suo petto. Ero estasiato, devoto, avido di succhiare la vita.»

«E lei com'era?» Martino guardò nel vuoto alzando le mani davanti a lui, come se in quel momento vedesse davvero ciò che descriveva.

«Non si è tolta subito i vestiti, mi ha fatto prima esplorare la stoffa che lo ricopriva, analizzando le sue forme nascoste con dovizia e poi è apparso. Bello, sodo e soprattutto con quei due capezzoli che mi guardavano dritto negli occhi, dicendomi: mangiami, succhiami, assaporami finché non sentirai dei gemiti e va' ancora più forte, usando la tua lingua come un mulinello. E intanto, premi la mia carne soffice, affondaci le dita in modo che possa protendersi solo al tuo gusto e così ho fatto. L'ho sfinita di baci e carezze sul seno, mentre lei si masturbava sopra il mio cazzo ancora coperto dai jeans.»

«Hai concluso anche tu?»

Il vecchio assatanato da quelle parole così erotiche e passionali lo guardò pieno di speranza.

Il ragazzo si voltò a bocca semiaperta verso di lui e abbassò le mani, dandosi un paio di sberle sulle cosce.

«No. È scappata via, lasciandomi in sospeso.»

«Coglione.»

«Già. Però ho il numero, me l'ha dato lei! Anche se l'ho chiamata per molte ore oggi, ma nulla da fare, non risponde.»

Il nonno incrociò le braccia con un sospiro.

«Figliolo mio, sei stato fregato. Le donne sanno essere serpenti vestiti da fate, devi stare più attento. Ti avrà dato un numero sbagliato apposta.»

«Lo penso anche io, ma sono rimasto scottato, lo sai? Vorrei tanto rivederla e...»

Mentre diceva quest'ultima frase, sentì squillare il cellulare e convinto che fosse la risposta giusta e tanto attesa, lo aprì di fretta.

«Altre stupide notifiche. Niente da fare» concluse Martino e poi cliccò sull'icona dei social, controllando senza cura quei numeretti rossi.

Uno lo attirò in modo particolare, era nel vecchio gruppo di studenti incontrati alla festa.

«AAA Coinquilino Cercasi» lesse ad alta voce e poi si tenne lo sterno per un dolore improvviso. Il profilo che aveva postato quel messaggio non lo conosceva, ma i dati finali erano chiari e riguardavano Ginevra.

Numero e nome corrispondevano alla perfezione e si sentì sollevato. «Oddio nonno, guarda, so dove abita la mia dea! Che dici, vado a trovarla?»

«Di corsa e con un mazzo di...»

«Rose? Non credi sia troppo presto?» sorrise saltellando.

«No, io intendevo di profilattici. Devo spiegarti tutto?»

«Forse sì.»

Lo salutò con un abbraccio e sparì più veloce di una scheggia, infilandosi il casco e inforcando la bicicletta parcheggiata poco lontano.

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