Scambio culturale

A partire dalla settimana prima delle vacanze di Pasqua, il liceo Da Vinci si era trasformato letteralmente in un luogo di prove d'internazionalità, dopo che il preside aveva accettato la proposta di Sara - sempre un vulcano di idee - di accogliere in istituto, per due settimane, una scolaresca europea per uno scambio tra culture che avrebbe dato lustro all'istituto sul piano internazionale; Ventoni aveva accettato con entusiasmo, un po' perché le proposte della Michetti per il rilancio del Da Vinci si erano sempre rivelate vincenti, e un po' perché così si sarebbe anche divagato dalla terribile situazione della figlia, così da far divagare anche quest'ultima: nonostante la leucemia contro cui combatteva coraggiosamente, Bianca aveva pur sempre diciotto anni, e aveva tutto il diritto di formulare pensieri più leggeri e consoni alla sua età.
Perciò i primi di aprile, in concomitanza con il ritorno a scuola, aveva chiamato tutti nell'aula magna per dare inizio ai preparativi per accogliere la scolaresca austriaca che aveva accettato la proposta dello scambio culturale.
《E come sempre è una tua brillante idea, amore mio!》sussurrò Carlo all'orecchio di Sara, che sorrise, mentre Francesco li guardava storto dalla fila dietro, mentre accanto a lui c'era Ester: la loro intesa, a dispetto di tutti, era andata oltre i canonici tempi brevi" di Altobelli e della Gherardi, rendendoli agli occhi di tutti una coppia effettiva, un po' insolita, sicuramente aperta, ma comunque sempre di coppia si trattava.
《Certo che la tua ex fidanzata è instancabile》osservò Ester, mentre il preside finiva il suo discorso.
《Non è la mia ex. Comunque non ho mai dubitato dei suoi talenti. Li ha sempre manifestati ed espressi, fin dal primo giorno, sono io che non li ho saputi apprezzare》sospirò Francesco, non smettendo di guardare Sara e Carlo mentre parlava.

                                        ***

In quei giorni Alberto aveva trovato il coraggio di affrontare l'argomento della malattia di Bianca insieme alla diretta interessata: un giorno era andato a trovarla all'ospedale, le aveva spiegato che Davide e Sofia gli avevano raccontato la verità e che lui, in un primo momento non aveva avuto il coraggio di fronteggiarla, ma adesso era lì, pronto a starle vicino per tutto il corso della malattia.
Così Bianca gli aveva narrato la terribile storia di sua madre Maya, a cui avevano diagnosticato la leucemia cinque anni addietro, e che se l'era portata via nel giro di qualche mese, prima che si cominciasse a parlare di trapianto del midollo osseo; Bianca aveva ereditato la malattia, ma il suo medico, il dottor Valenti, l'aveva rassicurata sul fatto che la medicina avesse fatto grandi progressi, e che avrebbe avuto delle percentuali di riuscita dell'intervento molto alte.
Poco prima di Pasqua, Bianca aveva raccontato ad Alberto di essere ancora in attesa di un midollo compatibile col suo, così il giovane Baldi aveva telefonato a Sofia, dicendo che, chiedendo a suo padre di fare gli esami necessari, se fosse stato compatibile glielo avrebbe donato lui.
《Il tuo gesto è molto bello, ma sei sicuro di quello che fai?》chiese Sofia.
《Certo che sono sicuro! È da quando ne abbiamo parlato che sono fermo su quest'idea!》decretò Alberto.
《Non intendevo dire che hai mancanza di fegato, ci mancherebbe. Ma comunque donare un midollo osseo significa sottoporsi a un sacco di esami per verificare la compatibilità, e comunque vorrei ricordarti che è quasi aprile, e tra due mesi abbiamo la maturità...》osservò la Tindari.
《E allora?》fece Baldi.
《E allora... Farsi le analisi significa perdere un sacco di tempo ed energie che dovresti impiegare a studiare, senza contare che, per nostra sfortuna, Ugolino è membro interno della commissione, e sapendoti impreparato ti renderebbe la vita ancora più impossibile di quanto te la rende adesso...》gli fece notare lei.
《Farò tutto quello che devo fare. Mi dividerò tra i ripassi e le analisi. Non mi importa se uscirò sfibrato da questa storia, se la darò vinta a Ugolino... Sai quanto cazzo me ne frega di lui al momento? Per me la cosa più importante è la guarigione di Bianca, nient'altro conta ora come ora》rispose lui.
La ragazza non seppe come controbattere: l'amore lo rendeva coraggioso ma anche tremendamente incosciente, su questo non c'era ombra di dubbio.

                                        ***

E poi, la mattina del 15 aprile 2018, i ragazzi del liceo scientifico Albert Einstein, accompagnati dal preside Hagen Schneider e alcuni insegnanti, varcarono la soglia del Da Vinci, sulla cui facciata esterna campeggiava uno striscione con su scritto WILKHOMMEN a caratteri cubitali.
Gli studenti, i professori e il preside del Da Vinci li attendevano nell'atrio, e non appena li videro arrivare, esplosero in un lungo applauso di benvenuto.
Fu in quella confusione che lo sguardo di un ragazzo dai capelli scuri e mossi, e dai profondi occhi neri - non esattamente il ritratto dell'austriaco tipico - ricadde su Irene, che ricambiò.
《Sbaglio o quel tipo ti ha guardata?》sorrise Ester, alla sua destra.
《No, ma che dici. Io sono sicura che guardasse te》ribattè la Tindari.
《Ma io sono impegnata, non dimenticarlo...》ammiccò la Gherardi.
《Comunque ti ripeto che non è possibile che, di tutte le ragazze, stia guardando proprio me...》insistette l'una.
《Io invece sono sicura di sì》decretò l'altra.
E dopo che il discorso fu finito e le persone dei due istituti si dispersero, il giovane sconosciuto si avvicinò a Irene.
《Ciao!》la salutò.
《C...ciao... Ma sai l'italiano?》domandò la Tindari, balbettando dall'emozione.
《Sì, mio padre è di Trento. Comunque piacere, mi chiamo Hans Fabricetti!》si presentò lui, porgendole la mano.
《Irene Tindari!》fece lei, stringendogliela.
Era innegabile: Ester ci aveva preso in pieno.

                                         ***

Tuttavia, nonostante la situazione speciale in cui si trovava l'istituto, i problemi di tutti i giorni non avevano trovato sospensione: fu così che un giorno della seconda metà di aprile Laura si trovò a dover sedare un vero e proprio scontro tra i Michetti e Paolo Roversi sull'andamento scolastico di Enrico e sul suo comportamento distratto negli ultimi tempi.
《Io l'ho sempre detto che è colpa di questo zuccone palestrato, di questo personal trainer fallito che vuole usare nostro nipote per gli obiettivi che lui non è riuscito a raggiungere, riempiendogli la testa di sogni sulle Olimpiadi mentre invece ha la maturità e dovrebbe studiare!》sbraitava la signora Giulia, sputando veleno sul cognato.
《Per carità, meglio i vostri di programmi... Chiuderlo a vita in uno studio legale a fare ciò che non gli piace, con la scusa che è il vostro unico erede maschio, bypassando vostra figlia, peraltro!》ribattè quest'ultimo.
《Oddio, ma non l'avevamo già risolta, la questione? Tra l'altro avremmo anche uno scambio culturale in corso a cui pensare...》sospirò snervata la Castelli.
《È così che risolvete i problemi dei ragazzi? Due chiacchiere e tutti a casa, che tanto ci sono questioni più importanti da risolvere?》la sfidò l'avvocato Michetti.
《Veramente, caro signor Michetti, sa bene quanto siamo stati vicino ai ragazzi, basti pensare al fatto che abbiamo convinto Rachele Grandi ad ammettere di essere anoressica a causa di sua madre e a farsi curare. E poi possibile che siate tutti e tre così ciechi da non capire che vostro nipote è innamorato?》li zittì la docente.
《Innamorato?》chiesero i Michetti e Roversi, in coro.
《Esatto, è innamorato di Rachele e il motivo per cui può sembrare un po' distratto è il fatto che l'accompagna tutti i pomeriggi al gruppo di sostegno per i problemi alimentari, cosa che, mi pare, non gli tolga particolare tempo allo studio》replicò l'insegnante.
《Il nostro ragazzo innamorato...》commentò Paolo, dopo quella notizia.
《Ed è una gran bella cosa, quella che fa》concordò Giulia.
《Una dimostrazione d'amore grandissima》aggiunse Umberto.
《Ecco, allora cercate di lasciargliela vivere al meglio, senza stressarlo. È un ragazzo straordinario che ha avuto non poche difficoltà, ma sono convinto che ci stupirà tutti!》decretò Laura.
Nessuno obiettò, e quando se ne andarono, Laura sperò di aver messo per sempre a tacere i conflitti tra di loro.

                                         ***

Enrico non lasciava un attimo Rachele da sola, da quando aveva cominciato a frequentare il gruppo di sostegno: ed era grazie al sostegno del giovane Michetti che la Grandi stava riprendendo peso, arrivando al traguardo stabilito di un chilo; per sdebitarsi, la ragazza gli dava una mano con lo studio: non era uno degli studenti migliori del Da Vinci, ma per merito di lei, forse non sarebbe stato impietosamente bocciato da Ugolino prima dell'ammissione agli esami di maturità.
《Allora, come è andata oggi?》domandò premuroso lui.
《La psicologa è molto fiera di me, e ho anche stabilito un nuovo obiettivo: prendere un altro chilo entro la fine dello scambio culturale》dichiarò trionfante lei.
《Sono sicuro che ce la farai. Insomma, fino a qualche tempo fa nemmeno ammettevi quello che ti stava succedendo, e invece oggi combatti per te stessa e anche per me...》sorrise l'uno.
《E dai, non faccio niente di particolarmente eroico, semplicemente mi preoccupo degli amici... A proposito, dobbiamo andare a prendere Concetta, la vedo particolarmente concentrata sull'obiettivo di camminare entro giugno》osservò l'altra, mentre si dirigevano verso il reparto di Fisioterapia, dove la Fabbri era tutto meno che felice di essere vicina al suo obiettivo.
I mesi che le rimanevano per stare con Franco erano sempre meno, e la cosa era per la ragazza un vero e proprio tormento: sapeva che invece avrebbe dovuto gioire all'idea di acquisire le facoltà motorie tanto desiderate, e l'idea di essere sempre più triste all'idea di non andare più a quegli incontri le sembrava ridicola, ma non riusciva a farne a meno; amava Franco come non aveva mai amato nessuno in diciotto anni di vita, ma era sicura di non essere ricambiata e quindi se lo teneva per sé e soffriva enormemente.
《Allora, ci vediamo la prossima volta. Sei sempre in gambissima, e non è una battuta triste!》fece Baldi alla fine dell'incontro.
La solita allegria, la perenne impressione che a lui, della sua povera paziente innamorata, non importasse nulla.
Sarebbe stato il momento perfetto per la Fabbri al fine di dichiararsi, ma non trovò il coraggio nemmeno quella volta.
《A domani, Franco》concluse, mentre lasciava le stampelle e tornava sulla sedia a rotelle, che spinse velocemente per uscire dalla stanza e non farsi vedere mentre arrossiva.

                                         ***

Vieni al bar dei Patriarca alle cinque. Tuo padre e io ti dobbiamo dire una cosa. Mamma

Così recitava il messaggio su Whatsapp apparso sul display del cellulare di Valerio; cosa volessero dirgli, non lo sapeva, ma in cuor suo aveva la vana speranza che avessero accettato definitivamente l'idea che il loro unico figlio fosse gay e che stesse con Teodoro.
Vana, ma comunque non inesistente: il giovane Gracchi si augurava che, prima o poi, i suoi si mettessero l'anima in pace; Rosa gli aveva consigliato di non arrendersi, e Valerio ringraziava il cielo di averla incontrata: si era rivelata una preziosissima amica e confidente.
Si diresse al bar dei Patriarca, entrò all'interno, ma non vide nessuno, cosa che trovò strana: erano le cinque, l'ora dell'appuntamento, e i suoi genitori erano sempre stati puntualissimi.
《Ciao, Valerio!》esclamò una voce nota alle sue spalle.
《Ciao Rosa!》rispose Valerio, riconoscendo la Patriarca.
《Come mai qui? Insomma, non che non mi faccia piacere, ma aspettavo i miei...》confessò lei.
《Anche io aspettavo i miei》confidò lui, ma un dubbio attraversò la sua mente. 《A che ora ti avevano dato appuntamento?》chiese infatti.
《Alle cinque, perché?》replicò l'una.
《Perché anche i miei mi hanno detto di venire qui alle cinque》rivelò l'altro.
《Ma non è che volevano combinare un incontro per noi due soli? No, perché di solito tu qui ci vieni con Teodoro, e metti che si presenta qui... Potrebbe fraintendere》commentò la prima.
《Fraintendere? Macché, tu sei praticamente diventata la mia migliore amica, e hai anche abbastanza problemi di cuore da non volere pure quelli degli altri...》la tranquillizzò il secondo.
《Anche tu lo sei...》disse Rosa prendendogli le mani.
In quel momento però Teodoro stava venendo proprio al bar dei Patriarca, ma non appena vide in lontananza i due tenersi le mani, si sentì improvvisamente e dolorosamente di troppo e girò i tacchi, senza nemmeno farsi notare.

                                         ***

Giada aspettava come sempre Lojacono in palestra, al solito nascondiglio: i problemi della figlia non le avevano di certo tolto l'inclinazione al tradimento.
Ma quando il professore arrivò e lei emerse, andandogli incontro, notò che era strano.
《Che ti prende? Insomma, pare che tu stia andando ad un funerale, piuttosto che ad un appuntamento clandestino ed eccitante...》esordì, cominciando a toccarlo, ma lui era rigido.
《Giada...》cercò di fermarla.
《E dai... Lo so che sono giorni impegnativi, con questa storia dello scambio culturale, ma è proprio per questo che dovresti rilassarti...》continuò imperterrita lei.
Ma l'uomo le bloccò i polsi, glieli lasciò e sospirò.
《Giada, io mi sono stufato. Mi sono stufato di essere un uomo-oggetto, di essere l'angolo di evasione della tua vita troppo perfetta, di fare l'amante clandestino con cui ti rotoli nella palestra della scuola. Io voglio una donna che mi ami davvero e che mi faccia sentire importante, non residuale come fai tu. Non mi basta più tutto questo!》confessò finalmente il docente.
《Vito, ma mi stai lasciando?》domandò incredula la Grandi.
《Sì, ti sto lasciando. E se vuoi un consiglio, tornatene a casa, e accetta di aver passato i quarant'anni, e di non avere più l'età per nasconderti nel ripostiglio dei palloni. Oppure divorzia dall'ingegnere, se hai una dignità. Ma so che non lo farai perché non ti conviene. E adesso scusa, ma devo raggiungere l'unica donna che amo per davvero!》la liquidò Lojacono, lasciandola di stucco mentre correva via dalla palestra e andava a cercare Emma.
Le andò letteralmente addosso.
《Oddio, Vito! Ma che ti è successo, che non guardi nemmeno dove vai?》si spaventò lei.
《È stato provvidenziale, perché ti amo, Emma. Ti amo e finalmente l'ho capito》confidò lui.
《Sei sicuro di stare bene?》chiese l'una sorridendo.
《Mai stato meglio!》rispose l'altro, attirandola a sé.
Si scambiarono un lungo e appassionato bacio, che valeva più di mille parole.

                                         ***

Quelle due settimane furono indimenticabili sia per gli studenti del liceo Da Vinci, sia per quelli dell'istituto Albert Einstein: due settimane in cui la cultura internazionale europea rese la scuola il luogo più cosmopolita del mondo, in cui si parlava un po' tedesco e un po' romanaccio, in cui si mangiavano in contemporanea il gulash e la trippa, in cui non si facevano poi grandi paragoni tra vino e birra visto che tanto piacevano entrambi e a tutti.
Un'atmosfera viva e frizzante che aveva fatto sperimentare agli studenti l'esperienza della gita all'estero mai fatta - dato che al Da Vinci negli ultimi anni non avevano neanche gli occhi per piangere - e ai professori il tempo della loro giovinezza, tra gli anni Settanta e gli Ottanta, quando il mondo sembrava davvero infinito e a portata di mano; perfino Ugolino si ammorbidì, diventando meno minaccioso per quindici giorni.
Ma soprattutto, quello scambio culturale era stato galeotto per tre coppie in particolare: Emma e Vito, Rachele ed Enrico, e soprattutto Irene e Hans; i due ragazzi, dal momento in cui si erano scambiati il primissimo sguardo, il giorno dell'arrivo dei ragazzi austriachi, avevano capito che tra loro era scattato qualcosa di speciale e da quel momento non si erano più lasciati: per la giovane Tindari era stata una fantastica rivincita nei confronti di Youssef, che, al vedere come la sua eterna spasimante s'era rifatta una vita, si sentiva un po' spaesato. Tuttavia si avvicinava l'ultimo giorno dello scambio i due innamorati sapevano che presto le loro strade si sarebbero dovute dividere: per questo Irene voleva dargli un addio un po' speciale, per fare in modo che Fabricetti si ricordasse per sempre di lei.
L'ultima sera era stata organizzata una festa in istituito, con musica, balli, alcolici e angoli appartati per le coppie che si volevano infrattare.
《Penso che qui andrà bene, non ci potrà disturbare nessuno...》osservò Irene, accompagnandolo in un angolo del pianerottolo del primo piano, illuminato solo dalle luci bianche dei lampioni dietro i vetri delle finestre.
《Lo dici come se fosse un addio, quello tra di noi》commentò Hans.
《Perché, non lo è?》domandò la Tindari. Dal piano di sotto, intanto, provenivano le prime parole della canzone "La mia versione dei ricordi" di Francesco Gabbani:

Presto il tempo darà torto alle parole
E alla tua bellezza più di una ragione
Poche scuse buone da buttare
Ho raccolto tutto quello che eravamo
Nascondendolo in un posto più lontano
Come indovinare una fotografia

《Potrei tornare qui in Italia per l'estate...》ipotizzò Fabricetti.
《Si dicono tante cose prima della maturità. Ma quando tornerai a Vienna, avrai le tue cose a cui pensare e ti dimenticherai di me. Però è normale, non te ne fare una colpa. È il corso della vita. Resterò un ricordo, il tuo bel ricordo italiano》sorrise malinconica la ragazza.
Sapeva bene come funzionavano gli uomini, almeno basandosi su quelli di sua madre: si innamoravano, si prendevano quello che volevano, poi si disamoravano e se ne andavano; Hans era giovane, prometteva l'amore romantico che sfida le distanze, ma in fondo non era poi diverso dagli altri.

Forse ognuno ha la sua colpa
E ogni colpa i suoi perché
Che in silenzio si perdona da sé
Perché ognuno per sé stesso 
Veste la sua verità
Purché resti nuda l'altra metà

A quel punto Hans non aveva avuto più nulla da obiettare, cosicché Irene aveva cominciato a spogliarsi: non era mai stata con nessun ragazzo prima di allora, per quanto fosse la figlia di una madre sempre "in amore" e la migliore amica di una mangiauomini; quella con Fabricetti era la sua prima volta, e voleva che fosse unica e indimenticabile, avuta in una sera d'aprile con un ragazzo che l'indomani avrebbe salutato per sempre. Le pupille di Hans si dilatarono, nel vederla nuda di fronte a lui, cosicché si spogliò anch'egli, dopodiché si adagiarono sui vestiti sparsi per terra e lui cominciò a baciarla e ad accarezzarle il collo, la schiena, i seni, e poi sempre più giù mentre lei aveva cominciato a bagnarsi dall'eccitazione.
Forse le avrebbe fatto male, forse no, ma non era poi così importante: era così bello che non si capiva più tanto bene dove finiva lui e iniziava lei, o dove finiva lei e iniziava lui.

Lo dico ad ogni casa
A ogni vetrina accesa
A un cane che mi annusa
All'uomo e alla sua rosa

Irene apriva le gambe per fare strada nel percorso di Hans dentro di lei: e quando arrivò, quando la ragazza si sentì una cosa con lui, non sentì il dolore della verginità che andava persa, né fece caso al filo di sangue che aveva cominciato a colare.
Erano una cosa sola, nient'altro era importante.

Lo dico ai manifesti
Al mondo che ci ha visti
Per convincermi che è vera
A tutti i costi
La mia versione dei ricordi
Purché sia vera a tutti i costi
La mia versione dei ricordi

Non aveva idea se Fabricetti l'avrebbe ricordata per sempre esattamente come le aveva promesso poco prima, ma di una cosa la giovane Tindari era certa: non avrebbe mai dimenticato quella notte, e a ricordarla negli anni a venire, la sua versione sarebbe stata per sempre la più bella e romantica.

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