Capitolo 8

[ATTENZIONE! PRESENZA DI SCENA CON RATING ROSSO!]

Blythe guidò per oltre un'ora prima di fare una pausa, fermando l'auto ad un discount lungo la strada di ritorno per Edwynville. Aaron aveva cercato di dormire sul sedile anteriore per un po', così da racimolare energie sufficienti per dare il cambio al quarterback quando si fosse presentato il suo turno. Guardò l'ora sul display del telefono: cinque e mezza del mattino. La testa gli girava un po' e la pancia cominciava a brontolare, il solito metabolismo accelerato che lo aveva continuamente distinto arrivava puntualmente a ricordargli che anch'esso non aveva sempre aspetti positivi. Diede un'occhiata a Garrett, completamente abbandonato ad un profondo sonno e disteso lungo tutto lo spazio dei sedili posteriori. Aaron uscì dall'auto e cercò di richiudere lo sportello senza fare rumore. Rivolgendosi a Blythe, sussurrò: «Lasciamolo qui e facciamo incetta di snack, sto morendo di fame.»

L'altro diede un'occhiata a Garrett attraverso il finestrino, tacque un momento. «Perché non lo portiamo con noi?» Gli comparvero due rughe ai lati della bocca, a formare una sorta di sorriso maligno.

«Che intendi dire?»

«Lo vedrai. Ora fa' come ti dico.»

Poco dopo, sospirando per la fatica di quella che Aaron aveva ritenuto un'impresa, Blythe si affacciò all'ingresso del discount, e rivolgendosi di nuovo al ragazzo, con un braccio gli fece gesto di entrare. Aaron spinse pian piano il carrello da spesa, al suo interno Garrett giaceva addormentato a rannicchiato su se stesso. Blythe si lasciò sfuggire una gran risata che non riuscì a soffocare. Aaron lo seguì, coi costanti crampi allo stomaco di quella nottata frenetica. «Se si sveglia ci ammazzerà!»

Blythe prese le redini del carrello e cominciò a scorrazzare per tutto l'enorme e deserto discount, seguito da Aaron che riprendeva tutto col suo telefono. Quando incontravano i pochi dipendenti della struttura, i due rallentavano, non badando al compagno nel carrello, e fingendo di esaminare gli scaffali. Aaron fece incetta di merendine al cocco e aggiunse anche due bottiglie di un succo d'ananas con latte. Dalle casse poste in cima alle alte pareti della struttura, prese a diffondersi una musica che inizialmente il ragazzo non riconobbe, più per l'annebbiamento dei sensi di cui era ancora vittima che per una reale difficoltà di comprensione.

When you're alone and life is making you lonely

You can always go downtown

When you've got worries, all the noise and the hurry

Seems to help, I know, downtown

Ma certo, non poteva che trattarsi di Downtown di Petula Clark. Quando quelle prime battute della canzone si diffusero, Aaron assistette contemporaneamente a due scene che per i suoi occhi furono straordinarie: Blythe cominciò ad ondeggiare coi fianchi mentre spingeva il carrello, e dal suo labiale era chiaro che stesse anche sussurrando le parole della melodia. Nel mentre, Garrett schiuse gli occhi, sporse il capo oltre il bordo del carrello in movimento e guardò in basso, con stupore in volto. Sembrò ad Aaron che avesse reagito un po' come quei bambini che, durante le gite in barca, hanno modo di vedere delfini e altre specie marine correre lungo il fianco della barca e saltare allegramente dalla superficie dell'acqua, in uno spettacolo di grande suggestione per quegli occhi infantili e ancora innocenti. Subito dopo, Garrett prese a cantare le frasi successive della canzone fino a giungere al noto ritornello con impeto crescente, mentre Blythe accelerava, spingendolo più velocemente lungo la via, fra gli scaffali dei prodotti per la casa:

«So go downtown

Things will be great when you're downtown

No finer place for sure, downtown

Everything's waiting for you!» Garrett si affacciò sulla parte anteriore e allargò le braccia il più possibile: «Guardami! Proprio tu, signorina! Sono il re del mondo! Sono il re del fottuto mondo!»

Aaron corse dietro l'urlo liberatorio dell'amico, con una espressione estasiata e l'anima fremente di vita, fino a quando Garrett non barcollò e ricadde all'indietro. Emise due suoni provenienti dallo stomaco, e finì per vomitare sul pavimento grigio del discount.

«Oh che schifo! Ci ha visto qualcuno?» Blythe diede un'occhiata attorno a sé. Quindi tornò a spingere il carrello e si diresse alla cassa. «Facciamo finta di nulla. E tu, stavi per vomitarmi addosso!»

Garrett, ripulendosi la bocca con la manica del giubbotto, lo guardò con volto biancastro e mugugnò: «E di chi sarebbe la colpa?»

*

Tenendo divaricate le gambe della ragazza con le proprie braccia irrigidite, Aaron schiuse gli occhi e li sollevò per un momento sopra di sé. Da lì in basso, inginocchiato ai piedi del letto, vide prima il ventre liscio e, risalendo ancor più, il viso di Bonnie in un'espressione ansante ed eccitata, gli occhi chiusi e il fiato corto. Spostò lo sguardo di lato, in direzione della finestra: la luce che riusciva a filtrare fra gli spiragli delle tende gli procurò la necessità di tornare a coprirsi la vista fra le gambe della ragazza, in penombra. Si abbassò di nuovo, le sfiorò il sesso prima col naso e poi con le labbra. Cominciò a leccarle il clitoride con la lingua arcuata, in movimenti circolari e sempre più rapidi, fino a che Bonnie prese ad emettere gemiti più forti. Aaron godeva della sua capacità di procurare in lei simili reazioni, ma a quel pensiero, com'era già capitato in precedenza, ne seguì un altro, più doloroso. Finiva sempre per mettere Claire in un angolo, e durante l'atto sessuale gli era capitato persino di avere l'impressione di rivederla che lo analizzava con espressione di rimprovero diretta a lui. Tuttavia non era qualcosa che sembrava avere mai la capacità di farlo smettere davvero. Spinse più forte le dita contro le cosce di Bonnie e, sentendo la propria erezione premere contro i jeans stretti, rapidamente se li sfilò e si mise sopra di lei. Entrò e spinse da subito con decisione, poi Bonnie aprì gli occhi e lo fissò con sguardo quasi sbalordito, una goccia di sudore prese a rigarle la fronte pian piano. La ragazza gli bloccò il collo nella stretta della sua mano intanto che i loro corpi si muovevano in sincronia, e lo portò contro le sue labbra, baciandolo con una passione di cui mai fino ad allora Aaron le aveva visto dare sfoggio. Gli parve che i suoi occhi dal colore di un levigato legno di quercia lo inseguissero in una richiesta quasi di supplica, ma Aaron era solito viaggiare con la testa ben oltre le reali impressioni che le persone volevano concedergli. Così tornò a spingere con impeto, fino a quando Bonnie non venne un attimo prima di lui. Aaron rotolò accanto a lei, sfinito, e guardò il soffitto della stanza come stava facendo Bonnie.

Poco dopo, si accesero entrambi una sigaretta e si sedettero ai piedi del letto.

«E' un bel posto questo motel» cominciò Bonnie.

«Sì, i miei sono stati davvero fortunati a trovarlo e a comprarlo ad un prezzo accessibile.»

«Non ero mai entrata in queste stanze. A dire il vero, non ero mai entrata nemmeno nelle reception, prima d'ora.»

«La vecchia proprietaria non aveva un nipote con cui potevi fartela?»

«Sei un gran coglione.» Risero entrambi, prima di una lunga pausa in cui nessuno dei due parlò. Aaron sentì il capo della ragazza poggiarsi sulla sua spalla. Titubò un po' per quello che ritenne un gesto inaspettato, quindi con lentezza le circondò le spalle col suo braccio.

Bonnie diede un'occhiata all'orario sul suo orologio da polso. «Dovrei andare alla tavola calda, fra poco comincia il mio turno.»

«Ma tu quando ci torni a casa tua?»

«La notte, per dormire. Ma se posso evito anche quella. Cerco di non esserci il più possibile.»

«Perché? E i tuoi ti lasciano il permesso?»

«I miei? Mamma non c'è più» Bonnie si abbassò per infilarsi e allacciarsi le scarpe.

«Se n'è andata? Intendi questo?»

«E' morta, tanto tempo fa. Mi è rimasto solo papà.»

Aaron ci pensò un po' prima di rispondere. «Mi dispiace.»

«Non fa niente» disse Bonnie, facendo spallucce. «Se evito di incontrare papà sto meglio.»

«Non ti seguo. E' tuo padre, lo hai detto anche tu che ti è rimasto solo lui.»

«Mi sono espressa male: mi riferivo al legame di sangue. Tutto il resto è andato, sparito. O forse... forse non c'è mai stato.» Mentre parlava, Bonnie manteneva un'espressione assente, anche le sue labbra si muovevano appena. Sembrava che le parole le uscissero dalla bocca come accade ad un robot, solo meno meccanicamente, ma in maniera altrettanto chiara. I suoi occhi avevano smarrito l'ardore di poco prima, assumendo le tinte smorte e grigie del cielo che se ne andava al tramonto in quel pomeriggio.

«Ti va di parlarmene?»

«Ti è mai capitato di avere dentro di te... Qualcosa che ti turba, che ti turba fino ad instillarti la paura, anche solo di raccontarlo? Quasi come se il tuo corpo, la tua testa, fossero in totale balia di questa cosa. E tu non puoi fare altro che assecondarla. Tenerla per te perché lei ha deciso così, perché lei vuole evitare che tu possa in alcun modo uscirne. E ci riesce, ci riesce davvero. Ti è mai capitato?»

Aaron diede un rapido esame visivo alla stanza, prima di tornare con la testa ferma a guardare davanti a sé. Claire se n'era andata. «Sì, è successo.»

«Bene-»

«-E sai, ora non credo di voler più che tu me ne parli. Non ora almeno.» Si sentì gli occhi della ragazza addosso, ma non poteva farci niente, non sarebbe stato capace di ascoltarla davvero.

«Non fa niente, tanto non te ne avrei parlato comunque, proprio per questa ragione qui. Ora devo proprio andare.» Bonnie si alzò e baciò Aaron su una guancia. «Ci vediamo in giro alla festa della fondazione?»

«Sì, ci vediamo lì fra due giorni.»

Bonnie aprì la porta della stanza numero cinque del motel e se la richiuse alle spalle uscendo, riabbandonandolo alla penombra di quell'ambiente. Aaron risistemò le lenzuola del letto, andò in bagno e fece pipì. Tirò lo scarico e si sciacquò mani e viso, guardandosi infine allo specchio: il ciuffo di capelli gli ricadeva bagnato sulla fronte, e non godeva di una bellissima cera.

Pensò a Lotte, al chiarore della sua pelle che, diversamente dal suo, non la rendeva meno attraente. Pensò ai suoi lunghi capelli dalle tinte vermiglie, ai suoi grandi occhi cerulei. E pensò anche a ciò di cui lui e Blythe avevano parlato, alla storia del cambiamento. Alla fine del percorso ci potevano essere due sole soluzioni: le persone cambiavano lungo la via o, ancora, tornavano allo stato precedente e confermavano se stesse. Ma anche quello, immaginò, doveva essere una forma di cambiamento. E chissà a quale categoria di persone lui avrebbe risposto.

Angolo autore:

Ciao a tutti! Con questo capitolo si conclude il mini viaggio dei tre ragazzi a Pittsburgh, col solito Garrett che oramai non vuole saperne di starsi al posto suo, e abbiamo anche modo di affrontare un'altra situazione 'spinosa' (dopo ovviamente un momentino bollente). Ecco, anche Bonnie non è che se la passi benissimo e finalmente decide di aprirsi un po' con Aaron, ma un po', non troppo. E al nostro Aaron questo ricorda in parte il suo di passato, con questa cosa che lo tormenta e che gli impedisce di affrontare la vita più di petto, con più entusiasmo e quant'altro. Ma bando alle ciance, superato questo ottavo capitolo un po' più breve per mio chiaro volere, e un nono capitolo altrettanto breve ma per me significativo, comincia (e non finisce, forse) la parte sulla Festa della Fondazione, una sorta di festa patronale come accade dalle nostre parti, ma più americana naturalmente, con i riti e le tradizioni di Edwynville. E in tutto ciò, cosa accadrà ad Aaron e compagnia bella? Posso dirvi che ci saranno dei confronti, con cambi di punti di vista annessi al capitolo. Vi consiglio di non perdervelo, perché un bel tocco di romanticheria è alle porte!

Beh,votate, apprezzate, condividete, commentate, leggete. Noi ci rivediamoprestissimo ;) 

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