Capitolo 6
Ai piedi del palco, nella Sala Teatro dell'Edwynville High School, una dozzina di studenti ammirava l'esibizione di Erin al pianoforte. Fra di loro, Garrett si guardò attorno per avere ben chiara la reazione dei presenti: la professoressa Hutchinson aveva in volto una espressione estasiata, coi folti capelli ricci che sembravano ampliare il loro volume man mano che la musica procedeva verso la sua conclusione. Garrett era sicuro che, ogni qual volta Erin dava sfoggio delle sue abilità musicali, diventava difficile per chiunque sottrarsi ad una anche minima forma di coinvolgimento emotivo nei confronti della melodia e dell'espressività del suo volto, mentre le sue dita danzavano con grazia sulla tastiera del piano a coda. Il ragazzo si premette con l'indice gli occhiali squadrati contro il viso, quindi si lasciò andare ad un applauso – ben più contenuto di quello della signora Hutchinson, ma non per questo meno sincero – quando l'ultima nota si fu dispersa nell'aria. Erin si alzò dallo sgabello, sistemandosi una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio. Dal suo volto era scomparsa quella sorta di dolenza, di partecipazione attiva alla musica, e traspariva adesso una manifestazione di totale indifferenza nei confronti dei pochi presenti che rumoreggiavano nella sala, eccitati dal suo talento. Erin lasciò il palco, quindi Garrett sbuffò nel vedere la professoressa che le si avvicinava, facendole i più sinceri complimenti e affermando che non erano più necessarie altre sue prove per lo spettacolo. Intanto che la dozzina di ragazzi cominciava a disporsi sulla scena, indossando costumi, spostando mobili e tende, e sforzandosi di intonare la propria voce con improbabili esercizi vocali, Garrett notò l'arrivo di Olivia nella sala. La ragazza si guardava attorno, con aria spaesata, così Garrett fece richiamo a tutto il suo dubbio carisma e si avviò verso di lei, il petto in fuori in uno sforzo non indifferente. Prima che potesse superare il gruppetto di cheerleader nel frattempo dispostosi attorno ad una stizzita Erin, gli si parò davanti l'amica Zoe. «Eccoti qui» fece la ragazza.
«Ehi, com'è andata agli allenamenti?» domandò in modo circostanziale Garrett. Alzò lo sguardo oltre l'amica per scoprire che Olivia era stata avvicinata da uno dei fratelli Foster. Roteò gli occhi.
«Non così bene, sono piuttosto sicura che mio padre abbia un disperato bisogno di te, anche se non è così disposto ad ammetterlo.»
Garrett rise. «Sappiamo com'è fatto tuo padre, ma finché la Hutchinson richiederà il mio aiuto coi copioni e tutta questo casino qui» disse, indicando distrattamente un po' tutto il gruppo sul palco, «non potrò essere granché presente agli allenamenti.»
«E qui, com'è che va?»
«Come ogni anno l'esibizione di Erin eclisserà completamente lo spettacolo teatrale, ma potrebbe andare peggio.» Il ragazzo ignorò il sorriso di Zoe, incorniciato da un viso ambrato e da lisci capelli bruni, e tornò a seguire con lo sguardo Olivia oltre le sue spalle.
Zoe scosse il capo. «Muoviti, va' da lei, prima che Jim Foster la streghi con le sue lentiggini.»
«Sei la migliore!» Garrett rise, baciando la guancia dell'amica e facendosi strada fra i compagni. Olivia lo riconobbe a qualche passò da lei, così gli andò incontro, liberandosi di Jim, e lo salutò con un sorriso radioso. «Anche tu qui?»
«Beh, io "ci lavoro"» rispose Garrett, dando particolare enfasi a quelle due ultime parole. «Tu, piuttosto, che sei venuta a fare?»
«Ero curiosa di vedere come funzionasse questa roba dello spettacolo. E' una tradizione di Edwynville, giusto?»
Prima di poter aprire bocca, Garrett valutò la possibilità di rispondere mettendo in mostra tutte le sue conoscenze in materia, spaziando dalla storia di fondazione di Edwynville al motivo per il quale ogni anno la scuola preparava una rappresentazione teatrale in quella occasione. Ma preferì contenersi, di certo non era così che avrebbe fatto colpo sulla sorella di uno dei suoi nuovi migliori amici. «Giusto, ma nulla di eclatante» bofonchiò, con simulata noncuranza. «Quest'anno mettiamo in scena 'Piccola città', di Wilder. La conosci?»
Olivia scosse il capo.
«E' un'opera stupenda, molto semplice nella sua rappresentazione, ma non per questo meno intensa. Wilder ha un modo di...» Garrett si interruppe. Olivia lo stava fissando con le sopracciglia sollevate, sorridendo, sul volto una espressione lievemente confusa, ma non per questo meno dolce. "Ci risiamo, dovevo star zitto", pensò il ragazzo tra sé. Come gli era capitato spesso quando teneva fermo lo sguardo su quello della ragazza troppo a lungo, anche in quella circostanza Garrett, cercando di porre un inutile confine tra quelle pupille e le iridi ugualmente scure, si ritrovò a perdere il contatto con la realtà, come se lo spazio-tempo avesse singhiozzato e risucchiato il ragazzo nel mondo buio e indefinito degli occhi di Olivia.
«E' tutto a posto?» chiese lei, dopo che la frase del ragazzo si era spenta senza una vera conclusione, lasciando campo a quell'imbarazzante silenzio.
«Si, si è tutto a posto.» Garrett distolse gli occhi da lei, grattandosi la nuca. «Vieni con me, ti mostro un po' quello che facciamo qui. Così potrai decidere se ti interessa o meno.» Fece cenno ad Olivia di seguirlo. Ma invocando il suo nome, ed attraversando a grandi falcate la sala del Teatro, lo raggiunse niente meno che Blythe Fisher – una rarità che si facesse vivo in un posto simile.
«Collins, ti devo parlare» cominciò il ragazzo possente, con una certa dose di affanno.
Garrett strinse gli occhi. «Mi sembri malconcio. Che hai fatto ai capelli? C'è un tifone fuori da scuola?»
Blythe estrasse rapidamente il telefono e si specchiò nel suo display spento, passandosi frettolosamente una mano sul ciuffo biondo cenere sparato in tutte le direzioni. «Qualcosa di simile.»
«E il vento ti ha anche abbassato la cerniera lampo dei pantaloni?» domandò ancora Garrett.
Olivia abbassò lo sguardo dal viso di Blythe al cavallo dei suoi pantaloni, lasciandosi sfuggire una breve risata, subito soffocata. Dopo aver tirato su la lampo, Blythe si voltò di scatto verso la ragazza, che arrossì. «Scusa» riuscì a sussurrare Olivia.
«Preoccupati del fatto che non ti vedrò mai con la lampo abbassata, di questo passo» ribatté Blythe.
«Beh, può anche essere che semplicemente io sia più attento di te in queste cose.» Garrett si ritrovò gli occhi dei due sui suoi. Già, anche a lui non sembrò molto convincente come giustificazione. «Cosa dovevi dirmi?»
«Mio padre non è contento dei miei voti in scienze, e in matematica» parlottò il ragazzo aitante.
«Nessuno sarebbe contento dei tuoi voti-»
«-per la miseria, taci. Ho bisogno di recuperare coi prossimi compiti. Di questo passo il football non potrebbe bastarmi per quella borsa di studio. Devi aiutarmi.»
Olivia ruotava il collo dal più basso Garrett al possente Blythe, in silenzio.
«Che palle, perché proprio io?» Il ragazzo occhialuto si mise le mani sui fianchi, in una posa di esasperazione. Capì da subito di non potersi sottrarre da quella seccatura.
«Mi puoi garantire i risultati migliori nei tempi minori. Andiamo... Non te lo chiederei se non fosse necessario.»
"Ora fa anche la voce da cane bastonato", pensò Garrett. «Che mi dai in cambio?»
Olivia e Blythe lo fissarono di nuovo, probabilmente non aspettandosi da lui una reazione di quel tipo.
«Ti levo Tyler di torno, ho i mezzi per farlo. Non ti darà più fastidio».
La proposta era sicuramente interessante, ma non sufficiente a giustificare quell'operazione ingrata come colmare le lacune in scienze e matematica del capitano dei Noble Deers. «Va bene. E poi?»
«E poi?» Blythe gli fece eco, visibilmente perplesso. Non avendo alcun riscontro da Garrett, proseguì: «Ti do il permesso di uscire con mia sorella. Preparerò una serata tra voi due, soli. E' una possibilità unica, credimi.»
Garrett cercò automaticamente con gli occhi Erin: se ne stava indisposta in fondo alla sala, ancora circondata da un gruppetto di cheerleader che cercavano la sua attenzione, con una faccia tutta sofferente. «No, tua sorella no.»
«Perché no?» intervenne inaspettatamente Olivia. «Insomma, sembra una gran bella ragazza.»
«Può sembrare quello che vuole, ma è insopportabile. Con tutto il rispetto» continuò Garrett, rivolgendosi a Blythe. «E poi, in che epoca ci troviamo? Possiamo ancora programmare gli incontri a tavolino?»
«Collins, non voglio iniziare una discussione sulle diverse abitudini sociali nel corso della storia. Senti qua: ti offro di venire con me a vedere la partita dei Pittsburgh Steelers, fra due settimane.»
Garrett spalancò gli occhi. «Sul serio? Mi offriresti un biglietto?»
«Se sei disposto ad aiutarmi, si.»
Il ragazzo occhialuto si grattò i ricci neri: si era quasi convinto, ma mancava ancora qualcosa. «Facciamo che offri un biglietto anche ad Aaron, e non se ne parla più.»
«Lewis? Perché proprio lui? Perché non ti porti Zoe?»
Garrett sorrise, avendo previsto la reazione negativa di Blythe. «Coach Kaleb non lascerebbe mai che sua figlia vada fino a Pittsburgh con me e te. Andiamo, la tua nemesi non è così male.»
«Non è la mia nemesi, solo che non lo digerisco granché. Ma okay, se è questo che vuoi-»
«-Andata!» lo interruppe Garrett, eccitato.
Blythe salutò i due e se ne andò con aria contrariata.
«Però, te la sei cavata bene» riprese subito dopo Olivia.
Garrett reagì impettendosi e imitando il tono convinto di Blythe: «Che credevi? Sono io che preparo i suoi schemi.»
Olivia sorrise, guardando in direzione della porta, richiusasi poco prima alle spalle del quarterback. «Ora capisco com'è che le ragazze cascano ai suoi piedi. Ha un fascino davvero niente male.»
Garrett la osservò di profilo, provando dentro di sé ad attutire il contraccolpo di quelle ultime parole. Sospirò, sperando che così quello sconforto venisse ricacciato. «Già» dichiarò, e come se niente fosse accaduto, cominciò a mostrare ad Olivia i compiti riservati agli interpreti di 'Piccola Città'.
*
L'occhio della telecamera zoomò pian piano sulla parete dell'Overlook Hotel. Restringendo sempre più il proprio campo visivo, si focalizzò sulla foto centrale di tutta una serie in ordine su quella parete. Si avvicinò ancor più, mostrando nel dettaglio il sorriso inquietante di Jack Torrance in abiti eleganti, in piedi fra un gran numero di gente festante. Poco al di sotto del suo papillon, comparve la scritta in corsivo: Overlook Hotel July 4th Ball 1921. Seguirono i titoli di coda, segnando la conclusione della pellicola.
Lotte ruotò il collo verso destra, e guardò Aaron stravaccato nella poltrona del vecchio cineforum, ancora con gli occhi ai titoli di coda. Avrebbe tanto voluto sapere cosa stesse passando per la testa del ragazzo in quel preciso istante. Quando Aaron si voltò verso di lei e sorrise, Lotte immaginò che almeno avesse apprezzato la riproposizione del film, così gli sorrise di rimando. I due si infilarono i giubbotti ed uscirono dalla sala quasi del tutto vuota. All'esterno, la notte era calata sul cielo di Edwynville, e l'aria di fine settembre tipica del nord della Pennsylvania aveva già portato con sé i primi segni di quello che sarebbe stato un lungo e ostile inverno. Lotte ed Aaron camminarono lungo un marciapiede nelle vie centrali della città, semideserta in quel venerdì sera, accompagnati da un singolare ma non per questo spiacevole silenzio, o almeno questa fu l'idea che si fece la ragazza. Aaron abbassò lo sguardo e si tastò lo stomaco da sopra il giubbotto blu. «Mi è venuta fame.»
«Non solo a te. Che dici, tavola calda dei Rutherford?» chiese Lotte, stringendosi ancora un po' nel cappotto.
Aaron indugiò, si guardò intorno e le mostrò quello che a Lotte parve un sorriso forzato. «Che altro c'è in città?»
«Non ti piace la loro cucina?» replicò lei, incerta della sua reazione.
«Oh si, si che mi piace. Ero solo curioso di, ecco, sapere se ci sono altri posti degni di nota.»
«Beh, ce ne sono, ma non se si tratta di saziarsi con qualcosa che valga la pena mangiare. Ho bisogno del mega cheeseburger del signor Rutherford.» Lotte congiunse le mani, in segno di preghiera e le avvicinò al petto di Aaron.
Questi tentennò ancora. «Va bene, e tavola calda sia!»
Qualche centinaia di metri più in là, il ragazzo aprì le porte del locale, lasciando che Lotte facesse il suo ingresso prima di lui. Presero posto in un angolo, subito oltre una famigliola che ingeriva del frappé rosa dalla cannuccia.
«Quindi non sei un gran fan di Tarantino?» chiese lei, aprendo il menù nella pagina delle 'Specialità della Casa'. Avevano cominciato poco prima una discussione che, partendo dai commenti sulla visione di Shining, si era estesa ai loro interessi cinematografici, con Aaron che aveva finito per dilungarsi in un monologo sull'importanza della 'caratterizzazione del protagonista'.
«Mmh, sai, credo che alle volte semplicemente non riusciamo ad apprezzare certe opere, pur essendo dei capolavori.» Aaron continuò a guardarsi attorno, quasi non si sentisse a proprio agio, e Lotte, per quanto le riuscisse difficile, cercò di ignorare quell'aspetto.
«La stessa ragione per cui non mi piace granché David Russell.»
Aaron scosse il capo. «Ma Russell no, non può non piacerti!»
«Ehi, accontentati. Perlomeno non rinnego il tuo Linklater,» continuò la ragazza, «che in generale credo sia molto più raro da apprezzare.»
«Okay, okay!» Aaron pose le mani davanti a sé, coi palmi rivolti verso la ragazza. «Tregua.»
La signora Rutherford li raggiunse al tavolo ed estrasse una penna ed un block notes dalla tasca del suo grembiule. Raccolse le ordinazioni dei due, e quando si allontanò parve a Lotte che quell'operazione avesse avuto un che di liberatorio in Aaron, che si distese nel suo posto a sedere un po' come aveva fatto durante tutto lo spettacolo.
«Ora che ci penso,» fece Lotte, tornandole in mente ciò che aveva visto quella mattina, mentre seguì con gli occhi la signora Rutherford allontanarsi verso il bancone «non ti ho ancora raccontato del tuo capitano e di Bonnie.»
Aaron la squadrò di sbieco. «Sarebbe a dire?»
«Ero lì al campo in compagnia di Marlee - sai com'è, sempre desiderosa di sbavare dietro quel bell'imbusto di Doug - e passando per il retro degli spalti ho visto Blythe e Bonnie sbaciucchiarsi, direi violentemente. E lui le infilava una mano nei pantaloni, con una certa goffaggine-»
«-va bene, mi sembra molto chiaro!» proruppe Aaron, spostandosi il ciuffo bruno dalla fronte.
«Non sarai mica un tipo schizzinoso?» rise Lotte. Il viso scarno di Aaron impallidì un po', o forse si trattò più semplicemente del riflesso della luce al neon posta sopra di loro. Lotte non sapeva dirlo con certezza.
«Nient'affatto. E' che in generale non provo grande simpatia per Blythe, e tutto ciò che lo riguarda» mormorò Aaron, guardando oltre il vetro della finestra.
«Sarà.»
Poco dopo, quando la signora Rutherford tornò coi rispettivi piatti, Lotte diede un gran morso al cheeseburger e si prese un lungo momento per goderne il sapore, prima di tornare sull'argomento: «Ma non è un tantino squallido farsela con qualcuno, Bonnie o chicchessia, solo perché ha la reputazione di essere facile?»
Aaron tossì, la zona sotto agli occhi arrossì repentinamente. Quindi bevve un sorso di coca cola direttamente dalla lattina, e respirò. «Mi è andato di traverso un po' dell'hamburger. Ma si, credo anch'io che sia squallido. Magari però qualche volta si ha bisogno di soddisfare il proprio appetito.»
«Ah già, l'appetito sessuale è una cosa importante.» Vedendo Aaron che annuiva alle sue parole, senza dir nulla, Lotte riprese: «Ma penso che un minimo sforzo, un minimo di buon senso... Magari il fatto di potersi guadagnare una cosa così, credo valga già molto di più. In fondo, non è forse brutto quando è facile, quando abbiamo tutto sotto al naso?»
Aaron la ascoltò in silenzio, quindi sorrise. Un signore canuto dalla schiena ricurva si avvicinò al jukebox vicino, da cui fece diffondere True love waits dei Radiohead.
Aaron prese a muovere il capo al ritmo di quella dolce melodia, e giocherellò con una patatina fra le mani, facendola scivolare sul piatto lungo un letto di salse speziate. Lotte gliela sottrasse dalle mani e la divorò in un sol boccone.
«Dimmi di Philadelphia. Hai dovuto lasciare qualcuno di importante lì? Se non sono indiscreta.» E Lotte sperò davvero di non esserlo. Distolse meccanicamente gli occhi da quelli marroni di Aaron quando la incontrarono, finendo per fissarsi i capelli dalle tinte rosse che le ricadevano sulle spalle.
«In realtà no. Non ho mai avuto così tanta gente al mio fianco.»
«Ma qualcuno c'è stato, no?»
«Si, ma ho dovuto dirgli addio parecchio tempo fa. Quindi dopo si può dire che sono rimasto solo, escludendo Olivia. Ehi, non sto facendo la parte della vittima, per niente.»
«Hai "dovuto" dirgli addio?» chiese Lotte con una certa enfasi, ignorando la battutina del ragazzo.
«Non è una gran storia da raccontare... Non lo è affatto.» Un tuono squarciò il cielo, e la pioggia cominciò con forza crescente a martellare contro i vetri della locanda.
Lotte tacque. Seguì il profilo delle gocce di poggia scendere lungo la finestra, zigzagando e unendosi ad altre gocce sorelle sempre più numerose. Non poté negare a se stessa che desiderava ardentemente conoscere la storia "nient'affatto interessante" di Aaron. Al tempo stesso, però, quel senso di empatia che provava nei suoi confronti le parve rafforzarsi, così lo accompagnò ancora una volta nel suo silenzio, assimilandolo e apprezzandone i motivi. Attraverso il riflesso del vetro, scorse Aaron che la osservava con gli stessi occhi di quella notte al lago. Si alzò in piedi e si voltò a prendere il cappotto, così da nascondere il rossore delle gote al ragazzo.
«Stiamo già andando? Ti bagnerai parecchio sotto questa pioggia» fece Aaron, pulendosi il contorno delle labbra con un tovagliolo.
«Oh, credimi, ti bagnerai parecchio anche tu» replicò lei, avviandosi verso la porta d'uscita. Salutò i giovani signori Rutherford, ed Aaron la raggiunse sistemandosi con un certo affanno il giubbotto. Gli occhi ridenti e cerulei di Lotte si spostarono dall'asfalto bagnato davanti a sé al viso titubante di Aaron. Gli prese la mano in una stretta solida, lasciando intendere che non avrebbe potuto liberarsene così facilmente. «Corri! Corri!» E gridandolo in un'eco ansante, si gettò col ragazzo al seguito nella tormenta.
Angolo autore:
ebbene si ragazzi, dopo non so quanto tempo, ce l'ho fatta ad aggiornare! Mi scuso con il mio piccolo seguito di lettori, ma è stata tanto dura in questo periodo con gli esami. Dopo il 7 Marzo però, con l'ultimo esame della sessione, avrò molto ma molto più tempo per scrivere e aggiornare con frequenza maggiore! Detto questo, passiamo al capitolo. Come avrete notato c'è stato un cambio nel punto di vista della narrazione, anzi, ce ne sono stati due: nella prima parte Garrett e nella seconda Lotte (spero si sia capito da subito!). Vi avevo già in parte avvisato del cambiamento, mi serviva per vagliare e scandagliare le sensazioni degli altri personaggi, senza però esagerare e rendere troppo chiare vicende che possano allontanarsi dal racconto principale. Avrete anche notato che si tratta di un capitolo molto più 'rilassato' degli altri due precedenti, ma era inevitabile. Dopo due feste, una gomitata nel naso, una nottata di fuoco e qualche sbronza senza fare nomi (Garrett!), mi serviva una sorta di capitolo di passaggio (ma neanche troppo, c'è un appuntamento in corso!), molto più dialogato che potesse portare a ben altri risvolti diciamo effervescenti! Già, nella mia testa c'è un mucchio di idee a cui sono pronto a dar vita, ma ci voglio arrivare pian piano (sono un tipo vecchio stampo io). Ah! Avete visto? Bonnie l'ha fatta grossa anche stavolta, senza nemmeno essere presente fisicamente nel capitolo! Che guaio per Aaron... e con Lotte? Come si evolverà tra loro la situazione? Spero che le vostre idee coincidano con i miei grandi piani! Prima di chiudere, abbiamo avuto un piccolo anticipo della 'gita' a Pittsburgh di un fantomatico trio che non sembra così ben assortito: Blythe, Garrett ed Aaron. Che succederà tra i tre? E Garrett ce l'ha qualche chance con Olivia o è del tutto fuori strada?
Voi continuate a leggere, votate e fatemi sapere cosa ne pensate, ed io risponderò ad ogni singola domanda (anche e soprattutto posta da me)!
P.S. La seconda parte del capitolo comincia con la scena finale di Shining, se non lo avete visto o non sapete cosa diavolo sia (male!). E il Jack citato è il protagonista, interpretato dal mitico Jack Nicholson.
Saluti!
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