Capitolo 3


Respirando a pieni polmoni l'aria fuori dal laboratorio, Aaron si rese subito conto di trovarsi in difficoltà con il corso di Scienze già dal suo secondo giorno di scuola. Il professor Reynold si era dimostrato sicuramente un osso più duro del suo ex insegnante a Philadelphia. Da una finestra scorse il campo da football dove i membri della squadra stavano facendo riscaldamento e gli tornò in mente il suo proposito di richiedere al coach un provino.

Scendendo la gradinata d'ingresso della scuola vide una ragazza dai lunghi capelli castani poggiata contro una ringhiera e, guardandola un po' più in basso, scorse la sua ampia scollatura che ne metteva in mostra il seno sodo. Non fece minimamente caso ai due ragazzi che le stavano di fronte con le mazze da lacrosse in spalla, neppure al professore anziano e grassoccio a cui Aaron diede una spallata.

«Mi scusi, non volevo.»

Il professore fece una smorfia e si allontanò. Aaron guardò nuovamente in direzione della ragazza che intanto lo aveva notato e aveva leggermente riso per quella scena. Prima di tornare a rivolgere l'attenzione ai due tipi di lacrosse, mutò la sua espressione in uno sguardo terribilmente provocante, il trucco perfettamente delineato che incorniciava i suoi occhi stretti, fissi su quelli di Aaron.

Raggiunto il campo d'allenamento, da classico ragazzo con gli ormoni fuori posto e in preda all'anarchia, Aaron non si era ancora levato dalla testa la chiara provocazione della ragazza e, più di tutto, la sua accentuata scollatura. Cercò quindi di focalizzare l'attenzione sul vero obiettivo: quel coach col berretto giallo, leggermente sovrappeso, che gridava al runningback di "tenere su le chiappe molle".

«Dio, quanto sei coglione Tyler. Avevo adattato apposta lo schema alla comprensione della tua testa da criceto» disse un ragazzo occhialuto seduto sulla fila più bassa degli spalti, subito alle spalle del coach.

«Già, Tyler, sei un gran coglione!» gridò il coach sputacchiando sul prato da gioco. Il ragazzo occhialuto si levò dalla testa un berretto identico a quello del coach e si mise le mani fra i capelli ricci. Al suo fianco, una ragazza con la pelle diafana rideva con una mano davanti alla bocca, forse per non farsi sentire dal coach adirato. Aaron riconobbe in loro la coppia che stava seduta alle sue spalle durante l'ora di Matematica: quel ragazzo infatti, un certo Garrett Collins, si era fatto notare parecchio rispondendo in modo esatto ad ogni domanda che la professoressa Russo aveva rivolto alla classe. Lei invece era Zoe Kaleb, una tipa apparentemente riservata coi capelli castani e gli occhi da cerbiatto, specie quando batteva le palpebre.

«Ciao ragazzi» salutò Aaron avvicinandosi alla coppia.

«Ehilà» gli fece Garrett, ancora con le mani fra i capelli. Aaron si avvicinò a loro così da poter parlare con un tono di voce più basso. «Credete... Credete che sia un buon momento per chiedere al coach un provino?» Lo indicò con l'indice e fece una smorfia quando lo sentì sbraitare verso un giocatore.

«Beh, Aaron, è così che ti chiami, no? Non credo che avrai modo di parlargli se speri di trovarlo in un altro stato.» Garrett accennò ad un sorriso.

«Hai ragione. Solo che... Non è un tipo con cui vorrei avere a che fare, ecco.»

Garrett stavolta rise sul serio, mentre Zoe si schiarì la voce catturando l'attenzione di entrambi. Ma non parlò, così intervenne di nuovo l'amico: «E' suo padre, il mitico Coach Kaleb.»

Aaron tenne per qualche secondo la bocca semiaperta, manifestando così tutto il suo vivo imbarazzo. «Oh, mi dispiace. Non intendevo...»

«Sta' tranquillo» gli rispose Zoe ridendo con la complicità di Garrett. «Hanno tutti paura di mio padre. Persino il preside ne ha.»

«Beh, tutti tranne Blythe Fisher» disse Garrett.

«E chi sarebbe Blythe Fisher?» Aaron fece quella domanda sperando così che l'imbarazzo svanisse al più presto, più che per un vero interesse.

«Quello lì, il quarterback col numero venti» Zoe indicò il rettangolo di gioco. In quel preciso istante il giocatore con la maglia numero venti stava ruotando su se stesso così da liberarsi con disinvoltura della marcatura avversaria, per poi far partire un lancio telecomandato verso un compagno metri e metri più in là. Il giocatore non doveva far altro che accogliere la palla fra le braccia e andare dritto a segnare il touchdown in campo aperto.

«Non male...» mormorò tra sé Aaron.

«Comunque, Aaron, il provino puoi farlo adesso» disse Garrett.

«E tu che ne sai?»

«Sono l'assistente-coach. Mi occupo di queste faccende, beh, oltre che degli schemi.»

«Già, è una garanzia» intervenne Zoe annuendo col capo. Certo Aaron non si sarebbe mai aspettato che un tipo di gran lunga più mingherlino di lui e con la faccia da erudito avesse un ruolo così di rilievo nella squadra di football. Ma preferì non esternare quel pensiero, credendo che lo avrebbe fatto apparire come uno che giudica dall'apparenza. E di certo non avrebbe fatto piacere a Garrett.

Più tardi Aaron fece il suo ritorno a bordo campo dagli spogliatoi, indossando l'uniforme da allenamento dei Noble Deer, i Cervi Nobili, come si facevano chiamare i membri della squadra. Garrett gli sopraggiunse affianco e gli diede una pacca sulla spalla. «Sei fortunato, i più veloci li hanno lasciati nella tua squadra. Cerca di evitare in qualsiasi modo la marcatura del quattro e del venti.» Aaron individuò i due giocatori, aveva capito da solo che il quarterback fosse un osso duro, ma aggiunse alla sua lista anche il difensore con la maglia numero quattro, un vero gigante. «Okay.»

«Buona fortuna» gli disse Zoe con quel suo tono di voce delicato.

«Bene Lewis» il coach gli si avvicinò, le mani che tenevano sollevati i pantaloni. «Vediamo che sai fare. Partiremo da uno schema semplice, vai a prendere posizione!» Aaron si avvicinò ai suoi compagni di squadra. Qualcuno gli rivolse un saluto, mentre la maggior parte sembrava avere troppa pressione o essere troppo sfinita per accorgersi di lui. Il capitano lo informò dello schema e subito l'azione partì. Aaron si mosse in solitaria andando verso il fianco sinistro del campo. Le gambe gli tremavano, ma l'adrenalina gli permise di correre al suo meglio e di evitare buona parte del muro avversario. Nell'arco di pochi secondi aveva superato mezza squadra, così si voltò in cerca del suo quarterback, e subito questi gli lanciò la palla. Non era stato preciso come il numero venti avversario, ma di certo sapeva il fatto suo. Aaron riuscì a raccogliere il pallone prima che toccasse terra e in uno slalom superò altri due avversari. Vide la meta farsi più vicina, senza però accorgersi in tempo che qualcuno a grandi falcate gli si stava avventando contro. L'avversario riuscì a toccarlo alle spalle quanto bastava da farlo capitolare a terra, senza alcuna difficoltà.

Aaron si girò sul fianco per vedere da terra il suo abbattitore. Era il quarterback con la numero venti, Blythe Fisher. A quella breve distanza da lui, poté riconoscere i suoi lineamenti oltre il casco: gli occhi grigi e la mascella squadrata furono sufficienti ad individuare in lui lo stesso ragazzo che aveva voluto affrontare il giorno prima, lo stesso che aveva incrociato il giorno del suo arrivo ad Edwynville dal finestrino dell'auto in corsa. Blythe non disse una parola, lasciò indifferente Aaron a terra e tornò ad occupare la sua posizione.

Aaron tornò fra le file dei suoi, soddisfatti, e ricevette anche applausi da Garrett e Zoe in tribuna. La squadra riprese lo schema della precedente azione. Stavolta però Aaron non riuscì a superare più di due o tre avversari che si ritrovò addosso, sbucatogli frontalmente in una frazione di secondo, il gigantesco giocatore con la numero quattro. Aaron fu scaraventato con le spalle a terra, toccando il suolo quasi con tutti gli arti contemporaneamente. Si trattò di un attimo, ma prima di crollare vide davanti ai suoi occhi una strada tempestata di neve e, alla fine, un lampo di luce prima del buio.

Riaprì gli occhi e vide sopra di sé tante teste sudate esaminarlo come fosse una cavia da laboratorio. Il coach si fece spazio fra quelle teste. «Va tutto bene figliuolo?»

«Si, si va bene. Credo solo...» L'unica cosa che credeva, pensò, è che non poteva di certo dire di aver visto qualcosa nella neve contro cui si schiantava. Era una roba che doveva tenere per sé. «Credo solo di aver sbattuto la testa, forte.»

«Okay. Zoe! Portalo in infermeria.» Il coach lo aiutò a rialzarsi, quindi lasciò che sua figlia Zoe lo accompagnasse fuori dal campo.

La visita in infermeria fu solo precauzionale, Aaron aveva perso i sensi solo per pochi secondi a causa di qualcosa, un ricordo, di cui credeva di essersi in parte liberato. Il sole stava tramontando oltre i boschi quando Aaron e Zoe raggiunsero Garrett nel parcheggio della scuola, proiettando le loro ombre sull'asfalto chiaro.

«Come stai?» gli chiese il ragazzo occhialuto e riccio.

«Potrei stare meglio, ma grazie. Che pensa il coach di me? Brutta impressione?»

«Beh, detto sinceramente, credo volesse subito farti fuori dal giro» fece Garrett a denti stretti, virgolettando quelle due ultime parole con le dita. «Ma ho cercato di mettere in luce i tuoi punti di forza: non hai un gran fisico, però sei veloce e hai un buon slalom nello stretto. E poi non sei peggio di Tyler, l'ho fatto notare al coach. Sei in squadra, sempre che tu lo voglia ancora.» Aaron ascoltò ogni singola parola con entusiasmo crescente, finendo per cingere all'improvviso Garrett con un abbraccio.

«Grazie amico!» Lo aveva conosciuto solo poche ore prime, eppure, per il favore che gli aveva rivolto, quel ragazzo godeva di tutta la sua stima e gratitudine. «Come posso sdebitarmi?»

«Uhm, dato che è ora di cena e muoio di fame non mi dispiacerebbe se tu mi offrissi gli anellini di cipolla e la crostata dei Rutherford» disse Garrett accarezzandosi la pancia da sotto la spessa felpa grigia.

*

Oltre l'ampia vetrata della tavola calda dei signori Rutherford, coppia di coniugi la cui cucina americana era molto stimata ad Edwynville, l'alternanza di sfumature calde e bluastre del giorno che terminava faceva da sfondo alla cena dei tre ragazzi. Aaron si era gentilmente offerto di pagare anche per Zoe, per il semplice fatto che sprigionava dolcezza e simpatia da ogni poro. Quando la cameriera si avvicinò a prendere le ordinazioni, Aaron riconobbe in lei la ragazza "dall'ampia scollatura" che in quel pomeriggio lo aveva fatto finire contro un professore.

«Ehilà, Kaleb, Collins e...» la ragazza si interruppe tenendo gli occhi su quelli di Aaron, sempre in una sorta di inclinazione seducente.

«Lewis» concluse Garrett. «Aaron, ti presento Bonnie Lloyd.»

«Piacere di conoscerti, straniero» fece Bonnie con tono sottile, allungando il braccio verso Aaron e lasciando scoperta una porzione di seno oltre la camicetta da cameriera. Aaron deglutì. «Piacere mio.»

«Allora, ragazzi,» continuò Bonnie scandendo le parole con lentezza, «vi farete vivi all'inaugurazione di domani o resterete in disparte anche quest'anno?»

«Quale inaugurazione?» chiese Aaron.

«E' una tradizione dei ragazzi della nostra scuola» gli rispose Zoe. «Si inaugura il nuovo anno scolastico con una festa al lago poco fuori dalla città. Lo conosci?»

«Si, il Nightfall Lake.»

«Esatto. E ogni anno finiamo per essere sommersi dall'alcol. Puoi immaginare cosa capita dopo» disse Bonnie lisciandosi i lunghi capelli scuri con cura e lentezza. Aaron cominciò a pensare che quella fosse l'espressione che aveva comunemente in volto, del tutto naturale, e non che la sfoggiasse per qualche ragione solo con lui.

«Sembra interessante» disse Aaron.

«Lo è» fece Bonnie con un mezzo sorriso.

«Voi ci andate?» domandò quindi Aaron rivolto a Zoe e Garrett.

«Beh, non è proprio il nostro genere di festa-»

«-Voi non avete alcun genere di festa» disse Bonnie sbuffando verso il ragazzo occhialuto.

«E' il nostro ultimo anno, credo che fare un tentativo non sarebbe affatto un male.» Aaron provò così ad incoraggiarli. Apprezzava Garrett e Zoe, ma non aveva alcuna intenzione di lasciarsi sfuggire quell'occasione e restare in un angolo. Se avessero detto di no, ci sarebbe stata comunque Olivia a fargli compagnia, come asso nella manica.

«E va bene, mi hai convinto» dichiarò Garrett roteando gli occhi.

«Va bene?» Zoe non parve granché convinta, ma con riluttanza anche lei diede il suo assenso.

«Certo, ma non per merito tuo» rispose Garrett, guardando Bonnie da sopra gli occhiali. La ragazza infatti gongolava e ridacchiava.

«E che importa? Questo sarà un grande, grande traguardo per l'umanità!» esclamò lei, prima di raccogliere le ordinazioni e allontanarsi ancheggiando vistosamente.

Angolo autore:

Bene ragazzi. Nel terzo capitolo si allarga ulteriormente il panorama dei personaggi principali, abbiamo infatti l'aggiunta di Garrett, un secchioncello non di vecchio stampo, poi c'è Zoe, sua amica del cuore nonché figlia del temuto coach, Bonnie, una tipa estroversa e magari perversa (?) e un Blythe ancora in ombra. Manca qualcuno? Certamente: la "ragazza del lago" non è stata ancora rilevata, ma presto sarà il suo turno! Da quanto avrete capito, ciò che aspetterà Aaron e compagnia bella nel prossimo capitolo sarà qualcosa di "non convenzionale". Una festa coi fiocchi a base di alcol ed episodi magari da censurare (per l'esattezza)! Lotte farà di nuovo la sua comparsa, Olivia sarà circondata dalle attenzioni di un bel gruppo consistente di ragazzi ed Aaron, Garrett, Zoe e Bonnie... beh, vi toccherà continuare a leggere per scoprirlo. Quindi vedete di non deludermi, leggete, votate, aggiungete la storia fra i preferiti e... diffondete il verbo!

P.S. Per vedere che volto ho scelto per i personaggi, ricordate di vedere il cast. Ah, presto ci saranno variazione nei punti di vista (sempre in terza persona) del racconto. Alla prossima :)

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