Capitolo 24 - Seconda Parte


Aaron trovò la persona che cercava al di là dell'ampio salone adibito a festa, nel corridoio, mentre se ne stava seduta in modo scomposto a metà delle scale buie che conducevano al piano di sopra. Erin teneva in una mano un bicchiere, e con l'altra scorreva sul display del telefono, che le illuminava il viso quanto bastava affinché lui potesse riconoscerla con certezza. Con passo lento la raggiunse, sedendosi un gradino più in alto del suo, senza dir nulla.

«La festa non è abbastanza esaltante per uno che viene da Philadelphia?» chiese Erin, rivolgendogli una rapida occhiata, prima di tornare a scorrere col pollice sul display.

«In realtà, non sono mai stato ad una festa simile. Sono abituato a standard più bassi, direi... molto più bassi» replicò lui, incerto se aver detto qualcosa che a lei potesse interessare davvero o meno. Quelle di Erin si erano rivelate fin troppe volte domande che nascondevano la forzatura di conversazioni per niente auspicate, seppur nascoste dietro un raffinatissimo e ricamatissimo velo di disinvoltura.

«E allora perché sei qui?»

«Ti stavo cercando.»

«Mi stavi cercando» ripete lei, distogliendo lo sguardo dal display solo per portarlo più in alto davanti a sé. «Ti ho già restituito la chiave del motel.»

«Non è questo. Sai la conversazione dell'altro giorno? Magari l'hai già dimenticata. In ogni caso, ho parlato con Lotte, stamattina. Le ho detto di Bonnie, più o meno quello che c'era da sapere.»

«E?» fece Erin, riponendo il telefono e vuotando in un sorso il bicchiere.

«E non l'ha presa bene. Nel senso, certo che non l'ha presa bene, ma proprio bene per nulla. Per quanto le cose tra me e Bonnie siano capitate perlopiù prima che io e lei ci avvicinassimo sul serio, non ha potuto fare a meno di sentirsi presa in giro. Ma al di là di questo, ha sentito il peso di tutta la mia incertezza, tutta la mia incertezza nei suoi confronti.»

«Nulla di realmente nuovo» replicò lei. «Eccetto che stavolta le hai parlato. Aspettati che per un bel po' non si faccia viva dalle tue parti. Anzi, più probabilmente non lo farà mai, e toccherà a te tornare alla carica.»

«Hai detto le cose più ovvie del mondo. Da te non me lo sarei mai aspettato.» Aaron la fissò, e nell'attesa della sua risposta si chiese quando si sarebbe decisa a ricambiargli lo sguardo.

«Perché c'è solo questo da sapere. Non dovresti prepararti a festeggiare? Sono tutti di lì, e manca pochissimo ormai.» Erin poggiò le mani sulle gambe avvolte da un corto vestito grigio perlato e le fece scorrere per distenderne le piccole pieghe.

«Tu perché sei qui tutta sola?» azzardò Aaron.

«Perché è qui che adesso voglio stare.»

Mentre lui guardava giù in fondo agli scalini, riflettendo sui possibili significati reconditi di quella risposta, si ritrovò gli occhi di lei addosso, silenziosi, inquisitori.

«Quanto ti dispiace per averle detto la verità?» domandò quindi lei.

«Un bel po'. Forse avrei dovuto star zitto, facilitarmi le cose.»

Erin scosse il capo, prima di replicare con forte disappunto: «Perché tu sei davvero sicuro che la tua vita sia complicata, non è così?»

«Non è quello che ho detto. Non è così complicata, nessuna delle nostre vite lo è. È che... non riesco a venire a capo di quel che ho dentro. Quello che c'è qui in fondo, da qualche parte, afferrarlo, e alla fine... vederci riflesso uno scopo, chi sono. Sembra un mucchio di banalità, e se così fosse, che importanza avrebbe? Ci sono intrappolato, e mi starà bene esserlo finché non troverò la chiave.»

«L'io non è una gabbia» fece Erin, abbassando appena il tono della voce graffiata. «Non ti serve alcuna chiave. È più una... una vasta vallata tra montagne che sfiorano il cielo, un fiume che scorre impavido, quasi straripa, e si getta in mare aperto. È un oceano e l'orizzonte in fondo. Non ne verrai così facilmente a capo, se è questo che importa a te. Ma non è questo il punto.»

Aaron la ascoltò attento, seguendo il movimento delle sue labbra di profilo, ma quando si accorse in leggero ritardo che Erin aveva smesso di parlare, avanzò la sua più banale domanda: «E quale sarebbe il punto?»

Lei sorrise lievemente nel buio. «Lo scoprirai.» Controllò ancora il telefono, forse per sapere quanto mancasse alla mezzanotte, quindi lo ripose sul gradino su cui era seduta. Guardò il ragazzo: «Vuoi sapere cos'è successo nella stanza del motel, col consulente scolastico, l'altra sera?»

Aaron resse appena i suoi occhi grigi. «La cosa mi ha incuriosito e preoccupato per tutto il tempo. Quindi sì, vorrei proprio saperlo, se non è un problema.»

Erin si spostò un ciuffo di capelli biondi dietro l'orecchio. «Prima che se ne andasse l'anno scorso, Matthiew, quello che per voialtri è il consulente Ford, si interessò alla mia attività di scrittura per il giornale scolastico. Non che me ne occupassi granché, ma capitava spesso che Amy e la sua combriccola di reporter venisse ad infastidirmi per mancanza di spunti interessanti, e non mi sono mai tirata indietro dal tirarli fuori da certe situazioni. Ma salterò tutta questa parte» soggiunse Erin, per buona pace di Aaron che mal sopportava la sua autocelebrazione. «Diciamo che Matthew riconobbe il mio potenziale. Da ragazzo desiderava fare lo scrittore, sai? Pubblicare e vivere dei suoi romanzi. Una mezza follia, ma tant'è. Aveva da darmi buoni consigli, che io seguivo quasi alla lettera. So che era molto soddisfatto del rapporto instauratosi tra noi, probabilmente non ritroverà più una studentessa così in gamba con cui lavorare.»

«Ma non è questo il suo compito come consulente,» la interruppe incerto Aaron, «e non è questo che vuoi raccontarmi.»

«Sì, esula dai compiti che ha come consulente scolastico, più o meno, ma non è mica una cosa proibita. È tenuto al dare consigli agli studenti. In ogni caso» fece Erin dopo una breve pausa, sistemandosi meglio sul gradino, «poco dopo qualcosa è cambiato tra noi. O forse non è mai cambiato, semplicemente si è rivelato. Di volta in volta che lo incontravo, trovavo che fosse sempre più in difficoltà, sempre più restio a vedermi. Eppure si contraddiceva, lui voleva me, non per insegnarmi a scrivere meglio, ma solo per starmi vicino.» Erin si voltò a guardarlo, sul volto un'espressione indecifrabile. «E io volevo lui» riprese in un sussurro. «Sapevamo entrambi che non sarebbe potuta andare così ancora per molto. Io sono sempre stata più in gamba di lui e di chiunque altro in questo piccolo posto a tener ben celati i miei sentimenti. D'altronde avevo Grant al mio fianco, ed ero sempre stata bene con lui.»

«Poi lo stesso Grant fece quel che fece» intervenne perentoriamente Aaron, all'incirca intuendo quello che Erin avrebbe aggiunto.

«Dopo la scappatella con Bonnie, l'unica persona che desideravo vedere era Matthiew. Così corsi da lui, che mi accolse, mi strinse a sé. Volevo fare l'amore con lui. Quasi lo facemmo, ma si fermò richiamando quel che restava della sua integrità. Tanto bastò per autoconvincersi che non sarebbe stata la cosa giusta per lui e per me. Mi lasciò dormire con lui quella notte, e poco dopo andò via. Accettò di lavorare in una scuola forzatamente solo perché riteneva di dover restare distante da me. Ma lui amava Edwynville e la vita che si era creato qui. Appena ne ha avuto la possibilità, è tornato, dopo appena un anno.»

«Gli è andata proprio bene, coi tempi che corrono» commentò Aaron, un po' inutilmente.

«Direi di sì. Ad ogni modo ho provato ad avvicinarlo di nuovo sin dai primi giorni. Ma è cambiato, trattandomi come se nulla fosse mai successo. Sapevo che per un po' avrebbe alloggiato nel tuo motel, e sapevo anche che non mi avrebbe mai aperto la porta.»

«Così hai fatto la tua cazzata e ti sei intrufolata col mio aiuto» la interruppe ancora lui, annuendo.

«Mi ha sgridata, dopo essersi preso un bel colpo. Prima non lo aveva mai fatto. E alla fine mi ha cacciata. Un momento da cancellare, non mi sono mai sentita così idiota.» S'interruppe ancora, controllò l'ora sul telefono, e lo stesso fece Aaron. Ormai mancava pochissimo alla mezzanotte. «Non puoi dirlo a nessuno» soggiunse lei.

«Non mi interessa averti in mio potere servendomi dei tuoi segreti. Quello è il tuo sporco gioco» replicò lui, ma non seppe dare continuità al tono di finta serietà con cui aveva parlato, lasciandosi sfuggire un sorriso.

Erin lo guardò con la coda dell'occhio e scosse il capo. Sembrò che l'espressione del viso dovesse permanere nel suo stato di indifferenza, ma Aaron colse il lieve movimento delle labbra che si curvavano all'insù. Nel salone accanto, la musica era stata appena staccata, e una voce vigorosa, maschia, ma non per questo meno sobria, che aveva tutta l'aria di appartenere a Doug, richiamò l'attenzione dei presenti, invitandoli a partecipare all'imminente conto alla rovescia, quindi a prepararsi ad innalzare i calici, e a trovare il proprio compagno o la propria compagna da baciare.

«Che storia è questa?» chiese Aaron, dopo aver valutato attentamente le ultime parole di Doug.

«Fai sul serio?» ribatté Erin, stringendo gli occhi. «È una sorta di tradizione moderna. Banale, stupida, priva di significato, ma pur sempre una tradizione. L'hanno voluta loro.»

«Non ho avuto modo di informarmi, e Garrett non me ne ha parlato.» Aaron fece spallucce, quindi aggiunse: «Forse di proposito. Che stronzo.»

La ragazza sorrise, prima di chiedere: «Quindi non sei venuto qui con l'intenzione di baciarmi?»

Aaron sgranò gli occhi e scosse il capo. Si ricompose subito. «Certo che no, e non ho comunque intenzione di farlo.»

«Beh, poteva essere che fosse così. Un tipo prima di te è passato per sedersi accanto a me.»

«Immagino che non ci possa essere chance migliore di questa per ottenere la gloria di un bacio con Erin Fisher.»

«Qualcosa del genere. Ma ho dovuto rifiutare, era quel viscido di Chace, un tuo compagno di squadra.»

Le grida nell'altra stanza sul conto alla rovescia partirono, prima slegate e confuse, poi più coordinate e forti.

«Continuerai a far faville a modo tuo anche quest'anno» disse Aaron, «al di là di questo episodio poco fortunato.»

Erin lo guardò, incerta. «Ti riferisci a stasera, giusto?»

Aaron rise. «Fai finta che non abbia detto nulla.»

«Lo sto già facendo.»

Nel salone i presenti esplosero in stramazzi e ululati. Da quella posizione, attraverso l'arcata al piano sottostante, i due poterono cogliere migliaia di coriandoli dorati volare per tutto la frazione di salone a loro visibile, e molti dei ragazzi scambiarsi baci più o meno appassionati o brindare coi calici alzati.

Erin tornò subito a rivolgere la propria attenzione ad Aaron. Avvicinò in un gesto rapido e naturale le labbra sulle sue, lambendole in un bacio semplice. La fragranza di Erin era quella di un fiore incerto, e il tocco della sua bocca era morbido e appena freddo. Aaron chiuse gli occhi quando lei stava già per distaccarsi, seppur con una non trascurabile lentezza. La vide rialzarsi davanti a lui e sistemarsi il vestito grigio perlato con le mani sottili.

«Ti conviene scendere, di prosecco e champagne ce n'è in abbondanza, ma non so il dolce quanto resisterà all'assalto di quella bambagia.» Erin girò i tacchi alti sul posto e prese a scendere i gradini di marmo, solo per fermarsi un attimo ancora e aggiungere: «E buon anno.»

Aaron rise, guardandola dargli le spalle. «Buon anno a te.» Aspettò che lei scendesse con tutta calma e che rientrasse e si perdesse nella ressa di gente. Si rialzò, sistemò il colletto della camicia in cotone, e si apprestò a raggiungere Garrett. 

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