Capitolo 23

Aaron si affacciò sull'ampio corridoio che precedeva la mensa, fermandosi ad osservare la difformità dei soggetti davanti ai suoi occhi. I membri della squadra di calcio erano ancora nelle loro tute rappresentative, di quel giallo-verde così vistoso che chiunque lì in mezzo avrebbe faticato ad ignorare, e si muovevano tutti con espressioni deluse sui volti, spesso alternate a gesti di stizza dovuti con molta probabilità ad una sconfitta maturata qualche ora prima. Cinque dei ragazzi del coro erano seduti attorno ad un tavolo e si esercitavano per lo show che avrebbe preceduto la partita di football. Alcuni di loro indossavano un maglione fatto apposta per quell'evento: il volto di una renna sorridente – o forse di un cervo? –, con indosso una sciarpa a righe giallo-verdi, campeggiava su uno spesso strato di lana, anch'esso verde. I colori dei Noble Deer erano proprio ovunque, lì dentro. E lo stesso maglione vide indosso a Lotte, nell'angolo opposto rispetto al suo, mentre saliva su una scala sorretta da una sua compagna e piazzava una grossa stella sull'albero di Natale. Completato il lavoro, la ragazza si girò sul posto, in equilibrio sulla stretta piattaforma della scala, allargò le braccia e sorrise alle compagne in basso, che applaudirono in modo visibilmente fiero.

Aaron guardò Lotte, per un attimo dimenticandosi della partita che lo attendeva, e si sforzò di sorridere a quella scena. Ma rinunciò subito. Le labbra gli tornarono meno distese. Deglutì, sovrappensiero.

Aaron faceva scorrere l'indice sul corrimano dell'ampio portico, nell'attesa che qualcuno del centro accorresse ad accoglierlo. Si voltò verso la porta d'ingresso quando una donna esile, i capelli castani diradati e un cipiglio rilassato, gli si avvicinò e sorrise appena. «Mi scusi per averla fatta aspettare. Prego, da questa parte.»

Aaron ebbe accesso ad un'ampia sala. La donna puntò il dito verso la parete opposta, si voltò a guardarlo e con espressione soddisfatta disse: «Sta impegnando quasi tutto il suo tempo per far sì che questo posto abbia la migliore atmosfera natalizia possibile.»

Aaron annuì, tenendo gli occhi fissi sul fondo della sala.

«Come vede, in molti la seguono e si sforzano di aiutarla nel migliore dei modi. Ma ora vada, non voglio intrattenerla oltre.» La donna indicò la via con un lieve movimento del braccio, senza smettere di mantenere quell'aria gioconda sul volto.

«La ringrazio» si limitò a dire lui. Raggiunse lentamente il piccolo gruppo di persone impegnato ad allestire un albero di natale, facendo particolare attenzione al modo in cui un signore con la testa ricoperta da una folta e riccia capigliatura grigia sorrideva e annuiva alle direttive di Claire. Sorrise quando trovò finalmente i suoi occhi e la abbracciò, tenendola a sé per qualche lungo secondo.

«Grazie per essere venuto» cominciò Claire appena si fu liberata dalle sue braccia.

«Ma ti pare? Temevo fosse un brutto posto, troppo brutto per lasciarti a lungo qui da sola.»

«Non da sola. Guardati attorno, ci sono tantissime persone come me.»

Aaron annuì, ma non fece nulla per accontentare la sua richiesta e continuò a guardarla. «Nessuno è come te».

Claire rise appena. Resse il suo sguardo, con le pupille che vibravano in piccoli, discontinui sussulti. «Qui siamo considerati tutti ugualmente speciali.»

«Okay, ma io sono qui per te.»

«E come ho detto, te ne sono grata. Vogliamo fare due passi? Così potrò mostrarti quanto questo sia un posto tutt'altro che brutto.»

«Indicami la via.»

Qualche minuto dopo, Claire condusse Aaron verso il giardino retrostante la grande dimora, e guardandosi prima attorno, nel silenzio frammentato dal vento fra i rami, gli prese piano la mano, intrecciando le dita alle sue. «Non vedevo l'ora di rifarlo.»

«Tenermi la mano?»

Claire annuì.

«Perché non farlo prima?»

«Vorrei cercare di dare una certa immagine di me, in questo posto. L'immagine di chi può farcela con le proprie forze, al di là dell'aiuto necessario che questa struttura di recupero ha da offrire.»

Aaron rifletté per un momento in silenzio, tenendo gli occhi sul sentiero davanti a sé. «Non sono sicuro di capire. Poco fa mi hai fatto credere di apprezzare il fatto di essere qui.»

«Certo che sì, ma nella prospettiva di quello che mi sarebbe potuto capitare davanti in alternativa. Stiamo pur sempre parlando di luoghi presso i quali curare i propri disturbi, le proprie malattie. In questa prospettiva, ecco, non avrei potuto chiedere molto di meglio. I miei genitori stanno spendendo una fortuna per tenermi qui.»

«E tu vuoi dare l'impressione di essere pronta ad uscire di qui il prima possibile. Capisco.»

«Ovviamente ciò non toglie che ne passerà di acqua sotto ai ponti prima che possa vedere la parola fine a questa storia.»

Aaron voltò lo sguardo verso di lei. «Dici che ci vorrà più di qualche settimana?»

Claire rispose a quella domanda inclinando il capo e sorridendo. «Qualche settimana? Credo si tratterà di mesi, Aaron.»

«Mesi? Sul serio?»

«Sai come vanno queste cose.»

«No, direi proprio di no. Non sono mai stato in un centro di recupero» replicò Aaron amareggiato.

«Ehi,» Claire si piantò davanti a lui e chiuse anche l'altra mano nella sua, «andrà tutto bene. Le persone qui sono buone con me. Gli adulti, gli anziani, i ragazzi.»

«Attenta a quelli» la ammonì ironicamente lui, senza però replicare al sorriso dolce di Claire.

«I ragazzi in posti come questi non sono affatto motivo di preoccupazione» disse lei.

«Okay, okay. Ma ricorda, le persone sono buone con te anche fuori da qui. Lo sono in molti.»

«Fuori da qui mi importa solo di te.» Claire lo abbracciò come aveva fatto lui quando l'aveva rivista quel pomeriggio. Ma fu un abbraccio più intimo, più caldo, ed Aaron lo percepì.

«Non è così,» replicò lui sospirando, «non ci sono solo io per te.»

«Non mi importa, non mi importa. Se ho te, ho tutto.»

Aaron non avrebbe saputo riconoscere con certezza quanto preoccupante potessero essere le intime parole sussurrate da Claire contro il suo petto irrigidito dal freddo, ma non dovette sforzarsi troppo per risolversi, una volta di più, in una tacita presa di distanza da esse.

«Lewis» fece una voce alle spalle del ragazzo. Aaron si voltò nella sua direzione, trovandosi di fronte l'ultima persona che si sarebbe aspettato gli rivolgesse la parola, specie in un giorno così prossimo al natale.

«Erin» rispose lui a bassa voce. Restò ad osservarla per un po', approfittando del breve intervallo di silenzio che anche lei impiegò per esaminarlo rapidamente con gli occhi grigi: se ne stava lì difronte a lui con la schiena dritta, le gambe appena divaricate, e i pugni serrati poggiati sui fianchi. Indossava un dolcevita nero e, guardando più in basso, riconobbe il pantalone verdone che aveva catturato la sua attenzione quel pomeriggio in cui si erano addentrati da soli nel bosco, prima di restare bloccati nel piccolo rifugio, mentre cercando di tenere il passo di lei un metro più indietro tentava di ignorare la vista delle sue gambe atletiche e formose che si muovevano avvolte in quel tessuto. Sorrise lievemente, senza incrociare il suo sguardo.

«È giunto il momento» riprese Erin.

«Quale momento?»

«Il momento di adempiere alla tua funzione, così avrai almeno qualcosa per cui renderti utile.»

«Adempiere alla mia funzione. Sei così criptica.»

«Non appena finiamo con la scuola, va' al motel, prendi la chiave della tua stanza e portala da me.»

Aaron annuì dopo qualche secondo. «Perché dovrei portartela io? Perché non vieni tu? Il tuo cane... Amory? Amory. Perché non lo porti con te a fare due passi dalle mie parti, come fai di solito quando devi spiarmi?»

«Non posso rischiare che lui mi trovi lì,» disse Erin, abbassando la voce, «e non ti ho mai spiato. Sei tu che non poni attenzione a quel che combini.»

«Senti...» Aaron sospirò e si guardò intorno. «È troppo rischioso. Se quel tipo dovesse dar di matto – qualunque cosa tu ci debba fare – rischierei troppo col motel. I miei genitori rischierebbero troppo.»

«No, devi fare come si è detto. Di lui non devi preoccuparti, lo conosco bene, mi darà ascolto. Sa che ho le mie carte da giocarmi per questo genere di cose.»

Aaron la guardò, più che sicuro che la preoccupazione che percepiva dentro di sé si fosse manifestata sufficientemente agli occhi di Erin. «Dannazione. Quel favore che mi hai fatto, la Berkley, ecco, non ci andrò. Alla fine è solo un tour... Vuoi anche giocarti la carta di Bonnie? Dire tutto a Lotte? Fa' pure. Potrei accettarlo... Credo.»

«Quello che dici non importa né a me né a te. Sai anche tu che è come dico io.»

«E tu sai che in questo modo non fai che precluderti quel poco di possibilità che ti restano?» chiese Aaron, che con la retoricità di quella domanda sperò di concludere quanto prima l'impiccio, così da potersene andare da lì.

«Non vuoi che sia io a dire a Lotte di Bonnie, e a Berkley vuoi andarci eccome. Poi guardati, la tua vita qui è priva di interesse, potresti rimediare facendo qualcosa di utile.»

Aaron scosse il capo, infastidito dal rigore e insieme dalla leggerezza con cui Erin si era espressa per far risaltare la povertà della sua esistenza. Curvò leggermente il collo e strinse i denti, prima di chiederle: «Credi che io non abbia uno scopo?»

«Di cos'è che stiamo parlando, adesso?»

«Della vita, della mia vita, che tu hai appena tirato in ballo. Credi che io non abbia uno scopo?»

«Lewis» sbuffò Erin, guardando verso il basso. Scosse il capo e riprese: «sono piuttosto sicura che tu non abbia uno scopo, non ancora, perlomeno. Quindi, fino ad allora, come ti ho detto, renditi utile.»

Aaron si concesse un attimo e guardò alle spalle della ragazza: Lotte aveva appena finito di parlare e ridacchiare con le sue compagne, e incrociò il suo sguardo da lontano. Sorrise, avviandosi lentamente verso di lui. Aaron strinse i pugni e tornò a fissare Erin. «Sempre così irritante. Va' a farti un giro e torna ad ignorarmi, ne ho già abbastanza di averti tra i piedi.»

«Certo. Prima però dimmi che passerai da me dopo scuola.»

Aaron annuì. «Passerò. Vai.»

Erin curvò leggermente i lati delle labbra all'insù, si voltò e se ne andò, scambiando un rapido saluto con Lotte quando le passò di fianco.

«Ehi» fece la ragazza all'indirizzo di Aaron, senza tuttavia ricevere risposta. Aaron dovette impiegare qualche altro secondo per smettere di guardare e pensare alla disinvoltura che Erin sembrava avesse attribuito ai suoi passi, mentre si incamminava verso il corridoio.

«Ciao, Lotte». Sorrise guardando la treccia rossa che scendeva sulla spalla della ragazza. «Avete fatto un ottimo lavoro... Un ottimo lavoro con quell'albero.»

«È lo stesso di ogni anno. Niente di più, niente di meno» disse lei con la consueta felicità degli occhi. Quindi si fece più seria: «Va tutto bene?»

«Sì, va tutto bene» rispose Aaron, sforzandosi di non sembrare troppo incerto.

«Sicuro? Qualche problema con Erin?»

«No, no. È tutto apposto anche con una tipa come Erin» mentì ancora Aaron. «Ehi, il signor Bryson ha detto che proietterà Ascensore per il patibolo al cineforum, stasera. Ti andrebbe di andare a vederlo insieme?»

«Sì, Aaron Lewis: ci vengo volentieri a vedere Ascensore per il patibolo con te» disse Lotte in un sorriso. «A patto che dopo si va dai Rutherford. Il mercoledì è la giornata dei burrito farciti in tutti i modi e le combinazioni che la mente umana è stata capace di mettere assieme, e non ho intenzione di perdermeli. Neanche per un film di Malle.»

«Neanche per il film di Malle» la corresse Aaron. «Sei fortunata che non ce ne ha lasciati altri in eredità.»

Lotte allargò le braccia e rise: «Ti ringrazio... David?»

«Louis.»

«Louis» ripeté Lotte, tenendo ancora le braccia aperte come se stesse celebrando una preghiera. «Ti ringrazio, Louis Malle, per aver realizzato un solo film. Così che Aaron avrà meno materiale con cui tediarmi più tardi, mentre divorerò il mio burrito condito con carne di manzo, salsa guacamole, insalata, pomodori, formaggio speziato, e tutto il resto che tu, Louis Malle, non puoi offrire.»

Aaron rise, senza toglierle neanche per un secondo gli occhi di dosso. La campanella suonò. «Okay, okay. Ora che hai detto la tua eresia, è giunto per me il tempo di fuggire in classe. Devo risolvere la mia situazione in scienze, o mamma mi ucciderà.»

«Lo farà comunque perché non hai risolto la tua situazione in matematica.»

«Come darti torto. Grazie, Charlotte.»

«Non c'è di che» replicò Lotte, ridendo ancora. «Allora a più tardi!»

«A più tardi» annuì Aaron. La salutò baciandola su una guancia e la guardò allontanarsi nel ridestatosi flusso adolescenziale del corridoio.

*

L'aura dorata che dal camino si diffondeva in un cerchio quasi perfetto fino ai piedi del divano, con l'oscurità oltre di esso che nascondeva la sua mano intrecciata a quella di Marlee, fece pensare a Garrett che il momento propizio fosse giunto. Scorse il profilo della ragazza quando questa distolse lo sguardo da lui: il luccichio dorato della fiamma del camino era nella sua iride appena visibile. Sembrava perfetto così. Si avvicinò un po' più a lei e le circondò le spalle col suo braccio, annullando le distanze tra di loro. La baciò con cautela.

«Ricorda di non esagerare coi sapori forti, se davvero hai intenzione di servirle la cena. Un alito cattivo sarà il nemico definitivo e l'artefice della tua totale disfatta nell'impresa titanica in cui ti stai per gettare» sentenziò Bonnie, prendendo ad incalzare la sua attenzione con un indice alzato e scrutandolo con aria severa. Garrett annuì, una, due, tre volte.

I sapori forti erano stati evitati. Niente prelibatezze a base di formaggi, o dosaggi eccessivi di cipolle e aglio. Continuò a baciarla, intrecciando ora la sua lingua a quella di Marlee.

«Non spostare le tue mani dai punti sicuri alle zone a rischio con troppa fretta. Devi comprendere se la mossa possa disinnescare una bomba, e noi non vogliamo che ciò accada, vero? Muoviti con cautela, ma non esagerare: se sei troppo lento lei potrebbe anche non accorgersi di quello che fai, o potrebbe persino stancarsi. Devi raggiungere i tuoi check point, e se qualcosa va storto, riprendere la partita da lì. Così dovrebbe essere abbastanza chiaro per uno come te.»

Check point. Ne aveva raggiunto già qualcuno. Percepì la sicurezza farsi strada in lui, così avanzò con la mano libera sul suo fianco, più su, più su, e rientrò sulla destra, verso il seno. Marlee si spostò in avanti e fece per sbottonargli la camicia. Garrett faticò non poco nel tenere alta la concentrazione e ricordarsi dei segni, di quei segni.

«Se a quel punto avrai la possibilità di costruire i tuoi fortini sulle zone a rischio, dovresti poter cominciare a vedere i risultati. Non credo proprio che Marlee sia la tipa che resta sulle sue troppo a lungo. Farà la sua mossa. Ma non lasciarla sola, non è ancora il momento di cantare vittoria. Continua a condurre la tua ardita avanzata.»

Marlee era ora a cavalcioni su di lui, tenendogli le spalle contro lo schienale del divano. Garrett si sforzò ancora di riprendere il controllo della situazione, e di non cedere allo strapotere fisico di quell'atleta tonica e determinata quale lei era. Avvolse le braccia attorno al suo bacino stretto, e con un colpo di reni, e facendo enorme perno sulle ginocchia, riuscì a sollevarla e ad alzarsi in piedi. Marlee si resse con le gambe strette attorno al suo sterno e alla schiena. La fece ricadere piano sulla schiena, stesa sul divano, riconoscendo a se stesso di aver esaurito in un colpo solo le energie per altre mosse di quel calibro. Allontanò per un momento le labbra da quelle della ragazza, così da cogliere l'espressione di sorpresa sul suo volto infervorato e lucido di una sottile patina di sudore. Sorrise, e proseguì in preda al suo entusiasmo ora indomo.


Angolo Autore:

nessuna giustificazione, nessuna scusa, se non che sono stato incapace di trovare la determinazione adatta e i giusti spunti coi quali tirare fuori questo capitolo dal cilindro. Non spunti tematici, perché quelli ormai sono ben impressi e l'esito di tutto so già quale sarà (lo dico sempre), quanto spunti stilistici. Se ci si mette in più la tesi, quasi finita (hallelujahhh), e il grigiore che si porta dietro, abbiamo fatto totalmente centro. Well, well, well, spero ricordiate qualcosa della trama fino a questo punto, e soprattutto spero che qualcuno a distanza di tempo abbia ancora stimoli per seguirla e, chissà, forse chiedo troppo, per apprezzarla.

Un grazie a chi mi starà ancora dietro, e a chi comincerà a farlo solo da adesso. A presto, presto, presto!

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