Capitolo 20

Con la manovella riportata nella sua posizione iniziale, l'acqua calda smise di scorrere sul corpo nudo di Aaron, che si prese ancora qualche minuto all'interno di quella stretta doccia prima di gettarsi l'accappatoio addosso. Raccolse il borsone da terra quando si fu assicurato di avere un aspetto che si avvicinasse quanto più possibile alla decenza, così lasciò gli spogliatoi e il campo da football all'imbrunire di quel freddo pomeriggio con l'inverno alle porte.

Rimuginò sulla botta presa nell'impatto con Roth dopo aver zigzagato con la palla serrata fra il braccio e il petto, diretto a segnare il touchdown. Quello scontro gli aveva procurato un grosso livido sull'avambraccio, e gli venne in mente che più d'una volta aveva superato una serie di avversari senza poi raggiungere la meta a causa della sua convinzione che "il grosso era stato fatto", e ritrovandosi poi, invece, costantemente braccato da un altro avversario sbucato da chissà dove. Mentre si dirigeva verso l'auto, Aaron udì quelle che avevano tutta l'aria di essere urla di incitamento, seguite da una più composta serie di applausi. Raggiunse il campo di tennis a un centinaio di metri da lì, illuminato da quattro alti fari disposti agli angoli di esso. Sugli spalti c'erano all'incirca quaranta spettatori, sul campo due ragazze che si scambiavano lanci precisi, l'una di diritto e l'altra di rovescio. Aaron si avvicinò quanto bastava per mettere a fuoco i loro visi: una ragazza aveva dei bruni e corti capelli a caschetto, con le gambe e le braccia che probabilmente erano robuste il doppio delle sue – non ci voleva poi così tanto, pensò – e si poteva dire fosse sul metro e ottanta; l'altra, invece, con la chioma di un biondo quasi brillante per via dei raggi di luce artificiale che ci si riflettevano da ogni angolazione, raccolti in una coda perfetta nonostante i rapidi e continui spostamenti da una zona all'altra del campo, era decisamente meno robusta dell'avversaria, con anzi forme snellissime. Riconobbe in lei Erin Fisher dal suo sguardo fermo, che mutava solo quando recuperava fiato aprendo leggermente la bocca, per poi tornare a serrare le labbra e lo sguardo sulle ribattute della pallina verde. Così il ragazzo decise di prendere posto nella zona più libera della piccola tribuna e di assistere a quella bizzarra circostanza. Bizzarra? Lo era, rifletté Aaron, che mai si sarebbe aspettato di vedere una ragazza come Erin destreggiarsi a colpi di racchetta su un campo da tennis, o su un qualsiasi altro campo sportivo, specie in una circostanza assai poco agevole come quella in cui si ritrovava. Si chiese infatti se mai sarebbe stato possibile che Erin potesse uscire incolume da una sfida contro quel "bisonte" di ragazza, pur non avendo la minima idea delle qualità dell'una e dell'altra e basandosi sulla sola apparenza dei fatti. Mentre rifletteva su questo e sulla possibilità che la gonna della ragazza-bisonte potesse strapparsi da un momento all'altro per via dell'eccessivo movimento di quei suoi robusti arti, sopraggiunse e prese posto accanto a lui niente meno che Blythe Fisher, suo capitano nei Noble Deers, fratello gemello di Erin, e decisamente la persona con cui meno avrebbe desiderato restare solo.

«Lewis» fece il ragazzo biondo senza guardarlo.

«Fisher.»

«Non sapevo ti piacesse il tennis.»

«Sono solo di passaggio.»

«Non lo sarai più appena vedrai mia sorella lasciare sulle gambe la sua avversaria, e distruggerla come se niente fosse.»

Aaron rivolse per un momento gli occhi a Blythe, così da provare a capire se dicesse sul serio, e tornò a guardare il campo con più attenzione. «A me sembra che quella tipa se la cavi senza troppi patemi.»

«Appunto, sembra. Guardala meglio: Erin la sta facendo correre da un lato all'altro senza piazzare colpi potenti. Sta giocando sulla sua resistenza. Con quella stazza fra poco cederà.»

Stavolta Aaron preferì non incontrare gli occhi di Blythe, ma continuò a chiedersi se parlasse sul serio. Con attenzione scrutò i movimenti oltre il corto completino bianco delle gambe chiare di Erin, che a quella distanza sembravano mostrare una leggera ma tesa muscolatura, e, mentre lo faceva, la ragazza-bisonte prese ad emettere quei rumorosi sospiri che si esasperano quando si cerca di forzare il colpo della racchetta, e a cui Erin rispondeva con il suo consuetudinario silenzio.

«Ecco,» riprese Blythe ridendo, «adesso lo vedi?»

«Lo vedo...» sussurrò Aaron di rimando.

Passò all'incirca un quarto d'ora prima che l'avversaria cominciasse a sbagliare colpi su colpi, prima gettando la palla oltre le linee di gioco, poi centrando ripetutamente la rete, infine concedendo due ace di fila alla battuta di Erin. Seguì la pausa prima dell'ultimo cambio di campo, con la ragazza-bisonte che occupò quasi tutta la panca concessale ed era in preda ad un'eccessiva sudorazione e a spasmi continui, mentre Erin si tamponava compostamente la fronte con un piccolo asciugamano.

«Oramai ce l'ha in pugno, e brava la mia sorellina.»

«Direi di sì. C'è qualcosa in cui Erin non riesce?»

«Non nelle attività che svolge» rispose Blythe con un sorriso.

«Ti sta due o tre spanne sopra, eh?»

«Lo credo bene. Ma almeno io non sono così facilmente irritabile.»

"Forse no, ma resti comunque irritante" replicò Aaron fra sé e sé. «Se lo ammette persino il suo fratello gemello, allora deve esserlo davvero.»

Le due avversarie tornarono in campo, con la ragazza-bisonte che stavolta gestiva la battuta.

«E la tua, di sorella, come se la passa?»

"Dovresti saperlo, in fondo la senti per telefono, la fermi a scuola e in entrambe le circostanze provi a flirtarci." Anche in quel caso, Aaron preferì tacere i propri pensieri e replicare in altro modo: «Siamo appena a metà dicembre e pare si sia già adattata benissimo, qui ad Edwynville. Ah, qualche sera fa ero con Lotte, ed entrambi siamo convinti di averla vista con un suo coetaneo, anche se era di spalle e non troppo vicina – sai, preferisco non indagare su mia sorella, e nemmeno seguirla –. Quindi direi che anche da quel punto di vista se la stia cavando.» Tenendo la testa sempre rivolta sul campo da gioco, con la coda dell'occhio prestò attenzione alla reazione di Blythe, che tuttavia permase nella sua imperturbabilità.

«Quale punto di vista?» si limitò a domandare il roccioso e atletico capitano dei Noble Deers.

«Parlo di ragazzi.»

«Ragazzini, al limite.»

«Quello che è. L'importante è che se la passi bene. O sbaglio?»

«Naturalmente» asserì Blythe. Prima che Aaron potesse continuare su quella linea che lo aveva messo a suo totale agio, Erin assestò il colpo del K.O. alla ragazza-bisonte con una favolosa volée di rovescio, raccogliendo gli applausi e le urla del pubblico con le braccia rivolte verso l'alto. Accanto ad Aaron, Blythe si unì a quegli applausi alzandosi in piedi e fischiando in direzione di sua sorella, che guardò verso di lui e sorrise come Aaron non l'aveva mai vista fare prima di allora – eccetto quella volta in cui erano stati insieme dalla vecchia signora Touchett e dopo il successo del suo concerto al pianoforte nella Giornata della Fondazione. Aaron rimase al suo posto e si strinse un po' più nel caldo bomber nero, battendo goffamente le mani oltre i guanti di lana.

«Oh dimenticavo,» riprese Blythe, stavolta guardando il ragazzo negli occhi, «congratulazioni.»

«Per cosa?»

«Per essere finito in lista per il tour all'Università della California.»

Aaron fissò l'imponente quarterback in piedi davanti a lui con occhi accigliati, prima di continuare: «Ma c'erano sicuramente almeno quattro studenti prima di me...»

«Controlla coi tuoi stessi occhi, i risultati sono stati affissi poco fa nella bacheca centrale.» Blythe fece per voltarsi quando il suo telefono squillò, ma s'interruppe per volgere ancora un'ultima attenzione ad Aaron: «Ancora una cosa: ringrazia Erin per il favore. Voleva esplicitamente che tu sapessi che è stata lei ad occuparsene, anche se non ne vedo il motivo-»

«-Sul serio?» chiese Aaron, arrestando quelle parole che ad un primo impatto non avevano alcun senso o giustificazione.

«E' quello che lei mi ha lasciato intendere. Anzi, a dirla tutta, era l'unico motivo per cui poco fa mi sono avvicinato a te» fece Blythe sorridendo.

«Già, ma immagino che esaltare tua sorella e sapere qualcosa in più della mia fosse più importante» replicò Aaron distrattamente, ora volgendo la propria attenzione ad Erin che stava abbandonando il campo da gioco.

«L'importante era parlartene. Adesso devo andare a prendere Doug da un corso di recupero, ci si vede domani!» Così facendo, Blythe gli voltò le spalle e se ne andò.

*

Passò all'incirca mezz'ora prima che Erin si facesse viva nel viale antistante ai campi da tennis della scuola, con il cielo che abbandonava le tinte calde all'imbrunire. Poggiato contro un lampione acceso, Aaron osservò la ragazza raggiungerlo a passo lento, avvolta in un lungo cappotto con pelliccia e in spalla un borsone Louis Vuitton.

«Lewis» cominciò la ragazza nel suo timbro leggermente rauco, mentre il respiro le si condensava in una nuvoletta davanti agli occhi grigi.

«Salutate sempre così, tu e tuo fratello.» Aaron parlò guardandosi attorno con quella che poteva ipotizzare essere un'aria inquieta, o forse perplessa – non sarebbe stato in grado di dirlo neppure se in quel momento avesse analizzato il proprio viso riflesso in uno specchio –, magari si trattava di entrambe le possibilità.

«Che sei venuto a fare?»

Aaron accennò quindi un sorriso quando constatò quella sottile "qualità" di Erin nell'ignorare, a suo piacimento, le parole che dal suo punto di vista venivano probabilmente pronunciate in maniera superflua, del tutto non necessaria. E pur essendo quasi sempre solleticato dalla possibilità di irritarla coi propri modi, calcando quella freddezza contornata da un denso strato di suscettibilità propria della ragazza che aveva di fronte, Aaron preferì stavolta fare il suo stesso gioco, assecondandola in pensieri brevi e sentenziosi. «Sai perché sono qui.»

«Dovevo averne la conferma, e non mi è ancora stata concessa.»

«Davvero hai manomesso la lista di chi parteciperà al tour in California, alla Berkley?»

«Non solo quella, dovevo sistemare un po' di gente qua e là in altre liste per poterti far inserire nel gruppo.»

«Allora hai davvero manomesso la lista!» esclamò Aaron mentre allargava le braccia in un gesto nelle intenzioni plateale, ma che si rivelò privo di alcun vigore.

«Dicendo "manomesso" la fai sembrare di gran lunga più tragica di quel che è davvero.»

«Quindi pensi sia una cosa da niente.»

«Era una domanda?»

«No, esprimevo ad alta voce un pensiero.»

Erin infilò le mani nelle tasche del cappotto e sbuffò senza parlare.

«Come diamine hai fatto?» riprese quindi Aaron.

«Ho parlato a quattr'occhi con la preside, su di lei ho sufficiente influenza da farle operare delle modifiche. Roba da nulla.»

«Roba da nulla.»

«Non farmi il verso. Piuttosto, dovresti ringraziarmi.»

«Oh, sì, dovrei. Ma prima dimmi perché lo hai fatto.»

«E' stato un semplice atto della mia clemenza.»

«No che non lo è stato.» Aaron scosse il capo e tirò su col naso.

«Vedo che stai facendo progressi con le tue intuizioni, ragazzo. Ottimo lavoro. Ora andiamo a sederci, ti spiegherò meglio le mie ragioni.» Erin si tirò sul capo il cappuccio contornato da un morbido strato di pelliccia, e oltrepassò il ragazzo lungo il viale.

«Farò tardi con Lotte» lamentò Aaron voltandosi di nuovo verso di lei.

«Immagino sia un tuo problema.»

Aaron la seguì fino al campo da football quasi totalmente buio, e le sedette accanto sulla deserta tribuna metallica. Si girò verso di lei e ne osservò il profilo del volto quando si accorse che Erin aveva smesso da un pezzo di parlare: se ne stava con gli occhi fissi su un punto imprecisato del campo lì di fronte, in un ostinato e appartato silenzio. 

Aaron si chiese quindi se avesse detto o fatto qualcosa di sbagliato, ma concluse che la risposta doveva stare al di fuori di sé, che lui non c'entrava. La risposta doveva invece essere nell'imperscrutabilità della ragazza, nell'impossibilità di comprendere o prevedere qualsiasi sua reazione o gesto – come quell'incompreso e improvviso silenzio –, il quale magari nasceva da un puro istinto, o, ancora, da motivazioni tutte nascoste in lei. Quando il vento prese a scompigliare e a far imperversare i fili sottili dei lunghi capelli dorati sul volto bianco della ragazza, con gli occhi che tuttavia permanevano nella loro immobilità, Aaron temette per un momento che l'anima di Erin fosse volata via e avesse lasciato quell'involucro corporeo lì accanto a lui. Forse Erin si stava prendendo gioco di tutto, lo guardava e se la rideva davvero dall'interno di chissà quale sfera invisibile nell'etere, convinta che Aaron sarebbe rimasto lì a squadrare il suo corpo senz'anima fino a quando non si fosse sgretolato... Scosse il capo e lasciò che le sue fantasie letterarie lo abbandonassero, così si schiarì la voce e parlò: «Cos'è che fai, adesso?»

Passarono all'incirca dieci secondi, ma nessuna risposta.

«Non credo che tu non stia facendo niente. Anzi sono sicuro che tu stia facendo qualcosa da qualche parte nella tua testa, stai pensando.»

«C'è differenza fra starsene a pensare e non far niente?» Finalmente Erin parlò, ma tenendo sempre gli occhi fissi davanti a sé.

Aaron cercò di mantenere l'attenzione sulla domanda che gli era stata posta. «Mi chiedi se c'è una differenza? C'è tutta la differenza del mondo! Pensare è il contrario di niente, pensare è agire.»

Cinque secondi e stavolta una risposta: «Mmh, ha senso.»

«Non mi dirai a cosa stai pensando, non è così?»

«Perbacco, che perspicacia. Lo avevo detto che oggi sei in forma smagliante.»

Aaron ignorò quella – a suo modo di vedere – superficiale forma di ironia. «Dimmi perché lo hai fatto.»

«Per fare in modo che fossi in debito con me. E adesso lo sei, credimi.»

«Me lo sarei dovuto aspettare. In debito per cosa?»

«Hai una doppia chiave per tutte le stanze del motel, non è così?»

«Sì, una che lasciamo ai clienti e una che teniamo per noi, solitamente per far pulizie in loro assenza.» Aaron parlò con tono perplesso, gli occhi stretti in una fessura.

«Ottimo. Quando te lo chiederò, dovrai darmi la chiave della stanza numero tre. Ci alloggia un certo signor Ford, confermi?»

Aaron annuì, ancor più perplesso.

«Devi lasciarmi entrare, Lewis, lo capisci?»

«In assenza del signor Ford?»

«Per l'esattezza.»

«Ma di cosa..? Aspetta, io non ti ho chiesto di farmi alcun favore! Okay, avere la possibilità di visitare Berkeley con pochi altri eletti potrebbe fruttarmi, ma questa cosa non me la sono andata a cercare! Non posso farlo.»

Erin scosse il capo e replicò: «E' fatta oramai. Devi farmi questo favore.»

«Questo signor Ford... è un consulente scolastico, lo ha detto quando si è presentato ai miei genitori, e credo anche di averlo visto a scuola qualche giorno fa. Ha detto che starà da noi fino a quando non troverà una sistemazione alternativa.»

«Ha già lavorato qui, fino a poco più di un anno fa.»

«Non ho idea di cosa diamine vuoi farci – cioè, un'idea me la sono fatta – ma non potresti semplicemente bussare alla sua porta?»

«Non rientra nei miei piani, devo agire in maniera migliore. Devo essere lì quando lui tornerà.»

«Forse l'idea che mi sono fatto è sbagliata. Vuoi ucciderlo?»

Erin rise, quindi si voltò a guardare Aaron negli occhi, probabilmente per accertarsi che fosse serio. «Per chi mi hai preso?»

«Oh, credimi, non so proprio per chi ti ho preso» rispose lui, portando le mani guantate davanti al petto. Un lieve e candido nevischio occupava i bordi e gli angoli del campo da football. «Non avresti potuto giocare la carta delle mie scappatelle con Bonnie per minacciarmi di farti questo favore qui?»

«Non preoccuparti,» fece Erin con un mezzo sorriso, «ho pensato a tutto. Se ti verrà la folle idea in futuro di riferire a qualcuno ciò che avrò fatto, beh, allora mi giocherò quella carta.»

«Sì, effettivamente hai pensato proprio a tutto. Era a questo che ti riferivi quella volta, non è così?»

«Quale volta?»

«Eravamo in biblioteca, dicesti che così, tenendo per te il mio segreto, avresti avuto potere su di me.»

«Oh sì, era a questo che mi riferivo. E funziona, non trovi?» Mentre gli poneva quella domanda, Erin poggiò il capo su di un braccio e lo guardò per la prima volta in quella sera con aria verosimilmente curiosa.

«Erin Fisher, tu mi rovinerai l'esistenza.»

La ragazza scosse il capo, ridendo piano. «Hai scoperto qualcosa su quelle lettere?»

Aaron apprezzò quel cambio di direzione, l'estraniarsi da quell'affermazione di futura rovina pronunciata da lui stesso sì con la leggerezza del cuore, ma velata da una sottile possibilità di concretizzarsi che il ragazzo non poté fingere essere troppo remota. «Macché,» rispose lui guardandosi i piedi, «credo sia impossibile scoprire qualcosa.»

«Mmh.»

«Vuoi saperla una cosa? Io e Bonnie... Sai, non la vedo da un po'.» Aaron avrebbe voluto scorgere la sua espressione in quel frangente, ma il denso strato della pelliccia non gli concesse che una parte di quell'elegante profilo del volto.

«Com'è che mi racconti tutto di tua spontanea volontà? Devi proprio voler essere un libro aperto, con me.»

«Non è vero che ti racconto tutto» brontolò Aaron.

«Okay. Un po' quanto?»

«Un po' quanto cosa?»

«Da quanto un po' non la vedi?»

«Circa due settimane, dalla sera del Ringraziamento. Ci parlo a scuola, per i corridoi o in aula, o alla tavola calda.»

«Ti sei stancato di lei?»

«No, vorrei solo essere un pelo migliore.»

«Un pelo migliore smettendo di fare quello che facevate.»

«Scusa un momento, non pensi sia così che si fa in questi casi?» chiese Aaron con il tono più perplesso che riuscì ad estrapolare dal suo repertorio.

«Continua a raccontare la tua storia triste.»

«Ultimamente sto passando dei bei momenti con Lotte, riesco a dedicarmici di più. Per quanto tenga a Bonnie, devo essere totalmente sincero con me stesso, non posso rischiare di prenderla in giro.»

«Tu e Lotte avete almeno fatto sesso?»

«No...» rispose Aaron dopo un attimo di esitazione, chiedendosi quindi se avesse fatto bene o meno a rendere noti quello ed altri dettagli ad Erin. «Ma non è questo il punto, lo faremo, se sentiremo che è la cosa giusta da fare.»

«E qual è il punto?»

«Una delle due deve rimetterci per forza. E sai, io non sono uno che solitamente sceglie, anzi, in vita mia non mi sono mai trovato in una situazione come questa.»

«Hai più paura di perdere Lotte» sentenziò con tono algido e graffiato Erin, nascosta sempre dal cappuccio e dal ricco turbine dorato dei capelli in movimento.

Il vento incrementava di minuto in minuto il proprio impeto, ed Aaron ebbe per un momento la sensazione che la tribuna potesse staccarsi e sollevarsi dal terreno, e volare via chissà dove, magari lontano da Edwynville. Lasciò di nuovo che le fantasie lo abbandonassero prima di tralignare, così pensò alle ultime parole pronunciate da Erin: "Hai più paura di perdere Lotte."

«Hai mai perso davvero qualcuno?» chiese infine Aaron prima di alzarsi, spingendo con le mani sulle ginocchia.

«Ti ho già raccontato di Grant.»

«Intendo perdere davvero qualcuno.»

Nessuna risposta, solo il volto di Erin finalmente ben visibile e rivolto in alto verso il suo, gli occhi grigi non più così fermi, ma senz'altro indagatori.

«Ottima partita, comunque.» Le voltò le spalle e scese i gradini della tribuna. Si mosse piano, ancora nell'attesa di ricevere una replica da parte della ragazza, mentre ogni passo che muoveva incrementava la distanza tra loro.

«Vieni a vedermi giocare quando avrò un'avversaria degna di essere chiamata tale.»

Aaron sorrise, sperando davvero che il vento non la trascinasse con sé oltre i boschi, e sparì voltando l'angolo scuro della tribuna.

Angolo autore:

Ok, non farò più promesse sulla velocità con cui pubblicherò i prossimi capitoli, dato che finora non sono mai stato in grado di mantenerle. Ma almeno sono riuscito a liberarmi degli esami della sessione estiva proprio ieri, quindi di sicuro non potrò fare peggio di quanto fatto adesso! La libertà... che cosa bella. Avere il tempo di scrivere, dio, che conquista! Detto ciò, spero che abbiate apprezzato il capitolo. Magari non ricorderete qualcosa per via del tempo passato dall'ultimo capitolo, ma se siete davvero interessati vi andrete a spulciare quanto scritto finora, così da togliervi ogni dubbio o perplessità! Bene, apprezzate Aaron, apprezzate Erin, questi ragazzi hanno bisogno del vostro supporto, chi per una ragione chi per l'altra. E nei prossimi capitoli si torna a condividere le diverse prospettive degli altri protagonisti. Quindi continuate a seguirmi. Ciao! :)

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