Capitolo 2
Aaron spense la sveglia del cellulare per non essere ulteriormente urtato da quel suono stridulo. Si sollevò dal letto ed allargò rigidamente le braccia il più che poté per sgranchirsi. Scese le scale a tentoni con gli occhi che faticavano a mettere a fuoco i gradini. Appena fu giù nella sala d'ingresso Olivia gli sfrecciò davanti, passandosi rapidamente lo spazzolino fra i denti. La seguì con gli occhi fino a quando la sorella si chiuse la porta del bagno alle spalle; per lei quello sarebbe stato il suo primo giorno da liceale, lontana dalla realtà a cui era sempre stata abituata fino ad una settimana prima. Eppure in quei giorni non aveva notato in Olivia alcuna ombra di paura o ansie, ma solo pura eccitazione e fermento. Alle volte si diceva, vedendo quell'esaltazione di energia e di continua mobilità, di voler essere come lei, di farsi spazio fra i grattacapi lasciandoli insoluti e gettandoli in un angolo, fregandosene di dare loro un senso e una risoluzione.
Mezz'ora dopo Aaron era al posto di guida, sbadigliando con le mani sul volante mentre scendeva lungo il lieve pendio per raggiungere il centro di Edwynville. Olivia occupava il sedile accanto al suo e guardava le schiere di case oltre il finestrino sostituirsi pian piano alla fitta vegetazione.
«L'hai vista...» Olivia temporeggiò un momento, poi riprese. «L'hai già vista prima la nostra scuola?»
«No, questa sarà la prima volta.»
«Io ci ho fatto un salto ieri con papà, nel pomeriggio. Sembra un bel posto per cominciare», Olivia girò la testa verso di lui, «e anche per ricominciare.»
Colse nel segno il riferimento per nulla casuale a quello che era il suo passato, così Aaron la guardò di rimando e subito tornò a seguire la strada davanti a sé, per darle prova di aver compreso e di voler lasciare che quelle parole cadessero nel vuoto.
Stavano attraversando la strada principale della città, da ogni lato i negozianti aprivano i battenti di qualche locanda, una piccola libreria, due agenzie di viaggi e una sala giochi. La gente si riversava mano a mano per le strade e lungo i marciapiedi, un corriere visibilmente in ritardo sfrecciava sulla sua bici gettando qua e là gli ultimi quotidiani riposti nella sua sacca consunta. Anche nella piazza dalle non eccessive dimensioni che occupava il centro della città, di fronte al più tipico dei municipi, gli anziani occupavano già le panchine, qualche madre trascinava i propri figli a scuola mentre questi faticavano a stare loro dietro. Aaron aveva inizialmente pensato ad Edwynville come alla consuetudinaria cittadina sonnolenta coperta da un sottile e perenne velo di torpore, quindi anche quella mattina, come era infatti accaduto nel corso della precedente settimana, apprezzò il fatto di essere smentito.
Attraversarono una zona periferica della città e alla loro destra, in prossimità di un ampissimo verdeggiare, videro sorgere l'High School of Edwynville. Si trattava di un grande edificio moderno di due piani, lungo quasi tutto il perimetro si ergevano i vessilli verdi su cui capeggiava un cervo di colore giallo che guardava nella direzione dell'osservatore con aria certamente fiera, pensò Aaron, ma non minacciosa. Aaron e Olivia si guardarono attorno dall'interno della berlina mentre attraversavano la strada affollata di studenti che in branco si spostavano verso la scuola e che di volta in volta lanciavano occhiate per provare a riconoscere i loro volti.
Dopo essere scesi dall'auto si avviarono insieme verso l'ingresso. Aaron guardò Olivia che si teneva vicinissima a lui e pensò che magari quel suo entusiasmo e l'adrenalina di quella mattina avessero già lasciato spazio al timore, all'insicurezza.
«Però, sembra se la credano parecchio qui. Non credi?» domandò per smuovere la sorella. Olivia lo guardò e lui sollevando il mento indicò un gruppo di ragazzi con indosso le divise della squadra da football.
«Già. Ma ehi,» lo colpì Olivia con una leggera gomitata, «ricorda che dovrai parlare proprio con uno di loro per i provini. Se vuoi che la tua scalata sociale sia in discesa devi partire subito col pezzo forte: la squadra di football.»
Fra le varie cose in cui Aaron era convinto che sua sorella lo sovrastasse c'era l'abilità nello dispensare consigli e nel programmare le azioni del fratello meglio di quanto lui potesse fare per se stesso. Anche se, più che di una 'scalata sociale' come l'aveva chiamata Olivia, si trattava soltanto di avere un numero di amici che non includesse la sola sorella, come accaduto negli anni di anonimato a Philadelphia.
Aaron e Olivia oltrepassarono la porta di ingresso della scuola e dopo un piccolo atrio si separarono seguendo due direzioni opposte di un affollato corridoio. Bacheche tappezzate di annunci, una vetrina di trofei sportivi con le foto di ex studenti in vista tratti dagli annuari passati, file e file di armadietti verdi e gialli furono passati in rapida rassegna dagli occhi attenti di Aaron, che cercava di trovare da sé l'aula dove l'avrebbe atteso la sua prima lezione di Letteratura Inglese. Non voleva chiedere aiuto, se non strettamente necessario, così da evitare la curiosità degli altri studenti.
La campanella suonò e gli ci volle qualche minuto di troppo prima di beccare l'aula esatta. I corridoi si erano intanto svuotati ed Aaron temporeggiò ancora un po' davanti alla porta chiusa.
«Non si aprirà con la sola forza del pensiero, caro il mio Sheldon Cooper.» Aaron si girò per dare un volto a quella voce dall'intonazione stonata. Era un ragazzo imponente e con la faccia quadrata che gli arrivò proprio accanto, esaminò velocemente Aaron con occhi persi e solcati da profondi lividi, gli mise una mano sulla spalla e gli disse: «Ora, amico, devo proprio entrare.» Lasciò la spalla di Aaron e si lisciò i capelli unti sulla fronte. Pensò, senza aver avuto modo di dire alcuna parola, che quel tipo avesse decisamente un'aria strafatta.
Mentre Aaron stava metabolizzando quella bizzarra scena, la porta fu spalancata e quel tipo fece il suo ingresso in aula in maniera plateale, con le braccia che rivolgevano ampi saluti alla classe.
«Luke Matthews, che onore averla in ritardo il primo giorno del suo ultimo anno. Prego, faccia con comodo.» La professoressa, una donna che non avrebbe dovuto avere più di quarant'anni, inclinò il capo e sorrise quando quel Matthews le rivolse una sgraziata riverenza.
Dopo aver visto il tipo dall'aria strafatta raggiungere il suo banco mentre dava il cinque a un po' di compagni, Aaron si trovò gli occhi di tutti quanti addosso. La professoressa lo guardò da sopra gli occhiali. «Serve aiuto?» Domandò lei.
«Sono Aaron Lewis, il nuovo arrivato» rispose Aaron, tenendo gli occhi su di lei per non dover incrociare quelli della classe. «Lei non è stata avvisata?»
«Oh si!» Il volto della professoressa parve illuminarsi sorprendentemente con un sorriso troppo ampio per il suo viso. «Prego, vieni avanti! Sono sicura che avrai molto da dirci, di te, della tua famiglia, della tua vecchia scuola e di questa splendida città. Non è così?» I denti di quella donna occuparono ancora un po' della superficie del suo volto. Aaron sollevò leggermente gli angoli della bocca all'insù, accennando ad un sorriso che fosse almeno la metà di quello che la professoressa gli aveva rivolto.
Si voltò verso la classe. Gran parte dei suoi nuovi compagni sembrò mostrare un profondo interesse per il suo inaspettato arrivo. Qualcuno lo ignorò del tutto, mentre una ragazza gli sorrise quando i loro sguardi si incrociarono.
«Naturalmente» disse Aaron, cercando di mantenere quell'espressione forzata sul volto.
*
Quando l'ora di Letteratura Inglese fu finita gran parte dei compagni di Aaron abbandonò di corsa l'aula, senza mostrare alcun apparente interesse per lui. Aaron si appoggiò alla parete del corridoio aspettando che Luke 'lo strafatto' uscisse dall'aula. La professoressa Williams infatti, dopo quel teatrino iniziale, aveva affidato a Luke la rogna di fare da guida scolastica ad Aaron, così da punirlo per il ritardo. Quella mattina avevano un'ora libera per l'assenza del prof. di storia, così Aaron pensò di dire a Luke, appena si fosse fatto vivo, che poteva benissimo fare a meno di stare con lui, che non voleva essergli di peso e che non avrebbe fatto la spia con la signora Williams. In realtà non gli importava granché di essergli di peso, quanto il non voler avere quel tipo fra i piedi.
Luke uscì dall'aula, guardò Aaron e si allontanò senza salutarlo. "Di essere strano è strano, ma meglio così". Non avendo più da dar conto a quel tipo, Aaron prese a camminare lungo il corridoio, senza alcuna meta, quando un rumore di rapidi passi gli si fece sempre più vicino. «Ehi!»
Aaron si voltò verso l'origine di quella voce femminile: era la ragazza che durante l'ora di letteratura stava seduta in prima fila, la stessa che gli aveva sorriso.
«Ciao. Ummm...»
«Oh, io sono Charlotte, ma tutti mi chiamano Lotte» fece lei allungando la mano verso di lui. «Aaron, giusto?»
«Giusto.» Mentre Aaron le rispondeva stringendole la mano, notò a quella distanza ravvicinata la lieve tonalità rubino dei suoi capelli scuri raccolti in uno chignon, gli occhi azzurri stretti in una fessura sorridevano con lei. «Un po' come la Lotte di Goethe, giusto?»
Lotte inclinò il capo. Aaron cercò di mantenere una espressione positiva sul volto: sperava che quel riferimento alla Charlotte di Goethe non cadesse nel vuoto.
«Giusto» rispose alla fine lei. "Grande!" Aaron esibì il proprio sollievo cercando di imitare l'espressione di contentezza della professoressa Williams. «Allora,» continuò Lotte, «avevo immaginato che Luke non si sarebbe fatto vivo con te. Quindi ho pensato: 'perché non provvedo io a far sentire Aaron meno spaesato?'»
«E' davvero, davvero un pensiero gentile, ma puoi stare tranquilla. Posso farcela anche da solo.» Aaron si rese subito conto che quelle parole sarebbero state il punto di partenza del suo suicidio sociale, ma a quel punto non credeva di potersele rimangiare.
«Ma ti dico che per me non è un problema. E poi, non ho niente di meglio da fare.»
Si guardarono negli occhi per due lunghi secondi. Quindi Aaron sorrise, forse per l'espressione contagiosa di quella ragazza. «E va bene, ma non dirmi che non ti ho dato una possibilità di fuga. Voglio un resoconto delle prestazioni della squadra di football negli ultimi tre anni.»
«E' uno dei miei cavalli di battaglia» si fece trovare pronta Lotte.
Più tardi, dopo essere passati dalla mensa, aver dato un'occhiata all'auditorum e persino ai bagni, Lotte portò Aaron in biblioteca, a quell'ora semivuota. Aaron si rese da subito conto di quanto quella ragazza fosse per natura spigliata ed energica. Sembrava che cogliesse ogni cosa dell'ambiente scolastico e le rendesse senza alcuna fatica un buon motivo per il quale apprezzarla. Poco prima infatti, entrando nel bagno dei ragazzi quando nessuno poteva vederla, Lotte si era messa in piedi su un gabinetto e aveva avvicinato l'orecchio ad una finestra appena più in alto di lei. «Appena qui fuori si raduna sempre una parte delle cheerleader, puoi persino sentirle fare commenti sui ragazzi della scuola. "Oh ma l'hai visto quell'Aaron Lewis?"» aveva detto facendo una improbabile imitazione di una sciacquetta, «"non lo trovi anche tu tremendamente carino? Credo che prenoterò una stanza nel suo motel e lo inviterò dentro per fargli guardare da sotto la mia uniforme da Cheerleader!"»
Aaron aveva riso e, per stare al gioco le aveva chiesto: «Solo guardare?»
«Lei è un vero burlone, signor Lewis.»
Lotte camminava un passo avanti a lui fra gli scaffali della biblioteca. Quando c'era qualcosa che catturava la sua attenzione, lei glielo faceva notare. Tra le varie cose Aaron capì che apprezzava particolarmente Virginia Woolf, Salinger e i romanzi di Stephen King, ma mai avrebbe potuto immaginare che fosse una accanita lettrice di fumetti sui supereroi.
«Il mio preferito senza ombra di dubbio è Deadpool, è così malsano, inquieto, ma soffre» fece Lotte con ampi gesti delle braccia, quasi stesse modellando il personaggio di Deadpool fra le mani. Un forte "Sssh" giunse alle loro orecchie dalla postazione della bibliotecaria, una donna dai capelli spenti e con la faccia anonima nonostante la sua espressione di dissenso.
«Lei si che soffre» riprese Lotte stavolta in un sussurro. «Fu protagonista di una lite colossale col marito nella piazza centrale della città, quando avevo cinque o sei anni. Da allora vive da sola e se può non lascia mai la biblioteca. Povera zitella.» Entrambi guardarono in direzione della bibliotecaria.
«E perché resta qui?» fece Aaron, dimenticandosi di sussurrare e beccandosi quindi un altro "sssh".
«Perché pare che trovi conforto in questo posto, fra i libri. I pochi ragazzi che vengono qui dentro sembra dimentichino il mondo esterno. E' lei che ha reso questo posto così rasserenante.» Ogni parola usciva dalla sua bocca con morbidezza, ed Aaron seguì attentamente i movimenti delle sue labbra fino a che Lotte lo riportò all'attenzione rivolgendogli una domanda. «La trovi una cosa stupida?»
«Nient'affatto.»
La campanella suonò. «Ora devo andare, ho un consiglio per la rappresentanza della scuola.» Già, Lotte gli aveva anche detto di essere stata eletta come rappresentante d'istituto l'anno prima. «Pranzi con qualcuno più tardi?» chiese lei.
«Solo con mia sorella, ci troveremo un tavolo vuoto in mensa e sentirò cosa ha da dire su questo posto. E' una che parla molto» disse Aaron sorridendo.
«Posso unirmi a voi? Mi piacerebbe conoscere tua sorella.»
«Oh, si, se è per conoscere mia sorella prego, fai pure» ironizzò Aaron.
«A dopo allora.» Lotte si allontanò con quella sua espressione ridente, la tonalità rossa dei capelli che sfavillava quando passava accanto ad una finestra.
*
A pranzo, seduto ad un tavolo con Olivia che divagava facendo il punto sulle sue prime ora al liceo, Aaron passò il tempo un po' con la testa bassa ad esaminare il contenuto del suo vassoio, soprattutto di una strana zuppa, un po' a guardare la porta della mensa spalancarsi di volta in volta, senza che Lotte si facesse viva. Aaron non fece troppo caso alla sua assenza, in fin dei conti si era trattato di un autoinvito a pranzo senza troppe pretese, e da parte di una persona conosciuta solo quella mattina.
Dopo aver lasciato la mensa in compagnia della sorella, la sua attenzione ricadde su alcune figure in fondo al corridoio che camminavano verso la sua direzione. Fu quasi certo di riconoscere fra di esse, appena gli furono abbastanza vicine, il ragazzo che aveva incrociato il suo sguardo nel giardino di quella grande dimora non distante dal motel. Era imponente, coi capelli biondo cenere e indossava la divisa giallo-verde della squadra di football. Accanto a lui, stretta nel suo ampio braccio, camminava una ragazza dagli stessi capelli biondo cenere e con gli occhi chiari, forse grigi. Aaron ebbe l'impressione, ma stavolta non poteva esserne sicuro, che si trattasse della "ragazza del lago". Per un attimo, quando i due gli furono passati oltre, avvertì l'ostilità di quel tipo e la strana necessità di affrontarlo, magari proprio su un campo da football. Allo stesso tempo sentì il bisogno di tornare a condividere il Nightfall Lake solo con quella indistinta compagnia, un po' più lontana da lui, che dondolava le gambe seduta sul pontile.
Angolo autore:
Dunque, eccoci con un nuovo capitolo. Innanzitutto come si può capire chiaramente il capitolo in questione rappresenta ancora una introduzione alla storia vera e propria, ma posso dirvi con certezza che dal prossimo si entra nel 'vivo dell'azione'. Comunque, se la storia vi è piaciuta votatela e commentate, voglio sapere magari cosa pensate dei personaggi introdotti finora e le impressioni che avete avuto in generale. O più semplicemente potete dirmi che è carina o fa schifo, apprezzo tutto! In ogni caso restate sintonizzati, inserite la storia fra le vostre liste e non vi pentirete della vostra scelta! :)
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