Capitolo 19
Affaticando la vista oltre la montatura di plastica degli occhiali, Garrett individuò finalmente Zoe quando gli fu a solo un metro di distanza. Raccolse la candela dalle sue mani e ne fece scaturire una flebile fiamma col suo accendino, quindi la restituì alla ragazza.
«Ma no, devi tenerla, io me ne procurerò un'altra» gli disse Zoe con un leggero tremolio nella voce, il volto illuminato da quella rotonda luce arancione.
«La candela serve più a te, sei tu che hai paura del buio.»
«Va bene, ma fai presto! I ragazzi stanno delirando e se non riesco a vederli non so cosa rischiano di distruggere.»
«Agli ordini» concluse Garrett, che muovendosi a tentoni nel buio raggiunse la porta d'ingresso della piccola casa di campagna. Una volta fuori, si recò a grandi falcate verso la sua Suzuki Samurai, da cui recuperò l'oggetto che per lungo tempo aveva sognato di utilizzare in una circostanza come quella, e a cui, data appunto l'unicità dell'evento, non aveva alcuna intenzione di rinunciare.
Di rientro in casa, con la musica saltata insieme alla luce, Garrett ascoltò il mormorio di ragazzi più appartati alternarsi alle fragorose risate dei Noble Deers e agli schiamazzi delle cheerleader. Temporeggiò per qualche secondo fino a quando non colse l'attimo più silenzioso di quel buio tumulto, così premette con decisione il pollice contro il pulsante posto sul manico metallico dell'oggetto serrato nella sua mano. Il fascio fluorescente di luce verde, sgorgato con rapido slancio dal manico, rivelò a tutti i presenti la sua natura. «Salutate il vostro caro Maestro Yoda!» Garrett mostrò con un sorriso fiero e rapidi movimenti delle braccia una certa capacità nel maneggiare la sua originalissima spada laser giocattolo.
Subito dopo calò un silenzio tombale, gli occhi dei presenti tutti rivolti al viso del ragazzo illuminato da quella luce verde.
«Quindi intendevi questo per "torcia"?» chiese Zoe sbellicandosi, giunta all'improvviso alla sua destra.
Garrett fece spallucce e trovò gli occhi perplessi di Marlee, con le mani che ne nascondevano parte del viso. «E va bene, siete dei tipi dagli orizzonti limitati. Chi vuole una torcia o una candela segua il raggio luminoso della mia spada!» Così si allontanò verso la cucina, quando sentì un urlo femminile e non propriamente sobrio rompere il silenzio: «Sei tutti noi, Collins!»
Garrett si voltò nuovamente: a pochi passi da lì trovò Bonnie con il viso ricoperto dagli scompigliati e sudati capelli bruni e una mano che stringeva un bicchiere di plastica rivolto verso di lui. La ragazza si lasciò andare ad un urlo sprezzante di gioia che, dapprima solitario, fu subito accolto e inglobato da uno collettivo. L'intera casa pericolante sembrava inneggiare a suo nome. Garrett raccolse un bicchiere da un tavolo vicino e rivolse a Bonnie un brindisi a distanza.
Un attimo dopo, mentre accanto a lui Zoe discuteva con Tyler, che pareva l'unico ad intendersi del funzionamento del generatore di corrente, Garrett era intento nel dare luce alle candele rimediate da uno scatolone destinato alle festività e alle necessità, conservato con premura dal proprietario di casa. Con la testa rivolta al ricordo di molti anni prima, in cui il coach Kaleb si impegnava nel suo inusuale compito dell'adibire quella casa a luogo di festeggiamento per il compleanno della figlia, Garrett non si accorse del silenzioso arrivo di Marlee.
«Hai scatenato un putiferio di lì» cominciò la ragazza, che sorrise.
«E' stato merito di Bonnie, cioè, della sua sbornia probabilmente.»
«Lo avrebbe fatto anche da sobria.»
Garrett non rispose, limitandosi a sorridere lievemente, certo com'era che quel gesto sarebbe stato sufficientemente visibile grazie al barlume creato dalle candele accese lì davanti.
«E' strano, non trovi?» chiese quindi Marlee.
«Di che parli?»
«Di questo. Fin qui non ci siamo rivolti quasi per niente la parola. Adesso arriva il buio ed è un po' come ritrovarsi quando l'alcol rompe gli impedimenti fra di noi. Per te non è lo stesso?»
«Credo di sì. Ora che è buio riesco a parlarti con molta più disinvoltura. Credo sia a causa del fatto che sono un impedito cronico, ma questo sottile velo che creiamo fra noi per nasconderci rende tutto più semplice.» Garrett accese anche l'ultima candela, così chiese a Marlee se avesse potuto aiutarlo a portare tutto quanto nell'area adibita a festa.
La ragazza annuì, prima di continuare: «Quindi tu hai difficoltà non solo con me, ma con qualsiasi ragazza?»
«Che non sia Zoe, ma sì, più o meno è così. Aggiungi il fatto che tu sei una di quelle ragazze.»
«Quali quelle?» Marlee lo fissò stringendo gli occhi in una fessura, mentre consegnava una candela ad un gruppo di otto ragazze – la metà delle quali erano collassate su un piccolo divano.
«Beh, fai parte di quelle belle, interessanti, quelle con cui tutti vorrebbero avere qualche chance.» Garrett sospirò, ringraziando il proprio autocontrollo e la forza profusa dall'aver sventagliato la spada laser per avergli concesso di esprimersi senza incespicare fra le parole, o peggio, farlo collassare a causa dell'ansia sul divano con le ragazze ubriache appena superate – il che, pensandoci, non sarebbe stato poi così male.
«Allora ti ringrazio, e ringrazio questo blackout per averti spinto a parlarmene.»
«Non è stato un blackout, è colpa del generatore di corrente-»
«-va bene lo stesso» Marlee lo interruppe e gli mise la mano libera sul braccio. Accompagnò il gesto con un sorriso e si spostò i capelli dietro l'orecchio.
«E adesso? Continueremo a vederci o la mia entrata in scena come farebbe un vero jedi ti ha fatto chiudere ogni ponte con me?»
«Te l'ho detto, quel gesto è stato un trionfo per tutti.»
«No, mi hai detto di aver scatenato un putiferio» la corresse Garrett.
Marlee sollevò il capo e sbuffò. Baciò il ragazzo sulla guancia e fece per allontanarsi.
«Ehi, non mi hai risposto!» Garrett allargò le braccia e urtò involontariamente uno dei Noble Deers, scusandosi senza una velata soggezione nei suoi confronti.
«Ti farò sapere, ti farò sapere!»
*
Quando Lotte gli afferrò con decisione il polso, Aaron vide il ritaglio creato dalla luna sul pavimento in legno rifarsi poco per volta più definito, mentre l'intontimento che lo aveva per un momento ricatapultato in quell'incubo bianco con Claire si dissolveva.
«Aaron, Aaron, va tutto bene?»
Piegato in due sulle ginocchia, in quel buio che non gli permetteva di vedere oltre un palmo di distanza, il ragazzo si sollevò e cercò i lineamenti del viso di Lotte. «Mi sono sentito mancare per un momento, ma adesso è tutto okay.»
«Sei sicuro? Sembravi... sparito nel buio, davvero, come se non fossi più qui.»
«Dico sul serio, non devi preoccuparti.»
«Va bene. Torniamo di lì? Magari riusciamo a capire cos'è successo.»
Aaron scorse una gamba di Lotte entrare nel ritaglio di luce della luna filtrato dal vetro opaco della finestra. Così la fermò quando fu completamente visibile nella sua interezza. «No, aspetta. Adesso vorrei solo stare con te. Quella lì in fondo è la maniglia di una porta o sbaglio?»
Lotte si girò verso il fondo scuro del corridoio, e tenendo la mano stretta in quella di Aaron, si incamminò muovendo i passi con circospezione sugli assi cigolanti del pavimento. Pose la mano sulla maniglia e aprì la porta che pareva fosse quasi semplicemente poggiata alla parete.
Con la vista che cominciava ad abituarsi al buio, Aaron distinse i tratti di una semplice mobilia e di un letto a due piazze coperto da uno strato di spessa trapunta.
Lotte era lì che guardava nella sua stessa direzione. «Bingo.»
*
Espirato il fumo in un soffio, Bonnie lasciò che la densa nuvoletta grigia si dissolvesse oltre la propria testa, prima di identificare le due figure che in quel momento avevano ricevuto una candela da Zoe. Sentiva una patina traslucida sugli occhi, un sentore crescente che si stessero inumidendo e che faticassero a mettere a fuoco gli oggetti d'interesse, dopo tutto l'alcol e l'erba offertale per gentile concessione da Luke – quel ragazzo agiva sempre così, convinto che un giorno lei si sarebbe lasciata andare, povero illuso.
Con la mano libera si stropicciò gli occhi e tornò a focalizzarli sulle persone davanti a sé: Erin sembrava permanere in quell'espressione imbronciata sin da quando Bonnie l'aveva vista arrivare, e ancor più da quando Doug le si era piantato accanto; mentre quest'ultimo, con la fronte che grondava sudore e i piedi ben fermi sul pavimento, muoveva il busto con una leggiadra incredibile considerando la sua stazza. Bonnie raggiunse i due ragazzi e, senza curarsi minimamente di buone maniere, poggiò una mano sulla spalla troppo sopraelevata di Doug, sentenziando: «Va' a farti un giro.» Quindi, mentre il ragazzo si allontanava quasi mortificato: «e levati quella pezza di dosso, Dio solo sa quanti lavaggi ci vorranno prima che torni ad essere indossabile!»
Erin la fissò imperscrutabile e tornò ad ignorarla con la sua ordinaria disinvoltura.
«Non ringraziarmi» disse Bonnie grattandosi il naso.
Erin teneva ancora le braccia incrociate sul petto, senza dire una parola.
«Per aver allontanato quel tipo, chiaramente. Da quand'è che ti viene dietro? Sarà stato in prima media-»
«-Non ti ringrazierò» la interruppe aspramente Erin, nel suo tono sempre lievemente rauco.
«Fa lo stesso.» Bonnie individuò un bicchiere poggiato su un tavolo lì vicino e ancora in parte pieno di una indefinita sostanza alcolica. Lo recuperò con totale noncuranza e ne ingurgitò il contenuto in un unico sorso. Le pareti del cranio sembravano cederle ad ogni battito proveniente dall'interno, e la gola impiegò un bel po' prima di liberarsi del bruciore di quella miscela scadente appena ingerita.
«Hai usato le parole più giuste: "fa lo stesso". Perché avere te accanto in questo momento non è poi così diverso dallo stare con Doug.»
«Almeno io non ci proverò con te.»
Ad Erin scappò una risata, quindi voltò il busto dall'altra parte per qualche secondo. Quando si risistemò di fronte a Bonnie, con gli occhi che la ignoravano guardando oltre di lei nel buio tempestato di piccole luci arancioni, Erin si era già reimpadronita della sua posa di noncuranza. «Non avrei potuto darlo per scontato, mi sembra infatti che oggi le cose non ti vadano benissimo, a parte Luke che non ne vuole proprio sapere di mollare. Sarà magari che sei troppo vestita.»
Bonnie rise poggiando una mano sul ventre e piegandosi leggermente verso il basso. «Al diavolo, sono troppo ubriaca per ribattere efficacemente. E poi non è vero che le cose non mi vanno benissimo. Quei tre non fanno altro che mandarmi messaggi in codice.»
«Mio fratello non ti ha considerato nemmeno per un momento, forse ha davvero compreso con chi ha avuto a che fare tutto questo tempo. Ed Aaron...»
«Aaron? Lui cosa c'entra?»
«Oh tu non sai che io so!» esclamò Erin coprendosi la bocca con una mano, in un gesto delicato e così ben esercitato che in un contesto meno sordido e confuso non l'avrebbe resa così dissimile da una dama di corte, intenta a spettegolare nel suo salotto.
Nello stato in cui era, Bonnie faticò ad inquadrare la reale situazione dei fatti, pur non essendo affatto preoccupata di quel risvolto imprevisto. «Te lo ha detto lui?»
«Te lo vedi Aaron a confidarmi i suoi inutili segreti? Non avrebbe mai potuto farlo, sono stata io a vedervi uscire dal suo motel. Puoi immaginare la faccia che ha fatto-»
«-Non parlarne con nessuno» la interruppe Bonnie, che si massaggiò le tempie con il capo basso.
«Già, il suo idillio d'amore con Lotte non merita di essere rovinato. Chiaramente si tratta di qualcosa che non potrebbe mai condividere con te.»
Bonnie depositò il bicchiere vuoto e sorrise. Le fiaccole tenui danzavano appena davanti a sé e la testa le martellava e girava con andamento incostante.
«Lo trovi persino divertente?» chiese Erin, degnandola solo allora di una nuova occhiata.
«In un certo senso mi fa pensare a te e a quel consulente... Anche per lui si tratta di qualcosa che non avrebbe mai potuto condividere con te.»
Stavolta Erin fissò con decisione gli occhi grigi su di lei. Sul volto parve fare breccia una qualche forma di disorientamento. Infine disse: «Parla piano, anzi, non devi parlarne affatto. Questa storia non è mai esistita.»
«Mi era sembrato che avesse fatto ritorno in città, qualche giorno fa. Sono quasi sicura di averlo visto a scuola» insisté Bonnie.
«Finiscila, adesso. E allontanati da qui.»
Le richieste, dall'aspetto di pretese pronunciate da Erin, portarono Bonnie a voltarsi dall'altra parte e a smetterla di perseverare in quell'atteggiamento di ostilità. Prima di allontanarsi però, rivolse un'ultima domanda alla ragazza dai capelli biondo cenere, ancor più spenti in quell'oscurità: «Perché hai voluto aiutarmi quella volta? Intendo nella Giornata della Fondazione.»
«Il mio era solo un conforto, volevo spronarti ad andare avanti.»
«Perché lo hai fatto?»
«Perché la causa dei tuoi mali era tuo padre. Non funziona così, la gente non può venire a rovinare da fuori la tua esistenza. Solo tu puoi farlo, se ne hai così tanta voglia.»
Bonnie annuì e tornò a voltarle le spalle.
*
Lotte stava qualche passo più avanti a lui. Sondava quello spazio non troppo angusto con cautela, e si fermava quando gli assi del pavimento in legno le cigolavano sotto i piedi, come se non volesse in alcun modo ridestare ciò che aveva intorno da quell'infermità. Aaron ripensò all'attimo prima in cui si era vergognosamente lasciato trascinare verso il basso da quell'oscurità, riconsiderando le parole della ragazza da ogni possibile angolazione. «Prima mi hai detto di stare attento a non dimenticare gli altri, a fare attenzione ai "compagni di Anderson". Cosa intendevi?» Sullo sfondo della luce lunare proveniente dall'estremità della stanza poté distinguere la sagoma scura di Lotte voltarsi dalla sua parte, e poi rivoltarsi e abbassarsi a far scorrere le dita sulla trapunta del letto. Si avvicinò un po' più a lei quando non ricevette alcuna risposta. «Cosa intendevi?» ripeté.
«Quello che ho detto: stai attento a non dimenticare gli altri. Quella volta alla tavola calda dei Rutherford – te la ricordi? Ecco – mi dicesti che ciò che ti sei lasciato alle spalle non ha alcuna importanza, eppure sei sempre stato restio a parlarne, come se qualcosa invece contasse, eccome se contasse. Lungo tutto il tempo che abbiamo passato insieme in questi mesi, raramente hai accennato a Philadelphia, alle persone che hai dovuto salutare, alla parte di te che hai lasciato lì.»
«Te l'ho detto, non-»
«-Non credo affatto che la tua vita lì fosse così vuota» riprese Lotte, interrompendo il suo intervento sul nascere. «Ad ogni modo, non ti sto dicendo questo per convincerti a parlarmi, ma ho sempre l'impressione che tu stia lì, pronto per mollare tutto quanto, pronto per lasciare andare le cose che desideri. Lasciare Anderson in un limbo, da solo, a struggersi senza poter neanche per un istante allungare il braccio verso le persone a cui tiene e che tengono a lui... è egoistico, e forse ti ci rispecchi.»
Aaron si sentì solcato da quella sua forza indagatrice e allo stesso tempo intenzionata a permeare ogni spazio con una naturalezza senza timori. Lotte era così, la risolutezza di un fuoco d'artificio pronto a riempire per intero un cielo senza stelle. Fece scivolare piano l'indice sulla sua spalla scoperta, con l'altra mano le raccolse il fianco dalle forme dolci e l'avvicinò a sé. La baciò risolutamente, fermandosi solo quando la mano calda di Lotte strinse dal basso il bordo del suo maglione di lana bordeaux, facendo per sollevarlo. A pochi centimetri dalla sua bocca, abbassò lo sguardo per seguire quel movimento, quando Lotte gli morse leggermente un angolo delle labbra. Sospirò, col battito accelerato e un tremore nelle dita. Uno spiraglio di luce sotto la porta distese brevemente le loro ombre. Il silenzio interrotto dalle urla festanti portò Aaron a riprendere coscienza di sé e di quel momento. Fece per distanziarsi con la complicità di Lotte, che rivolse lo sguardo alla porta, probabilmente accortasi dei rumori di passi insistenti nella loro direzione. Aaron sbuffò a quell'insperato ritorno di corrente, ricevendo per tutta risposta un sorriso cauto da Lotte. Guardò quelle labbra carnose dischiudersi sui denti resi ancor più bianchi dalla luce lunare, e prima che chiunque stesse lì fuori potesse fare capolino in quello spazio buio, abbracciò la ragazza senza dire una parola.
*
Con un viaggio a Pittsburgh che l'avrebbe attesa di lì a poche ore per la riunione sui Consigli di Istituto a cui avrebbe preso parte, Lotte salutò Aaron e fece il suo ritorno a casa, lasciando nel ragazzo un senso di sofferta mancanza.
La testa fu allora rivolta proprio alla percezione delle mancanze: ne era passato di tempo da quando Aaron aveva visto Claire materializzarsi davanti ai suoi occhi per l'ultima volta, eppure da allora non c'era stata sofferenza o dispiacere per quell'assenza, solo un ardente senso di colpa che sarebbe stato difficilissimo estinguere per chiunque.
Il ragazzo si riunì ai festeggiamenti di quel Ringraziamento notturno sfrenato e scellerato a cui i suoi compagni avevano dato vita. Garrett, che impugnava e fendeva l'aria con la spada laser accanto a lui, per una notte era divenuto il beniamino dei Noble Deers e delle Cheerleader – anche se probabilmente colpiva più di tutto il suo stato di incredibile sobrietà. Erin ballava muovendo appena i fianchi, attorniata da un fastidioso Doug e da ragazze sempre pronte ad entrare nelle sue grazie. Tyler, secondo due o tre voci, si era ritirato in qualche angolo di quella casa con due donne al seguito come premio per aver riassestato il funzionamento del generatore, sottraendo per una volta a Blythe il primato di ragazzo più desiderato di tutta Edwynville. In quel contesto Aaron attese soltanto, e con una fiducia non marginale delle proprie capacità intuitive, di vedere Bonnie sbucare da qualche angolo buio – magari dalla stessa stanza in cui erano stati rinchiusi per poco lui e Lotte – con un gregge di giovani sognanti che ancora cercavano di risistemarsi la cintura sui pantaloni, o meglio, che facevano finta di risistemarla, così che tutti potessero godere della loro impresa appena compiuta e convinti nel profondo di aver vissuto la notte più bella della loro vita. "Idiota", considerò tra sé, "definire gregge chi non fa altro che ricoprire la stessa funzione che hai avuto tu con lei... Non è un pensiero molto astuto da parte tua, Lewis". Tuttavia non vide anche solo per un attimo la figura di Bonnie fare capolino in quella notte, brulicante di anime sempre meno festose e indotte ad una sonnolenta distruzione su quei divani sgualciti e sui tavoli unti di alcol. Così, affidando ad una sempre lucida e attenta Zoe il proseguo della serata, si allontanò da lì per far ritorno a casa, quando ritrovò Bonnie poggiata sul cofano della sua auto, chiaramente in attesa che lui si facesse vivo da quelle parti.
«Bonnie. Che ci fai qui fuori?»
«Prima ho visto Lotte che andava via, quindi ho deciso di aspettarti. L'ho fatto qui perché non volevo darti fastidio.» La ragazza affondò le mani nelle tasche dei jeans e premette le braccia contro il corpo quando una raffica di vento gelido parve investirla. «Ti sei divertito?»
«Non è andata male. Ma che ti salta in mente? Fa freddissimo. Dai, se vuoi parlare torniamo dentro.»
«No, no, non mi va. Non volevo neanche parlare, solo... chiederti un favore.»
«Fai pure.» Aaron allargò le braccia, nell'attesa di una risposta che tardò ad arrivare.
«Ce l'hai una stanza libera al motel per stanotte? Solo per questa notte, domattina andrò via prima che i tuoi possano accorgersi di me.»
«Non vuoi tornare a casa?» chiese Aaron, trovando da sé la risposta a quella banalissima domanda.
«Te lo chiedo per favore.»
«Immagino che qui... Immagino che restare qui, fra questa gente che ci prova di continuo fino a quando non sorgerà il sole, non sia una buona soluzione.»
Bonnie annuì, il vento che le scompigliava i capelli sul viso e gli occhi persi oltre i boschi poco distanti da lì.
«E va bene.» Aaron aprì lo sportello del passeggero e batté con un pugno leggero sulla carrozzeria. «Monta su.»
*
Cinti i suoi fianchi con una delicatezza resa naturale dallo stesso atteggiamento di Bonnie, Aaron si fece catturare da quei suoi occhi color nocciola, piegati quasi in una supplica come quella volta in cui fecero sesso di ritorno dal viaggio con Garrett e Blythe, sempre lì: stanza numero cinque. Mosse con più viva decisione il bacino e affondò energicamente col membro dentro di lei. Bonnie trasalì, permanendo in un silenzio quasi da lei stessa forzato, le mani che premevano sulla schiena sudata di Aaron così da accentuarne la spinta. I corpi scivolavano l'uno sull'altro e con un solo efficace capovolgimento si ritrovarono nella posizione opposta. Bonnie fece scivolare via la trapunta verde, permettendo ad Aaron di godere della prospettiva migliore di quell'eccitante e caldo insieme di curve: il sedere che saltava sul suo membro inumidito, il seno stretto nelle sue mani quando con leggiadra si piegava un po' più sul suo viso.
La ragazza saltò via quando sentì i sospiri di Aaron farsi più impellenti, riconoscendo alla perfezione l'esatto momento in cui il ragazzo sarebbe venuto. Si stese accanto a lui, con la testa nell'incavo della sua spalla. Ci volle un po' prima che uno dei due potesse aprire bocca. Aaron ritirò su la trapunta, la principale premura volta ad assicurarsi che nessuna parte del corpo di Bonnie restasse scoperta.
«Non eri obbligato a farlo» disse lei alla fine, cingendogli il torace.
«Me lo hai chiesto e ti ho detto di sì. E poi non avevi voglia di parlare. Adesso stai meglio?»
«Forse.»
«Vedrai che tutto si sistemerà.»
«Non con te» sospirò Bonnie.
«Stronzata, andrà meglio anche con me.»
«Lo sai che mi piaci.»
«Mi piaci anche tu.» Aaron guardava il soffitto, più preoccupato di quanto non lo fosse stato negli ultimi mesi. «Adesso dormi, ne hai bisogno.»
«Va bene, ma non andare.»
«Sai che dobbiamo smettere.»
«Okay, allora vai.» Bonnie si voltò dall'altra parte.
«Per oggi no» replicò Aaron. Le accarezzò i capelli e ci immerse il viso quando la abbracciò, sempre di spalle. «Oggi no.»
Angolo autore:
MEGA SCUSE PER IL RITARDO, come sempre. Anzi, non come sempre, dato che qui si parla di 2 SETTIMANE. Sapevate che dovevo preparare un esame tostissimo, e quindi non potevo dedicarmi come avrei voluto alla storia. E sapete come è andata alla fine? E' arrivata la prima bocciatura in tre anni. Favoloso direi. Poi chiaramente lassù esiste una Giustizia Divina. Già. Detto questo, passiamo al capitolo in sé: vi è piaciuto? Spero proprio di sì. E' un capitolo un po' anomalo, con tanti punti di vista e forse con molta, molta confusione. Ma spero che le vostre idee possano restare chiare e che soprattutto possiate continuare ad amare la storia e i miei personaggi (alcuni magari si fanno odiare poco a poco ahah). In conclusione, questo capitolo costituisce la FINE della PRIMA PARTE DEL ROMANZO. Il che vuol dire che ci saranno probabilmente altri venti capitoli, oppure meno o di più in base alla lunghezza di ciascuno (dettagli). E state ben attenti, lettori miei, perchè nella seconda parte i rapporti cambiano, le vicende si intrecciano e i misteri (se tali possono essere chiamati) si svelano: si veda a tal proposito Claire, i problemi di cuore dei nostri protagonisti, le scelte che intraprenderanno, la storia delle lettere fra i due amanti e infine un personaggio molto ambiguo! Ah, fra due o tre giorni posterò una sorta di sondaggio su questa prima parte, a cui spero partecipiate numerosi per conoscere meglio i vostri pareri. Vi ringrazio per l'attenzione e vi saluto. Alla prossima (cioè tra poco, ve lo giuro, non aspetterete troppo)!
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