Capitolo 18
Due anni prima, Giorno del Ringraziamento
Oltre i vetri della finestra della sua stanza, Aaron vide un'auto rallentare e accostarsi al marciapiede. Ne uscì una figura femminile avvolta in un lungo cappotto di lana beige, che con passo svelto attraversò lo spazio che la separava dalla porta d'ingresso della stessa casa da cui il ragazzo l'aveva guardata, sparendo così dal suo campo visivo. Il campanello al piano di sotto suonò. Aaron si riguardò nello specchio, il viso pulito di chi era solo alle prime fasi della pubertà, il lungo ciuffo bruno di capelli sistemato con ordine di lato, il colletto della camicia a quadri che sporgeva il giusto oltre il maglione di lana verde regalatogli dal padre il Natale precedente. Si diresse con calma al piano di sotto, sentendo le voci dei suoi genitori accogliere il dolce saluto dell'ospite.
«Felice Ringraziamento, Janice!»
«Grazie cara, e felice Ringraziamento a te!» rispose sua madre, stringendo la ragazza in un abbraccio.
«Okay, okay» cominciò suo padre Greg, ponendo una mano sulla spalla della moglie. «Via, via con queste dimostrazioni d'affetto. Ci sono anche io!»
La ragazza dai lunghi capelli bruni, ancora in parte nascosti da quello che aveva l'aria di essere un borsalino molto caldo, si liberò dell'abbraccio di Janice e prese a ridere entusiasticamente quando Greg la sollevò da terra, reggendola fra le sue possenti braccia.
Fattosi strada verso il gruppo, Aaron abbozzò un sorriso quando trovò gli occhi della ragazza finalmente sui suoi. Le baciò con delicatezza le labbra, prima di lasciare che si liberasse del pesante cappotto e del cappello.
«Felice Ringraziamento» disse quindi il ragazzo.
«Ora sì che lo è» replicò Claire, sorridendogli mentre incrociava le dita fra le sue.
I due ragazzi si stavano dirigendo nella sala da pranzo al seguito di Greg e Janice, prima che Aaron potesse riprendere la mano di Claire e portare con sé la ragazza nella sua stanza.
«Tua sorella non c'è?» gli chiese la ragazza, mentre di sua iniziativa prendeva posto sul letto ai piedi del poster di Before Sunrise.
«Tornerà tra poco. Si è lamentata tutta la mattina per poter... Stare con le sue amiche. Quattordicenni» fece Aaron sospirando. Diede le spalle a Claire per accatastare i manuali di scuola su una mensola, quindi la raggiunse e si sedette accanto a lei. «Sai quel concorso letterario...»
«Concorso?» ripeté lei in modo incerto.
Aaron la scrutò stringendo gli occhi. «Il concorso sulla creazione di una storia a sfondo robotico, futuristico.»
«Oh certo, il concorso! Com'è andato?»
Il ragazzo fissò il soffitto e allargò le braccia, chiedendosi se davvero Claire lo avesse dimenticato, dopo averle chiarito quanto per lui fosse importante. Smise di pensarci all'istante e scosse il capo nella sua direzione.
«Cavolo, Aaron, mi dispiace.»
«Non fa niente, mi rifarò alla prossima occasione, semmai la tematica riuscisse a prendermi tanto quanto questa.»
«Andrà meglio, vedrai.»
«Già» rispose Aaron annuendo appena. Teneva adesso gli occhi fermi sull'angolo opposto della stanza, cercando di stabilire se il dispiacere di Claire fosse reale, o perlomeno lo fosse più del tono quasi piatto e vacuo con cui lo aveva espresso. «In ogni caso,» riprese, sollevandosi dal letto e recuperando dei fogli ripiegati sulla scrivania, «questo lo puoi tenere. E' il testo "originale", se così può essere chiamato qualcosa che non ha alcun reale valore per i giudici del concorso.»
«Sarà gente mediocre» disse Claire mentre si avvicinava a lui.
Aaron sorrise e le pose il testo fra le mani. «La donna con l'esoscheletro robotico di cui il pilota si innamora è chiaramente ispirata a te. Spero che tu possa apprezzarlo.»
«Significa davvero molto per me.» Claire strinse per un attimo i fogli al petto, poi avvolse le braccia attorno al collo di Aaron e lo baciò. «E ho già un'idea su come poterti ringraziare. Vieni da me, stasera. I miei saranno fuori e non si faranno vivi per un po'.»
Aaron allontanò le labbra dalle sue, dopo aver ricevuto un nuovo bacio. Seguì per un lungo attimo il volo dalle traiettorie indefinite di un uccello al di fuori della finestra, e tornò a guardare Claire provando ad allontanare ogni forma di esitazione dalla sua testa. «Ma certo, ci sarò.»
«Aaron! Ehi!»
Il ragazzo si voltò verso sua sorella, con indosso un grazioso abito blu, in piedi all'ingresso della sua stanza. Immaginò di avere ancora una faccia palesemente confusa, o se qualcuno fosse stato in grado di leggere più a fondo - e magari Olivia lo era - avrebbe potuto comprendere che si era perso per una non trascurabile quantità di tempo nei ricordi di Philadelphia, con Claire al suo fianco.
«Il pranzo è pronto. Oh, e non preoccuparti di riguardarti, come ha detto la mamma. Stai bene così.» Olivia abbozzò un sorriso e sparì nel corridoio.
Aaron si sollevò dal letto e osservò la sua immagine allo specchio: quell'anno non avrebbero avuto nessun ospite - lontani com'erano da ogni parente o amico della loro vita precedente - quindi la polo bordeaux che aveva indosso sarebbe bastata per quel Ringraziamento in famiglia. Si assicurò solo che l'insonnia di quella notte non gli avesse procurato occhiaie troppo vistose, quindi si sciacquò il viso e scese in sala da pranzo.
«La sai una cosa?» gli chiese suo padre quando prese posto a tavola.
«Cosa?»
«Quest'anno assaggerai il tacchino peggiore della tua esistenza finora!»
Olivia e la madre Janice risero, prima che questa potesse continuare: «Avanti, non potevamo mica conoscere la qualità del suo sapore senza mai averlo comprato prima, qui ad Edwynville.»
«Lo avete comprato da Ruppert?» chiese Olivia alla madre.
«Sì, in fin dei conti le possibilità di scelta non sono poi così tante.»
«Avreste dovuto provare dalla signora McHale. La sera è sempre stracolma di gente che vuole provare la sua carne.»
«Il prossimo anno mandiamo te a fare compere. Sembri così esperta di questa città» disse suo padre, portando alla bocca una forchettata di insalata.
«Credo sia meglio» replicò Olivia con la bocca piena. «Mi piace questo posto. Non è così piccolo e monotono come sembra, ci sono angoli di paradiso nascosti qua e là, ovunque si sente la presenza delle antiche tradizioni, e la gente non è male.»
«Sono davvero contento per te.» Greg sorseggiò un po' di quel vino bianco che sembrava nessun'altro volesse provare. «E tu, Aaron? Ti piace qui?»
«Penso di sentirmi a mio agio. Più che la presenza delle tradizioni, io sento il modo placido della gente di fare ogni cosa, ogni singolo gesto,» ingoiò con fatica un grosso boccone di tacchino, prima di continuare, «escludendo ovviamente la squadra di football: lì si estremizza tutto peggio che a Philadelphia.»
Sua madre rise, tenendo le mani incrociate e i gomiti poggiati sulla tavola in una posa che esprimeva l'estrema attenzione con cui ascoltava ogni parola del ragazzo.
«Sì, questi Noble Deers non sembrano gente tranquilla, vedete di non passarci troppo tempo insieme!» esclamò Greg. «Ah, l'altra mattina, quando sono passato a prendervi da scuola-»
«-Sì! Quella mattina in cui suonavi il clacson a quasi centro metri da noi e muovevi il braccio come un forsennato sorridendoci. Hai attirato l'attenzione di tutti. Non rifarlo più, papà, davvero» lo interruppe Olivia, che si coprì il volto per la vergogna, con le mani le cui dita erano ornate da anelli di vario genere e dimensione.
«Ma piantala! Cos'è che dicevo? Ah sì, l'altra mattina, mentre Olivia si vergognava del mio vistoso saluto, ti ho visto parlare con una ragazza, che dopo hai anche abbracciato. Sì... sembravate abbastanza intimi.»
Aaron fissò prima il padre, poi il piatto davanti a sé. Con la coda dell'occhio cercò rapidamente Olivia, che tuttavia non parve assisterlo, così per non permanere in quell'imbarazzante silenzio, disse la prima cosa che gli saltò per la mente: «Qu-quale ragazza?»
«Già...» si intromise stavolta Olivia parlando a bassa voce, «quale ragazza? Aveva i capelli di una scura sfumatura di rosso? O era bruna?»
Aaron la interruppe assestandole un lieve calcio da sotto il tavolo, assicurandosi che non fosse stato un gesto sufficientemente evidente da procurare l'attenzione dei genitori.
«Direi che fossero rossi. Ma aspetta: c'è più di una ragazza?»
«Io non...» Stavolta fu Aaron a coprirsi il viso, incapace di continuare.
«Ma tu guarda! Due ragazze!» disse con slancio sua madre Janice, battendo con la forchetta sul tavolo e lasciandosi andare ad una fragorosa risata.
Olivia la guardò perplessa, proprio come Aaron. Di certo anche lei aveva trovato bizzarra la reazione dei genitori.
«E dimmi un po',» riprese suo padre, «nessuna delle due sa dell'esistenza dell'altra. Giusto?»
«Papà!»
«Ehi! Che c'è di male in quello che ho detto?»
«Non sanno che frequento sia l'una che l'altra, okay. Ora, per favore, smettiamo di parlarne» fece Aaron, dando particolare enfasi a quell'ultima supplica.
«Va bene, va bene» concluse sua madre, mentre si ricomponeva dopo aver contenuto quella grossa risata.
Il ragazzo scosse il capo. Mentre i suoi genitori tornavano ad addentare il tacchino, si voltò verso Olivia e, trovato i suoi occhi da cerbiatto su di lui, le rivolse il "ti odio" più ricercato che poté muovendo il solo labiale.
*
Nel retro della macchina, parcheggiata presso l'angolo più buio alle spalle della modesta tenuta di campagna di Zoe, un piccolo gruppo dei Noble Deers si era posto attorno alla figura di Luke, con indosso il solito berretto sgualcito. A debita distanza da lì, Erin osservava la scena con circospezione, assicurandosi che quello sconsiderato di suo fratello non facesse eccessiva scorta della roba di colui che riteneva essere solo uno zoticone alla ricerca di piccoli momenti di notorietà. Scosse il capo nella direzione di Blythe quando lo vide fare ritorno da lei.
«Quel tipo, Luke, dovresti cominciare ad evitarlo» disse Erin. Tornò col fratello all'interno della casa colma del frastuono della musica e dello sconquasso a cui tutta la squadra di football stava dando vita.
«Abbiamo vinto il girone e Coach Kaleb ci ha premiato concedendoci la sua casa in campagna per una notte, più tutto questo ben di Dio!» proruppe Blythe allargando le braccia verso un gruppo di cheerleader affiatate che ballava in cima ad un basso tavolino, mentre Zoe le forzava a scendere con fare disperato. «Perché mai non dovrei approfittarmene? Lo hai visto papà oggi... Anche il giorno del Ringraziamento non sa far altro che darmi direttive ed istruirmi su quello che sarà il mio futuro. E' insopportabile.»
Erin annuì, potendo comprendere più di chiunque altro il disagio del fratello, ma prima che potesse ribattere, Doug li raggiunse gridando qualcosa di molto vicino ad un ululato. Sulla sua maglia bianca, che aderiva perfettamente alla forma fin troppo definitiva dei muscoli, capeggiava la scritta nera a caratteri cubitali "Party Hard".
Blythe non poté fare a meno di scoppiare a ridere. «E questa roba da dove sbuca?»
«La tenevo pronta per le occasioni speciali, caro il mio ragazzo! Che aspettate a gettarvi nella mischia?»
«Ero lì lì per farlo, infatti ora vi saluto: quella Maisie, o come si chiama, mi ha appena fatto il terzo occhiolino della serata» fece Blythe, prima di battere il cinque all'amico ed allontanarsi sorseggiando un vodka tonic.
«Mi ha davvero lasciata qui, da sola?» Erin espresse involontariamente quel pensiero ad alta voce, ignorando del tutto la presenza di Doug al suo fianco.
Il ragazzo, probabilmente incurante delle sue parole, le portò il braccio attorno alle strette spalle e la avvicinò energicamente a sé. «Non sei affatto da sola, a te ci penserò io!»
«Grandioso» sussurrò Erin. Quando ritrovò gli occhi grigi di suo fratello, ormai inseritosi con grande partecipazione nella mischia, non poté fare a meno di incrociare le braccia e fulminarlo con lo sguardo, ricevendo per tutta risposta un sorriso divertito e niente affatto innocente.
*
«Maledetto di un Lewis, eccoti qua!» Garrett mise un braccio attorno al collo di Aaron e lo trascinò oltre l'atrio d'ingresso della casa.
«Scusa il ritardo» fece il ragazzo con tono soffocato, mentre si tastava con due dita all'altezza del pomo d'Adamo, così da assicurarsi che tutto fosse ancora al suo posto.
«E Olivia? Non l'hai portata con te?»
«No, aveva già un impegno con i suoi coetanei.»
«Peccato» ammise Garrett grattandosi il capo. «Per caso ha chiesto di me? Della mia presenza stasera?»
«Vuoi la verità?»
«Certo che sì! Anzi... magari contieniti.»
«Ha chiesto di Blythe, non di te.»
«Oh Cristo Aaron! Ho detto di contenerti!»
«Hai detto "magari"» disse Aaron, soffocando una risata e dando una pacca all'amico. «Ti prego, non avercela troppo con me.»
«Fottiti.»
«Sai dov'è Lotte? Non la riesco proprio a vedere con tutto questo fracasso e le luci psichedeliche.»
«Già, e sono fiche! Le ha portate Tyler. Una cosa buona l'ha fatta, non trovi?»
Aaron annuì.
«Anche se c'è il rischio che salti tutto, Zoe è preoccupata. L'energia è gestita da un generatore qui fuori, non so quanto a lungo possa reggere-»
«-Okay amico, ieri pomeriggio mi hai fatto una doppia seduta di fisica e scienze, quindi direi che può bastare così. Allora, lo sai dov'è Lotte?»
«Ah, sei di fretta! Comunque è lì in fondo con Marlee, le vedo parecchio esuberanti stasera.»
Aaron individuò le due ragazze, rivolgendo quindi un'ultima attenzione al ragazzo. «Ecco, è a Marlee che dovresti badare, quel vestitino corto parla per lei.»
«Ci proverò» concluse Garrett con un mezzo sorriso.
A pochi passi dalle spalle di Lotte, Aaron si arrestò, assicurandosi di non aver perso i fogli ripiegati nella tasca del giubbotto di jeans. Così si avvicinò, toccandole delicatamente la spalla con un braccio. Lotte si voltò prontamente nella sua direzione e in quel movimento, per un breve istante, i lisci capelli color rubino parvero tracciare la traiettoria di un arco iridescente, quasi fiammeggiante, che poi si spense in un battito di ciglia. Aaron dovette considerare una volta di più la capacità innata della ragazza nel produrre nella sua psiche una ricca serie di fantasticherie e di forme non attribuibili ad una mente razionale - e di fatto la sua non lo era affatto.
«Ce ne hai messo di tempo» cominciò Lotte, sorridendo al suo solito.
«Ho dovuto dare uno strappo ad Olivia fino all'altro lato della città, ma ora sono qui.» Aaron sospirò brevemente, prima di riprendere: «Potrei parlarti un momento in privato?»
La ragazza trovò gli occhi condiscendenti di Marlee, così si allontanò con Aaron nell'angolo più appartato di quella struttura logora, le cui pareti sembravano cedere di più ogni minuto che passava per la pressione esercitata da quei mucchi scalmanati di giocatori, cheerleader e ogni sorta di imbucati festanti.
«Gran bella festa, non trovi?» chiese Lotte, penetrandolo coi suoi occhi dall'iride cristallina.
«Con te lo sarà più facilmente» ammise il ragazzo, fallendo nel tentativo di velare una certa goffaggine.
«Beh, credo sia più facile quando non ci sono alte aspettative, quindi non darmi meriti prima del tempo.» Lotte dondolò appena le braccia, facendo così oscillare la gonna rossa, per poi incrociarle sul petto; il volto che assunse un'espressione curiosa quando Aaron non le concesse alcuna risposta. «Allora, cos'è che dovevi dirmi?»
«In realtà, volevo darti questo.» Aaron tirò fuori dal giubbotto di jeans i fogli ripiegati e li porse nelle mani di Lotte.
«Cosa c'è qui dentro?»
«Una storia... più o meno. E' più una raccolta di memorie, di ricordi che un giovane soldato esiliato trascrive così che possano preservarsi nel tempo, così che lui possa lasciare qualcosa di sé quando non ci sarà più. Non è un lavoro completo, anzi ci saranno ancora un mucchio di errori qua e là.» Si grattò la fronte e provò a trovare le parole adatte dentro di sé. «Mettiamola così: non conosco poi così tanto di te, e la colpa è senz'altro mia. Mi sono mosso lentamente attraverso il fiume, cercando di poggiare i piedi su sostegni di roccia sicuri così da non rischiare di precipitare fra le sue torbide acque - e credimi quando ti assicuro che queste acque lo sono davvero, perché di più non potrei dirti, almeno per il momento -. Ora, non ho idea del peso che questi sostegni possano reggere, ma devo provarci, devo provare a percorrere la via che mi sono tracciato. Le cose che ho scritto... non parlano di te, parlano di me. Non è forse vero che prima ancora di rivelare agli altri ciò che noi pensiamo di loro, sia importante dire qualcosa di sé? Ecco, credo valga lo stesso per la scrittura, il tramite che probabilmente ti saprà dire qualcosa che a parole non sono in grado di esprimere.» Nonostante faticasse tantissimo a guardarla per più di pochi secondi di fila, Aaron percepiva chiaramente gli occhi di Lotte inseguirlo in ogni suo scatto inquieto da un lato all'altro di quel corridoio angusto. La mente prefigurò involontariamente la reazione che lei avrebbe potuto avere, costruendo le immagini delle sue braccia coperte da quella maglia nera semitrasparente che portavano i fogli sul petto e li stringevano in una sorta di affettuoso abbraccio, proprio come accaduto con Claire.
Ma lontanamente da quanto avesse previsto, Lotte dispiegò i fogli e sembrò gettare una rapida occhiata fra le righe. «Questo ragazzo, il ragazzo della storia...»
«Anderson» le venne incontro Aaron, esitante.
«Anderson, sì. Davvero lui non tornerà più a casa?»
«L'idea è quella. Perché me lo chiedi?»
«E le persone che tengono a lui? Come reagiranno?»
Il ragazzo tentennò a quella domanda, così poggiò un braccio alla parete sulla sua destra, percependo la necessità improvvisa di reggersi. «Loro, loro non...»
«Chissà, un giorno... Anderson troverà un modo.» Gli occhi indagatori di Lotte sembravano quasi piegarsi in una forma di appello alla sua comprensione, che magari immaginava essere celata dietro un velo non troppo spesso.
«Un modo per tornare?»
«Non necessariamente, ma uno per ritrovare un legame con loro, anche solo per un momento prima di perdersi del tutto. Anche se è Anderson il fulcro di tutto, stai attento a non dimenticare gli altri.» Lotte gli prese la mano, con l'indice che ne accarezzava il palmo.
Aaron annuì, rapito e inebriato dal calore che stava invadendo il suo corpo attraverso quel piccolo gesto di lei.
Poi la luce fu risucchiata in un attimo dalle tenebre, che dal fondo nero alle spalle di Lotte inghiottì anche i due ragazzi nel corridoio e tutta quanta la sala a qualche passo da loro, straripante di smaccata e frizzante allegria. La musica rovinò istantaneamente in un silenzio irreale, prima che tutti si lasciassero andare a grida e fischi ancor più ossessivi dei precedenti; la voce di Doug che si riconosceva anche allora sopra le altre.
Aaron tentennò di nuovo, ma stavolta in modo reale. I suoi occhi ritrovarono il passato, la neve mista alla pioggia rovinosa, l'urto sordo dell'impatto e il buio cieco, identico a quello che aveva appena investito lui e Lotte. Poggiò le spalle contro il muro, cercando di controllare con la mente il fiato corto. Le gocce di sudore gli rigavano il viso, mentre le gambe scivolavano di lato, prive di equilibrio.
Angolo Autore:
ebbene ragazzi, eccovi questo diciottesimo capitolo che ci avvia nella parte intensa di questo Ringraziamento, dato che, come avrete notato, questa è solo una prima fase di esso (la seconda è più tosta!). Perché prendere questa decisione di suddivisione? Perché la mia testa diceva di fare così, diceva di concentrarmi un po' su queste riflessioni, un momento sul passato e un altro su un piccolo quadro familiare, uno scatto su Erin e un dialogo fra il reale e la finzione a cui Lotte ed Aaron danno vita. Purtroppo son fatto così, l'azione viene sempre in un secondo momento. Passo alla domanda importante inerente alla conclusione del capitolo: non avete capito quasi nulla - o proprio una mazza - di quello che ha detto Lotte ad Aaron? Bene! Non preoccupatevi, perchè nemmeno il nostro ragazzo ha le idee chiare, e infatti per le spiegazioni ci sarà spazio nei prossimi capitoli! :) Detto questo, scusatemi again per il ritardo, ma in periodo d'esame questi sono i miei tempi. E pur avendo le idee chiarissime sull'evoluzione del prossimo capitolo e di ciò che seguirà, vi dico già che mi ci vorrà un po' per il 19esimo capitolo. Il 7 giugno ho un esame e sto indietrissimo, quindi siate clementi e assecondate la mia lenta scrittura fatta a sprazzi fra una ripetizione e l'altra! E attenzione di nuovo: quando la luce va via e il buio fa da padrone della scena, il rating rosso ritorna! Quindi non fatevi pregare e continuate a seguire la storia, ci conto davvero.
Ah, vi ringrazio tantissimo per aver superato le 3k visualizzazioni, non avete idea di quanto significhi per me, specie per una storia che forse non è proprio di casa in un contesto come quello di wattpad, ma tant'è!
Un saluto e alla prossima :)
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