Capitolo 17 - Prima Parte




Nella penombra dell'abitacolo della sua Suzuki Samurai, Garrett osservò rapidamente se stesso nello specchietto retrovisore. In dubbio su quale fosse la soluzione migliore per la sua presentabilità, richiuse il primo bottone della sua camicia a quadri rossa, per poi sbottonarlo nuovamente non appena si sentì soffocare. Si lisciò il ciuffo di capelli lateralmente e cominciò a tamburellare con le dita sullo sterzo, nell'estenuante attesa che la porta di casa al di là della strada si aprisse e Marlee lo raggiungesse con quel suo modo grazioso di muovere i fianchi. Il telefono gli vibrò in tasca, così Garrett lo estrasse per conoscere il contenuto del messaggio: Zoe ed Aaron avevano scattato una foto insieme nella tavola calda dei Rutherford, impugnando l'una un frappé ai mirtilli e l'altro al cocco e cioccolato. Sotto quella foto c'era scritto, nell'impeccabile stile ironico di Zoe, che i due erano pronti per dare a lui e a Marlee la caccia da veri spioni, e avrebbero girato quasi ogni locale pur di trovarli in intime effusioni. Garrett provò ad elaborare nella sua testa una risposta che puntasse a mettere in difficoltà i due amici, ma l'attesa per l'appuntamento lo portò più e più volte a cancellare le poche parole che riusciva a digitare sul tastierino.

Due colpi contro il finestrino alla sua destra fecero sobbalzare il ragazzo, che urtò col gomito sullo sportello e si fece scivolar via dalle mani il telefono. Garrett fece per ricomporsi subito e osservò una sorridente Marlee salutarlo con una mano e il capo inclinato, appena fuori dall'auto. Si allungò e aprì lo sportello del lato passeggero, permettendo così alla ragazza di entrare.

«Non volevo spaventarti» disse Marlee cominciando a ridere.

«Oh no, figurati. E' che stavo rispondendo ad Aaron e Zoe su una faccenda importante, ed ero abbastanza preso dalla situazione, tutto qui» replicò Garrett con un certo affanno, abbassandosi a raccogliere il telefono. Si assicurò che non si fosse scheggiato, prima di sentire una goccia di sudore rigargli la fronte per l'imbarazzo, nonostante quella sera non ci fossero più di dieci gradi all'esterno.

«Allora puoi finire di rispondere.»

«No, adesso non è più così importante.» Garrett forzò un sorriso, prima di continuare: «Ciao, comunque.»

«Ciao a te!» con estrema vitalità - assolutamente estranea invece al ragazzo - Marlee gli si avvicinò con un rapido movimento del busto, gli baciò una guancia e tornò al suo posto con la stessa rapidità, mantenendo il dolce sorriso all'interno della cornice chiara delle sua labbra.

Avevano attraversato la via principale di Edwynville e circumnavigato la verdeggiante piazza centrale già per ben tre volte, prima che Garrett si decidesse a dirigersi verso il suo nuovo pub di fiducia, che quella sera pareva anche ospitare un numero consistente di ospiti. Si accertò con un non sottile sollievo che Zoe ed Aaron non fossero presenti, così lasciò che Marlee facesse il suo ingresso nel locale prima di lui. Occuparono un tavolo fra due gruppi di gente esuberante e briosa, ed entrambi risero quando un uomo sui trent'anni si mise in piedi su un instabile sgabello di legno e prese a intonare una qualche canzone country, sovrastando con la sua voce la musica rock diffusa dalle enormi casse agli angoli del locale. Alla conclusione di quella bizzarra performance, i due applaudirono trascinati da tutta quanta la piccola folla di presenti, con Marlee che prese a fischiare con le dita ad anello chiuse all'interno della bocca.

«Però, ci sa fare!» gridò Marlee così da raggiungere le orecchie del ragazzo nella confusione.

«Già, vorrei poterne essere capace anche io» replicò Garrett. Fece segno con un braccio verso la cameriera, la grassoccia Eve, affinché li raggiungesse. Ordinò – dopo l'assenso della ragazza – due birre ai tre luppoli dal tasso alcolico capace di stendere un intero esercito, e prese a strofinarsi le mani, ancora intorpidite dall'aria gelida.

«A che dovrebbe servirti saper cantare così?» chiese quindi Marlee, poggiando la testa su di un gomito e osservandolo con fare interessato.

Garrett si avvicinò un po' più a lei e al tavolo: «Così saprei far sorridere la gente.»

«La gente ride già con te, lo faccio anche io. E poi sei bravo in moltissime altre cose.» Marlee sorrideva e si rigirava fra le dita un ciuffo di capelli di quella sua deliziosa sfumatura arancio.

«Eppure abbiamo già trascorso un'ora insieme e non sono stato in grado di trovare spunti o argomenti che potessero interessarti.» Garrett non era sicuro che la sincerità in quel frangente potesse essere una buona soluzione, ma preferì rendere chiaro a Marlee come si sentiva in quel momento.

«Beh, non amo Star Wars e neanche Star Trek. Ho recuperato due stagioni di Game of Thrones, ma questo ti impedisce di raccontarmi come vanno a finire tutte le altre. Parlare del football è controproducente, dato che mi farebbe pensare a quello stronzo di Doug.»

Garrett scosse il capo e fissò il pavimento. Pensò al fatto che Marlee avesse nominato Doug quella sera già dieci volte, e che evidentemente non era ancora sufficiente. Tirò un sospiro di sollievo quando gli enormi boccali di birra furono portati al loro tavolo, ringraziò Eve e prese a ingurgitare quel liquido dorato in una lunga sorsata. Quando riappoggiò il boccale sul tavolo, Marlee gli indicò con l'indice il viso, così Garrett si ripulì la schiuma bianca strofinandosela via con un braccio.

«Avanti,» riprese lei «sapevamo già che non abbiamo molto in comune, anzi probabilmente non condividiamo proprio niente.»

«Stai rendendo la situazione sempre migliore, davvero» biascicò con ironia Garrett, dopo aver buttato giù in una volta un cumulo di arachidi e aver sorseggiato ancora un po' della sua birra.

«Forse non è meglio dire le cose come stanno?» chiese retoricamente lei, sollevando un sopracciglio. «Hai cominciato tu.»

«Hai ragione.» Garrett annuì e ticchettò con le unghie contro il vetro del boccale. «Scusami, vuoi che ti riaccompagni?»

«Cosa? Ma no, non intendevo questo» Marlee scosse il capo e chiuse gli occhi. Tastandosi le tempie, tirò un sospiro, prima di riprendere: «Qual è il motivo per cui siamo finiti qui?»

«Perché qualche giorno fa eravamo contenti di essere l'uno con l'altra, alla festa da McEnroy.»

«Esatto! E perché lo eravamo?»

«Perché... Perché eravamo ubriachi?» mormorò Garrett, avendo quasi il timore di ammetterlo.

«Si! Quindi cosa faremo, da adesso, per raddrizzare quest'appuntamento?» continuò Marlee nel suo singolare interrogatorio.

«Da adesso... Ordineremo altre di queste birre finché non ne perderemo il conto?»

Marlee batté un pugno contro il tavolo, facendo sobbalzare il ragazzo come accaduto poco più di un'ora prima in auto. Aveva un'espressione particolarmente entusiasta, suscitata – a detta di Garrett – da un senso di rinnovata e forse mai smarrita convinzione di poter capovolgere le sorti di quell'appuntamento fino ad allora assolutamente disastroso. Anticipandolo nelle intenzioni, Marlee scosse il braccio per aria, quasi fosse in mare aperto, nel pieno di una tempesta, chiedendo alla grassoccia Eve di poter essere salvata, e ordinò per ciascuno altre tre di quelle birre dorate ai tre luppoli.

Era passata all'incirca mezz'ora, a detta di Garrett – e in quello stato poco salubre non avrebbe potuto esserne certo – quando la testa di Marlee crollò di peso contro il tavolo in legno. Garrett si guardò attorno con aria inquieta, quindi rivolse la sua attenzione alla compagna, immobile e silenziosa. Le toccò, forse con eccessiva circospezione, la spalla con un indice e dovette indietreggiare di colpo quando Marlee si sollevò di soprassalto, scuotendo gli umidi capelli luminosi e ridendo accesamente per qualcosa di cui Garrett non aveva idea. Poco importava la ragione di quella reazione, rifletté il ragazzo, trovando assolutamente eccitante quell'irraggiamento di alterità comportamentali in lei, dalle espressioni di poco coscienziosa comprensione della realtà alle imitazioni, nate senza alcuna ragione apparante, di aitanti atleti e personaggi che rientravano nel suo repertorio di conoscenze. E furono proprio i compagni di un giovane giocatore dei Noble Deers di cui la ragazza stava facendo il verso, ad entrare in quel preciso istante in quello stesso locale.

«Oh merda» mugugnò Garrett, vedendo la porta che veniva richiusa dall'ultimo del gruppo appena riconosciuto: il colosso Doug. Il ragazzo occhialuto riconobbe anche la figura di Blythe, e da ciò gli nacque una seppur minima forma di conforto interiore, sufficiente tuttavia a portarlo ad agire con una certa logica ritrovata, nonostante il continuo turbinio della testa. Prese le mani di Marlee, che ancora stava cercando di contenere la propria risata, e richiamò la sua attenzione scuotendola. «Ascolta Marl, ascolta. Ora facciamo un gioco, va bene? Ecco... Io ti ordino di abbassare la testa sul tavolo, come hai fatto prima, e solo quando ti do il via libera, tu la rialzi, perché...» si interruppe, vedendo i ragazzi farsi strada fra la folla di presenti, e subito riprese, non avendo alcuna idea di cosa poter dire: «Cazzo, cazzo, non riesco a pensare. Dicevo... Tirami uno schiaffo, quando ti rialzi, okay?» Uno schiaffo? Lo aveva detto davvero? Garrett non ne era certo, ma era l'unica cosa che gli era venuta in mente e, oltre allo sconforto, in quel momento percepiva soltanto un certo masochismo in sé.

Marlee annuì con qualche secondo di ritardo, continuando a ridacchiare.

«Brava la mia Marl, ora ti ordino di abbassare la testa!»

La testa della ragazza piombò nuovamente sul tavolo senza alcun contegno, facendo di nuovo scuoterne gli assi.

Garrett non avrebbe di certo voluto che il gesto avvenisse così dolorosamente, restando perciò perplesso da quella brutalità d'azione da parte della ragazza. Quando vide il gruppo con Tyler in testa muoversi verso la loro direzione, Garrett si prese la testa fra le mani, abbassò lo sguardo sul bicchiere quasi del tutto vuoto davanti a sé, e aspettò. Con la coda dell'occhio, notò Tyler oltrepassarli, e lo stesso fecero McEnroy e Doug. Nell'esatto istante in cui Blythe spariva alle sue spalle, il ragazzo tirò un sospiro di sollievo e liberò la testa dalle mani, ma l'arco di tempo fra il palmo della mano di Marlee che finiva sul suo volto e la possibilità di intercettare il colpo, si ridusse drasticamente quando Garrett lo sprecò nel realizzare che la ragazza non aveva rispettato le regole del suo "gioco". Si tastò la guancia che prese a bruciargli da subito.

«Scusami» riuscì a dire Marlee, fra concitate e incontrollate risate, mentre ruotava il collo di qua e di là. «Non ho saputo trattenermi!»

«Non... Non temere» la rassicurò Garrett con un forzato sorriso.

Buona parte della gente a qualche passo da lì rivolse loro l'attenzione, e da subito Garrett poté benissimo immaginare chi altri li avrebbe deliziati della propria considerazione: mentre rivolgeva il capo alle sue spalle, così da confermare la sua tesi, gli si piantò davanti agli occhi Doug. Il robusto difensore lo guardò, dall'alto del suo metro e novanta, stringendo gli occhi in un'espressione torva quando riconobbe Marlee, con la testa poggiata su di un braccio e gli occhi persi in chissà quale punto del locale.

Angolo Autore:

Salve a tutti ragazzi, è da parecchio che non ci si vede! La colpa è ovviamente mia, che non riesco a gestire due cose impegnative come la scrittura e lo studio di un libro "felicissimo" dal nome LA TRISTITIA. Ecco, bando alle ciance. Come saprete, questa sarebbe dovuta essere la seconda parte del sedicesimo capitolo. In realtà ho fatto una modifica, dato che l'appuntamento fra Garrett e Marlee l'ho reso più lungo del previsto, e ho optato quindi per dividerlo in due parti. Quindi cosa farete adesso? Continuerete nel capitolo che segue (già pronto!) e vi godrete l'esito malsano di questo incontro fra due personaggi forse un po' agli antipodi. Spero che il tutto possa piacervi, e mi raccomando, votate e non smettete di seguirmi!

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