Capitolo 15
Il corridoio principale dell'edificio scolastico sembrava protrarsi senza fine verso l'uscita, con uno stanco Garrett che lo percorreva strascicando le gambe sulla sua superficie liscia. Il ragazzo si trovava nel mezzo fra Zoe ed Aaron, intenti com'erano a discutere appassionatamente della sera precedente, quando i Noble Deers avevano steccato la partita più importante della stagione. Ruotando appena il capo da uno all'altro dei suoi amici, Garrett faticava a mantenere il nesso fra i vari cambi di direzione che Zoe imponeva alla conversazione, e a cui Aaron sembrava reggere e ribattere prontamente.
«Ma adesso spiegami,» riprese la ragazza bruna guardando oltre di lui per osservare con attenzione Aaron, «come diavolo è possibile che hai dato buca a Lotte dopo la partita?»
Aaron tenne lo sguardo basso e sospirò. «Le ho detto che non mi sentivo tanto bene, non è un problema.»
«Oh certo, era chiaro anche lontano un miglio quanto non stessi bene, si vedeva dal modo in cui ti lanciavi per aria esultando ai touchdown dei nostri!»
Garrett annuì distrattamente, sperando di aver interpretato sufficientemente bene l'ironia di Zoe.
«Ragazzi, la verità è che non sono sicuro di quello che faccio.»
«Lo sei mai stato, almeno da quando sei qui?» chiese quindi Garrett, intervenendo per la prima volta nella conversazione.
«Direi di no.»
«Eppure sono convinto del fatto che tu provi qualcosa di forte per Lotte, eccome se ti piace!» Garrett guardò l'amico cercando di focalizzare l'attenzione sul movimento dei suoi occhi. Gli doleva la testa, ma non così tanto da renderlo meno consapevole del fatto che le parole di Aaron su Lotte avevano sempre trasmesso una sorta di estasi perennemente fluttuante, un fiotto di percezioni tutte dolci che, anche quando Aaron tentava di trattenerle, si riversavano in zampillanti trepidazioni del suo animo da sognatore. Poi gli tornò in mente ciò che l'amico gli aveva rivelato qualche tempo prima, cioè la relazione tutta carnale - o così almeno gli era stata riferita - con la disinibita e irriverente Bonnie Lloyd, e si ritrovò quindi a dare una nuova direzione ai suoi pensieri. «Aspetta un momento, non sarà che hai mentito per passare la serata con Bonnie?»
Zoe si accigliò quando Garrett la guardò in cerca di supporto alla propria tesi, così annuì. «Già! Questa storia di Bonnie...» fece lei, sussurrando, «senza considerare il fatto che me ne avete parlato con enorme ritardo, come se non fossi capace di tenere il segreto per me, ma davvero, quanto può andare avanti?»
Aaron mise la mani davanti a sé, sulla difensiva. «Ragazzi, ragazzi, calma. Non sono stato con Bonnie, ma devo ammettere che ho avuto tutta l'intenzione di cercarla. Ci ho parlato soltanto un po', al telefono!» esclamò allora il ragazzo, dopo che Garrett e Zoe gli ebbero lanciato un'occhiata penetrante. «Ho bisogno di mantenere una certa distanza da Lotte, per quanto lei possa piacermi. E' tutto ciò che ho da dire.»
Garrett ritenne dentro di sé di non aver afferrato pienamente il concetto: quando provava a spingersi oltre, c'era sempre una fase in cui pareva ergersi un muro fra di lui ed Aaron, una sorta di reazione repellente e involontaria che portava il giovane originario di Philadelphia a privarsi della vicinanza di chiunque. Limitandosi a fare spallucce, Garrett riprese: «Va bene, tieniti pure dentro ciò che senti, ma stai attento ad una sola cosa: Bonnie.»
«Cioè? Guarda che non parlerà...»
«Non è questo che intendo. Bonnie non sta passando un gran momento, magari te lo avrà accennato. Non credo sia il momento di fare quello che avete condiviso finora.» Garrett sentì gli occhi di entrambi gli amici sui suoi. «Avanti, non fate così! Sapete che ho ragione, non possiamo sempre prenderci gioco di tutti.»
«Già, credo che tu abbia ragione» disse incerta Zoe.
Garrett attese qualche momento di troppo prima che Aaron potesse rivolgere loro il suo punto di vista. «Okay, ti prometto che farò attenzione. Ora però smettiamo di parlarne.»
Da un angolo a destra del corridoio sbucò Marlee, indosso una extralarge blu e argento degli Eagles di Philadelphia, infilata nello stretto jeans così da mostrare le sue forme sode, e in braccio un tomo voluminoso sulla Storia Americana. La ragazza si stoppò davanti a loro e trovò subito gli occhi di Garrett, già da un pezzo su di lei.
«Ciao» disse Marlee nervosamente, sorridendo dopo un attimo di esitazione.
Zoe ed Aaron la salutarono all'unisono, quindi rivolsero un'occhiata all'amico che aveva taciuto, al centro del terzetto.
«Ciao» replicò Garrett alla fine, allargando il volto in un sorriso forse troppo ampio, ma non avrebbe saputo dire quanto.
«Ci... Ci si vede in giro!» Marlee inclinò il capo, continuando a mantenere quell'espressione ridente sul volto.
«Ma certo, ci vediamo.» Garrett la guardò farsi da parte, così da lasciare che i tre passassero oltre di lei, e si voltò quando Marlee riprese a camminare nel senso opposto del corridoio.
«Confermo, ha un gran bel culo» fece Aaron in segno di ammissione.
Solo allora Garrett notò che entrambi gli amici stavano alternando la sua stessa visione della ragazza ancheggiante, ad una attenta osservazione di lui. «Che volete adesso?»
«Perché non ce lo spieghi tu?» provò a stuzzicarlo Zoe.
Non aveva una precisa idea delle capacità d'intuizione di Aaron, ma Garrett percepì con chiarezza che anche l'amico aveva notato un qualche strano legame fra lui e Marlee. Così raccolse tutto il residuo di coraggio che gli restava e, supportato da quella stanchezza tanto fisica quanto mentale della semi-sbronza della notte precedente che aveva attecchito la sua volontà di tacere, rispose: «Ho un appuntamento con lei, per domani sera.»
«Che? Di che diamine parli?» Zoe era di nuovo accigliata, fissandolo come se non credesse ad una storia così.
«E' esattamente quello che ho detto: uscirò con lei. E' successo tutto molto rapidamente: l'altra sera lei si è presa una sbronza colossale a causa del solito Doug, e io, beh, non ero in una situazione granché migliore della sua.»
«Quindi...?» lo spronò Aaron.
«Quindi è capitato che ci trovassimo nello stesso spazio ristretto, schiacciati fra la gente che ballava, e abbiamo cominciato a fare altrettanto. Ridevamo e ridevamo, senza alcun senso. Poi Marlee si è sentita male, così l'ho accompagnata in bagno. Si è liberata, ma voleva andarsene di lì. Erano circa le tre quando l'ho accompagnata a casa sua a piedi. Non abbiamo parlato granché, ma a che serve parlare quando sei più di lì che di qui? Di ritorno a scuola mi ha ringraziato per averla riportata a casa e per esserle stato vicino. Le ho detto di averlo fatto con piacere, e prima che potesse andarsene il mio cervello e la mia bocca hanno reagito in modo del tutto autonomo, le hanno chiesto di rivederci. Ero convintissimo di aver fatto una stronzata - e lo sareste stati anche voi, se foste stati lì - consapevole com'ero che avrebbe detto di no. Ma sapete, certe cose vanno in modo del tutto imprevedibile, e lo capisci solo quando accadono-»
«-Non starci a filosofeggiare troppo!» lo interruppe Zoe.
I tre ragazzi attraversarono la porta principale dell'edificio e presero a stringersi un po' più nei loro cappotti, un lieve nevischio si stava depositando sui loro corpi e sul suolo che calcavano.
«Certo, certo. E arriviamo ad oggi: l'ho incontrata un attimo prima dell'inizio delle lezioni e c'era un po' di imbarazzo, ma credo sia naturale. Ora però che l'ho incrociata qui con voi, credo che abbiamo finito per pensare la stessa cosa, e cioè che sarebbe davvero troppo strano un qualche rapporto tra noi, specie se lo sapessero gli altri.»
«Sì, magari ad un primo, forse anche ad un secondo impatto risulta strano» fece Aaron, infilandosi un cappello di lana sulla testa, con un ciuffo di capelli bruno che gli ricadeva sul viso e veniva scosso dal vento. «Ma pensandoci su avrebbe un suo perché. Insomma, Marlee è intelligente, non troppo sveglia forse, ma neanche io lo sono, eppure siamo amici!» Aaron rise, prima di starnutire con forza, mentre il respiro gli si congelava davanti agli occhi.
«Salute! E sì, è intelligente - non quanto Lotte - ma sono dettagli. Sembra anche una persona molto dolce... Spero solo non mi assilli con la storia di Doug» sospirò Garrett.
«Ah, lo spero anche io! Se lo fa, non sarà un buon segno, non lo è mai quando una ragazza parla dei suoi ex, o quello che sono.» Zoe guardò l'ora sull'orologio avvolto sul suo polso sottile, poi fece segno con il braccio ad un auto in lontananza, che prese a muoversi nella loro direzione. «Ragazzi, io ora vado. Tu tienimi aggiornata sulla Missione Marlee, e tu invece cerca di convincere i tuoi a restare qui per il Ringraziamento, vogliamo la squadra al completo!»
«Sarà fatto» disse alla fine Aaron, con quello che per Garrett aveva tutta l'aria di essere un sorriso incerto. Il ragazzo occhialuto baciò Zoe sulla guancia, allontanandosi sulla via con l'amico.
*
Attraversando la grande sala d'ingresso della casa dei Fisher, Aaron si ritrovò ad osservare i dettagli di quell'ambiente con la stessa estasi della prima volta in cui era stato lì. Anzi, pensò, c'era anche qualcosa di più: l'atmosfera di quel pomeriggio trasmetteva in quel luogo una calma quasi surreale, che gli conferiva un fascino anche maggiore della nottata a base di fumo e alcol a cui aveva preso lui stesso parte - eccome se lo aveva fatto!
La giovane e bruna domestica che lo aveva introdotto poco prima in casa lo pregò di seguirla, così Aaron venne a conoscenza di un nuovo ambiente di quella enorme dimora, una sorta di salottino appartato che sembrava avere a che vedere con un piccolo museo di famiglia, ricco com'era di cianfrusaglie di ogni dove: antichi utensili cinesi, statuette egiziane, piccole sculture in legno probabilmente di origine africana, foto di famiglia in Francia, Italia, una che recava appena sotto la scritta "Santorini", altre ancora scattate in qualche paese nordico e un'infinità di roba che non avrebbe saputo riconoscere nemmeno ad una più attenta analisi.
Fu invitato ad accomodarsi su un divanetto in pelle, così Aaron prese posto con una misurata circospezione dei gesti, sentendosi quasi di troppo in quell'ambiente denso di almeno apparente sacralità.
«Era proprio necessario che venissi?»
La voce alle sue spalle portò Aaron a ruotare il capo verso di essa. Tono flebile e con una inconfondibile e sottile sfumatura roca: non poteva che trattarsi di Erin. «Dovevo farti vedere una cosa.»
«Esiste internet da un pezzo per inviare documenti, ci avresti impiegato meno tempo, meno tutto. Ma ormai sei qui, fa' vedere che hai scritto.» Erin si accomodò sullo stesso divano, ma mantenendo almeno un metro di distanza da lui.
«Non è solo per il compito della Williams che sono qui. E sono già certo di aver fatto un buon lavoro, non credo mi servano tue correzioni. Sono qui per questo» disse Aaron. Estrasse da una consunta sacca a tracolla una busta di carta gialla e la pose nelle mani di Erin. «L'ho trovata con la mia parte di documenti, ma è roba diversa.»
«E quindi di cosa si tratta?»
«Di una corrispondenza letteraria fra due giovani amanti, risale a circa quarant'anni fa.» Aaron osservò con attenzione la gestualità di Erin, che dopo quelle parole aveva spostato lo sguardo dalla busta ai suoi occhi, stringendoli un po', quindi di nuovo alla busta che svuotò senza troppe cerimonie.
Con la pila di fogli serrata fra le sue dita sottili e gli occhi che scorrevano rapidamente lungo le parole sbiadite, Erin sospirò appena. «E' tardi per utilizzarle.»
«Intendi per il compito? Oh, non avevo intenzione di usarle per quello.»
«E per cos'altro?»
«Sembra una storia interessante. Voglio indagare, tu non vuoi?»
«E' solo una relazione d'amore di quarant'anni fa, cosa vorresti scoprire? Sarà tutto scritto qui dentro» disse Erin flemmatica, battendo appena le nocche di una mano sui fogli.
«No, in realtà c'è di più. Ho letto tutte le lettere e alla fine c'è una brusca interruzione, ma non perché non ci sia un seguito, è che il seguito si trova in un altro luogo. I due amanti parlano di un piccolo rifugio oltre il Nightfall Lake, dove hanno conservato la parte restante. Pare avessero deciso di vedersi lì e lì soltanto, e se non lo facevano, lasciavano che le lettere parlassero per loro. Lei o lui raggiungeva il rifugio, leggeva la lettera, scriveva la propria versione di risposta e riponeva tutto lì. Viene spiegato nella parte finale. Erano sicuramente due amanti atipici, con un loro perché unico.»
Aaron attese una reazione della ragazza, ma non ottenne altro che il solito sguardo distaccato sempre rivolto sui fogli. O forse era il suo modo di indagare più a fondo dentro di sé, e magari di trovare interessante quello spunto? Il ragazzo non avrebbe saputo dirlo, ma sperava che la sua teoria venisse confermata.
«Di essere atipici lo sono eccome» riprese Erin a bassa voce, accavallando le gambe magre avvolte in un pantalone nero. «Quindi sei qui per scoprire qualcosa di più con me?»
«Non dirlo come se fosse qualcosa di incredibilmente assurdo. Magari lo è, e devo ammettere che preferirei farlo con qualcun altro, ma mi hai portato tu dalla signora Touchett, quindi è merito tuo se ho trovato le lettere.»
Erin tacque di nuovo.
«Se le avessi trovate tu non ne avresti parlato con nessuno, immagino, o almeno non con me. Giusto?» provò a chiedere Aaron, prevedendo una qualche risposta sarcastica da parte della ragazza, o se non altro un perentorio e sempre distaccato "Giusto".
«Mmh. Non ha importanza, le hai trovate tu e ormai è troppo tardi per tenermene all'oscuro.» Erin si sollevò dal divano e ripose le lettere nella busta gialla, prima di lasciarla cadere sul divano. «Vado a mettermi qualcosa di comodo, andremo a cercare questo rifugio oggi stesso.»
Aaron la guardò allontanarsi, restando sempre incerto sull'interpretazione dei gesti e delle sue parole. Il fatto che avesse accettato di scoprire qualcosa in merito alla corrispondenza letteraria non si era tradotto in Erin in un piacere anche esteriore, anzi la sua indifferenza quel giorno era tale da averla persino privata, almeno fino a quel momento, dello scherno che era solita rivolgere ad Aaron.
Qualche minuto dopo, Erin fece nuovamente il suo ingresso in quel salotto, avvolta in un completo in cui Aaron mai avrebbe immaginato di trovarla. Indossava uno spesso cappotto nero di media lunghezza dalle solide cuciture anche solo a vederle, pantaloni verdoni stretti attorno alla gamba, e robusti anfibi stringati di un lucido nero. Pensò dentro di sé che anche quello stile le donasse, forse anche più di come era abituato a vederla.
«Seguiremo il sentiero qui alle spalle, ci porterà più velocemente al lago, dopodiché lo oltrepasseremo da uno stretto passaggio nel bosco. Non startene lì impalato. Andiamo, prima che faccia buio.»
Era passata circa mezz'ora da quando i due avevano fiancheggiato le acque del Nightfall Lake per insinuarsi nello stretto sentiero fra i boschi di cui aveva parlato Erin. La ragazza andava avanti a passo spedito, spostando i rami davanti a sé con decisi movimenti delle braccia, mentre Aaron faticava a starle dietro a causa di un abbigliamento non proprio consono e di una conoscenza praticamente nulla dell'ambiente circostante. Guardò il cielo appena visibile fra gli alberi sopra la sua testa: il sole stava sparendo, sempre più coperto da un denso strato di nubi a cui il nevischio di quella mattinata non era in alcun modo paragonabile. Il vento prese a soffiare fra i rami con forza crescente nell'esatto momento in cui i due scovarono quello che aveva l'aria di essere il rifugio di cui si era parlato nelle lettere. Si trattava di una piccola casupola in legno sedimentata nella roccia sottostante, con le radici che quasi la avvolgevano lungo tutto il perimetro, quasi facesse parte di quella foresta sin dai tempi immemori in cui era nata.
Con le braccia davanti al volto per pararsi dal vento, Aaron guardò Erin avvicinarsi alla porta e provare inutilmente ad aprirla. La pioggia prese improvvisamente a martellare contro i loro corpi e le pareti del rifugio, così il ragazzo fece mettere da parte Erin, e caricò con una spallata contro la porta, che si spalancò con i vecchi assi che cigolavano.
«Non era chiusa a chiave, non ho tutta questa forza bruta» ansimò Aaron, scuotendosi la polvere dal braccio.
«Non ne avevo alcun dubbio» ribatté Erin, prima di anticipare il ragazzo ed entrare per prima nel rifugio buio.
Due finestre dalle modeste dimensioni lasciavano attraversare della luce appena sufficiente all'interno. Prima che i due potessero mettersi ad indagare su ciò che stava loro attorno, si sentì battere da ogni lato e contro il tetto un rovescio di pioggia sempre più incalzante. Si avvicinarono entrambi alla finestra, quando un lampo squarciò il cielo, l'acqua prese ad inondare lo stretto sentiero e ogni cosa al di fuori della casupola, un forte tifone inclinò robusti alberi e si sentirono gli assi della struttura cigolare fortemente.
Aaron si voltò un momento verso la ragazza bionda accanto a sé. Tenendo gli occhi grigi fissi sul vetro opaco della finestra, Erin sembrò, nella sua espressività incerta, portare quel nubifragio lì dentro. Sbuffando lievemente, riuscì soltanto a dire, con quel suo tono graffiato da carta vetrata: «Grandioso, sono bloccata qui dentro con te.»
Angolo autore:
Complice la preparazione di un esame con colossi come Foscolo, Manzoni, Leopardi, Verga e chi ne ha più ne metta, la mia scrittura sta rallentando un po', anche perché riesco a scrivere soltanto in determinati e limitati momenti della giornata, sennò non sono soddisfatto o proprio non riesco a concepire nulla di accettabile. Detto questo, confido che il capitolo vi sia piaciuto e che non vi siate persi per strada: Garrett si ritrova improvvisamente con un appuntamento con Marlee da gestire (e gli dedicherò un bel capitolo per questo!); quanto ad Aaron... eccolo che quando decide di andare contro il suo volere, scegliendo Erin per l'indagine sulle lettere conservate dalla Touchett, si ritrova doppiamente fregato, costretto a restare chiuso chissà per quanto tempo con la nostra ragazza bionda! Potrebbe andare peggio di così? Lo scopriremo col prossimo capitolo. Intanto voi fatemi sapere cosa ne pensate, mettete una stellina e continuate a seguirmi!
Un saluto :)
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top