Capitolo 13

Nell'aula ancora semivuota dove si sarebbe tenuta la lezione di storia, Aaron, giunto lì in largo anticipo, se ne stava seduto a scarabocchiare sul margine del suo manuale, accorgendosi con un certo ritardo che Garrett era arrivato accanto a lui. Il ragazzo dai ricci capelli neri si poggiò sul suo banco, ci lasciò cadere rumorosamente lo zaino e prese a guardare il muro che aveva di fronte, non essendosi probabilmente accorto del saluto di Aaron.

«Stai proprio uno schifo.»

Garrett stavolta si voltò verso di lui; aveva occhiali da sole neri, il viso pallido e una espressione che non lasciava trasparire alcuna sensazione positiva. «Grazie.»

«Che altro hai fatto ieri sera?» provò a domandare Aaron, realmente incuriosito dalla faccenda.

«Ciò che faccio da un po' a questa parte: mi lascio andare» mugugnò Garrett, portandosi sulla bocca la mano serrata in un pugno, forse per trattenere un conato.

«E per quanto ancora hai intenzione di continuare?»

«Credo che... Credo che questa fosse l'ultima volta. Mi sento veramente malissimo, non voglio più avere dell'alcol davanti agli occhi, nemmeno quello del laboratorio di scienze.»

Aaron rise, quindi diede un'occhiata oltre il compagno, scorgendo Blythe che faceva il suo ingresso in aula e quasi si stendeva sul suo banco. «Dovresti rimetterti in fretta, oggi coach Kaleb ha bisogno di te. Ad ogni modo, se smetti poi che farai?»

«Amico, non è che non sapessi come vivere prima di darmi a balli insensati e a sproloqui farraginosi.»

«Sproloqui farraginosi, dovresti sentirti. Che razza di vocabolario!» gridò Marlee, affacciandosi alle spalle di Aaron e dando mostra di sé coi suoi capelli di un quasi lucente arancio, ora che venivano colpiti direttamente dai raggi del sole.

Garrett la salutò con un cenno del capo, poi tornò ad ignorarla avvicinandosi di più ad Aaron e sussurrando: «Questa è stata una fase.»

Aaron lo fissò, provando a chiedersi quale fosse la sua espressione oltre le lenti scure degli occhiali. «Fase di cosa?»

«Una fase per provare ad andare oltre.»

«Ah, allora avevamo ragione io e Blythe nel dire che sei alla ricerca di qualcosa.»

«Tu e Blythe avete parlato di me? Quando?» Garrett tirò su col naso, poi tossì scostandosi dal volto di Aaron.

«A Pittsburgh. Eri ubriaco.»

«Beh, ha un senso. Dici che "cercare qualcosa" e "andare oltre" potrebbero anche avere lo stesso significato?»

«Potrebbero. Magari uno di noi due ha usato le parole sbagliate, o magari ancora abbiamo sbagliato entrambi ad esprimerci.»

La fredda aria di Novembre scosse i rami degli alberi oltre la finestra, provocandone un lieve fruscio e l'immancabile percezione di eterna immobilità di quel luogo.

«Andare oltre, cercare qualcosa. Forse tutto si risolve in una mancanza, sì, mi manca qualcosa.»

Lotte entrò in aula, sorrise ad Aaron e si dispose su uno dei banchi della prima fila. «Una ragazza» mormorò lui.

«Non saprei. Non si può ricondurre tutto all'amore, o almeno a quel genere di amore. E se avessi vissuto finora sempre nel modo sbagliato? E se questa sensazione di sbandamento, l'alcol, ogni cosa che sembra mi faccia perdere la via, in realtà mi mettesse su una strada migliore?» Garrett scosse il capo, e parve ad Aaron che non fosse troppo convinto delle sue stesse ipotesi. «No, no devo sicuramente sbagliarmi. Torno a quello che ho detto all'inizio: è stata solo una fase. Una fase che ha creato un'illusione.»

«Un'illusione di cosa?»

La professoressa di storia diede il suo saluto alla classe e poggiò le proprie cose sulla cattedra, così Garrett si allontanò e andò a riempire un banco vuoto, lasciando la domanda di Aaron sospesa senza alcuna risposta.

*

Le luci del campo da football furono accese prima del solito, col sole che ormai tramontava nel primo pomeriggio lasciando che il buio calasse tutt'intorno alla lunga e curata distesa del manto erboso dei Noble Deers. Blythe Fisher si liberò con facilità della marcatura di un compagno avversario con addosso la casacca arancio, scorse il movimento a convergere verso il centro di Aaron, e gli piazzò col contagiri la palla poco al di sopra del suo casco verde. Il ragazzo la afferrò e prese a correre verso la meta, venendo infine intercettato da un colosso dopo poche yard.

«Okay ragazzi, basta così per oggi!» gridò l'inconfondibile voce grave del coach Kaleb.

Aaron venne aiutato dal suo compagno a sollevarsi da terra, si levò il casco e respirò con un certo affanno, sentendo i fianchi schiacciati dalla pressione del terreno e dello scontro appena subito. Gli ci volle un momento di troppo prima che potesse notare Lotte a bordo campo, con le braccia conserte e stretta nel suo lungo cappotto, il viso e i capelli vermigli immersi in una sciarpa a quadri. Quindi la raggiunse, e nella distanza che li separava provò a dare un senso ai suoi capelli inzuppati di sudore, affidandosi al riflesso del casco lucido.

«Ciao» sospirò sorridendo Aaron, e la baciò sulla guancia.

«Hai preso una gran brutta botta. Stai bene?» chiese lei, e da come le sue pupille si muovevano quasi impercettibilmente all'interno di quel chiarore ceruleo dell'iride, in una sorta di vibrante tensione, Aaron capì che quella non era una domanda di circostanza, ma che rispecchiava l'autentico desiderio della ragazza di essere rassicurata.

«Il dolore sta già passando, per fortuna. Ma di questo passo non credo che resterò a lungo in squadra» rispose a lui, chiedendosi se le sue parole potessero essere abbastanza. "Ma abbastanza per cosa?" chiese tra sé e sé. Ogni volta gli sembrava di porre troppa attenzione, con lei, temendo quasi di poter commettere passi falsi e di vederla così allontanarsi senza che potesse o volesse più far ritorno.

«Se hai intenzione di mollare, fallo senza troppe preoccupazioni.»

Aaron annuì, evitando qualsiasi genere di risposta.

«Sam ci fissa. Perché ci fissa?»

«Ah, Hawthorne, sono più che sicuro che ha ancora una cotta per te, nonostante faccia sempre la parte dell'amico.»

«Ma dai» fece Lotte ridendo. «Lui non è più interessato a me e io non lo sono a lui. Dici che qualcosa lo ha capito?»

«Che c'è qualcosa tra noi? Direi di sì.»

«E cosa c'è tra noi?» chiese lei, facendo un passo verso di lui.

«Questa è una domanda a cui non possiamo ancora dare una risposta» rispose Aaron. «Certo è che deve smetterla di guardarci come se avesse dei rimpianti.»

«Mi stai dicendo che ti da fastidio?» Un altro passo verso di lui, il respiro che si condensava in una nuvoletta ancor più vicino ai suoi occhi.

Aaron percepì di nuovo la confusione assalirlo, la ritrovata percezione di sbagliare, l'unica volontà di lasciare che le domande e i problemi restassero insoluti, mentre lui chiudeva gli occhi e si addormentava come accaduto la sera prima. «Io... No, non mi da fastidio.»

«Oh andiamo, puoi anche dirlo» insisté lei, accentuando ancora un po' il suo bellissimo sorriso.

«Davvero, non mi da fastidio.»

Il sorriso svanì dal viso chiaro di Lotte, con la ragazza che prese ad annuire col capo. «Va bene. Adesso vado, devo terminare una relazione sul consiglio studentesco.» Stavolta fu lei a baciarlo su un lato del viso.

Aaron tenne gli occhi chiusi, sentendo la guancia solleticata dai suoi lunghi capelli lisci. Così, prima che lei potesse voltarsi e andar via, raccolse il suo viso in una mano e lo portò a sé, accogliendo le dolci e morbide labbra di Lotte sulle sue. Fu un bacio breve, ma necessario. C'era impressa infatti la necessità di non lasciare che l'immagine dell'allontanamento potesse concretizzarsi come nella sua testa. «Stiamo insieme, domani, dopo la partita. Ti va?»

Stesso respiro condensato in una nuvoletta, prima che Lotte potesse rispondere: «Ci penserò su.» Lo baciò rapidamente ancora una volta, e con delicatezza si liberò della sua mano ancora sulla guancia.

Quando lei se ne fu andata, Aaron si accorse di Garrett nascosto dietro ad una gradinata di ferro con Zoe: entrambi gli mostrarono allegramente i pollici in su. Scosse il capo e si diresse verso gli spogliatoi, sorridendo mentre teneva il capo basso.

*

I giochi serali di luci ed ombre sul cruscotto dell'auto si fecero più lievi quando anche l'ultimo lampione fu superato, e a prendere il suo posto fu il ben più esteso ma fioco chiarore lunare. Bonnie seguì quel gioco, con i sempre diversi profili degli alberi che scemavano in successione e che apparivano ai suoi occhi come una sorta di elettrocardiogramma naturale. Al volante accanto a lei, Blythe si limitava a reggerle il silenzio in una posa composta e perfettamente eretta, nonostante il "duro allenamento" - come lui stesso lo aveva definito - che aveva preceduto il loro incontro.

L'auto abbandonò la strada asfaltata, si infilò in uno stretto sentiero e si fermò in una piccola apertura nel bosco, poco più in alto della città, ormai tanto familiare alla ragazza.

Bonnie si slacciò la cintura, sentendo gli occhi di Blythe su di lei. Gli sorrise, la prima volta in quella sera. «Allora oggi è stata dura, eh?»

Il ragazzo emise un profondo respiro, ancora le mani sullo sterzo, e annuì tre volte col capo. «Dura davvero. La partita di domani è importantissima, e coach Kaleb ovviamente lo sa meglio di tutti noi. Ci ha spremuto più mentalmente che fisicamente, è chiaro, ma spero di non dover rifare un allenamento così per un po'.» Mentre parlava, abbassò lentamente il suo sedile fino a stenderlo completamente.

Bonnie lo seguì con attenzione, quindi fece altrettanto. «Però, Blythe Fisher in difficoltà, chi lo avrebbe mai detto. Ma non sono più o meno questi i ritmi che troverai al college?»

«Sono peggiori, lì. Ma avrò degli stimoli che qui non ho, o almeno spero sia così.»

«Cos'è, adesso non sei neanche più convinto del college?» domandò lei, stando stesa col gomito poggiato sul sedile e il mento sul palmo della mano.

«Sicuramente voglio andarmene da qui, ma non so più bene dove.»

«Erediterai l'impero di famiglia» gli suggerì lei, stringendo gli occhi in una fessura.

«Già. Ma sai, la gente cresce, gli interessi cambiano...»

«Aspetta, non vuoi più farlo? Sai che devi, è una grande occasione. La più grande.»

«Già, già» mormorò Blythe, affacciandosi al sedile di Bonnie. Le mise una mano sul fianco e le baciò le labbra. «Vedremo... Ora non mi va di parlarne.»

La ragazza bruna si ritrasse piano e riaprì gli occhi dopo quel bacio. «E' davvero così forte la squadra di domani?»

Blythe la guardò, probabilmente tentando di mettere meglio a fuoco il suo viso nella penombra. «I più forti in circolazione.» Tornò a baciarla, stavolta con più determinazione. Si fece spazio accanto a lei, nell'ampio sedile del suo nuovo Range Rover, e con un unico rapido movimento le abbassò la zip del giubbotto.

Dopo averci riflettuto ancora un momento, con fermezza Bonnie pose i palmi delle mani sull'ampio e definito petto del ragazzo, allontanandolo lentamente.

«Che fai?» chiese lui, con un'espressione certamente interdetta.

«E' che non mi va di farlo, non oggi.»

«C'è... C'è qualcosa che non va?»

Bonnie scosse il capo, dopo essersi assicurata che quella domanda fosse stata posta con effettiva e ingenua certezza da parte del ragazzo. «Deve per forza esserci qualcosa che non va?» chiese retoricamente alla fine.

«No, immagino di no.»

«Spostati» fece lei in modo brusco, con Blythe che annuì e si ridispose sull'altro sedile, sul volto ancora uno strato di velata incertezza.

«Potresti spiegarmi?»

«Non sono solo fatta in questo modo, sai?» Ancora una domanda retorica, e Bonnie cominciò a pensare che le rivolgesse più a se stessa che al capitano e quarterback dei Noble Deers.

«Di questo ne sono certo. Il punto è che abbiamo sempre agito in questo modo, noi due. E' sempre stato questo che ci ha tenuti vicini, vederci per soddisfare dei bisogni, i nostri piaceri. Avevamo smesso e ora abbiamo ripreso, e mi era parso di capire per la stessa ragione. Quindi scusa se ho sbagliato ad esprimermi, e per non aver pensato ad altro.» Blythe aveva parlato lentamente, un po' come faceva sua sorella Erin - pensò Bonnie -, ma più goffamente.

«Hai ragione, non ti ho mai dato modo di pensare che ci fosse dell'altro. Intendo dell'altro in me, non tra noi.»

Blythe rise brevemente e in maniera incerta. «Questo è ovvio. Ma ricominciamo daccapo, mi esprimerò così: "di cosa hai voglia?"»

Gli occhi della mente della ragazza viaggiarono, giungendo in prossimità di una porta. Su di essa c'era un numero, il cinque. La aprì e al suo interno trovò Aaron, seduto ai piedi del letto. Accanto ad Aaron, c'era lei stessa, rannicchiata e poggiata sulla spalla del ragazzo. «Non lo so» riuscì quindi a dire, e in parte sapeva di mentire. «Forse di parlare.»

«Va bene allora» replicò Blythe, aprì il borsone sul sedile posteriore e ne estrasse una borraccia, bevendone il contenuto. «Parliamo.»

«Tua sorella non ce l'ha a morte con te per quello che facciamo?» Bonnie preferì partire da questa domanda, di cui premeva meno conoscere la risposta.

«Beh ha reagito meno negativamente del previsto. Erin ha una personalità unica, e le sue reazioni sono altrettanto uniche. Ma non ricordarmi di nuovo questa storia, sai di aver commesso un errore clamoroso.»

«Già.» Bonnie fece incontrare le punte dei suoi due indici, quindi prese ad accarezzarsi da sola le mani. Era un gesto che, quasi inconsapevolmente, finiva per eseguire meccanicamente quando non sapeva più bene cosa pensare. «Blythe.»

«Si?»

«Cerca di capire cosa vuoi davvero. Siamo gente debole che resta confinata nelle etichette che noi stessi ci creiamo. Se riesci ad agire in tempo, se scorgi la possibilità di un cambiamento - semmai si presenti - fai di tutto per coglierla. Ora non so se questa storia del "seguire la strada di tuo padre" ti crei sul serio delle perplessità, ma se lo fa, dovresti prendere sul serio le alternative.»

Blythe sorseggiò ancora dalla borraccia, poi la passò a Bonnie, che fece lo stesso. «Le alternative non sono vere alternative, non è così facile. E con tuo padre? Come va?»

Avrebbe dovuto rispondere sinceramente? Bonnie immaginò di sì, in fondo non aveva molto senso chiedere a qualcuno di parlare, se poi non si era disposti a dire il vero. «Nella maniera peggiore di sempre. Ho deciso di andarmene.»

«Andartene dove?»

«Di casa. Sto vagliando le soluzioni, qualcosa troverò.»

«Ma di che diamine stai parlando?» Blythe si sollevò dal sedile e la guardò distesa, con gli occhi rivolti verso il tettuccio dell'auto, immobili e inespressivi.

«Non vederlo come un grosso problema, io so adattarmi.» Il display del suo telefono si illuminò sul cruscotto, seguito in ritardo da due brevi vibrazioni. Lesse il contenuto del messaggio, era di Aaron: "Come stai?" Ripose il telefono nella borsa, e sollevò il sedile. «Ci ho ripensato, sono stanca. Voglio tornare a casa, almeno per oggi.» Sorrise ironicamente, percependo anche senza vederlo che Blythe aveva invece un'espressione preoccupata.

Il ragazzo annuì, si rimise il giubbotto e accese l'auto. La radio prese automaticamente ad attivarsi, diffondendo la melodia di Lullaby, dei Low. Sulla via del ritorno, il primo nevischio della fredda stagione di Edynville si posò con delicatezza sul parabrezza.

Angolo autore:

salva a tutti lettori! Mi scuso per il leggero ritardo, ma ormai ho capito che questi sono i miei tempi, fra esami, la palestra ritrovata e qualche piccola occasione lavorativa (il cinema domenicale!). Comunque sia, faccio ritorno con un capitolo che, avrete notato, è un po' più lungo dei precedenti, ritornando sugli standard dei primi capitoli. Ma le variazioni sono all'ordine del giorno, scrivo liberamente quante pagine mi pare e piace, quindi spero che né capitoli lunghi né brevi siano un problema per voi. Ah, poi questo fatto che io pubblichi la storia riveduta e corretta e il sito invece debba mettersi a creare confusione, attaccare parole eccetera, mi da proprio sui nervi, ma pare non si possa fare molto. Per quanto riguarda il capitolo in sé: abbiamo tre miniconfronti, Aaron-Garrett, Aaron-Lotte, Bonnie-Blythe (che suona un po' come Bonnie and Clyde, manco a farla apposta!), tutti sulla stessa riga, tutti inerenti a una introspezione a cui tengo molto e che spero col tempo possa piacervi, o piacervi sempre più se già lo fa! Io vi saluto e vi do appuntamento fra pochi giorni, con un capitolo in cui potremmo dire che si raggiunge il picco di "particolarità" rispetto a tutta la storia! Vedete di non perdervelo! Ciao ragazzi :)

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