Capitolo 12
Quando Aaron la guardò, Erin stava consultando per l'ennesima volta un tomo di storia locale in cerca di spunti interessanti per il compito a loro affidato. La biblioteca era silenziosa più del solito, e loro gli unici due presenti. Persino la bibliotecaria dal viso anonimo e i capelli spenti si era presa una pausa da quel torpore, dicendo che sarebbe passata dalla mensa per "stuzzicare qualcosa" – sembrava così improbabile detto da lei – e aspettandosi che i due ragazzi non facessero nulla che potesse essere considerato disdicevole in sua assenza.
«Comunque lo rigiri, che lo sfogli da destra a sinistra, o da sinistra verso destra, non cambierà il contenuto del libro. Scegliamo una qualsiasi di queste storie e andiamocene a casa» bofonchiò Aaron, affossando la testa fra le braccia sul banco. Da quella posizione, col buio davanti agli occhi, sapeva già senza guardarla che Erin lo stava ignorando. Le pagine continuavano a spostare l'aria col loro movimento, generando l'unico suono appena percettibile in quell'ambiente.
«Non consegnerò alla Williams un compito appena decente solo perché tu sei uno scansafatiche.»
«Ascolta,» riprese Aaron dalla fossa delle sue stesse braccia, «non sono uno scansafatiche. Ma siamo stati qui già due volte e anche oggi sono passate due ore, senza alcun risultato. Gli altri saranno già a metà del lavoro. Anzi, ne sono certo, almeno è quello che hanno detto Zoe e Lotte. Per non parlare di Garrett, sembra che stia già scrivendo una conclusione.»
«Ti avevo detto di lasciare che me la vedessi io, da sola» replicò Erin, e il ragazzo sentì il tomo chiudersi rumorosamente, provocando una sottile vibrazione sul banco.
«Lo so. E sai? Forse dovrei lasciarti fare e tornarmene al motel. Lì c'è un bel po' di lavoro da fare e potrei guadagnarci qualcosa.»
«Così potrai regalare dei cioccolatini alla tua fidanzatina? Che carino.»
«Bonnie non è la mia fidanzatina.» Aaron sollevò il capo, roteando gli occhi. Si sgranchì le ossa delle mani e si solleticò il sottile accenno di barba sul volto con le dita, prima di prendere atto che la ragazza lo stava fissando da un pezzo coi suoi ambigui occhi grigi. «Che c'è? E' così, non stiamo insieme.»
«Ho un'idea: facciamo un salto dalla signora Touchett, adesso.»
Aaron la scrutò con quella che credeva fosse un'espressione sufficientemente interrogativa, quindi chiese: «E cosa c'entra la signora Touchett con me e Bonnie?»
«Idiota, ho smesso da un pezzo di parlare di te. Il tuo secondo di notorietà è già passato.»
«Grazie, davvero.»
«La signora Touchett ha una vasta conoscenza della gente di Edwynville, anche di quella che ci è solo passata. E poi ha un buon rapporto con tutti, potrebbe avere qualcosa di interessante per il mio compito.»
«Il nostro compito» disse Aaron, sperando di aver dato un'enfasi soddisfacente alla parola 'nostro'. «Sembra una buona idea, comunque. Almeno proviamo a sbloccare questa storia.»
Erin si alzò e risistemò per bene la sedia vicino al tavolo. «Fidati, non "sembra", è una buona idea. Adesso alzati e accompagnami da lei.»
Aaron inclinò il capo e tamburellò le nocche contro il banco. La sfrontatezza di quella ragazza sembrava non avere confini: non ricordava altra persona che avesse in passato osato dettar legge e preteso che ogni cosa venisse eseguita secondo il suo volere, come quella bionda dittatrice racchiusa nelle sue forme snelle e nel suo metro e settanta. Se i suoi capelli al vento e gli occhi immersi nel lago di fronte a sé, protesa con le gambe oltre il pontile, l'avevano in precedenza resa per un momento enigmatica e affascinante in quel limbo carico di verdeggiante essenza naturale, adesso il ragazzo era stato svuotato di ogni suo interesse, non desiderando altro che privarsi di lei e della sua vanagloria.
Qualche minuto dopo, Aaron guidò seguendo le indicazioni della ragazza, fino a raggiungere una altura poco al di fuori della città. Lì, immersa in una folta pineta, era dislocata la casa variopinta e dalle dimensioni modeste della signora Touchett. Erin suonò il campanello squillante accanto alla porta d'ingresso verde, che sembrava aver appena ricevuto una nuova passata di fresca pittura. Si sentì un rumore di passi, poi la porta venne aperta lentamente con un prolungato cigolio nient'affatto spiacevole, ma che anzi condensava la percezione secondo cui quella fosse una preziosa realtà d'altri tempi, perfettamente incastonata in una piccola dimensione naturale a sé stante. Una signora - che Aaron immaginò essere sulla settantina - si fece avanti, stringendo gli occhi oltre le spesse lenti degli occhiali per avere un'idea ben più chiara dei suoi ospiti. Fissò prima il ragazzo, poi si voltò verso Erin, accentuando la visibilità delle rughe ai lati della bocca in un ampio sorriso.
«La mia giovane Erin! Mia cara, quanto tempo è passato!» esclamò l'anziana signora, ed aprì le braccia con un lento e tremolante movimento per accogliere la ragazza in una stretta.
«Signora Touchett, è sempre il tempo che segna le nostre visite.» Erin sorrise in una sincera realizzazione emotiva del volto che Aaron non aveva mai visto prima di allora in lei. Ancora avvolta nel suo abbraccio, la ragazza accarezzò la schiena ricurva della signora Touchett, prima che questa facesse segno a entrambi di entrare.
I due ragazzi sprofondarono sul divano in pelle in un piccolo soggiorno dalle pareti rosse, ricche di ogni genere di quadro naturale, souvenir di ogni dove e persino di lettere dalle più varie grafie, incorniciate con una tale precisione quasi si trattasse dei pezzi pregiati di quel museo in miniatura. Aaron trovò finalmente gli occhi della signora Touchett fermi sui suoi, quindi colse il momento per fare la sua presentazione: «Io sono Aaron Lewis, un...» temporeggiò un momento, vagliando quale fosse la parola che più rispecchiasse il suo rapporto con Erin. «Sono un compagno di classe di Erin.»
«Io sono Catherine Touchett, piacere di conoscerti» disse lei stringendogli la mano. «Ah! Solo un compagno di classe? Pensavo fossi il suo ragazzo.»
«Ora come ora non ho tempo per queste storie» fece Erin, rivolgendo una smorfia ad Aaron, prima di sistemarsi con la schiena perfettamente diritta, le mani strette fra loro e poggiate sulle gambe, di fronte alla signora Touchett, seduta su di una poltrona a motivi floreali. «Ho bisogno di chiederle un favore.»
«Se è nelle mie capacità, sarò felice di concedertelo» disse la signora Touchett con voce affabile.
«E' per la scuola. Dobbiamo svolgere un compito sulla storia locale, cercando episodi particolari, singolari, o anche leggende che hanno segnato la tradizione di Edwynville. Quindi ho pensato che lei, avendo accolto in passato nel suo motel così tanta gente, tra cui anche ospiti di spessore, potesse concederci una delle tante storie che l'hanno segnata in tutti questi anni. Sono certa che nessuno più di lei possa offrirci un degno aiuto.»
Aaron assimilò il discorso di Erin con estrema attenzione, e gli parve che ogni parola avesse un suo peso e un suo perché, che non ci fosse nulla di superfluo, se non il necessario per esprimere con precisione ciò che la sua mente aveva formulato.
«Oh sì, ne ho vissute parecchie di storie!» La signora Touchett si alzò facendo leva con le braccia esili sui braccioli della poltrona. «Voi assaggiate pure questi biscotti, mentre io vi porto qualcosa che potrebbe interessarvi.»
«Sono certa che sarà così» affermò Erin sorridendo, dopodiché la signora Touchett scomparve oltre un corridoio e tra i due ragazzi calò il silenzio.
Passato qualche minuto, mentre Aaron divorava un biscotto con gocce di cioccolato che aveva trovato assolutamente saporito, la signora Touchett fu di ritorno nel salotto, con una scatola di cartone consunto fra le mani.
«Questo è esattamente ciò che state cercando.» Catherine scoperchiò la scatola e tirò fuori una serie di fogli ingialliti dal tempo.
«Di che si tratta?»
«Mia cara, qui c'è la storia di un uomo che avrebbe potuto segnare la nostra città con il suo solo volere. Ecco, circa trent'anni fa ospitai al Flores Motel un prestigiosissimo tycoon taiwanese, di cui io ovviamente non conoscevo ancora l'identità. Era venuto qui ad Edwynville perché in fuga dalla sua famiglia, dall'impero finanziario di cui era uno dei designati successori al trono. Ma non stava bene, si sentiva... Ecco, fuori posto. Stava passando una fase della sua vita che, a suo dire, nessuno poteva comprendere, specie lì a Taiwan. Da animo ribelle quali percepiva di essere in quella fase, tenne segreta la sua identità per un po' dal suo arrivo al motel. Pensava di intrattenersi poco qui, fino a quando non rimase folgorato dalla bellezza del posto ed ebbe un'idea: rendere onore a Edwynville contribuendo a migliorarla con il suo denaro. Quando si rivelò per chi era davvero – e lo fece prima di tutti con me – era estasiato, tutto folgorato da una luce interiore, abbagliante, stando a quello che mi diceva. Così mi presentò dei progetti su cui aveva lavorato giorno e notte nella sua stanza, credo si trattasse della numero cinque.» La signora Touchett spiegò uno dei fogli e lo sistemò sul tavolino di fronte ai due ragazzi. C'erano segni a matita ovunque, alcuni tratti più precisi, altri segnati in maniera più libera, e qua e là parole che Aaron immaginò essere scritte in cinese. «Questi sono i progetti che aveva in mente per la scuola, e questi per il campo da football. Oh, se amava il football! Avrebbe reso i Noble Deers qualcosa di più che un'istituzione scolastica. E poi qui ci sono altri progetti per la piazza centrale, un sistema di trasporti per le zone fuorimano...» La signora Touchett tossì con un certo contegno. «Ah, questa è la foto che ci facemmo insieme, trent'anni fa ero un gran pezzo di donna. E poi c'è questo articolo del giornale locale, quando il tycoon rivelò la sua identità.»
«Ma alla fine se n'è andato, no? E perché lo ha fatto?» chiese Aaron.
«Le notizie in proposito non sono chiarissime. La storia ha avuto poca visibilità perché la città si sentì in un certo senso tradita, aveva vissuto per un momento la visione utopica di chissà quale destino, per poi ricadere drammaticamente per terra, come dopo ogni grande aspettativa. Una volta, prima di andarsene, lui mi disse di essersi arreso alla sua famiglia, alla via che era stata segnata sin dall'inizio per lui. Disse qualcosa come "il destino ha tracciato una rotta per ciascuno di noi, dall'inizio." Se ne tornò a Taiwan, ed Edwynville restò più o meno la città che è adesso. Forse non è un male, ma comunque, ciò che conta è la storia, no? Potete lavorarci a fondo con questo materiale e tirar fuori qualcosa di buono.»
«Mi sembra ottimo. Grazie davvero, signora Touchett» disse alla fine Erin, inclinando appena la testa in avanti.
Aaron accolse con liberazione la reazione della ragazza e, sprofondando ancor più nel divano di pelle, si concesse un sospirò di sollievo.
*
Quando Aaron tornò a casa, salì ad ampie falcate le scale che lo avrebbero condotto alla sua camera. Lì dentro aprì e cominciò a sfogliare la sua parte di documenti concessagli da Erin. Appena al di sotto della foto di una giovane Catherine Touchett in compagnia del tycoon, stava una piccola cartella gialla, con su scritto: Se la storia che vi ho illustrato non dovesse piacervi, guardate un po' qui: la vecchia corrispondenza letteraria fra due giovani amanti poco più che ventenni, ma con un amore più grande di ogni età al loro interno.
Rilesse più e più volte quelle parole, così infilò le dita all'interno della cartella e ne estrasse parte del contenuto. Erano tutte lettere, scritte in una grafia che Aaron a prima vista faticava a comprendere. In quell'istante, il telefonò gli vibrò in maniera insistente nella tasca dei jeans. Sul display un nome: Bonnie. Ignorò la chiamata e ripose tutto il materiale all'interno della cartella gialla, pensando al da farsi.
Oltre alla finestra il buio stava calando, dando così risalto alle luci del motel e, con la testa che cominciava a dolergli per un crescente turbinio di sensazioni, Aaron si lasciò andare ad un sonno prolungato.
Angolo autore:
Ciao amici lettori! Il capitolo in questione ha 'tinte' un po' diverse dai precedenti, ma per la mia necessità e volontà di cominciare quello che avevo definito nel precedente 'non capitolo' come una sorta di breve ciclo narrativo, parallelo ma non per questo distaccato dalle vicende principali (anzi!). Erin ed Aaron pare abbiano risolto il loro impiccio, chiedendo aiuto alla anziana ex proprietaria del motel, la signora Touchett. La parte inerente a Bonnie di cui vi avevo precedentemente parlato è stata spostata al prossimo capitolo, così da creare con esso una sorta di amalgama tematica: si ritorna all'amour infatti, ai problemi di cuore! Quindi non vi resta che restare con me, leggere e votare!
Ciao e alla prossima :)
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