Capitolo 10
La gente si riversava lungo le vie principali della città come non accadeva in nessun'altra fase dell'anno, lì ad Edwynville. Dall'alto della sua conoscenza quasi enciclopedica dei suoi concittadini - che, chi più chi meno, finivano sempre per passare a degustare qualcosa alla tavola calda dei Rutherford - Bonnie notò volti mai visti prima di allora, immaginando che probabilmente si trattasse di turisti di paesi limitrofi. Camminò costeggiando alla sua destra le numerose bancarelle ricche di prodotti casarecci e di souvenir legati al folklore della città e, più in là nella folla, scorse Garrett alle prese con un venditore di cd, videocassette e vinili.
«Oh ma se lo tenga pure il suo album! In un giorno di festa anche un acquisto dovrebbe poter essere fatto con leggerezza, ma non che io debba pagare più di quanto si trova solitamente in commercio, nossignore!» esclamò Garrett con quel suo tono che alla ragazza ricordava le parlate da romanzi ottocenteschi, poi diede le spalle al venditore e fece per allontanarsi.
«Ma quanto sai essere polemico?» intervenne Bonnie raggiungendolo alla sua destra.
«Io ci provo ad essere buono, ma certa gente è davvero stronza. Spero non guadagni un dollaro bucato fino alla fine di questa fiera.»
«Sempre così drastico. Che fine ha fatto la tua Zoe?»
«La mia Zoe ha avuto una bella sorpresa da Damien, non so se ricordi, il suo ragazzo ultra fico che studia fuori.»
«Ah si, Damien il belloccio. E non volevi farle anche tu compagnia?»
«Per favore, odio quel tipo.»
«Gelosia in vista.»
«Nessuna gelosia, Zoe è come una sorella per me.» Garrett si fermò un momento tra la folla. «Non è lei che può suscitarmi queste cose...»
Bonnie provò ad individuare il punto in cui lo sguardo di Garrett confluiva, supponendo che si trattasse della ragazza a qualche metro da loro: «Olivia?»
«Olivia, il suo nome è musica. Ripronuncialo con me: Olivia.»
Bonnie scosse il capo ridendo. «Questi Lewis, arrivati in città da appena due mesi e già alla conquista di donzelle e...» diede una rapida occhiata al ragazzo accanto a lei, dalla testa ai piedi.
«Cavalieri?» provò a concludere Garrett.
«Se ti ritieni tale, come vuoi: donzelle e cavalieri.»
«La donzella sarebbe Lotte, presumo.»
Bonnie lo fissò, immaginando che Garrett avesse le sue buone ragioni per affermare una cosa simile. In fondo, ciò che c'era - o c'era stato - con Aaron non aveva motivo di essere reso noto agli altri, e in più non si considerava nemmeno una donzella. «Ovviamente, ma mi sembra che le cose vadano un po' a rilento. Forse uno dei due si è già pentito.»
«Non direi, si guardano con certi occhioni. Aspetta un momento, ma quello lì non è forse tuo padre?»
Bonnie lanciò lo sguardo oltre un gruppo di ragazzini festanti, e individuò suo padre: sul volto la barba grigia e ispida, stringeva nella presa poco solida della sua mano una bottiglia di birra, barcollando qua e là. Dimenticandosi di Garrett, lo raggiunse in fretta. Poggiò, frenata dalle sue stesse intenzioni, una mano sulla sua spalla, senza che il padre si accorgesse della sua presenza.
«Papà... Papà che ci fai qui?»
«Oh tesoro, ciao, ciao. Esco, non vedi? L'aria pulita...»
«No papà, devi tornare a casa. Guarda in che stato ti sei ridotto.» Bonnie notò che una piccola folla di curiosi si era avvicinata ad assistere alla scena. In altre circostanze avrebbe pensato che si trattasse di qualcosa tipico di quei posti, doveva essere facile catturare l'attenzione di gente così isolata dal mondo e chiusa nella propria ignoranza quasi superstiziosa. Ma in quel frangente aveva la testa troppo impegnata dalla sbronza che suo padre si era procurato, in pubblico, in piena mattinata della Giornata della Fondazione. Suo padre non la ascoltò, così Bonnie lo afferrò per un braccio e provò a trascinarlo con sé. Nella sua difficoltà, vide Garrett raggiungerla e prendere piano suo padre dall'altro braccio. Riuscirono insieme a trascinarlo poco più in là, in una zona meno affollata.
«Lasciatemi stare, brutti idioti! Lasciatemi!» sbottò suo padre, liberandosi violentemente dalla loro presa. «E tu chi diavolo sei?»
«Signore, sono un amico di sua figlia. Forse non ricorda, una volta in seconda media sono stato a casa vostra, io e Bonnie preparammo un compito sulle glaciazioni insieme. Ora non so se lei ha presente-»
«-non mettermi più le mani addosso, ragazzino. Scherzi col fuoco!»
Bonnie, a pochi metri dal padre, riuscì a percepire l'odore caldo di alcol uscire dalla sua bocca. Sentì una lacrima rigarle il viso, prima di ritrovare se stessa, inaspettatamente, e reagire: «Lascialo stare! Voleva solo essere d'aiuto, non riesci a renderti conto di quel che fai, sei impresentabile!»
«Non permetto ad una sgualdrinella come te di potermi giudicare! Tua madre si vergognerebbe di te-»
Il palmo della mano di Bonnie finì con violenza sul volto del padre. Un grave silenzio proruppe come un'ondata d'acqua gelida ad annegarla nello sconforto. Provò a contenere il pianto, abbassò il capo, portando quindi gli occhi su quelli ancora sbigottiti di Garrett. Rivolgendosi a suo padre, che non aveva saputo reagire al suo gesto, Bonnie disse: «Fa' come ti pare.» Si allontanò, diretta di nuovo verso le vie principali della città.
«Ehi, posso esserti di aiuto?» chiese Garrett, arrivando accanto a lei.
«Vorrei restare un momento sola. Ma ti ringrazio per quello che hai fatto.»
«Era il minimo.»
*
Era il primo pomeriggio quando Blythe riuscì a liberarsi del sontuoso pranzo nella dimora di famiglia presso la quale erano stati accolti numerosi ospiti, fra cui facoltosi membri dell'azienda del padre ed amici di vecchia data, tutti – a parere del ragazzo – disposti ad acconsentire all'invito con lo scopo di ottenere visibilità e prestigio. Scese lungo la via che portava nel cuore della città, trovando un posto in cui parcheggiare l'auto quasi per miracolo, considerata la caoticità che ogni anno in quel giorno si impadroniva della città. Guardò sua sorella Erin accanto a sé, trovandola persa in qualche pensiero.
«Se acceleriamo il passo riusciremo a vedere la Danza delle Fanciulle.»
«E' sempre la stessa storia ogni volta, non ne ho molta voglia» lamentò Erin.
«Si ma le ragazze cambiano ogni anno. Vorrei vedere cosa offre stavolta la casa!»
Erin gli diede una gomitata al braccio, ridendo. «Tu vai pure, io devo provare per stasera.»
«Non hai bisogno di provare ancora, lo sai. Come sempre farai commuovere tutti al pianoforte. Una prestazione senza sbavature.»
«Sarà, ma almeno ho un motivo per evitare quella danza. Ci si vede dopo!» E così dicendo, Erin lasciò suo fratello in prossimità dello spazio nella piazza adibito per l'esibizione delle Fanciulle.
Blythe cercò di rintracciare Doug, senza che questi rispondesse al telefono. Subito dopo scorse Olivia salutarlo con ampi gesti del braccio e un gran sorriso sul volto. Si avvicinò alla ragazza, trovandola conciata in un abito bianco a merletti, con inserti rossi: l'abito caratteristico della Danza delle Fanciulle.
«Ma guarda un po', la nuova arrivata che si mette subito in bella mostra con un atto patriottico!»
«Sono una persona che va subito al sodo, starmene in disparte non è il mio forte.»
«Conosci almeno la storia che si cela dietro tutto questo?» chiese Blythe, allargando le braccia e guardandosi attorno.
«Capitàno, sono preparata. E' la danza celebrativa ideata dalle figlie, mogli e nipoti dei fondatori, e più in generale dalle donne del primo nucleo cittadino di Edwynville, in occasione del suo quinto anno dalla fondazione. Che te ne pare?»
«Niente male, parli come Garrett. Scommetto che c'è il suo zampino.»
«Esatto, aveva voglia di raccontarmela e io l'ho ascoltato» sorrise lei.
«Di certo quel ragazzo tiene molto a te.»
Ma le parole di Blythe parvero cadere nel vuoto quando Olivia abbassò il capo, ribattendo con una domanda: «Come stai?»
Blythe rifletté un momento, gettando lo sguardo verso un gruppo di ragazze tutte in abito bianco a merletti e inserti rossi – tra cui vi era Lotte –, impegnate nel provare alcuni passaggi della danza. «Ti direi bene, se non fosse che la gente che ho appena lasciato a casa con i miei genitori sa solo mettermi in testa di non perdere di vista i miei obiettivi. In realtà, non so neanche se siano realmente miei. L'impresa di papà, i college della Ivy League, il successo del football...» sospirò, sgranchendosi il collo con un solo movimento della testa. «Non lo so, mi sembra tutto così prestabilito. Ma scusa, in questi casi bisognerebbe rispondere al 'come stai?' con un semplice 'bene, grazie. E tu?'»
Olivia lo guardò con i suoi bui occhi marroni, mantenendo un sorriso che però il ragazzo non seppe decifrare.
«E' bello invece che qualcuno abbia voglia di farci sapere davvero come si sente. E magari dipende dal fatto che ha percepito chiaramente che la domanda è stata posta con interesse sincero, reale.» Lotte chiamò il nome di Olivia, invitandola a raggiungere il gruppo. La ragazza acconsentì, voltandosi di nuovo verso Blythe. «Ora devo andare, ma non mi dispiacerebbe riparlarne, quando sarà possibile.»
«Magari la prossima volta che tornerò a studiare al motel con Aaron e Garrett per una incandescente ripetizione di Scienze. Purtroppo Garrett non si sente granché a suo agio nel mio salotto» suggerì allora il ragazzo, sorridendo.
«Magari sì, ora non ti perdere lo spettacolo!»
*
Un bambino dal viso paffuto e i capelli biondi scorrazzava lungo il giardino di una villetta stringendo saldamente in una mano il filo del palloncino rosso che svolazzava per aria. Poco più dietro, una donna lo inseguiva ridendo, fino a quando non lo afferrò e lo strinse a sé in quello che aveva tutta l'aria di essere un caldo abbraccio materno. Aaron stava ancora sorridendo quando mise a fuoco la figura di Lotte incamminarsi verso di lui, oltre quella scena. Trattenne il respiro, bloccato lì ad aspettarla, a vederla camminare stretta nel suo giubbotto e, al di sotto di esso, col vestito della danza che ondeggiava ad ogni passo delle sue amabili gambe. Si avvicinò anche lui, sentendosi per un attimo un po' parte di quel film, Closer, in cui nella scena iniziale i protagonisti si camminano contro, sui volti di entrambi una sorta di espressione folgorata d'amore e, sul sottofondo, la dolce melodia di The Blower's Daughter a suggellare il tutto in modo perfetto.
«Lotte.»
«Aaron.»
Risero entrambi.
«Sei stata bravissima in quella danza.»
«Considerando che lì nessuna di noi era un ballerina, beh, credo di essermela cavata.»
«Concordo.»
Lotte strinse un po' gli occhi in un'espressione ridente a cui Aaron non aveva mai saputo rinunciare, neanche quella volta. «Avanti, ora vieni con me» disse lei, tenendogli la mano come quella sera dai Rutherford in cui lo aveva trascinato in una bagnatissima corsa sotto la pioggia.
Attraversarono insieme altre aree di festa nella città, portandosi in una zona che Aaron non aveva ancora avuto modo di conoscere, prima di allora: un'ampia distesa di verdeggiante prato oltre un piccolo bosco nella periferia della città. Lì, insieme a loro, c'era anche qualcun altro, come una famiglia intenta a consumare un picnic e una coppia di anziani, con le sedie piantate nel terreno, in cui leggeva ognuno il proprio libro tascabile.
Ammirando il sole che tramontava oltre la radura, rendendone calde le tonalità, Aaron si sfregò le mani per far fronte ad una rapida e silenziosa ondata di vento freddo. «E' bellissimo.»
Si stesero l'uno accanto all'altro, un po' più lontano dagli altri presenti, scambiandosi occhiate furtive e sorrisi ingenui prima che la mente di Aaron venisse invasa dalla consueta mole di pensieri. «Secondo te, le persone... Noi, possiamo davvero riuscire a risolvere problemi che da soli ci sembrano insormontabili, ma che magari... Magari se affrontati uniti a qualcuno non lo sono più? Ecco, insieme si può riuscire in questa impresa?»
Lotte strappò e si rigirò fra le dita un ciuffetto d'erba verde. «E' possibile, ma per riuscirci sul serio l'unica possibilità è avere realmente l'intenzione di essere aiutati.»
«Mi sembra più che giusto.» Aaron si sollevò leggermente da terra, poggiandosi sui gomiti e accogliendo sul volto le luci calde dell'ultimo sole.
«Ho notato una cosa» riprese Lotte. «Tu mi guardi con una certa espressione. E' come se inseguissi i miei occhi cercando qualcosa, e la ricerca solitamente deriva da un bisogno.»
Il ragazzo la guardò stare distesa a pancia in giù, le pieghe del vestito contro il prato, le gambe che avevano smesso di dondolare, sollevate oltre le ginocchia, e i lisci capelli vermigli che la nascondevano alla vista dei suoi occhi. «Vuoi sapere di che si tratta?»
«Sì, vorrei sapere cosa significhi questo bisogno. Questa parola, bisogno, mi fa pensare alla funzionalità, e io non voglio essere soltanto funzionale, per te.»
"Essere funzionale" pensò fra sé Aaron. Non avrebbe mai potuto lasciare che Lotte consolidasse e sviluppasse dentro di sé un'idea simile. Riavvolse più che poté il nastro dei ricordi, riportandolo all'ultima e più piacevole memoria che lo teneva legato a Claire, quindi proseguì di nuovo in avanti, saltando ore, giorni, mesi, e si riallacciò alle cose belle capitategli negli ultimi tempi: le luci e i volti del lago, l'ostinato sorriso di sua sorella, il pallone da football che varcava la linea del touchdown e l'esultanza incontrollata della sua squadra, l'amico che barcollava in preda al delirio di qualche bicchiere d'alcol di troppo, la fuga adrenalinica nell'elettrica notte di Pittsburgh, quel bambino e la sua mamma avvinti dal loro comune abbraccio, il volto di Lotte carico della sua sconfinata bellezza.
Tese una mano verso di lei, piano, e le toccò con l'indice la tempia, scendendo sulla guancia: aveva la pelle tanto liscia. Quella percezione non fece che accentuare il lieve tremolio delle dita. Si abbassò, avvicinandosi col proprio viso al suo. Con le distanze che si annullavano sempre più, vide gli occhi di Lotte, prima fissi sui suoi, spostarsi verso il basso e chiudersi. Le baciò le labbra morbide con estrema cautela, quasi temesse che potessero frantumarsi come un diamante e la sua caratteristica fragilità. Non aveva ben chiaro quanto tempo fosse passato, quanti secondi, il cielo sarebbe potuto crollare su di loro e lui probabilmente non ci avrebbe posto troppa attenzione. Allontanò lentamente le sue labbra, ma continuò a tenerla a sé con una mano salda sul suo capo. Sospirarono all'unisono. Accarezzandole i capelli, Aaron sentì il braccio di Lotte circondargli il ventre, e insieme si lasciarono andare alla loro stretta comune, così distesi sulla radura.
Angolo autore:
capitolo dieci, il che vuol dire che si va in doppia cifra, finalmente! Vi avevo già detto che si trattava di un capitolo importante, ecco magari lo è stato in maniera diversa dalle aspettative comuni (se esistono delle aspettative comuni), ma io ho il mio modo, la mia ottica di vedere le cose importanti, e spero che non vi abbia deluso! Detto ciò, c'è stato un triplice punto di vista (che pare abbia un seguito nel prossimo capitolo, per quanto riguarda la costruzione), mai visto finora nella storia, ma come sappiamo ognuno elabora i propri metodi di narrazione, e considerando l'importanza del capitolo e la celebrazione della giornata della fondazione (tutto di mia fantasia!), non mi è dispiaciuto dare voce in modo rapido a tre dei miei protagonisti, Bonnie, Blythe ed Aaron (ognuno avrà i suoi spazi, questo è certo!). E a proposito di Aaron, il tanto atteso (?) sviluppo con Lotte c'è stato, un bacio tanto bramato, per certi versi. Ora spetta al nostro ragazzo capire come reagire al proprio gesto, rispetto al suo rapporto con Bonnie, a ciò che ha in testa e a 'Claire'. Beh, detto questo spero che il capitolo vi sia piaciuto e che vi dia una buona ragione per continuare a leggere la storia. Vi ringrazio per l'attenzione e il supporto. Alla prossima!
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