The train guy

-Hai bisogno di aiuto?-

Per quale malcelato motivo quel vecchio doveva agire in quel modo più che invadente, guidato da un'indole fin troppo genuina ed altruista? 

Irritato era un eufemismo rispetto al vero stato d'animo in cui vigeva Eren, dal momento che  stava iniziando ad accusare la stanchezza del viaggio del giorno prima per arrivare in quella frenetica ed inquinata metropoli, e proprio non riusciva a trovare la posizione giusta per appoggiarsi al finestrino, nè tantomeno a zittire una volta e per tutte quell'individuo fastidioso come una maledetta mosca affamata.

-Sicuro di farcela?-

Sbuffò sonoramente per palesare la tremenda situazione di insofferenza in cui si trovava - o per meglio dire, in cui l'uomo al suo fianco lo aveva gettato alla stregua di un vortice infernale - ma niente fu il risultato che ottenne.

Disgraziato quell'insopportabile vecchio.

Con un rapido gesto delle dita strattonò con forza il cavo degli auricolari, ignorando un pizzico di dolore che quell'azione gli aveva procurato alle orecchie, e sporse il busto in avanti per valutare ancora per quanto tempo quel teatrino si sarebbe protratto, prima che si mettesse ad imprecare e a lanciare improperi come un pazzo.

-Ce la faccio, grazie.-

Ecco, in quel momento, invece, avrebbe volentieri chiesto al suo compagno di viaggio di mettersi gentilmente da parte e permettergli di aiutare quella figura così minuta e sensuale come un felino, che si era guadagnata tutta l'attenzione dello studente. 

E a tutti gli effetti gli ricordava proprio un gatto, a partire dal modo in cui le sue scapole erano così evidenti dalla maglietta di cotone bianca, per poi sopraggiungere alla muscolatura della schiena che si contraeva e si distendeva in movimenti fluidi nel mentre il ragazzo posava il borsone blu nella cappelliera, fino a concludere con quelle dita affusolate e delicate alla stregua degli artigli di un felide.

Ma niente era in confronto ai tratti del suo viso, regolari come le linee del più armonico degli spartiti, fini come fogli di carta, accurati ed espressivi come solo un pittore può ritrarre sulla tela bianca; incantevole come una creatura magica in una radura, sublime come un essere celestiale.

Approfittò di quell'agitazione generale per curiosare per qualche altro minuto oltre la spalla del vecchio, fingendosi scarsamente interessato a ciò che si stata verificando in quell'angusto corridoio affollato di quel - in fin dei conti - non così male tubo di acciaio e ferro.

Non ottenne neanche la magra consolazione di vedere il proprio sguardo incrociarsi per puro accidente con quello di Bel Faccino, anzi, pareva che la potente aura di sovreccitazione -che lo stava facendo fremere dalla testa ai piedi, come un cucciolo alla vista di un bel pezzo di carne succulento - fosse stata notata soltanto dal vicino di poltrona, ma che pareva non essere risalito alla fonte originaria di quella trepidazione.

Ma la corsa era finita ancor prima del segnale di inizio, e la risposta era ben chiara da quella prospettiva: Bel Faccino non gli aveva neanche dato il tempo di dibattere con se stesso sulla prossima mossa da attuare, che nell'arco di qualche minuto aveva già inforcato occhiali da vista, acceso l'ipod e sepolto il viso in un libro che Eren non aveva mai sentito neanche nominare. Non che poi frequentasse chissà quanti ragazzi dediti alla lettura o alla cultura, era il caso di dire.

Visto che non gli era concesso rivolgergli la parola, senza di sicuro disturbarlo, decise che avrebbe trovato un modo per poterlo studiare di sottecchi: d'altro canto il corvino non spiccava di certo per altezza, ma lui sì, e sebbene l'avesse sempre maledetta per i crampi intollerabili che gli intorpidivano le ginocchia sotto il banco, ora finalmente si stava rivelando un enorme vantaggio.

Così fece aderire perfettamente la colonna vertebrale allo schienale logoro e macchiato della poltrona bluastra e posizionò le gambe ad angolo retto, gli arti lungo i braccioli - assumendo una posizione talmente composta e rigida che ricordava vagamente la statua di Abraham Lincoln - sperando che in quel modo la traiettoria gli permettesse di scorgere il viso assorto dell'altro.
Ma, come al solito, il Karma vinceva a mani basse contro di lui.

Poco dopo il suo odioso vicino pensò bene di assumere la sua  stessa posizione ed accavallare le gambe per poter gustarsi un film sicuramente divertente - a dire dalle risate trattenute di quell'individuo oltremodo molesto - su un cellulare appartenente ad una generazione così vecchia che sarebbe potuto risalire alla preistoria, Eren ci avrebbe scommesso tutti i contanti che possedeva.

E quindi trascorsero quattro delle cinque ore - perchè sì, quell'infima pellicola anni '90 era durata almeno tre ore e mezzo, prima che Mr Simpatia non si decidesse ad andare a fumare una maledetta sigaretta nell'area apposita e finalmente concedesse ad Eren un briciolo di compiacimento - senza che il ragazzo avesse guadagnato un minimo di terreno.
La bandiera bianca e rossa del  traguardo si stagliava dietro imponenti monti di pura indifferenza dell'altro, e i picconi che si era portato dietro non sembravano essere adatti per quell'impresa.

L'abbozzo di un sorriso spontaneo fece la sua comparsa sul suo volto, quando ebbe finalmente modo di vedere ciò che stava risucchiando a pieno la concentrazione dell'estraneo: una piccola e consumata matita fra le mani, un quadernino con qualche veloce schizzo e una gomma da cancellare nella sinistra. 

Avrebbe voluto godere di una prospettiva migliore rispetto a quella che gli era stata affibbiata; eppure si beava anche del modo in cui le ciocche scure fluttuavano nell'aria come petali - ogni qualvolta chinava il capo per segnare il grigio passaggio della mina, per poi sollevarlo e spostare il foglio per identificare eventuali errori di proporzioni -, del tocco delle dita callose sulla nuca rasata quando meditava a fondo su qualcosa, dei piedi che si incrociavano e si sbrigliavano quando era sovrappensiero.

Ciononostante, c'era ancora un modo per potergli osservare il viso senza che l'altro se ne accorgesse.

Ed Eren aspettò pazientemente - d'altra parte era l'unico appiglio che gli era rimasto, quello spicchio di pazienza mista a rassegnazione.

Il vento sferzò con violenza la parete del treno, che si inclinò a malapena sotto l'autorità di quelle correnti d'aria imbizzarrite, e quel preciso istante fu immediatamente riconosciuto come il momento tanto atteso dal giovane.

Il buio rivestita i vagoni come un manto, oscurandone gli interni solo per qualche secondo, prima che le luci al neon sotto le rispettive cappelliere non illuminassero di una luce asettica e pallida i volti stravolti e smorti dei passeggeri: qualcuno aveva approfittato di quella lunga traversata nello scheletro della montagna per poter socchiudere gli occhi e tentare di riposare, cullato dall'insistente e inarrestabile ronzio di sottofondo dei bocchettoni d'aria, o da qualche spinta rapida della carrozza nel seguire la linea irregolare dei binari.

Il convoglio ferroviario sfrecciava nell'oscurità, lacerandola e oltrepassandola come una patina sottile, nell'umidità di quell'antro che accarezzava le pareti tinte di rosso; viaggiava a trecento chilometri orari come un mustang impetuoso nei fondali sotterranei della roccia solida, nelle viscere di quella solenne altura.

Quell'insieme di elementi gli stava fornendo l'unica occasione irripetibile di godere della vista di quella creatura, pallida come la luna, enigmatica come la notte stessa.

Il finestrino al suo fianco catturava un'espressione riflessiva che gli lambiva il volto, senza distaccarsi da esso neanche per un istante nel mentre sfumava con un polpastrello le ombreggiature del capolavoro appena creato.

Dio, esisteva una persona più incantevole di quella? 

Delicato come la corolla di un fiore, impalpabile come una nuvola fra le dita, elegante e pericoloso come un boa.

Velenoso come lo sguardo che gli aveva appena iniettato attraverso il loro riflesso, spietato, crudele. 

Ne rimase intossicato, infettato, il sangue contagiato da un'apatia fuori dal comune, gettandolo in uno stato di inerzia morale pari a quello di un anziano malato nelle sue ultime ore di vita.

Ecco, il traguardo, ora, l'aveva più che superato. Era anche andato fuori pista, per dirla tutta.

Che idiota che era stato: lo sconosciuto appariva delicato come la seta e indomabile come uno stallone e, per lo più, Eren non aveva neanche fatto i conti col fatto che - magari - l'altro non fosse neanche omosessuale.

Tante erano state le volte in cui aveva tentato di scrollarsi di dosso quel batterio che lo infestava come un nido di ragni: quella maledetta sicurezza di sè che, puntualmente, lo scaraventava nell'oblio appena veniva respinto dall'infatuazione di turno.

Una partita a scacchi contro se stesso, e non aveva ancora imparato a non tentare di  fare scacco alla regina subito, visto che, puntualmente, si ritrovava con un pugno di mosche in mano come l'ultimo dei perdenti; ma, in quel caso, non aveva mosso neanche la prima pedina che aveva già perso.

Ecco, finalmente si era arreso. Strinse fra le braccia un acre senso di amarezza ed alzò di qualche tacca il volume della musica, afferrando poi più che stizzito l'ipod dalla tasca della felpa: cambiò canzone, The Scientist dei Coldplay era una freccia scoccata nel torace, ben assestata fra i polmoni.

Socchiuse gli occhi e finse disinteresse per ciò che lo circondava, sperando mai come in quel momento che il suo caro vecchio amico tornasse il prima possibile dall'area fumatori.

Ovviamente, come spesso il destino faceva, nessun santo parve ascoltarlo.

Un tonfo lo fece sussultare sulla sedia ed afferrare i braccioli di plastica grigia fra i palmi, stretti come si farebbe con uno scoglio in mezzo all'oceano.
E, a proposito di acqua, la sua bottiglina verde cominciò a scivolare sul freddo pavimento lurido, quasi compiaciuta di aver attirato tutta l'attenzione su di sè. Così slittò attraverso il corridoio  ed arrestò la sua fiera camminata solo quando - dopo aver fatto partire al galoppo il suo cuore -, picchiettò maliziosa la Vans nera e bianca di Bel Faccino.

Quasi stava per sputare un polmone quando vide che il corvino aveva distolto distrattamente lo sguardo dal suo capolavoro e l'aveva accuratamente riposto sul cilindro di plastica e, nel mentre si chinava per raccoglierlo, Eren fu tentato di alzarsi e raggiungere il suo vicino di posto dall'altro capo del treno - magari, si disse, la sua dignità si era nascosta proprio in qualche posacenere.

Il ragazzo emise un lieve grugnito mentre scrutava i passeggeri nel corridoio per individuare il proprietario di quell'oggetto che, si augurò, non venisse più usato, visto che era ruzzolato per bene - come un cane nel fango - in quello strato di acari e sporcizia.

Eppure, in cuor suo, anche lui stava intimamente sperando che appartenesse a quell'affascinante e giovane impacciato che aveva beccato ad osservarlo mentre disegnava.

Ma, in realtà, Eren non si era risparmiato di studiarlo come una cavia da laboratorio per le quattro ore precedenti, e il corvino non sapeva che i suoi immensi occhi variopinti gli stavano consumando la schiena a furia di aggrapparsi ad essa come una sanguisuga.

Eppure il castano si sentiva così avido e ingordo di quei lineamenti perfetti che proprio non riusciva a distogliere lo sguardo da lui, attirato come elettroni a protoni.

-E' tua?-

Neanche il coro dei bambini della sua chiesa quando cantava Adeste fideles nella notte di Natale, sarebbe stato paragonabile alla melodia che le sue corde vocali emettevano, che inebriavano come nettare divino l'anima di Eren.

Cristo, dove era finita la sua caparbietà quando serviva? Ovviamente era entrata in coma farmacologico anche lei, dopo che le lame affilate di quegli occhi a mandorla l'avevano trapassata senza pietà.

Ingoiò a vuoto per inumidire in qualche modo la gola secca, ma il suo corpo sembrava volesse polverizzarsi, lasciandolo da solo di fronte a quel predatore ammaliante e spietato come una pianta carnivora.

-Sì.- ingoiò ancora. -Grazie.-

Si allungò verso la mano di Bel Faccino per poter afferrare quel -maledetto o benedetto?- contenitore sporco, stando attendo a non sfiorare neanche per sbaglio le dita dell'altro, ed era paradossale come ora che aveva tutta l'attenzione dell'altro su di sé, fuggisse dal suo sguardo come se fosse un laser incendiario.

-Figurati.-

In realtà, anche se quegli occhi avessero avuto il potere di generare petardi dal nulla, Eren si sarebbe fatto esplodere con piacere e con le braccia aperte rivolte a quel carnefice.

Non era quello che stava facendo - sebbene in modo figurato - alla fine?

Era lecito essere così belli in modo quasi innaturale, impossibile?

Si costrinse a prendere in fretta la bottiglia, prima che quei denti snudati e perfettamente allineati lo stordissero per il loro bagliore, assurdamente bianchi come in quelle maledette pubblicità super photoshoppate, con tanto di tin al seguito - Eren era più che certo di aver sentito quel rumore.

Ecco, ora che l'adrenalina gli scorreva nelle vene come sulle montagne russe, proprio non poteva prendere sonno senza addormentarsi con quel finto angelo fra i pensieri - e, magari, provocarsi anche un'erezione fra le gambe, giacchè il pudore era andato a farsi benedire da quando aveva posato gli occhi sulle spalle larghe e sottili dell'altro.

Posò quell'oggetto - che avrebbe fatto santificare appena tornato a casa - sul tavolino di plastica davanti a sè  ed afferrò sovreccitato il telefono fra le mani, nascondendo a stento la frenesia che lo faceva sorridere come un ebete difronte allo schermo del dispositivo, mentre fingeva di essere super indaffarato per questioni ben più importanti che scambiarsi due battute striminzite con un ragazzo conosciuto su un treno. Ovviamente.

Proprio in quel momento Mr Simpatia fece il suo rientro, un'acre e pungente scia di tabacco che gli irritò nuovamente le narici, ma niente sembrava poter urtare l'allegria che lo stava investendo a grandi secchiate da cima a fondo.
E, proprio in quel momento, il sottile equilibrio di calma che aveva avvolto Bel Faccino, parve infrangersi - forse proprio per quello che si era verificato qualche minuto prima - ed Eren potè bearsi della voce delicata e virile dell'altro nel mentre parlava a telefono con qualcuno.
No, non qualcuno, bensì qualcuna - Eren ne ebbe la conferma quando pronunciò il nome Hanji.

Allora sayonara in questa notte amara, sentì cantare Gazzelle a voce a malapena udibile attraverso gli auricolari.

-Sì, è andato bene.-
Lo sentì dire, un tono di voce neutro e l'indice a grattare qualche pellicina, scura per la mina, dal pollice.
-Santo Cielo, Hanji, no, non ho conosciuto nessuno.-
Ecco, magari era anche una tipa gelosa, il genere di fidanzata che ti opprime alla stregua di un cappio a doppio nodo intorno alla gola.
-Che vorresti insinuare? Era un'allusione al mio carattere o sbaglio? Dio, non ti sopporto.-
Un lieve moto di soddisfazione nel petto del castano per quell'affermazione, eppure non poteva ignorare una biscia di gelosia che gli scivolava nelle vene, fra i muscoli e le ossa, piano e in modo straziante.

-E' andato bene, il test era facile. Il portfolio è piaciuto e anche il ritratto del nudo. Ora, visto che merito un po' di tranquillità dopo questo viaggio, spero di trovarti come minimo pulita e lavata, e dici ad Erwin che, se recupera  la brace dallo stanzino, cucino io stasera.-

Test? Possibile che fosse una matricola della IUDAD come lui? 

Che qualcuno gli desse uno scappellotto ben assestato sulla nuca, prima che svenisse accasciandosi su Mr Simpatia, e l'idea non lo allettava per niente: quante probabilità esistevano nell'intero cosmo, che incontrasse il ragazzo più affascinante del suo corso - perchè aveva osservato per bene quelli che erano nella sua stessa aula durante l'esame -, seduto ad un posto da lui, sullo stesso treno che aveva preso lui  quel giorno?

Attraente, capace, cortese, anche cuoco in aggiunta, dedito alla fidanzata e al presumibile amico: una combinazione sublime e altrochè letale.

Perfetto, ovviamente già occupato.

Eren lo vide con l'angolo dell'occhio allontanare il telefono dall'orecchio, un'espressione contrita sul viso e la linea della bocca distorta.

-Maledetta quattrocchi, così mi stoni! Giuro che, se non fossi la fidanzata di Erwin, ti avrei spedita fuori casa già tempo fa! Ma se siamo amici da una vita, lo stavi per dire, vero? Sì, hai ragione, sono una persona crudele...no! Non chiamarmi così o giuro che ti faccio fare il bagno ogni mattina per il resto dei tuoi giorni. Sì, è una minaccia, ora vado. A più tardi.- 

Se Eren avesse dovuto rappresentare su tela il suo stato d'animo, era più che certo che avrebbe impugnato il pennello e avrebbe dato vita ad un quadro futurista, al pari di Dinamismo di un'automobile di Russolo.
Alla fine dei conti sentiva che la propria mente stesse viaggiando a trecento all'ora come quel treno sotto i suoi piedi, in una corsa contro il tempo a cui solo le ultime due fermate che erano rimaste nell'itinerario del viaggio avrebbero potuto dare una fine: a quale delle due sarebbe sceso? Una dubbio che si sarebbe dissolto solo quando avrebbe visto il ragazzo-gatto sgattaiolare fuori dal mezzo.

-Scusa se ti disturbo, ragazzo, ma prima ho sentito - così, sai, per sbaglio - che hai fatto un test sull'arte. Si tratta della IUDAD, vero?-

Eren sbarrò gli occhi e si aggrappò con con così tanta forza ai braccioli che pareva che il treno, più che correre sui binari, stesse per prendere il volo. Voltò il capo ad una lentezza esorbitante, le palpebre spalancate e il collo rigido, come se la persona al suo fianco avesse mutato le sue sembianze in quelle di uno extraterrestre - forse lo era davvero, visto che aveva avuto il coraggio di rivolgere la parola a Bel Faccino dopo la sfuriata che aveva appena messo in scena.

Ma poi, ripensandoci, che diavolo aveva voluto puntualizzare con quel per sbaglio?

Allora anche lui, per sbaglio, aveva origliato quella conversazione mostrandosi del tutto disinteressato, ma assorbendo ogni parola come una spugna, neanche fosse un agente speciale dell'FBI; ma questo di certo non aveva voluto significare che avrebbe poi rivolto la parola ad Occhi di ghiaccio, palesando quanta attenzione avesse prestato per quella conversazione.

Ma ciò che lo raggelò di più, fino a raffreddargli anche il midollo spinale, fu ciò che successe dopo.

-Ma si figuri. Comunque sì, oggi ho fatto il test lì.-

Gli aveva risposto davvero, e in modo anche cortese, o se lo era immaginato?

Ma, a dire da come controbattè l'uomo, che gli stava letteralmente rubando la scena - di cosa, poi? In realtà non aveva neanche mai veramente agito - ricevette una conferma immediata.

Il suo cervello entrò in blackout, uno sciopero ufficiale di tutti i neuroni, le sinapsi in ferie e così via. Per quanto si sforzasse, la spugna si rifiutava di focalizzarsi su quel dialogo per incamerare nuove informazioni sul bel ragazzo, e non aveva tutti i torti, vista la piega che stava assumendo.

Avrebbe potuto scrivere una biografia su due piedi dell'uomo al suo fianco: di come aveva incontrato l'amore della sua vita Gisella - che nome era, poi? -, della straordinaria bellezza dei nipoti - di cui aveva ovviamente mostrato un intero album fotografico sul telefonino - per poi concludere con la sua attuale vita di cassiere.

Una vita di tutto rispetto, non c'era che dire, peccato che lo Jeager fosse interessato al pari delle lezioni di storia al liceo.

Doveva riflettere con calma e valutare attentamente la situazione: il ragazzo dei suoi sogni, frequentante del suo stesso istituto e col sorriso più ammaliante che avesse mai visto sul viso di un essere umano, stava parlando con un vecchio maleodorante dalla chiacchiera spiccata.

Questo, poteva solo giocare a suo favore.

Fece un respiro, poi un altro più breve, uno più lungo in seguito;  controllò l'orario del telefono, lo spense. Lo riaccese di nuovo.
Che diavolo stava facendo? Temporeggiare non era servito mai a nessuno, e forse per quello, la storia, gli era bastata per capirlo.

Inspirò quanta più aria possibile, certo che, se non l'avesse espirata, sarebbe esploso come un palloncino; poi, il suo maledetto coraggio, diede una sonora spinta alla sua lingua.

-Anche io vengo da lì! Ho fatto il test oggi, come te.-
Non era suonato proprio con l'effetto desiderato, forse aveva anche urlato inconsapevolmente per la troppa euforia: peggio del compagno di viaggio, insomma.

Dio, già sentiva i continenti staccarsi e generare terremoti e maremoti, e poi le faglie aprirsi e risucchiare tutta la popolazione mondiale in un sol boccone, e la colpa poteva essere solo di quell'uragano di figure pietose creato dalle sue labbra.

-Oh, sei la prima matricola che conosco oggi. Non mi pare di averti visto in accademia, orario diverso?-

E niente, Eren Jaeger avrebbe solo voluto inviare un messaggio a Jean e dirgli di organizzare la più grande festa di tutti secoli proprio lì, nel suo appartamento, causa: vittoria dei mondiali nel panorama degli attacca bottone più ardui della storia.

Neanche io ti ho visto, me ne sarei sicuramente accorto, visto che non passi inosservato neanche ad un cieco, avrebbe voluto rispondergli.
-Probabile, l'ho fatto alle nove.- Invece fu tutto ciò che disse.

-Io alle otto, ecco perchè.- L'ombra di un sorriso gentile che gli fece venire voglia di prenderlo direttamente su quella poltrona, solo per poter vedere le mille sfumature di quelle labbra così piene e succulente, e al diavolo tutto il resto.

-Bella accademia, davvero! Avrei voluto che mio figlio la frequentasse, peccato che poi ha scelto lingue. Però, sapete, anche a me piaceva disegnare quando ero giovane...-

Il castano era tentato dal regalargli tutto il pacchetto delle sue Marlboro Gold se fosse stato necessario per zittirlo; ormai quell'uomo vantava di possedere la stessa utilità di fiammifero: una volta acceso il fuoco, poteva anche essere cestinato.

-E perchè ha deciso di accantonare questa sua passione?-

La lista dei pregi di quel fanciullo, stilata dallo studente con meticolosità, stava raggiungendo una lunghezza strepitosa: ultimo punto, cordialità.

Ma non poteva permettersi di essere declassato, per via della comparsa al suo fianco, dal ruolo di protagonista a quello di personaggio secondario, non esisteva. Doveva intervenire ed escluderlo dalla conversazione, in un modo o nell'altro.

-E alla fine, questo test? L'hai trovato difficile?-

Magari avrebbe potuto anche chiedere qualcosa di sensato, dal momento che era palese che anche lui, come Mr Comparsa, avesse origliato; di male in peggio.
Almeno era riuscito nel suo intento: due a zero, palla al centro.

-No.- Occhi di ghiaccio trattenne una risata fra le labbra -In realtà me lo aspettavo più articolato. Tu, invece? Come l'hai trovato?-

-Abbastanza semplice anche io, solo qualche difficoltà col nudo. Ho qualche problema con le proporzioni, ma niente di incorreggibile.- Sfoggiò un ampio sorriso di rimando, con l'animo colmo di appagamento quando vide come il ragazzo lo scrutasse - le iridi lunari incuriosite - attraverso le folte ciglia lunghe.

-Come ti sei sistemato lì? Dormitorio?- Azzardò, godendo ancora per qualche istante del modo in cui il corvino lo stava studiando, come se avesse intenzione di ritrarlo nella mente con la stessa piccola matita con cui aveva disegnato sul suo quaderno dalla copertina scura.

-In realtà non ho ancora stabilito niente. Visto che manca ancora qualche mese, sto cercando di capire come organizzarmi per il meglio. Tu?-

-I miei hanno comprato una casa lì. E' piccola, ma adatta anche nel caso in cui volessi ospitare un coinquilino per dividere le spese. In che senso organizzarti per il meglio? Se posso chiedere.-

Una mano tremolante a grattarsi la nuca, nervoso per aver osato con una domanda che pareva inglobare una risposta più intima delle altre.

-Nessun problema, non è un segreto.- Un sorriso sghembo nel mentre appoggiava il mento al palmo della mano. Cielo, era bellissimo.
-La mia famiglia vive all'estero, almeno ad una notte di treno da Dustenville; io, invece, mi sono trasferito a Windfreal, ho degli amici lì con cui convivo, e devo dire che non mi dispiace - il più delle volte. Visto che i corsi non hanno l'obbligo di frequenza , tranne per i laboratori il lunedì e il martedì, i miei amici mi hanno chiesto se volessi fare il pendolare. D'altra parte sono quattro ore e passa di treno, solo il martedì farei questa traversata.-

Com'era la canzone? Allora sayonara in questa notte amara, esattamente quello che stava facendo il cuore di Eren, mentre capitolava di fronte a quell'affermazione.

Così le possibilità di incontrare l'altro in giro per l'università calavano drasticamente, per non parlare poi delle occasioni per chiedergli anche solo un maledetto caffè; il destino, ancora una volta, che gli faceva ciao con la mano.

-E quindi tu-

-Non ho accettato.- Si affrettò a rispondere, la freddezza di quegli occhi tradita da un barlume di interesse, la voglia di mettere in chiaro le cose che mal si nascondeva dietro l'enfasi utilizzata.

-Ho bisogno di sentirmi autonomo. Mi piace vivere con i miei amici, ma sapere che ho uno spazio solo mio, che posso creare la mia vita senza influenza o il monitoraggio di nessuno non ha prezzo. Non credi?-

Eren ingoiò a vuoto per l'ennesima volta da almeno un'ora e mugugnò qualcosa di incomprensibile di rimando, ma ne valse la pena per poter vedere il sorgere di una fossetta su una guancia di ceramica.

-In realtà ho già contattato un paio di numeri per vedere qualche monolocale, ma questo è un segreto.- Un dito affusolato e appena spruzzato di grigio portato davanti alle labbra carnose, gli occhi assottigliati.
-E poi, ammetto che la sola idea di saltare le lezioni, teoriche o pratiche che siano, mi dà il voltastomaco.-

Il castano avrebbe voluto ribattere, perdersi nella gestualità di quelle dita e nelle appena accennate rughe d'espressione sotto quelle biglie di ematite, ma fu pietrificato da solo tre misere parole ripetute come un mantra da una voce metallica: Stazione di Windfreal.

Il treno stava pericolosamente decelerando e il rumore simile a quello di una sirena lo accolse nell'angusta stazione di quella città che, ora più che mai, era voglioso di voler visitare.

Perchè all'improvviso il tempo aveva ingranato la marcia e corso alla massima velocità, su un'autostrada che - a suo avviso - avrebbe dovuto essere almeno segnalata con i venti chilometri orari? 

E invece la destinazione era stata raggiunta il primo possibile - magari quel bastardo del pilota aveva realmente aumentato la velocità per guadagnare i minuti di ritardo accumulati: il Jolly giocato dal Karma in una partita da cui Eren stava uscendo più che vincitore.

Ma i calcoli erano errati: la sua nemesi aveva fatto Burraco e il giovane si era ritrovato con una decina di carte fra le mani, troppe parole non dette, troppo cose da dire.

Lo sconosciuto - poteva definirlo così?- si alzò dalla poltrona e raccolse il quaderno e i suoi strumenti, per poi calare dall'alto il borsone da viaggio, mettendo nuovamente in bella mostra le curve sinuose della sua schiena.

Non poteva finire così, non ora che aveva scoperto che quel ragazzo, che aveva tanto bramato per quattro ore e più, frequentava la sua stessa accademia e possedeva dei sogni nel cassetto di cui lo aveva reso partecipe, e ci si sarebbe fatto volentieri rinchiudere, se ciò avesse voluto significare restare con lui ancora per un po'.

E invece lo salutò con - Ci vediamo lì, allora.- Un'espressione a metà fra il raggiante ed il mortificato sul volto niveo, lo sguardo incatenato al suo anche quando aveva superato la sua postazione di qualche poltrona.

Allora non potè più resistere.

-Eren!- Urlò quasi, il braccio proteso in avanti oltre la sua sedia, il torace schiacciato contro lo schienale e il ginocchio dove prima era seduto; una muta preghiera di ricambiare quel gesto.

Le sopracciglia di Levi si sollevarono appena e il volto si distese di fronte a quella scena, gli occhi più grandi del solito.
Poi, un altro sorriso.

Si allungò verso quella grande mano dalla pelle dorata, la sinistra artigliata alla testata di una poltrona libera e la gamba appoggiata alla sua valigia; poi, le loro dita si toccarono, fino a stringersi in una presa calda e fredda, che sapeva di una promessa di rivedersi ancora, suggellata appena sotto voce.

-Levi.-

L'angolo delle labbra tirato all'insù. 



































































































Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top