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Aveva sposato un essere insopportabile e irritante.

Jongdae giunse a questa deprimente conclusione dopo aver vissuto con suo marito per tre lunghi mesi. Minseok era crudele, scandalosamente testardo, vergognosamente deciso nelle sue idee, e completamente irragionevole negli ordini che dava. E queste erano le sue migliori qualità. Lo trattava come un'invalido. Non gli era permesso di alzare un dito, era servito in tutto e per tutto, ed era seguito ovunque da uno dei suoi uomini.

Per un paio di mesi riuscì a controllare la sua irritazione, poi cominciò a protestare, ma senza ottenere nulla. Minseok non ascoltava ragioni. La sua idea di matrimonio era piuttosto bizzarra: voleva proteggerlo sotto chiave e, ogni volta che usciva a prendere una boccata d'aria fresca cercava di ricacciarlo dentro.

Le cene erano insopportabili. Ci si aspettava che Lui mantenesse un comportamento decoroso per tutto il pasto, mentre intorno regnava il caos. Nessuno degli uomini con cui cenava rispettava una parvenza di buone maniere. Erano volgari, rozzi, e facevano orribili e disgustosi rumori.

E queste erano le loro qualità migliori. Jongdae non criticava i soldati. Sentiva che sarebbe stato meglio continuare a mantenersi il più possibile isolato. Nei suoi pensieri, l'isolamento significava pace, l'obiettivo che desiderava raggiungere più d'ogni altro.

Dal momento che Minseok non gli permetteva di uscire a caccia, passava gran parte delle ore di luce da solo. Suo marito evidentemente lo riteneva troppo fragile per sollevare arco e frecce; e come si poteva ribattere a un'opinione tanto ridicola? Per non perdere l'esercizio, si era costruito un bersaglio e l'aveva appeso a un tronco ai piedi della collina; lì si allenava al tiro con l'arco. Era davvero abile, e fiero di poter dire che in due occasioni aveva superato Junmyeon.

Nessuno gli badava mentre si dedicava ai suoi allenamenti. Le donne quasi sempre lo ignoravano. Le Park addirittura si mostravano ostili. Diversi giovani, principalmente le donne, seguivano l'esempio di quel ragazzo che ormai si comportava come il loro comandante: un ragazzo dalle guance arrossate e dai capelli di un biondo quasi bianco, che si chiamava Luhan. Non faceva che sbuffare in modo poco elegante ogni volta che passava. Jongdae, comunque, non lo riteneva cattivo. Luhan semplicemente non lo considerava di alcuna utilità. E Lui non poteva dargli torto. Mentre lui lavorava dall'alba al tramonto nei campi oltre gli alberi con altri giovani, prendendosi cura delle terre e dei raccolti, Lui passeggiava oziosamente per le proprietà dando l'impressione, ne era certo, di essere il pigro padrone della casa.

No, Jongdae non li biasimava per il loro risentimento. Minseok ne era in parte la causa, perché non gli consentiva di avere rapporti con nessuno di loro, ma era abbastanza onesto da riconoscere che era stato anche Lui stesso a cagionare il proprio isolamento, non avendo fatto nulla per cambiare la opinione loro nei suoi confronti. Non aveva cercato di mostrarsi amichevole con nessuno di loro, limitandosi a seguire le vecchie tradizioni senza interrogarsi mai.

Nella sua vecchia casa non aveva amici perché suo marito non glielo permetteva. Ricordò a se stesso che lì tutto era diverso. La famiglia non sarebbe certo scomparsa, né si sarebbe trasferita altrove.

Dopo tre mesi di solitudine, dovette riconoscere che, pur essendo tranquillo, la sua vita era anche solitaria e noiosa. Ma Lui voleva inserirsi e, cosa altrettanto importante, voleva aiutare a ricostruire quello che il suo primo marito aveva distrutto. Minseok era troppo preso dalle sue responsabilità per badare ai problemi di Jongdae. E poi, comunque, non intendeva lamentarsi con lui. I problemi da risolvere erano suoi.

Una volta individuato il conflitto, si dispose a risolverlo. Non voleva più isolarsi dalla famiglia, e avrebbe cercato di inserirsi ogni volta che gli fosse stato possibile. Era timido per natura, terribilmente timido, ma si sforzò, e cominciò a salutare ogni volta che vedeva una donna intenta alle sue faccende. Le Kim gli rispondevano sempre con un sorriso o una parola gentile, ma i Park di solito fingevano di non averlo sentito. C'erano comunque delle eccezioni: i guerrieri, Kyungsoo e Baekhyun , e che aveva scoperto fosse sposato con Chanyeol quindi un Park , sembravano trovarlo simpatico; tutti gli altri, le donne più di tutti invece, respingevano qualsiasi offerta di amicizia.

Quell'atteggiamento gli risultava incomprensibile, e non sapeva come fare per cambiarlo. Il giovedì, quando toccò a Chanyeol sorvegliarlo, lo chiese a lui.

«Vorrei la tua opinione, Chanyeol, riguardo a un problema che mi preoccupa. A quanto sembra non trovo il modo di farmi accettare dalle donne Park. Hai qualche consiglio da darmi?»

Chanyeol lo ascoltò strofinandosi la mascella. Capiva che l'atteggiamento del suo famiglia verso di lui lo turbava, eppure esitava a spiegarglielo per non ferire i suoi sentimenti. Dopo i giorni trascorsi a proteggerlo, la sua opinione era cambiata. Gli sembrava ancora timido, ma certo non un codardo come credevano alcuni Park.

Jongdae notò quell'esitazione. Pensò che non volesse parlare perché potevano essere uditi da alcuni uomini della sua famiglia.

«Mi accompagneresti sulla collina?»

«Certo.»

Nessuno dei due parlò finché non furono ben lontani dal cortile della fortezza. Fu Chanyeol a rompere il silenzio. «La gente qui ha lunga memoria, Jongdae. Se un guerriero trova la morte prima di aver vendicato qualche offesa, muore comunque in pace perché sa che un giorno suo figlio o suo nipote ripareranno al torto subito. Le contese non vengono mai dimenticate, i peccati nemmeno.»

Lui non aveva la più pallida idea di quello che lui intendeva dire. Gli sembrava tuttavia molto serio. «Ed è importante il fatto che non si dimentichi?»

«Sì»

Doveva aver finito la sua spiegazione. Lui scosse la testa, sentendosi frustrato.

«Continuo a non capire ciò che stai cercando di dirmi. Per favore, riprova.»

«Va bene», rispose il soldato. «I Park non hanno dimenticato ciò che fecero qui gli uomini del vostro primo marito.»

«E incolpano me?»

«Alcuni sì», ammise lui. «Non dovete temere vendette», si affrettò ad aggiungere. E inoltre vostro marito ucciderebbe chiunque osasse toccarvi.»

«Non mi preoccupa la mia sicurezza», rispose lui. «So badare a me stesso. Però non posso combattere contro i ricordi. Non posso cambiare quello che è accaduto qui. Non essere triste, Chanyeol. Credo di aver già conquistato qualche donna. Ne ho sentita una definirmi 'coraggioso'. Non mi avrebbe elogiato così se non le fossi piaciuto.»

«Non era affatto un elogio», annunciò Chanyeol a denti stretti per la collera. «Non posso lasciarvelo credere.»

«Che cosa cerchi di dirmi adesso?» chiese Lui ancora più frustrato.

Stava diventando difficile ottenere una risposta diretta dal soldato Park. Jongdae chiamò a raccolta tutta la sua pazienza nell'attesa che lui si spiegasse.

Chanyeol sospirò rumorosamente, «Chiamano Woojin 'intelligente'.»

Lui annuì. «Woojin è molto intelligente.»

Lui scosse la testa. «Loro lo credono matto.»

«Allora perché mai lo chiamano intelligente?»

«Perché non lo è.»

L'espressione sul volto di Jongdae gli comunicò che non aveva ancora capito. «Chiamano vostro marito 'buono'.»

«Il signore sarebbe lieto di un simile complimento.»

«No, non ne sarebbe lieto.»

Ancora non capiva. Chanyeol ritenne crudele lasciarlo nell'ignoranza. «Vostro marito si infurierebbe se davvero i Kim e i Park lo ritenessero un uomo dal cuore buono. Le donne, sapete, danno il nome che meno si adatta a una persona. È un gioco stupido. In realtà credono che il loro capo sia molto duro. Per questo lo ammirano», aggiunse annuendo. «Un capo non vuole la fama di generoso o buono di cuore. Gli sembrerebbe una debolezza.»

Lui lentamente raddrizzò le spalle. Cominciava a capire il senso del soprannome che gli avevano dato le donne.

«Dunque, se quel che mi dici è vero, credono che Woojin sia...»

«Tardo di mente.»

Aveva capito. Chanyeol vide le lacrime nei suoi occhi prima che si voltasse. «Così non sono coraggioso per loro. Sono un codardo. Ora capisco. Grazie per avermelo spiegato, Chanyeol. So che per te è stato difficile.»

«Per favore ditemi chi avete sentito chiamarvi...»

«No», lo interruppe scuotendo la testa. Non poteva guardarlo. Si sentiva imbarazzato... e ridicolo. «Mi puoi scusare, per favore? Credo di voler tornare a casa, ora.»

Non attese il suo permesso ma si girò e si affrettò a scendere la collina. D'improvviso si fermò volgendosi nuovamente verso il soldato. «Preferirei che tu non riferissi a mio marito questa conversazione. Non è il caso di importunarlo con questioni futili come le stupide chiacchiere delle donne.»

«Non gliene parlerò», convenne Chanyeol. Era contento che Lui gli chiedesse di non riportare la conversazione al signore, perché si sarebbe scatenato l'inferno se lui avesse scoperto l'offesa. Il fatto che le malignità provenissero da donne Park lo mandava su tutte le furie. In quanto loro capo, sentiva il pesante fardello dei doveri contrastanti. Avendo giurato fedeltà a Minseok ovviamente avrebbe dato la vita per proteggerlo. E quel giuramento includeva anche suo marito. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per difendere Jongdae dai pericoli.

Tuttavia era anche capo della sua famiglia e, in quanto tale, sentiva che i problemi dei Park dovevano essere risolti dagli stessi Park. Parlare al signore della cattiveria delle donne Park nei confronti di Jongdae lo avrebbe fatto sentire un traditore. Chanyeol sapeva che era Luhan col suo seguito a causare tutti quei guai. Decise di fare loro un bel discorso. Avrebbe ordinato loro di riservare a Jongdae tutto il rispetto che la sua posizione esigeva.

Jongdae salì in camera sua e ci rimase per tutto il resto del pomeriggio, passando alternativamente dalla collera all'autocommiserazione. Certo soffriva per i suoi sentimenti feriti dalla crudeltà delle donne, ma non era quella la vera ragione per cui piangeva. No, ciò che davvero lo preoccupava era la possibilità che avessero ragione. Era veramente un codardo?

Non trovava una risposta. Avrebbe voluto restare nascosto in camera, ma si costrinse a scendere per la cena. Minseok doveva essere tornato dalla caccia, e ci sarebbe stato anche Chnayeol; non voleva che nessuno dei due indovinasse che aveva dei problemi.

La sala era gremita di soldati, per la maggior parte già seduti alle due lunghe tavole allineate sulla destra del locale. Il profumo del legno fresco e la fragranza di erba delle stuoie per terra si mischiavano con gli odori dei cibi che venivano serviti su grandi fette di pane nero.

Nessuno si alzò al suo ingresso, e ciò lo infastidì. Non credeva comunque che volessero essere scortesi: alcuni addirittura lo salutavano con la mano. I soldati semplicemente non sapevano di doversi alzare al suo ingresso in sala.

Si chiese che cosa mai avrebbe potuto trasformare quei due gruppi di uomini valorosi in un unica famiglia. Eppure sembravano faticare così tanto per mantenersi separati. Quando un soldato Kim diceva una battuta scherzosa, solo gli altri Kim ridevano. Nessuno dei Park accennava neppure a un sorriso.

E sedevano a tavole separate. Minseok si era accomodato a capotavola e tutti i posti, eccetto quello alla sua destra riservato a lui, erano occupati da un soldato Kim. I Park stavano insieme all'altro tavolo.

Minseok non gli prestò molta attenzione. Teneva in mano un foglio di carta pergamena srotolato e ne leggeva con espressione seria il contenuto.

Jongdae non interruppe suo marito, ma gli uomini non ebbero altrettanto riguardo.

«Che cosa vuole Jung?» chiese Jongin.

«Jongdae, è il capo del famiglia con cui confiniamo a sud», spiegò Chnayeol gridando dall'altro tavolo. «Il messaggio è suo», aggiunse. Volse poi l'attenzione al signore. «Che vuole il vecchio?»

Minseok finì di leggere e arrotolò la carta. «È un messaggio per Jongdae.»

Lui spalancò gli occhi, sorpresa. «Per me?» chiese, allungando la mano verso lo scritto.

Minseok non gli diede la pergamena. Aveva un'espressione serissima mentre chiedeva: «Conosci un ministro di nome Ong Yoonki?»

La mano di Jongdae rimase sospesa in aria. In un istante il colore lasciò il suo volto. Si sentì svenire e dovette fare un rapido respiro per cercare di calmarsi.

«Jongdae?» lo spronò lui, vedendo che non gli rispondeva prontamente.

«Lo conosco.»

«Il messaggio è di Ong», disse Minseok. «Jung non gli permetterà di attraversare il confine senza il mio permesso di venire qui. Chi è quest'uomo e che cosa vuole?»

Jongdae faticava a nascondere la propria agitazione. Più di qualsiasi altra cosa avrebbe voluto alzarsi e fuggire, ma rifiutò di cedere a quell'istinto da codardo.

«Non desidero parlare con lui.»

Minseok si appoggiò indietro sulla sedia. Poteva vedere il terrore di lui e sentire il suo panico. Non gli piaceva quella reazione al messaggio. Jongdae non si rendeva conto di essere al sicuro? Dannazione, non avrebbe permesso che gli accadesse qualcosa.

Sospirò. Evidentemente Lui non lo sapeva. Col tempo avrebbe imparato che Minseok e i suoi uomini l'avrebbero protetto. E avrebbe imparato anche a fidarsi di lui, in modo che i messaggi dalla capitale non lo spaventassero più.

Sapeva di doversi comportare da arrogante, e non gliene importava. Prima di tutto voleva tranquillizzare suo marito. Non gli piaceva vederlo spaventato. E aveva un'altra ragione: voleva arrivare alla verità.

«Questo ministro ti ha offeso in qualche modo?»

«No.»

«Chi è, Jongdae?»

«Non gli parlerò», ripeté. Aveva la voce scossa dall'emozione.

«Voglio sapere...»

S'interruppe vedendo che Lui lo fissava scuotendo la testa. Si sporse in avanti e gli prese il mento con la mano per costringerlo a fermarsi.

«Ascoltami» ordinò. «Non sei costretto a incontrarlo o a parlargli.»

Pronunciò quella promessa a voce bassa, con fervore.

Lui ora sembrava diffidente, e indeciso. «Dici davvero? Non gli permetterai di venire qui?»

«Dico davvero.»

Era visibilmente sollevato «Grazie.»

Minseok ritrasse la mano e si riappoggiò allo schienale. «Ora rispondi alla mia domanda», ordinò ancora. «Chi diavolo è questo ministro Ong?»

Tutti i soldati in sala ora erano zitti, intenti a guardare e ad ascoltare. Per ognuno di loro era chiaro che Jongdae era spaventato. Ed erano curiosi di scoprirne la ragione.

«Il ministro Ong alla capitale è un uomo potente», mormorò. «Secondo alcuni quanto l'imperatore»

Minseok attese il resto. Trascorsero lunghi minuti, ma si rese conto che Jongdae non avrebbe aggiunto altro.

«È uno dei preferiti dell' imperatore?» chiese.

«No», rispose «Lui odia l'imperatore. Molti altri ministri condividono l'opinione che lui ha. Si sono alleati, e pare che Ong sia a capo del gruppo.»

«Jongdae, tu stai parlando di un'insurrezione.»

Lui scosse la testa e abbassò gli occhi. «È una ribellione silenziosa, mio signore. La capitale oggi è in tumulto, e ci sono molti ministri convinti che Daewook avrebbe dovuto essere nominato imperatore. Era il nipote dell'attuale imperatore. Suo padre, era il fratello maggiore dell'imperatore. È morto qualche mese prima della nascita del figlio.»

Chanyeol cercava di seguire la sua spiegazione. Si accigliò, confuso. «Jongdae, intendete dirci che, alla morte del precedente imperatore, il padre di Daewook avrebbe dovuto prendere il suo posto?»

«Si», rispose «Veniva subito dopo in linea di successione. Ma era già morto. Secondo alcuni, suo figlio era il legittimo erede, e si sono schierati al fianco di Daewook per sostenere la sua causa.»

«Dunque i ministri sono in lotta per un problema di successione al trono?»

La domanda era di Minseok, e Jongdae annuì. «I ministri attaccano l'imperatore ogni volta che ne hanno l'opportunità. Si è creato molti nemici negli ultimi anni. Junmyeon crede che un giorno ci sarà una ribellione generale. Ong e gli altri aspettano una buona ragione per liberarsi di lui. E non intendono aspettare. Si è dimostrato un imperatore terribile», aggiunse in un sussurro. «Non ha coscienza, nemmeno verso i membri della sua famiglia. Sapete che si è rivoltato contro il padre con l'imperatore cinese durante l'ultimo conflitto? Il pover'uomo è morto di crepacuore, perché aveva sempre creduto che di tutti i suoi figli lui fosse il più fedele.»

«Come sapete tutte queste cose?» chiese Chanyeol.

«Le so da mio fratello Junmyeon.»

«Non hai ancora spiegato perché Ong vuole parlarti» ricordò Minseok.

«Forse pensa che potrei aiutarlo a cacciare l'imperatore. Se anche potessi, comunque non lo farei. Non sarebbe di nessuna utilità, adesso. E non coinvolgerei mai la mia famiglia nella lotta. Junmyeon e mia madre dovrebbero entrambi soffrire se rivelassi...»

«Cosa?» lo spronò suo marito.

Lui non gli rispose.

Jongin toccò con il gomito per attirare nuovamente la sua attenzione. «Daewook vuole la corona?» chiese.

«La voleva», rispose «Ma io non ne so molto dei giochi politici della capitale. Non riesco a immaginare perché il ministro Ong mi voglia parlare. Non so nulla che potrebbe aiutarlo a detronizzare l'imperatore.»

Stava mentendo. Minseok non aveva dubbi su questo. Ed era chiaramente terrorizzato.

«Ong vuole farti qualche domanda», disse.

«Su cosa?» chiese Chanyeol, vedendo che Jongdae restava in silenzio.

Minseok rispose tenendo lo sguardo fisso sul marito. «Su Daewook», disse. «È convinto che sia stato ucciso.»

Jongdae accennò ad alzarsi. Minseok lo prese per mano e lo costrinse a restare dov'era. Poteva sentirne il tremore.

«Non parlerò con Ong», gridò «Daewook è scomparso più di quattro anni fa. Non capisco questo nuovo interesse del ministro per lui. Io non ho niente da dirgli.»

Aveva già detto più di quanto volesse.

Jongdae sapeva che fosse morto. Minseok pensò che forse sapeva anche come era morto e chi era il colpevole di quel gesto infame. Considerò le possibili conseguenze di quella scoperta, per il momento solo un'ipotesi, poi scosse la testa. «La capitale è molto lontana da qui», annunciò. «Non permetterò a nessun ministro di raggiungerci. Non ho mai mancato a una promessa, Jongdae. Tu non parlerai con nessuno di loro.»

«L'argomento è chiuso», dichiarò Minseok. «Dimmi a che punto è la costruzione del muro, Chanyeol.»

Jongdae era troppo sconvolto per ascoltare la conversazione. Provava un senso di vuoto allo stomaco, ma riuscì a inghiottire solo un pezzo di formaggio. C'erano cinghiale e avanzi di salmone salato, ma Lui sapeva che cercando di mangiare altro avrebbe vomitato.

Fissava il cibo, chiedendosi per quanto avrebbe dovuto restare lì seduto prima di potersi congedare.

«Dovresti mangiare qualcosa» disse Minseok.

«Non ho fame», rispose«Non sono abituato a mangiare così tanto prima di andare a letto, mio signore», gli spiegò. « Vuoi scusarmi ora? Desidero tornare di sopra.»

Minseok annuì. Dal momento che Chanyeol lo fissava, gli diede la buonanotte prima di dirigersi all'uscita. Dogo era coricato a sinistra della scala, e Lui subito cambiò direzione facendo un largo giro intorno alla bestia. Tenne lo sguardo fisso sul cane finché non l'ebbe superato, poi si affrettò a salire.

Gli occorse tempo per prepararsi alla notte. Compiere gesti tanto semplici e abituali lo tranquillizzò, rendendolo più padrone della sua paura. Si costrinse a concentrarsi su ogni piccolo gesto. Aggiunse due pezzi di legna nel camino, si lavò e si sedette a spazzolare i capelli.

Aveva esaurito tutti i compiti, così cercò di pensare ad altri argomenti frivoli, convinto che riuscendo a bloccare i propri timori alla fine questi sarebbero svaniti.

«Minseok ha ragione», bisbigliò. «La capitale è lontanissima da qui.»

<<Sono al sicuro>> si disse, <<e lo saranno anche Junmyeon e la mamma finché io resterò zitto>>

Minseok entrò nella stanza e trovò il marito seduto sul bordo del letto con lo sguardo fisso sulle fiamme del camino. Chiuse la porta col chiavistello, si sfilò gli stivali e raggiunse il suo lato del letto. Lui si alzò volgendosi a guardarlo.

Gli parve dannatamente triste.

«Junmyeon mi ha detto che l'imperatore ha paura di te.»

Lui abbassò lo sguardo sul pavimento. «Chi gli ha detto una cosa simile?»

«Jongdae?»

Lui lo guardò. «Sì?»

«Un giorno mi dirai ciò che sai. Non te lo chiederò io. Aspetterò. Quando sarai pronto per confidarmelo, lo farai.»

«Confidarti cosa, mio signore?»

Lui sospirò. «Mi dirai che cosa ti spaventa a morte.»

Lui pensò di protestare, ma cambiò idea. Non voleva mentire a Minseok.

«Ora siamo sposati», disse. «E non è solo tuo compito proteggermi, Minseok. E anche mio dovere tenerti al sicuro, per quanto mi è possibile.»

Lui non capì il senso di quell'affermazione addirittura offensiva. Tenere lui al sicuro? Diavolo, aveva capito tutto al contrario. Era lui che doveva proteggerlo e guardarsi nel contempo le spalle. Si sarebbe preoccupato da solo di restare vivo a lungo per prendersi cura di Lui e di Jun.

Stava per replicare, ma Lui catturò la sua attenzione. Senza dire una parola, si sciolse la cintura della vestaglia lasciando cadere l'indumento. Non indossava nient'altro.

Lui rimase senza fiato. Com'era bello. Il fuoco alle sue spalle si rifletteva con un bagliore dorato sulla sua pelle. Non gli si potevano trovare imperfezioni.

Minseok non pensò neppure di spogliarsi. Rimase a fissarlo a lungo, in silenzio, finché il cuore non gli martellò in petto e il suo respiro non si fece irregolare per l'eccitazione.

Jongdae lottava contro l'imbarazzo. Capì di essere arrossito perché sentì il calore accendergli il volto.

Raggiunsero le coperte nello stesso istante. Poi si raggiunsero a vicenda. Jongdae era ancora in ginocchio quando Minseok lo attirò nelle sue braccia. Lo fece rotolare sulla schiena, lo coprì col suo corpo e lo baciò.

Lui gli cinse il collo con le braccia e lo tenne stretto. Aveva un disperato bisogno delle sue carezze. Quella notte lo voleva, aveva bisogno del suo conforto, della sua approvazione.

Lui cercava soddisfazione. Le sue mani ruvide gli accarezzarono le spalle, la schiena e le cosce. La sensazione di quella pelle lo infiammò.

Jongdae non aveva bisogno di lusinghe per rispondere. Non poteva smettere di toccarlo. Il corpo di lui era così muscoloso, la pelle così meravigliosamente calda, e la carezzevole aggressione che gli faceva, usando insieme la bocca e le mani, in pochi minuti lo eccitò fino a uno stato febbrile.

Non era possibile comportarsi da timido con Minseok. Era un amante esigente, rude e gentile nello stesso tempo. Risvegliava il fuoco dentro di Lui con le sue carezze intime, e quando le dita lo penetrarono dentro gli parve di impazzire.

Minseok gli prese la mano posandosela sulla sua parte rigida. Lui strinse, facendolo gemere. Sussurrandogli lodi erotiche gli spiegò come voleva essere accarezzato.

Minseok non poteva sostenere a lungo quella dolce agonia. Gli scostò bruscamente le mani, gli sollevò le cosce e si infilò in profondità dentro di lui. Jongdae gridò di piacere. Con le unghie gli graffiò le spalle, e s'inarcò per accoglierlo meglio. Lui fu sul punto di riversare subito il seme. Dovette appellarsi a tutta la sua autodisciplina per trattenersi. Portò la mano sulla sua erezione e cominciò ad accarezzarlo con le dita fino a fargli trovare soddisfazione. Allora si concesse anche la propria.

L'orgasmo lo consumò. Gemette di puro piacere mentre versava dentro di Lui il suo seme caldo. Jongdae continuava a ripetere il suo nome, mentre lui invocava il suo.

Infine crollò sopra suo marito con un sonoro e soddisfatto grugnito. Rimase dentro di lui, rifiutando di concludere la meravigliosa esperienza che aveva appena vissuto.

Jongdae non voleva ancora lasciar andare suo marito. Si sentiva coccolato tra le sue braccia. Si sentiva al sicuro... e forse addirittura amato.

Il peso di lui divenne presto insostenibile. Dovette chiedergli di spostarsi per riprendere fiato.

Lui non sapeva se le forze gli sarebbero bastate. Quel pensiero lo divertì. Rotolò di lato, portandolo con sé, poi coprì entrambi e chiuse gli occhi.

«Minseok?»

Non rispose. Lo toccò sul petto per ottenere la sua attenzione. Lui reagì con un grugnito.

«Avevi ragione. Sono debole.» Attese l'approvazione di lui, che però non disse nulla. «Il vento del nord probabilmente mi porterebbe via», gli spiegò, ripetendo le parole da lui dette durante la prima notte di nozze.

Minseok rimase in silenzio. «Posso anche essere un po' timido.»

Trascorsero diversi minuti prima che tornasse a parlare. «Ma le altre cose non sono vere. Non permetterò che lo siano.»

Chiuse gli occhi. Minseok pensò che si fosse addormentata, ed era pronto a imitarlo. Poi lo raggiunse la voce di lui, appena un sussurro pieno tuttavia di convinzione.

«Non sono un codardo.»    

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