8
Jongdae notò che Minseok discuteva con Jongin. Il soldato guardò dalla sua parte e si avviò verso di Lui a lunghi passi. Jongdae non aspettò di scoprire che ordini suo marito avesse dato al luogotenente. Si girò e cominciò a correre lungo il pendio, verso i campi. Lo incuriosiva il soldato Kim chiamato Woojin. Voleva scoprire quale gioco richiedesse di scavare buchi nel terreno.
L'anziano dai capelli bianchi si alzò udendo chiamare il suo nome. Le rughe profonde intorno alla sua bocca e agli occhi gli fecero supporre che avesse almeno cinquant'anni, ma forse di più. Aveva denti bianchi e regolari, piacevoli occhi castani e un sorriso caldo e invitante.
Questo finché non gli parlò. Jongdae fece un rapido inchino, quindi si presentò.
<<Salve mio signore, benvenuto nelle nostre terre>> rispose l'anziano <<O dovrei dire meglio, nelle vostre>>
Jongdae si sorprese da quelle parole tanto educate e cortesi.
«Capisco di avervi sorpreso. Mi giudicavate uno scemo?»
Lui accennò a scuotere la testa, ma s'interruppe. «Camminavate sulle ginocchia intento a scavare buchi. Sono giunto alla conclusione che dovevate essere un po'...»
«Pazzo?»
Lui annuì. «Mi scuso....»
Lui lo interruppe«Che cosa volevate per disturbarmi nel bel mezzo della mia partita?»
«Mi chiedevo di che gioco si trattasse», rispose . «Perché scavate buchi?»
«Perché nessuno li scava per me.»
Scoppiò a ridere per quella battuta scherzosa.
«Ma il motivo?» insistette.
«Il gioco richiede i buchi dove mandare i sassi, se la mira è buona. Uso un bastone e pietre tonde da spingere avanti. Volete provare? Ho il gioco nel sangue. Forse questa febbre prenderà anche voi.»
Woojin l'afferrò per il braccio conducendolo nel punto dove aveva lasciato il bastone. Gli mostrò come doveva stringerlo, e dopo avergli indicato la giusta posizione di spalle e gambe, fece qualche passo indietro per dargli ulteriori suggerimenti.
«Ora sferrate un bel colpo. Mirate al buco davanti a voi.»
Si sentiva ridicolo. Woojin era davvero un po' pazzo. Ma era anche gentile, e il suo interesse per quello che faceva sembrava dargli piacere. Non avrebbe ferito i suoi sentimenti.
Colpì la pietra rotonda. Questa rotolò fin sul bordo del buco, traballò e vi cadde dentro.
Immediatamente Jongdae volle riprovare. Woojin era raggiante.
«Vi siete fatto prendere dalla febbre», annunciò assentendo col capo.
«Come si chiama questo gioco?» chiese, inginocchiandosi per recuperare il sasso. Tornò al punto di partenza, cercò di ricordare la posizione esatta, e attese che Woojin rispondesse.
«Non ha un nome . Quando sarete padrone dei lanci a breve distanza, vi porterò sulla cima, dove potrete provare da lontano. Dovrete fare la vostra parte, e trovarvi da solo i sassi. Naturalmente, più sono rotondi, più vanno bene.»
Jongdae sbagliò il secondo lancio. Woojin gli disse che si era distratto. Doveva riprovare, ovviamente.
Trascorse con Woojin gran parte del pomeriggio. Jongin evidentemente aveva ricevuto l'incarico di sorvegliarlo. Di tanto in tanto compariva sulla sommità della collina per accertarsi che fosse sempre lì. Lontano dai pericoli, aggiunse Jongdae fra sé. Qualche ora dopo Woojin fermò il gioco e lo chiamò con un cenno dalla parte opposta del campo, dove aveva lasciato le sue cose. Lo prese per il braccio e si sedette a terra con un grugnito, indicandogli di imitarlo. Gli porse quindi una borraccia di cuoio.
«State per ricevere un premio», annunciò. «È Soju. Ho il mio bollitore personale, costruito da me stesso Il mio signore me l'ha lasciato portare qua. Siamo tutti dei reietti, lo sapete, tutti quanti. Io ero un Choi prima di entrare nella famiglia dei Park.»
Jongdae s'incuriosì. «Reietti? Non capisco che cosa volete dire.»
«Il molti sono stati cacciati dalle nostre famiglie per un motivo o per l'altro. Il destino di vostro marito è stato deciso il giorno che è nato bastardo. Divenuto adulto, ci ha raccolti insieme addestrando i più giovani perché diventassero bravi guerrieri. Ognuno ha il suo talento, è ovvio. Conoscerete il mio abbandonando le esitazioni. Vorrei assaggiarne un pochino anch'io.»
Sarebbe stata una scortesia rifiutare l'offerta. Jongdae sollevò la borraccia, ne sfilò il tappo e bevve una sorsata del liquido.
Pensò di aver inghiottito puro fuoco. Ansimò, quindi cominciò a tossire. Woojin fu lieto di quella reazione. Si colpì prima un ginocchio, quindi diede a lui una pacca tra le scapole per aiutarlo a ritrovare il respiro.
«Prende bene, vero?»
Lui riuscì solo ad annuire. «Andiamo a casa adesso» ordinò lui. «Il signore si chiederà dove siete.»
Jongdae si alzò, quindi gli offrì la mano. «Grazie per il bel pomeriggio, Woojin.»
Il vecchio sorrise.
«Salirete in cima alla collina domani, Woojin?» gli chiese senza girarsi.
«Forse.»
«Mi porterete con voi, se lo farete?»
Jongdae non riusciva a non sorridere. La giornata si era rivelata meravigliosa. Certo, aveva cominciato stuzzicando la collera di suo marito, ma quel piccolo incidente non era stato terribile, e il resto del pomeriggio si era rivelato un incanto. Inoltre aveva imparato qualcosa di importante sul marito: sapeva controllare la sua ira. La furia non l'avrebbe travolto.
Era una rivelazione. Jongdae ne valutò il significato tornando dalla collina. Jongin lo stava aspettando. Chinò la testa in segno di saluto, quindi camminò al suo fianco fino alla fortezza.
«Ho visto che giocavate con Woojin», osservò il soldato.
«È stato molto divertente», replicò Jongdae. «Sai, Jongin, credo che Woojin sia uno degli uomini più interessanti che io abbia mai conosciuto, a parte mio padre, naturalmente.»
Jongin sorrise di tanto entusiasmo. «Woojin mi ricorda proprio lui. Racconta lo stesso genere di storie pepate sul passato, e intreccia le sue verità con la leggenda, esattamente come era solito fare mio padre.»
Pensando di fargli un complimento, Jongin aggiunse: «Woojin sarebbe lieto di essere paragonato a vostro padre».
Lui rise. «Hai dei compiti più importanti, ne sono certo, che sorvegliare me. Mio marito si aspetta che tu mi segua per tutto il giorno?»
«Non c'è compito più importante del proteggere il marito del mio signore», rispose il soldato. «Domani, comunque, verrà assegnato a Chanyeol l'incarico di assistervi.»
«Chanyeol è il luogotenente dei soldati Park, vero?»
«È così. Obbedisce solo al nostro signore.»
«E tu sei il luogotenente dei soldati Kim.»
«Sì.»
«Perché?»
«Perché cosa?»
«Perché non c'è un comandante solo per i soldati Kim e Park?»
«Forse potreste chiederlo a vostro marito», suggerì Jongin. «Ha delle buone ragioni per lasciare ai Park il loro capo e ai Kim il loro.»
«Sì, glielo chiederò», disse «Mi interessa conoscere tutto il possibile sulla terra e la gente di qui. Dov'è mio marito?»
«A caccia», rispose Jongin. «Ormai dovrebbe essere di ritorno. Oh eccolo>>
Jongdae si girò per salutare Minseok. Subito cercò di migliorare il suo aspetto: si scostò una ciocca di capelli, si pizzicò le guance per dare loro un po' di colore e si aggiustò le pieghe dell'abito. Fu allora che notò lo stato delle sue mani. Erano sudice per il pomeriggio passato a scavare con Woojin. Dal momento che non c'era la possibilità di lavarle subito, le nascose dietro la schiena.
Il terreno parve tremare quando il gruppo dei guerrieri risalì l'ultima collina. Minseok era in testa ai soldati, e montava uno dei cavalli che Lui gli aveva donato per il matrimonio. La cavalla prescelta era la più capricciosa del gruppo, ma anche la più graziosa nella valutazione di Jongdae. Il mantello era candido come la neve, senza neppure una macchiolina scura. Era più alta degli altri cavalli, più muscolosa, e portava con facilità il peso di Minseok.
«È in sella alla mia cavalla preferita», disse Jongdae.
«È molto bella.»
«E lo sa», osservò. «Shin è terribilmente vanitosa. E le piace impennarsi. È il suo modo di esibirsi.»
«Si esibisce perché è orgogliosa di portare il nostro nobile signore», annunciò Jongin.
Lui pensò che lo stesse canzonando e scoppiò a ridere, ma notò che Jongin non ridacchiava neppure. Allora capì che parlava seriamente.
Jongin non si spiegava che cosa trovasse di tanto divertente. Si girò per chiederglielo, notò le righe di sporco che si era lasciato sulle guance e sorrise.
Il cane di Minseok partì di corsa dall'angolo della fortezza per andare incontro al suo signore. L'enorme bestia spaventò la cavalla, che cominciò ad arretrare imbizzarrendosi. Minseok ne riprese il controllo e smontò. Un soldato condusse via la giumenta.
Il cane balzò avanti. Con un solo movimento posò le zampe anteriori sulle spalle di Minseok. Ora era quasi alto come il padrone, e aveva la sua stessa espressione feroce. Jongdae si sentì le ginocchia deboli mentre li guardava. Fortunatamente il cane era molto affezionato al suo padrone, e cercava in ogni modo di leccarlo in volto. Minseok si girò prima che l'animale potesse lavarlo con la lingua, e gli diede una sonora pacca affettuosa. La polvere si sollevò dal fitto pelo della bestia. Minseok infine fece scendere il cane e si rivolse a suo marito.
Lo chiamò con un cenno. Jongdae si chiese se si aspettava anche da lui le mani sulle spalle e un bacio in segno di saluto. Quel pensiero lo divertì. Fece un passo avanti, poi si fermò bruscamente quando l'animale cominciò a ringhiare, fissandolo.
Dovette avvicinarsi Minseok. Jongdae continuava a sorvegliare il cane, attento, mentre suo marito camminava verso di lui. L'animale restava al fianco del padrone e avanzava con lui.
Minseok era divertito dal nervosismo di Jongdae. Il cane evidentemente lo intimidiva, ma non riusciva a capirne la ragione. Udì il sordo brontolio dell'animale, e lo udì anche suo marito, che arretrò prontamente. Minseok ordinò all'animale di sospendere quell'esibizione di minacce.
Alcuni soldati erano ancora in sella, e osservavano il signore e il suo consorte. Qualcuno sorrideva vedendolo tanto spaventato dal cane. Altri scuotevano la testa.
«È andata bene la caccia, mio signore?» chiese Jongdae.
«Sì.»
«C'era abbastanza grano da prendere?» si informò Jongin.
«Più che abbastanza», rispose Minseok.
«Siete andati a caccia di grano?» chiese Jongdae cercando di capire.
«E di qualche altra cosa necessaria», spiegò suo marito. «Hai la faccia sporca, marito. Che cos'hai fatto?»
Lui cercò di ripulirsi. Minseok gli afferrò le mani e le guardò.
«Ho aiutato Woojin a scavare i buchi.»
«Non voglio che mio marito si sporchi le mani.»
Sembrava gli stesse dando un ordine importante. E pareva piuttosto irritato con lui.
«Ma ti ho appena detto...»
«Mio marito non svolge compiti umili.»
Jongdae era esasperato. «Ne hai più di uno, signore?»
«Più di uno cosa?»
«Più di un marito»
«Ovviamente no.»
«Allora, a quanto pare tuo marito si sporca le mani», disse «Mi dispiace che questo ti dia fastidio, anche se non riesco a immaginarne la ragione. Ti posso assicurare che me le sporcherò ancora>>
Aveva cercato di usare la logica per calmarlo, ma lui in quel momento non era ragionevole. Scosse la testa fissandolo accigliato. «Non lo farai», ordinò. «Qui sei il signore, Jongdae. Non ti abbasserai a compiti tanto umili.»
Lui non sapeva se ridere o arrabbiarsi. Infine preferì sospirare.
Sembrava aspettarsi una risposta. Decise di provare a calmarlo. «Come vuoi, mio signore», mormorò, deciso a nascondere la propria improvvisa irritazione.
Minseok capì che stava tentando di mostrarsi sottomesso. Rischiava di morire per lo sforzo. Aveva un'espressione diabolica negli occhi, ma manteneva un sorriso sereno, e il suo tono di voce era pieno di modestia.
Jongdae si rivolse a Jongin, ignorando il divertimento sul suo volto. «Dove si lavano i signori?»
«C'è un pozzo dietro la fortezza, ma di solito si lavano nel torrente»
Jongin intendeva accompagnarlo, ma si assunse Minseok quell'incarico. Lo prese per la mano e lo trascinò con sé.
«In futuro ti sarà portata l'acqua», disse.
«In futuro apprezzerò che tu non mi tratti come un bambino.»
Gli risultava difficile credere alla collera che si indovinava nella voce di lui. Jongdae in fondo non era molto timido.
«E apprezzerò anche che tu non mi rimproveri davanti ai tuoi soldati.»
Lui annuì. Quel pronto assenso alleggerì la collera di Jongdae.
Suo marito camminava a lunghi passi. Girarono intorno alla fortezza e cominciarono a scendere lungo il pendio. Le capanne costeggiavano il sentiero, ma erano molte di più quelle raccolte in un ampio cerchio a valle. Il pozzo si trovava al centro del cerchio. Diverse donne Kim erano in fila con il secchio in mano, in attesa del loro turno per prendere l'acqua. Alcune gridarono un saluto al signore. Lui annuì senza fermarsi.
Il muro che divideva la zona dove si lavavano le donne e quella per gli uomini era appena dietro le ultime capanne. Jongdae avrebbe voluto fermarsi ad ammirare la vista, ma Minseok non glielo permise. Passarono attraverso l'apertura nella gigantesca costruzione e proseguirono.
Jongdae doveva correre per stare al passo del marito. Quando arrivarono alla seconda discesa era ormai senza fiato. «Vai più piano, Minseok. Le mie gambe non sono forti come le tue.»
Lui subito rallentò, senza tuttavia lasciargli la mano e Jongdae non cercò di liberarsi. Sentiva le risate delle donne in lontananza e non capiva che cosa ci fosse di tanto divertente.
Era un torrente largo e profondo. Suo marito gli spiegò che scendeva dalla sommità della collina più alta fino a perdersi in un laghetto a valle, dove le loro terre confinavano con quelle dei Jung. Era costeggiato da una fila d'alberi, e i fiori selvatici erano tanto numerosi da spuntare persino dall'acqua, dopo aver ricoperto le rive. Il luogo era incredibilmente bello.
Jongdae si inginocchiò sulla riva, si piegò in avanti e si lavò le mani. L'acqua era tanto limpida da lasciar distinguere perfettamente il fondo. Minseok s'inginocchiò accanto a lui, raccolse l'acqua gelida nelle mani a coppa e se la versò sul collo. Il suo cane apparve dal bosco, si mise al suo fianco, ringhiò sommessamente e cominciò a bere.
Jongdae bagnò il suo fazzoletto di lino e si pulì il volto. Minseok si appoggiò indietro e rimase a guardarlo. Tutti i suoi movimenti avevano una certa grazia. Rappresentava per lui un mistero, e pensò che il suo fascino e la curiosità che gli risvegliava fossero dovuti al fatto che lui non aveva mai trascorso molto tempo con qualcuno di così bello.
Jongdae non prestava attenzione al marito. Aveva scoperto un sasso che sembrava perfettamente rotondo sul fondo del torrente, e pensando ad Woojin che poteva servirsene decise di prenderlo.
Il torrente era molto più profondo di quanto sembrasse. Sarebbe caduto con la testa avanti se suo marito non l'avesse afferrato in tempo.
«Di solito ci si sveste prima di fare il bagno» disse bruscamente.
Lui scoppiò a ridere. «Ho perso l'equilibrio. Stavo cercando di afferrare un sasso che ho notato. Me lo prenderesti tu?»
Lui si spinse avanti per vedere meglio. «Ci sono almeno cento sassi, marito. Quale vuoi?»
Lui glielo indicò. «Quello perfettamente rotondo», rispose. Minseok si allungò, raccolse il sasso e glielo porse. Lui sorrise riconoscente. «A Woojin piacerà», dichiarò.
Arretrò un poco sul pendio erboso e si lasciò cadere la pietra in grembo. Una lieve brezza frusciava tra gli alberi. Il profumo di pino e di erica fresca riempiva l'aria. Il luogo era appartato e tranquillo.
« È molto bello», disse.
Minseok non sembrava impaziente di tornare ai suoi compiti. Appoggiò la schiena al tronco di un pino, incrociò i piedi e si sistemò la spada al fianco perché non lo graffiasse. Il cane si sdraiò al suo fianco, dalla parte opposta.
Jongdae fissò il marito per alcuni minuti prima di tornare a parlare. Quell'uomo aveva la capacità d'incantarlo. Pensò che la ragione fosse da ricercarsi nel fatto che era tanto particolare.
«Dimmi a cosa stai pensando.»
Quell'ordine lo irritò. «Non ho mai visto Junmyeon svestito. Ecco a cosa stavo pensando. Credo tu sia molto più muscoloso di mio fratello, ma dal momento che non l'ho mai visto... Questi erano i miei stupidi pensieri, marito.»
«Sì, erano pensieri stupidi.»
Non si offese per la pronta risposta di lui. Il suo lento sorriso gli disse che lo stava canzonando. Minseok sembrava molto soddisfatto con gli occhi chiusi e quel lieve sorriso. Era davvero un uomo imprevedibile, pieno di slancio.
Notò che il cane si strofinava contro la mano di lui, e che subito veniva ricompensato con qualche pacca affettuosa.
Suo marito non rappresentava più una preoccupazione per lui. Non solo sapeva controllare bene la propria collera, ma aveva anche una natura gentile. Glielo diceva l'atteggiamento del suo cane.
Minseok lo sorprese mentre lo fissava. Jongdae arrossì per l'imbarazzo e abbassò lo sguardo. Non voleva ancora andare. Gli piaceva quella breve sosta con suo marito. Decise di tenerlo impegnato in una nuova conversazione prima che proponesse di partire.
<<Woojin non è pazzo>>
«No. Sono i Kim a crederlo tale, non i Park.»
«In realtà è molto intelligente, marito. Il gioco che ha inventato è divertentissimo. Dovresti provarlo qualche volta. Richiede abilità.»
Lui annuì solo per assecondarlo. Trovava ammirevole la sua difesa del vecchio. «Woojin non ha inventato quel gioco, che esiste da molti anni. In passato si usavano oltre alle pietre anche delle palle ricavate dal legno. Qualcuno ne ha costruite persino di cuoio piene di piume bagnate.»
Jongdae fece tesoro dell'informazione. Forse in futuro avrebbe potuto confezionare qualche palla di cuoio per Woojin.
«Dice che sono stata contagiato dalla febbre del gioco.»
«Allora siamo fregati», commentò lentamente Minseok. «Woojin gioca tutti i giorni dalla mattina alla sera, con la pioggia e con il sole.»
«Perché ti sei irritato per quel poco di sporco sul mio viso e sulle mie mani?»
«Ti ho già spiegato la situazione. Ora sei mio marito, e devi comportarti come tale. C'è della rivalità tra i Kim e i Park; finché le due famiglie non si saranno abituate a convivere in pace, devo mostrare solo forza, non vulnerabilità.»
«Io ti rendo vulnerabile?»
«Sì.»
«Perché? Voglio capirlo. Per lo sporco o perché ho trascorso il pomeriggio con Woojin?»
«Non ti voglio in ginocchio per terra, Jongdae. Devi comportarti sempre con il giusto decoro.»
«Mi hai già spiegato la tua opinione»
«Non è un'opinione», disse lui. «È un ordine.»
Cercò di non mostrargli quanto si stava irritando. «A dire il vero mi sorprende che tu ti preoccupi delle apparenze. Non sembreresti il tipo che bada a quello che pensano gli altri.»
«Non m'importa nulla dell'opinione degli altri», ribatté lui lentamente, irritato dalle conclusioni di Jongdae. «Ma mi preoccupo di tenerti al sicuro.»
«Che cosa c'entra la sicurezza con il mio comportamento?»
Minseok non rispose.
«Avresti dovuto sposare un Kim. Questo avrebbe potuto risolvere i tuoi problemi di unione dei famiglia, no?»
«Avrei dovuto», convenne lui. «Ma non l'ho fatto. Ho sposato te. Entrambi dobbiamo trarne il maggior beneficio possibile, Jongdae.»
Sembrava rassegnato. Dal momento che non era ancora in collera, Lui decise di cambiare argomento con una domanda che certo non l'avrebbe irritato ulteriormente.
«Perché non piaccio al tuo cane?»
«Perché sa che hai paura di lui.»
Lui non replicò. «Come si chiama?»
«Dogo»
Il cane sollevò le orecchie al sentire il suo nome. Jongdae sorrise. «È un nome strano», osservò.
«L'ho trovato prigioniero nel fango di una palude, io l'ho liberato. Da allora è rimasto sempre con me.»
Jongdae gli si fece più vicino. Lentamente si allungò per accarezzare l'animale. Il cane lo fissava con la coda dell'occhio, e quando Lui fu sul punto di toccarlo emise un suono terribilmente minaccioso. Jongdae subito si ritrasse. Minseok gli prese la mano e lo costrinse a toccare la bestia, che sollevò il grosso naso ma non tentò di mordere.
«Ti ho fatto male questa notte?»
Quel brusco cambio d'argomento fece sussultare Jongdae. Chinò la testa perché lui non lo vedesse arrossire, quindi sussurrò: «Non mi hai fatto male. Me l'hai già chiesto dopo che abbiamo...»
Minseok gli sollevò il mento con la mano. L'espressione negli occhi di Lui lo fece sorridere. Trovava divertente quell'imbarazzo.
Jongdae sentì il cuore battergli forte per lo sguardo di lui. Pensò che forse lo voleva baciare. E si ritrovò a sperare che lo facesse.
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