7
Jongdae si svegliò per i colpi. Subito seguì uno schianto. Pensando che il tetto fosse crollato, balzò a sedere proprio mentre la porta si apriva, lasciando entrare Minseok. Afferrate le coperte, se le tirò fin sopra il petto.
Sapeva di avere un aspetto orribile. I capelli gli ricadevano sugli occhi impedendogli la vista. Se li scostò, mentre con l'altra mano continuava a stringere le coperte.
«Buongiorno, Minseok»
Lui trovò divertente quell'abbozzato pudore, considerando che nella notte l'aveva accarezzato su ogni millimetro di pelle. E ora arrossiva persino.
«Dopo la notte passata, non credo tu debba essere in imbarazzo con me, Jongdae.»
Lui annuì. «Cercherò di non esserlo», promise.
Minseok raggiunse il bordo del letto. Tenendo le mani dietro la schiena lo guardò accigliato.
Lui gli sorrise.
«Non è mattino», annunciò lui, «ma pomeriggio.»
Jongdae spalancò gli occhi, sorpreso. «Ero esausto», sbottò giustificandosi per aver dormito mezza giornata. «Di solito mi sveglio all'alba, mio signore, ma il viaggio è stato molto faticoso. Che cosa sono i colpi che sento?» Aggiunse la domanda nel tentativo di abbandonare l'argomento della sua pigrizia.
«Gli uomini stanno costruendo un tetto nuovo sulla sala grande.»
Notò i cerchi neri sotto gli occhi di lui. La sua pelle era pallida. Gli spiaceva averlo svegliato. Poi ricominciarono i colpi, e si rese conto che non avrebbe comunque potuto dormire. Pensò che era stato un errore dare inizio quel giorno ai lavori sul tetto. Il suo sposo aveva bisogno di riposo, non di trambusto.
«C'è qualcosa che desideri, mio signore?»
«Volevo darti le mie disposizioni.»
Lui tornò a sorridere comunicandogli così, lo sperava, la sua disponibilità ad assumersi qualunque incarico gli volesse dare.
«Oggi indosserai i colori dei Park. Domani passerai ai colori dei Kim .»
«Dovrò farlo?»
«Sì.»
«Perché?»
«Tu sei il signore di entrambe le famiglie, e devi cercare di non offendere nessuno dei due. Sarebbe un insulto se portassi i miei colori per due giorni di seguito. Capisci?»
Gli sembrava di essere stato molto chiaro. «No», rispose . «Non capisco. Non sei signore di entrambe le famiglie?»
«Sì che lo sono.»
«Dunque vieni considerato da tutti e due loro signore?»
«È così.»
Sembrava terribilmente arrogante. E ne aveva anche l'aspetto. La sua presenza era... autoritaria. Effettivamente torreggiava sul letto. Eppure durante la notte era stato delicatissimo. Il ricordo dei momenti d'amore lo fece sospirare.
«Ora mi capisci?» chiese perplesso per come lui lo fissava a occhi spalancati.
Jongdae scosse la testa, cercando di schiarirsi la mente. «No, continuo a non capire», confessò. «Se sei...»
«Non sei tenuto a capire», lo interruppe lui.
Lui represse la propria impazienza. Minseok sembrava cercare la sua approvazione. Non l'avrebbe ottenuta. Si limitò a fissarlo in attesa della prossima dichiarazione offensiva.
«Ho un'altra disposizione da darti», disse Minseok. «Non voglio che ti impegni in nessun lavoro. Voglio che riposi.»
Non era sicuro di aver capito bene. «Riposare?»
«Sì.»
«Perché?»
Lui si accigliò al vederlo così stupito. Gli sembrava evidente perché dovesse riposare. Comunque, se una spiegazione gli serviva, l'avrebbe avuta.
«Ti servirà tempo per riprenderti.»
«Riprendermi da cosa?»
«Dalla fatica del viaggio.»
«Ma mi sono già ripreso, mio signore. Ho dormito tutta la mattina. Sono perfettamente riposato.»
Lui si volse per uscire. «Minseok?» lo chiamò fermandolo.
«Posso uscire a caccia questo pomeriggio?»
«Ti ho appena spiegato che devi riposare. Non costringermi a ripetere le stesse cose.»
«Ma non ha senso, mio signore.»
Lui tornò al bordo del letto. Sembrava irritato, ma tiepidamente.
Non lo intimidiva. Jongdae se ne rese conto d'improvviso, e sorrise. Non capiva perché si sentiva in quel modo, ma era così. Diceva davvero quello che gli veniva in mente, ed era piacevole dopo tanto tempo poterlo fare. Era... una liberazione.
«Ti ho già spiegato che mi sono ripreso dalla fatica del viaggio», gli ricordò.
Minseok gli prese il mento costringendolo a guardarlo negli occhi. Quasi sorrise al vederlo tanto imbronciato.
«C'è un'altra ragione per cui voglio che riposi», disse.
Lui gli scostò delicatamente la mano. «E quale può essere, mio signore?»
«Sei debole.»
Jongdae scosse la testa. «L'hai già detto questa notte, marito. Non era vero allora e non lo è adesso.»
«Sei debole, Jongdae», ripeté lui, ignorando le sue proteste. «Ti serve tempo per riguadagnare le forze, io sono conscio dei tuoi limiti, anche se non lo sei tu.»
Non gli diede il tempo di replicare. Si chinò, lo baciò, e lasciò la stanza.
Non appena la porta si fu richiusa alle sue spalle, Lui si liberò delle coperte e balzò dal letto.
Come poteva suo marito essersi fatto opinioni così certe su di lui in poco tempo? Non poteva capire i suoi limiti, non lo conosceva abbastanza. Era irragionevole da parte sua aver tratto delle conclusioni.
Continuò a pensare al marito mentre si lavava e si vestiva. . Si infilò l'abito dei Kim. Formò delle piccole pieghe in vita.
Pensò di togliere dai suoi bagagli arco e frecce, trasgredendo agli ordini del marito, ma cambiò idea. Lanciare una sfida aperta a una persona come Minseok non giovava certo. Aveva già capito che era un uomo orgoglioso, e non pensava di poter ottenere qualcosa sfidandolo nelle sue decisioni.
A ogni modo c'erano sempre tante vie per entrare in un castello. Così usava sussurrargli sua madre dopo ogni discussione tra padre e figlio. La madre di Jongdae era una donna saggia, fedele al marito, ovviamente, ma capace, dopo anni di convivenza, di aggirare la sua caparbietà. E Lui aveva appreso quegli insegnamenti. La cara donna aveva dato al figlio saggi consigli in abbondanza. Non aveva mai cercato di ingannare il marito, poiché ciò sarebbe stato poco onorevole, e in fondo non era vero che il fine giustificava i mezzi. Era però molto furbo, e di solito trovava il modo per placare chiunque in casa.
All'insaputa di lei, il padre di Jongdae spesso, quando il figlio era in lite con la madre, lo prendeva da parte. Anche lui aveva qualche consiglio da dargli sulle sottili tecniche di cui si serviva per andare d'accordo con la moglie quand'era di cattivo umore. I suggerimenti della madre erano comunque molto più sensati dei suoi. Anche dal padre tuttavia aveva appreso qualcosa di importante: amava la moglie e avrebbe fatto qualsiasi cosa per renderla felice; solo non voleva che lei lo sapesse. Entrambi giocavano una partita dove si ritenevano vincitori. Jongdae considerava un po' strano il loro matrimonio, ma erano felici insieme, e pensava che questa fosse la sola cosa importante.
Quanto a Jongdae, voleva solo vivere una vita tranquilla, serena. Per giungere a questo doveva preoccuparsi di non intralciare il cammino di suo marito. Non doveva interferire nei suoi affari, e avrebbe cercato di andare d'accordo con lui. In cambio, si aspettava che anche Minseok cercasse un accordo con lui evitando di ostacolarlo nel suo cammino. Dopo gli anni passati con Seungwoon, Jongdae era fermamente convinto che essere lasciato in pace fosse la felicità.
Spostò l'attenzione sulla camera da riordinare. Rifece il letto, spazzò il pavimento, tolse i vestiti dalle borse e li ripose con cura nel baule, infilando poi le tre borse vuote sotto il letto. Aveva fretta di uscire, perché la giornata era splendida. Quando aprì le pesanti tende, il sole inondò la stanza. Il profumo delle terre riempiva l'aria, e la vista lasciava senza fiato. Il campo sottostante era verde come gli smeraldi, e le colline erano rivestite alberi di ciliegi e pesco. Chiazze di colore punteggiavano il panorama: fiori rossi, rosa e porpora si raccoglievano lungo il sentiero serpeggiante che pareva salire fino al cielo.
Dopo uno spuntino, Jongdae decise di prendere con sé il piccolo Jun e uscire per una passeggiata lungo quel sentiero tra i prati. Intendeva raccogliere fiori in abbondanza da disporre sulla mensola del camino.
Trovare il bambino si rivelò un'impresa ardua. Scese al piano inferiore e si fermò sull'ingresso della sala grande, in attesa che qualche soldato lo notasse. C'erano quattro uomini che lavoravano all'estremità opposta del locale, e altri tre sul tetto, occupati con le tavole.
Parvero accorgersi di Lui all'improvviso, tutti insieme. I colpi cessarono. Dal momento che gli uomini lo fissavano, fece un inchino di saluto prima di chiedere se sapessero dove si trovava Jun.
Nessuno rispose. Si sentiva estremamente a disagio. Ripeté la domanda tenendo però lo sguardo fermo sul soldato in piedi di fronte al camino. Lui sorrise, si grattò la barba e alzò le spalle guardandolo.
Infine parlò il luogotenente di Minseok. «Non sono abituati, signore.»
Lui si volse dalla sua parte e sorrise. «A cosa vi riferite?»
«Per favore, non datemi del voi. Sono un semplice soldato. Chiamatemi Jongin, andrà benissimo.»
«Come vuoi, Jongin.»
«Siete molto grazioso, col nostro plaid addosso.»
Sembrava imbarazzato dal suo stesso complimento. «Grazie», rispose «Volevo chiedere se hanno visto il figlio di Minseok, tu lo hai visto?»
Jongin scosse la testa. «Potrebbe essere alle scuderie», rispose.
Concentrato a parlare con Jongin non badò a quanto accadeva nel cortile. C'erano soldati ovunque, ma non prestò attenzione a ciò che facevano, quindi partì in direzione delle scuderie.
Si ritrovò d'improvviso al centro del campo di esercitazioni. Jongin lo afferrò per le spalle costringendolo bruscamente ad arretrare. Una lancia lo mancò per un soffio.
Un soldato Kim imprecò ad alta voce. Minseok osservava gli allenamenti dal lato opposto del cortile. Vide la scena e subito fermò le esercitazioni.
Jongdae era pieno d'orrore per il proprio comportamento. Una simile disattenzione era imperdonabile. Prese da terra la lancia e la porse al soldato. Il volto di lui era rosso come il fuoco, ma non gli riuscì di capire se fosse imbarazzato o furibondo.
«Per favore, perdonatemi. Non guardavo dove andavo.»
L'uomo dai capelli scuri annuì prontamente. Jongin lo teneva ancora per le spalle, e gentilmente lo spinse indietro.
Lui si volse per ringraziarlo della sua prontezza, e notò che il marito lo stava raggiungendo. Il sorriso svanì al solo vedere l'espressione di lui.
Tutti i soldati lo fissavano. I Park sorridevano, mentre i Kim erano accigliati.
Quelle reazioni contrapposte lo confusero, ma subito Minseok gli fu davanti, impedendogli la vista. Pareva concentrato solo su Jongin. Non disse nulla, ma si limitò a fissarlo cupamente. Solo allora Jongdae si rese conto che lo teneva ancora per le spalle. Non appena il soldato lasciò la presa, il signore trasferì su di Lui l'espressione adirata.
Il cuore cominciò a battergli forte per la paura. Cercò disperatamente di mantenere un contegno dignitoso, perché non voleva fargli capire quanto era spaventato.
Decise di precederlo per non farsi rimproverare. «Ero molto distratto, mio signore, terribilmente. Potevo rimanere ucciso.»
Lui scosse la testa. «Non potevi rimanere ucciso. Insulti Jongin se pensi che l'avrebbe permesso.»
Non intendeva certo discutere con suo marito. «Non avevo intenzione di insultarlo», disse. Si rivolse a Jongin: «Per favore, accetta le mie scuse. Intendevo ammorbidire la collera di mio marito riconoscendo per prima la mia stupidità».
«Hai difetti alla vista?» chiese Minseok.
«No», rispose.
«Come hai fatto a non vedere i miei uomini che si stavano esercitando con le armi?»
Lui scambiò per collera la sua esasperazione. «Te l'ho spiegato, mio signore. Ero distratto.»
Suo marito non mostrò alcuna reazione a quelle parole. Semplicemente continuò a fissarlo. Aspettava che la sua ira si placasse. Vedere il marito tanto vicino alla morte l'aveva spaventato oltre ogni limite. Gli serviva tempo per riprendersi.
Passarono in silenzio un lungo minuto. Jongdae pensò che il marito stesse meditando una punizione.
«Mi scuso per aver interrotto il tuo importante lavoro», gli disse. «Se vuoi percuotermi, per favore fallo subito. L'attesa sta diventando insopportabile.»
Jongin non poteva credere a quello che aveva sentito. «Ma cosa...»
S'interruppe quando Minseok alzò la mano ordinando il silenzio.
Nello stesso istante Lui balzò indietro. Era una mossa difensiva imparata da tante lezioni del passato. Rendendosi conto di quello che stava facendo, prontamente tornò avanti.
Era meglio che suo marito capisse subito che non avrebbe permesso un ritorno al passato.
«Vi avverto, mio signore. Non posso impedirvi di picchiarmi, ma nell'istante in cui lo farete io lascerò questa fortezza.»
«Jongdae, certo non crederete che Minseok...»
«Restane fuori, Jongin.»
Minseok aveva pronunciato quell'ordine bruscamente. Era furioso per l'insulto che suo marito gli aveva appena lanciato ma, dannazione, era spaventato davvero. Dovette costringersi a ricordare che non lo conosceva bene, e che semplicemente doveva aver tratto le conclusioni sbagliate.
Lo prese per mano e si avviò verso la scala, ma sentendo i colpi preferì cambiare meta. Era una conversazione importante, e doveva svolgersi in privato.
Jongdae inciampò quando suo marito tornò a scendere le scale, ma riuscì prontamente a riprendersi e si affrettò a seguirlo. Jongin scosse la testa al vedere il suo signore che trascinava il marito a quel modo. Non era la timidezza di Jongdae a preoccuparlo, ma il pallore della sua pelle. Credeva forse che il marito lo stesse portando in un luogo appartato per percuoterlo senza dare spettacolo?
Chanyeol, il ragazzo a capo dei soldati Park, si mise al suo fianco. «Perché li guardi a quel modo?» chiese.
«Mi preoccupa Jongdae. Qualcuno deve avergli raccontato storie terribili su Minseok. Credo abbia paura di lui.»
Chanyeol sbuffò. «Secondo le donne ha paura della sua ombra. Gli hanno già dato un soprannome», aggiunse. «Dopo una sola occhiata, l'hanno definito 'Il Coraggioso'. È un peccato che lo canzonino, dato che sono arrivate a giudicarlo senza dargli una sola possibilità.»
Jongin era furioso. Chiamandolo il Coraggioso ovviamente intendevano dire proprio il contrario, cioè che lo consideravano un codardo. «È meglio che Minseok non le senta. Chi ha cominciato?»
Chanyeol non intendeva certo rivelargli il nome. Si trattava di una Park, ed era stato Baekhyun ad informarlo. «Non è importante chi», obiettò. «Il soprannome ha preso piede. Vedendo tremare a quel modo Jongdae davanti al cane del signore, le donne hanno cominciato a sorridere, e la sua espressione spaventata ogni volta che Minseok gli parla ha fatto loro concludere che è un...»
Jongin lo interruppe. «Timido, forse, ma certo non un codardo. Farai meglio a spaventarle, Chanyeol. Si credono molto furbe con i loro giochetti, ma se sento qualche Kim ripetere quel nome, farò in modo che se ne penta.»
Chanyeol annuì. «È più facile per te accettarlo», gli disse. «Ma i Park non sono così indulgenti. Ricorda che è stato il suo primo marito a distruggere quello che avevamo costruito con tanta fatica. Servirà loro tempo per dimenticare.»
Jongin scosse la testa. «Un guerriero non dimentica mai. Lo sai bene quanto me.»
«Allora per perdonare», suggerì Chanyeol.
«Lui non ha niente a che fare con le atrocità commesse qui. Non ha bisogno del perdono di nessuno. Ricorda alle donne questa importante verità.»
Chanyeol annuì. Non credeva comunque che le sue parole avrebbero cambiato qualcosa. Le donne erano prevenute nei confronti di Jongdae, e non sapeva cosa avrebbe potuto cambiare la loro opinione.
Entrambi i guerrieri osservarono il signore e il suo sposo scomparire dietro la collina.
Minseok e Jongdae erano soli ora, ma lui non si fermava. Continuò a camminare finché raggiunsero i prati. Voleva liberarsi dalla collera prima di rivolgersi a lui.
Infine si fermò e si girò a guardarlo. Jongdae non ricambiò lo sguardo. Cercò invece di liberare la sua mano, ma lui non glielo permise.
«Mi hai offeso profondamente alludendo al fatto che ti avrei percosso.»
Lui spalancò gli occhi, sorpreso. Sembrava tanto furioso da poter uccidere qualcuno. Eppure pareva ferito all'idea che Lui lo ritenesse capace di percuoterlo.
«Non hai nulla da dirmi, marito?»
«Ho interrotto le vostre esercitazioni.»
«Sì, è vero!»
«C'è mancato poco che mi facessi ferire da un soldato.»
«Sì!»
«E tu mi sei sembrato molto in collera.»
«Lo ero!»
«Minseok? Perché gridi?»
Lui sospirò. «Perché mi piace gridare.»
«Capisco.»
«Pensavo che col tempo avresti imparato a fidarti di me. Ho cambiato idea. Ti fiderai di me», aggiunse col tono di un ordine, «a partire da questo preciso momento.»
Faceva apparire tutto così semplice. «Non so se è possibile, mio signore. La fiducia si conquista.»
«Allora decidi che l'ho conquistata», ordinò lui. «Dimmi che ti fidi di me, e sii sincero, dannazione.»
Sapeva di chiedergli l'impossibile. Sospirò nuovamente. «Qui a nessun uomo è permesso di picchiare il proprio consorte. Solo un codardo maltratterebbe il compagno, Jongdae. E nessuno dei miei uomini è un codardo. Non hai nulla da temere da me o da chiunque altro. Ti perdonerò l'offesa perché non sapevi. Ma non sarò così tollerante in futuro. Farai bene a ricordartene.»
Lui lo guardò negli occhi. «E se ti offendessi ancora in futuro? Che cosa faresti?»
Non ne aveva la minima idea, ma non intendeva ammetterlo. «Non succederà.»
Jongdae annuì. Si girò per tornare nel cortile, ma poi cambiò idea.
Suo marito meritava delle scuse. «Talvolta reagisco prima di avere il tempo di pensarci. Capisci, mio signore? Mi sento istintivo. Davvero mi fiderò di te, e ti ringrazio per la tua pazienza.»
Minseok capì da come si torceva le mani che quella confessione gli costava un grande sforzo. Teneva la testa china e aggiunse con voce incerta: «Non capisco perché mi aspetto il peggio. Non ti avrei mai sposato se avessi creduto che mi maltrattassi, eppure sembra che una piccola parte di me stenti ancora a crederci».
«Mi piaci, Jongdae.»
«Davvero?»
Lui sorrise per lo stupore nella voce di Jongdae.
«Davvero», ripeté. «So che la confessione ti è costata fatica. Dove pensavi di correre quando hai incontrato la lancia?» Aggiunse la domanda nel tentativo di cambiare argomento. Suo marito sembrava sul punto di scoppiare in lacrime da un momento all'altro, e lui voleva aiutarlo a calmare le sue emozioni.
«A cercare Jun. Pensavo di fare con lui una passeggiata per le proprietà.»
«Ti avevo ordinato di riposare.»
«Doveva essere una camminata rilassante. Minseok, c'è un uomo che ci segue carponi.»
Sussurrò la notizia facendosi più vicino al marito. Lui non si girò a guardare. Non ne aveva bisogno. «È Woojin», spiegò.
Jongdae, al fianco del marito, fissò l'uomo. «Che cosa sta facendo?»
«Scava buchi.»
«Perché?»
«Perché poi con un bastone vi spinge dentro i sassi. È un gioco che gli piace molto.»
«È matto?» bisbigliò in modo che l'anziano non potesse sentirlo.
«Non ti farà alcun male. Lascialo stare. Si merita un po' di svago.»
Suo marito lo prese per mano e cominciò la risalita della collina. Jongdae continuava a voltarsi per guardare l'uomo che strisciava nel prato. «È un Park», esclamò. «Porta il tuo colore.»
«Il nostro colore», lo corresse «Woojin è uno dei nostri», aggiunse. «Jongdae, Jun non c'è. È partito per raggiungere la famiglia del fratello di sua madre questa mattina presto.»
«Per quanto resterà lontano?»
«Finché la costruzione del muro non sarà terminata. Una volta sicuro l'edificio, Jun tornerà a casa.»
«E quanto ci vorrà?» chiese. «Un bambino ha bisogno di suo padre, Minseok.»
«Conosco i miei doveri, marito. Non serve che tu me li ricordi.»
«Ma posso esprimere la mia opinione», ribatté Lui lentamente.
Lui alzò le spalle.
«È iniziata la ricostruzione del muro?» s'informò.
«Per metà e già ricostruito.»
«Allora per quanto...»
«Qualche mese», rispose lui. «Non voglio che tu te ne vada per le colline senza scorta», aggiunse accigliato. «È troppo pericoloso.»
«È troppo pericoloso per chiunque o solo per me?»
Lui rimase in silenzio. Jongdae dovette accontentarsi di quella risposta, e trattenne a stento l'esasperazione. «Spiegami quali sono questi pericoli.»
«No.»
«Perché no?»
«Non ho tempo. Limitati a obbedire ai miei ordini e andremo d'accordo.»
«È ovvio che andremo d'accordo se obbedirò a tutti i tuoi ordini», mormorò. «Sinceramente, Minseok, non credo che...»
«I cavalli sono sani.»
Quell'interruzione riuscì a distrarlo. «Cos'hai detto?»
«I sei cavalli che mi hai dato sono sani.»
Lui sospirò. «Il discorso sull'obbedienza è chiuso, vero?»
«Sì.»
Lui rise.
Minseok, sorridendo a sua volta le disse: «Dovresti farlo più spesso».
«Fare cosa?»
«Ridere.»
Avevano ormai raggiunto il cortile. I modi di Minseok subirono un brusco cambiamento. La sua espressione s'indurì. Lui ritenne quell'improvvisa serietà doverosa verso gli uomini in attesa. Tutti i soldati lo fissavano.
«Minseok?»
«Sì?» Sembrava spazientito.
«Posso esprimere la mia opinione?»
«Su cosa?»
«È sciocco servirsi del cortile per le esercitazioni, oltre che pericoloso.»
Lui scosse la testa. «Non è mai stato pericoloso fino a questa mattina. Mi devi promettere una cosa.»
«Cosa?»
«Non minacciare più di lasciarmi.»
L'intensità con cui aveva pronunciato quella richiesta lo sorprese. «Lo prometto», gli rispose.
Minseok annuì, quindi accennò ad allontanarsi. «Non ti lascerò mai andare. Questo lo capisci, vero?»
Non aspettò una risposta. Jongdae rimase qualche minuto a guardare suo marito che raggiungeva i soldati. Minseok si stava rivelando un uomo complesso. Junmyeon gli aveva detto che il signore l'avrebbe sposato per assicurarsi la terra, eppure questi si comportava come se anche lui fosse importante.
Si ritrovò a sperare che fosse così. Sarebbero andati d'accordo molto meglio se fosse riuscito a piacergli.
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