17



Jongdae non vide suo marito fino all'ora di cena. Gli uomini erano già seduti a tavola quando Lui fece il suo ingresso in sala. Nessuno si alzò. Minseok non c'era ancora. Mancava anche Jongin. I servi erano occupati a portare i vassoi rettangolari della carne. Il profumo di montone impregnava l'aria. Jongdae d'improvviso fu colto da un'ondata di nausea. Pensò che la causa di quel malessere fosse il comportamento dei soldati. Afferravano il cibo con le mani prima ancora che i vassoi fossero posati sul tavolo. Non aspettavano che il loro signore si unisse al banchetto.

Era troppo. A sua madre si sarebbe spezzato il cuore vedendo un comportamento tanto vergognoso alla propria tavola. E Lui non intendeva farsi umiliare così di fronte alla mamma. Piuttosto sarebbe morto. O avrebbe ucciso un paio di Park, si disse. Erano i peggiori, anche perché i soldati Kim almeno provavano a comportarsi bene.

Baekhyun notò  Jongdae sulla soglia. Lo chiamò, capì che Jongdae non poteva sentirlo col rumore che facevano gli uomini, e attraversò la sala per parlargli.

«Non cenate?» chiese.

«Certo, è naturale.»

«Non sembrate stare bene. Come vi sentite? Siete bianco come la farina.»

«Sto benissimo», mentì Jongdae. Fece un profondo respiro nel tentativo di tenere sotto controllo il suo stomaco. «Per favore, portami una  ciotola. Una già incrinata.»

«Per cosa?»

«Potrei aver bisogno di romperla.»

Baekhyun pensò di aver capito male. Chiese a Jongdae di ripetere, ma Lui scosse la testa. «Capirai presto», promise.

Baekhyun corse nella dispensa, prese dal ripiano una pesante ciotola di porcellana, e si affrettò a tornare da Jondgae.

«Questa è scheggiata», disse. «Va bene?»

Jongdae annuì. «Stai indietro, Baekhyun. Qui voleranno scintille.»

«Davvero?»

Jongdae chiamò i soldati una prima volta. Sapeva che non l'avrebbero sentito con tutto quel rumore, ma pensò che almeno doveva tentare con un comportamento da signore. Provò poi battendo le mani. Da ultimo decise di fischiare. Nessuno alzò gli occhi.

Rinunciò così ai modi eleganti. Alzò la ciotola e la scagliò all'altro capo della sala. Baekhyun fece un balzo. La ciotola andò a frantumarsi contro il camino di pietra, e i cocci ricaddero sul pavimento.

L'effetto fu esattamente quello sperato. Tutti gli uomini in sala si voltarono a guardarlo. Erano muti, sbalorditi, e lui non poteva esserne più lieto.

«Adesso che ho la vostra attenzione, vi darò alcune istruzioni.»

In molti spalancarono la bocca. Chanyeol accennò ad alzarsi. Lui gli ordinò di restare dov'era.

«Avete lanciato di proposito la ciotola?» chiese Junmin.

«Sì», rispose. «Ascoltatemi bene», spiegò. «Questa è casa mia, e apprezzerei che seguiste le mie regole. Prima, e più importante, nessuno dovrà mangiare finché il signore non si sia accomodato e non sia stato servito. Sono stata chiaro?»

Quasi tutti i soldati annuirono. Qualche Kim parve infastidito. Lui ignorò le espressioni contrariate. Chanyeol, notò, sorrideva. Ignorò anche lui.

«E se il signore non venisse a cena?» s'informò Nayeon.

«Allora aspetterete che io mi sia seduto e servito prima di cominciare.»

Si alzarono diverse lamentele per quell'ordine. Jongdae mantenne la pazienza.

Gli uomini tornarono ai loro vassoi.

«Non ho ancora finito di darvi le istruzioni», gridò.

La sua voce fu nuovamente coperta dalle chiacchiere. «Baekhyun, prendimi un'altra ciotola.»

«Ma...»

«Per favore.»

«Come volete.»

Non trascorse neppure un minuto, e Baekhyun portò  una seconda ciotola. Jongdae la scagliò subito nel camino. Il rumore risvegliò ancora l'attenzione di tutti. Ora diversi Kim lo guardavano scontrosi. Decise che meritavano qualche minaccia.

«La prossima ciotola non la butterò nel fuoco», disse ad alta voce. «Ve la lancerò sulla testa, se non mi prestate attenzione.»

«Noi vorremmo mangiare», gridò un soldato.

«E io voglio prima la vostra attenzione», replicò «Ascoltate attentamente. Quando una signora o il compagno del vostro signore entra in sala, gli uomini si alzano in piedi.»

«E avete interrotto la nostra cena per dirci questo?» esclamò Junmin. Terminò con una risatina nervosa, toccando col gomito il vicino.

Lui si mise le mani sui fianchi e ripeté l'ordine. Poi attese. Fu lieto di vedere che tutti i soldati finalmente si alzavano.

Sorrise soddisfatto. «Potete sedervi.»

«Ci avete appena detto di alzarci», mormorò un altro Kim.

Tentò di nascondere l'esasperazione. «Ci si alza quando qualcuno entra, e ci si siede quando Lui da il permesso.»

«Che cosa dobbiamo fare quando entra ed esce subito?»

«Vi dovete alzare e poi sedere.»

«A me sembra una grande seccatura», osservò ancora un Park.

«Vi insegnerò le buone maniere anche a costo di farvi morire», dichiarò Jondgae.

Chanyeol cominciò a ridere, ma la sua occhiata bastò a fermarlo.

«Perché?» chiese Nyeon. «A cosa ci servono le buone maniere?»

«A compiacermi», ribatté «E non si faranno più rutti ai miei tavoli.»

«Non possiamo ruttare?» chiese Chanyeol, incredulo.

«No, non potete!» rispose Jongdae quasi gridando. «E non potete fare altri rumori così rozzi.»

«Ma quello è un complimento», spiegò Junmin. «Se cibi e bevande sono buoni, un bel rutto è il dovuto segno d'apprezzamento.»

«Se il cibo vi è piaciuto, non dovete far altro che dire al padrone di casa che il pranzo è stato ottimo», disse. «E già che parliamo di cibo, vi dirò che trovo gravemente offensivo vedere uno di voi che ne prende dal piatto dell'altro. È un'abitudine che deve finire.»

«Ma,...» cominciò Junmin.

Lui lo interruppe. «E non sbatterete più i bicchieri uno contro l'altro durante i brindisi. La bevanda cade dappertutto.»

«Ma è quello lo scopo», spiegò Chanyeol.

Gli occhi di Jongdae si spalancarono per lo stupore. Nayeon si affrettò ad aggiungere: «Quando brindiamo, dobbiamo assicurarci che parte della nostra bevanda finisca nel bicchiere dell'altro. In questo modo, se in uno ci fosse del veleno, morirebbero tutti. Non capite? Lo facciamo perché nessuno tenti l'inganno.»

Non poteva crederci. Dunque i Kim e i Park erano così sospettosi gli uni degli altri?

I Kim riprovarono a volgergli la schiena. Jongdae era furibondo. Ora sghignazzavano rumorosamente per coprire la sua voce.

«Baekhyun?»

«Vado a prenderla.» disse, cercando di trattenere le risate.

Jongdae sollevò in aria il recipiente, si girò verso il tavolo dei Kim, e stava per lanciare l'oggetto quando gli fu strappato di mano. Si voltò e trovò Minseok in piedi dietro di lui. Jongin era al suo fianco. Non poteva sapere da quanto tempo si trovavano alle sue spalle, ma lo sguardo sbalordito sul volto di Jongin diceva che era stato sufficiente.

Si sentì arrossire. Non intendeva comunque farsi bloccare dall'imbarazzo. Aveva cominciato e, avrebbe finito l'opera.

«Marito, che cosa stai facendo?»

Il tono di voce grave, unito all'espressione severa, lo fece trasalire. Fece un bel respiro, quindi disse: «Restane fuori. Sto dando istruzioni agli uomini».

«Nessuno sembra ascoltarvi», gli fece notare Jongin.

«Mi dici di restarne fuori, ma...» Minseok era troppo sbalordito per continuare.

Lui capì che cosa intendeva dirgli. «Sì, voglio che ne resti fuori», ribadì prima di rivolgere l'attenzione a Jongin. «Mi ascolteranno, se non vorranno subire la mia collera», promise.

«Che cosa succede quando siete in collera?» chiese il soldato Kim.

Non gli riuscì di pensare a una risposta adatta. Poi ricordò quella di Minseok.

«Posso uccidere qualcuno», disse.

Era certo di aver colpito il soldato con quella dichiarazione. Aggiunse un cenno del capo per assicurargli che non stava scherzando, e attese una reazione.

Non fu quella che si aspettava. «Portate il colore sbagliato. Oggi è sabato.»

D'improvviso desiderò strangolare Jongin. Un sonoro rutto scoppiò alle sue spalle. Reagì come l'avessero pugnalato alla schiena. Trasalì, afferrò la ciotola che suo marito teneva in mano e si girò verso gli uomini.

Minseok lo fermò prima che potesse far danni. Lanciò il recipiente a Jongin, quindi lo fece girare dalla sua parte.

«Ti avevo chiesto di non interferire», mormorò lui.

«Jongdae...»

«Questa è o non è casa mia?»

«È casa tua.»

«Grazie.»

«Perché mi ringrazi?» chiese lui sospettoso. Aveva in mente qualcosa, glielo diceva il luccichio nei suoi occhi.

«Hai appena accettato di aiutarmi», gli spiegò.

«No, non è vero.»

«Dovresti farlo.»

«Perché?»

«Perché questa è casa mia, no?»

«Torniamo al punto di partenza?»

«Minseok, vorrei essere libero di governare la mia casa. Sei d'accordo?» gli sussurrò.

Lui sospirò. Dannazione, gli era impossibile negargli qualcosa. Non sapeva neppure bene che cosa stava accettando, ma chinò il capo in segno affermativo.

«Quante altre zuppiere lancerai?»

«Quante ce ne vorranno», rispose lui.

Si diresse alla tavolata dei Kim, e si fermò a capotavola.

«Jongin, se tu sollevi da quella parte e tu Chanyeol , da quest'altra, io correrò avanti ad aprirvi le porte. Signori», aggiunse guardando i soldati seduti, «per favore aiutate portando i vostri sgabelli. Non ci vorrà molto tempo.»

«Che cosa pensate di fare?» chiese Jongin.

«Portare fuori il tavolo, è ovvio.»

«Perché?»

«Voglio far felici i Kim», spiegò lui. «Sono parte della mia famiglia ormai, e credo che saranno contenti.»

«Ma noi non vogliamo andare fuori», esclamò Junmin. «Perché pensate il contrario? Mi sono appena conquistato l'onore di mangiare col mio capo. Io voglio restare qui.»

«No, non è vero», disse lentamente Jongdae. Sorrise solo per confondere il guerriero.

«Non è vero?»

«Sarete molto più contenti fuori, perché non dovrete seguire le mie regole. La verità è che voi tutti volete mangiare come animali. Potete anche pranzare con loro. Dogo sarà lieto della compagnia.»

Tutti i Kim guardarono Jongin. Lui guardò il suo signore, da cui ricevette un cenno affermativo, quindi si schiarì la voce. Era compito suo spiegarsi con Jongdae.

«Credo non abbiate capito com'è la situazione. Questa fortezza appartiene al famiglia dei Kim da quando si possa ricordare.»

«Ora appartiene a me.»

«Ma...» cominciò Jongin.

«Cosa vuol dire quando racconta che la nostra proprietà appartiene a lui?» chiese Nayeon.

Jongdae si strinse le mani. Minseok gli si avvicinò.

«Sarò lieto di spiegarvelo, ma una volta sola; dunque cercate di seguirmi», disse. «Il vostro imperatore ha barattato queste terre. Su questo siete tutti d'accordo?»

Attese che i soldati annuissero. «L'imperatore ha dato a me le proprietà. Su questo siete d'accordo?»

«Sì, è ovvio», convenne Jongin. «Ma voi capite...»

Non lo lasciò continuare. «Per favore, scusami se ti ho interrotto, ma sono ansioso di finire la spiegazione.»

Tornò a rivolgere l'attenzione ai soldati. «Ora - per favore ascoltatemi, perché odio dovermi ripetere - quando ho sposato il signore, la terra è diventata sua. Vedete com'è semplice?»

Fissò lo sguardo su Junmin. Lui annuì per accontentarlo. Jongdae sorrise. D'improvviso la sala cominciò a girargli intorno. Batté le palpebre, cercando di rimettere a fuoco le immagini, e si aggrappò al tavolo per restare in equilibrio. Si sentì rapire da un'ondata di nausea, che svanì rapidamente com'era arrivata. Era colpa della carne, si disse. Quell'odore disgustoso lo faceva star male.

«Che cosa dicevi?» la spronò Minseok, raggiante di soddisfazione per l'intraprendenza mostrata dal marito di fronte agli uomini.

«Ma cosa l'ha fatto tanto arrabbiare?»

Jongdae non capì di chi era la domanda. Veniva dal tavolo dei Park. Rispose rivolgendosi a loro.

«Baekhyun l'altro giorno mi ha detto una cosa che mi ha colto di sorpresa. Ci ho riflettuto sopra, e ancora non capisco le ragioni di un simile commento.»

«Cos'ho detto?» chiese Baekhyun. Andò all'estremità opposta del tavolo dei Kim per guardare in faccia la signora.

«Mi hai detto che la cuoca sarebbe stata felice di fare qualsiasi cosa le chiedessi perché era una Park e non si sarebbe di certo lamentata. Mi sono chiesto che cosa significasse, naturalmente, e ora credo di aver capito. In fondo tu pensi che Hyuna dovrebbe sentirsi riconoscente perché può vivere qui. È giusto?»

Baekhyun annuì abbassando lo sguardo, in fondo anche lui era un Park.

Tutti i Kim annuirono trionfanti.

Jongdae li guardò scuotendo la testa. «Credo che abbiate capito male», disse. «I Kim non hanno nessun diritto su questa fortezza, né su queste terre, e si tratta, signori, di un dato di fatto. Capita che mio marito sia un Park. Ve lo siete dimenticati?»

«Suo padre era signore dei Kim», intervenne Jongin.

«Resta comunque un Park. Sangue dei Kim, ma cresciuto con i Park», insistette «È stato molto accomodante, più paziente di me», aggiunse con un cenno del capo, «io tuttavia credo che i Park abbiano gentilmente permesso a voi Kim di restare. Odio dover affrontare questo problema spinoso adesso, ma ho ricevuto notizie importanti, capite, e devo mettere ordine in casa mia. Mi rattristerebbe vedervi andar via, ma se per voi è troppo difficile seguire le regole, e non riuscite ad andare d'accordo con i Park, allora non credo ci sia molta scelta.»

«Ma i Park sono estranei», farfugliò Junmin.

«Lo erano», rispose Jongdae. «Ora non lo sono più. Capite?»

Nessuno parve capire. Jongdae si chiese se fossero incredibilmente cocciuti o solo ignoranti. Decise di provare a spiegarsi un'ultima volta.

Minseok non glielo consentì. Avanzò di un passo spingendo Lui indietro.

«Io qui sono il signore», ricordò ai soldati. «Io decido chi va e chi resta.»

Chanyeol annuì. «Ci è permesso di parlare liberamente?»

«Sì», rispose Minseok.

«Ognuno di noi qui ha giurato fedeltà», cominciò. «Ma non ci sentiamo così legati ai membri dei Kim. Eppure un Kim ci ha messi in contrasto con i Jeon e ora rifiuta di farsi avanti per ammettere la sua trasgressione. È un comportamento da codardi.»

Jongin balzò in avanti. «Osi chiamarci codardi?»

Dannazione, che cosa aveva avviato? Jongdae tornò a sentirsi male. Era pentito di aver parlato. Due Kim si alzarono. Stava iniziando una lotta, ed era tutta colpa sua. E Minseok non sembrava incline a fermarla. Pareva ignorare quell'atmosfera minacciosa, quasi fosse annoiato.

Finalmente era nato un confronto, e Minseok ne era ben lieto. Avrebbe permesso a ognuno di sfogare la collera. Poi avrebbe spiegato quali erano le sue decisioni. Chi non intendeva accettarle poteva andarsene.

Purtroppo Jongdae sembrava sconvolto per quanto avveniva. Il suo volto ora era pallidissimo, e si stava torcendo le mani. Minseok decise di trasferire la discussione all'esterno. Stava per dare l'ordine quando suo marito si fece avanti.

«Jongin, Chanyeol non ti ha chiamato codardo», gridò. Diresse lo sguardo sul soldato Kim. «Tu non capisci, mio marito ha chiesto a ognuno dei suoi uomini se... avessero avuto a che fare con Yixing, e tutti hanno negato persino di conoscerlo.»

«Ma dicevano la verità?» replicò Chanyeol, malizioso.

«Ti risponderò con un'altra domanda», disse Lui lentamente. «Se il signore dei Jeon avesse incolpato un Park e tutti voi aveste respinto ogni accusa, ti aspetteresti che il tuo signore vi credesse?»

Chanyeol era abbastanza intelligente da capire dove sarebbe arrivato. Annuì con riluttanza.

«Sia io sia mio marito abbiamo completa fiducia nei suoi uomini. Se dicono di non aver toccato Yixing, allora non l'hanno fatto. Non ti capisco. Come puoi credere alla parola di un Jeon dal cuore duro contro quella dei tuoi?»

Nessuno trovò una pronta risposta. Jongdae scosse ancora la testa. Ora si sentiva malissimo. Gli sembrava di avere il viso in fiamme, pur sentendosi i brividi lungo le braccia. Avrebbe voluto appoggiarsi a suo marito, ma resistette per non fargli capire che stava male. Non voleva turbarlo. E non voleva neppure trascorrere tutto l'anno successivo a letto; conoscendo l'ossessione di Minseok per il riposo, era certo che sarebbe accaduto.

Decise di salire in camera per rinfrescarsi il viso. L'acqua fresca l'avrebbe aiutato a riprendersi.

«Sarei lieto che tutti voi pensaste a quanto vi ho appena spiegato», disse. «Non posso sopportare litigi in casa mia. Ora scusatemi. Salgo in camera.»

Si voltò per andare. Poi si fermò girandosi nuovamente verso di loro. «Quando lascio la sala voi dovete alzarvi»

«Eccoci di nuovo», mormorò un Kim, abbastanza forte perché Lui potesse sentirlo.

«Cosa?» chiese.

Gli uomini si alzarono. Jongdae sorrise soddisfatto quindi si girò per uscire. D'improvviso la sala cominciò a girargli intorno. Non aveva nulla a cui aggrapparsi nell'attesa che tutto tornasse al suo posto.

«Tu mi hai chiamato codardo, Chanyeol», mormorò Jongin.

«Se vuoi credere questo, fai pure, Jongin», replicò Chanyeol.

«Minseok?» la voce di Jongdae era flebile, ma lui l'udì.

Si girò. «Sì?»

«Prendimi.»

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