16


Yixing non riprese conoscenza fino al mattino dopo. Jongdae era rimasto con lui per gran parte della notte, finché Minseok non era entrato nella stanza per trascinarlo via, letteralmente. Hyuna era stata lieta di dare il cambio.

Ora Jongdae era appena tornato a sedersi sulla sedia di fianco al letto. Yixing aprì gli occhi e gli parlò.

«Vi ho sentito bisbigliarmi qualcosa.»

Jongdae trasalì, quindi si chinò a guardare il ragazzo.

«Siete sveglio» sussurrò sopraffatto dal sollievo.

Yixing annuì. «Come vi sentite?»

«Sento male dalla testa ai piedi.»

Jongdae annuì. «Avete lividi dalla testa ai piedi. Vi fa male anche la gola? Mi sembrate rauco»

«A dire il vero ho gridato molto», rispose Yixing. «Posso bere un po' d'acqua?»

Jongdae si affrettò a prendere la coppa. Aiutò Yixing a sollevarsi seduto. Cercò di farlo nel modo più delicato possibile, ma al ragazzo sfuggì comunque una smorfia di dolore. La sua mano tremava quando l'allungò verso il bicchiere.

«Ieri sera... mi avete detto che ero al sicuro. Ricordo di avervelo sentito sussurrare. Dicevate la verità? Sono al sicuro qui?»

«Certamente, siete al sicuro.»

«Che posto è questo?»

Jongdae si affrettò a presentarsi e gli spiegò l'accaduto. Deliberatamente evitò di raccontare della freccia che aveva infilato nella coscia di Woonsik e di quella con cui suo marito l'aveva colpito alla spalla. Quando ebbe finito il racconto, Yixing si era riaddormentato.

«Parleremo più tardi», promise. «Dormite ora, Yixing. Potrete restare con noi finché vorrete. Hyuna tra poco vi porterà qualcosa da mangiare. Potrete...»

S'interruppe rendendosi conto che Yixing non lo udiva più. Gli rimboccò le coperte, scostò indietro la sedia e lasciò la stanza.

Quando entrò in camera sua, Minseok si stava infilando gli stivali.

«Buongiorno, mio signore», gli disse. «Hai dormito bene?»

Lui reagì accigliandosi. Jongdae raggiunse la finestra e scostò i pesanti tendoni. Dalla luce gialla del cielo indovinò che doveva essere passata l'alba da pochi minuti.

«Ti avevo ordinato di restare a letto», disse lui. «Hai aspettato che dormissi per andartene?»

«Sì.»

L'espressione di lui si fece ancor più cupa. Jongdae decise di provare a calmarlo. «Pensavo di riposarmi qualche minuto prima di scendere. Sono stanco.»

«Sembri un cencio.»

«Il mio aspetto non conta», disse portandosi comunque le mani ai capelli per cercare di risistemarli.

«Vieni qui, Jongdae.»

Lui attraversò la stanza fermandosi di fronte a lui. Minseok gli sciolse la cintura che teneva legato l'abito.

«Devi restare dove vieni lasciato», disse.

Lui cercò di respingere le sue mani. «Non sono un gingillo che prendi dalla mensola ogni volta che ti aggrada, signore.»

Minseok gli sollevò il mento e si chinò a baciarlo. Desiderava solo fargli abbandonare quell'espressione severa, ma le sue labbra erano così dannatamente morbide e invitanti che dimenticò lo scopo. Circondò il marito con le braccia e lo sollevò contro di sé.

I baci di Minseok lo stordirono. Abbracciò il marito e lo strinse forte. Decise che andava benissimo permettergli di derubarlo d'ogni pensiero. Dopotutto era suo marito. Inoltre, lo stava baciando, non poteva accigliarsi... o rimproverarlo.

Non ricordò di essersi spogliato o infilato nel letto. Doveva essersene occupato Minseok. E si era anche svestito. Lo coprì col suo corpo, gli catturò il viso tra le mani e lo soffocò di baci. La sua lingua si infilò nella bocca di lui, strofinandosi contro la sua.

A Jondgae piaceva toccarlo, sentire la sua pelle calda sotto la punta delle dita, accarezzare i muscoli rilevati delle sue spalle. Quando circondò il marito con le braccia gli parve di averne imprigionato forza e potere.

Lui era una rivelazione, forte come il più allenato dei guerrieri, eppure incredibilmente gentile quando lo toccava.

Gli piaceva sapere che poteva fargli perdere il controllo. Non doveva supporlo, era stato lo stesso Minseok a dirglielo. Si sentiva... libero con lui, e completamente disinibito, perché suo marito sembrava trovare piacere in qualsiasi cosa Lui volesse fare.

Anche Minseok gli faceva perdere il controllo. Jongdae non era tipo da gridare le sue richieste, ma quando lui smise di stuzzicarlo e si scostò per infilarsi in lui, impazzì dal desiderio di fargli concludere quel dolce tormento.

Gridò durante la penetrazione, e lui subito si fermò.

«Jongdae, non volevo...»

«Oh, spero invece che tu volessi», mormorò lui. Gli conficcò le unghie nelle scapole, gli cinse le cosce con le gambe e lo strinse dentro di sé. «Minseok, non voglio che ti fermi ora. Voglio che ti muova.»

Ignorando le sue richieste si alzò sui gomiti a guardarlo. Vide la passione nei suoi occhi e quasi perse il controllo.

«Sei un terribile moccioso.» Stava cercando di canzonarlo, ma la sua voce era roca. «Mi piaci così», aggiunse con un gemito mentre Lui gli si muoveva contro senza sosta.

Minseok l'aveva acceso di desiderio, e ora rifiutava di dargli pace, o di prendersi la propria.

«Marito, è un'attività che richiede la tua partecipazione» gridò Jondgae, frustrato.

«Pensavo prima di farti impazzire», rispose Minseok in un rauco sussurro.

Si rivelò solo un vano proposito, perché lui sentiva di aver perso la testa mentre Jondgae lo trascinava in un bacio lungo e appassionato, muovendosi contro di lui in modo provocatorio. Gli sfuggì la padronanza della situazione. I suoi movimenti si fecero energici ed esigenti, anche se non quanto quelli di suo marito.

Trovarono soddisfazione insieme. Jongdae si strinse al marito mentre l'estasi lo assaliva a ondate. Si sentiva forte nelle sue braccia, sazio, e quasi amato. Era più di quanto avesse mai avuto, o mai sognato.

Si addormentò sospirando.

Minseok temette di averlo soffocato, tanto si abbandonava tra le sue braccia. Si scostò di fianco e sussurrò il suo nome. Lui non gli rispose, però respirava. La passione l'aveva fatto svenire? Minseok sorrise, perché quell'idea gli piaceva. Sapeva però che la spiegazione era un'altra. Jongdae era sfinito poiché aveva trascorso gran parte della notte ad assistere il suo nuovo pupillo.

Si chinò, lo baciò sulla fronte e lasciò il letto. «Tu riposa» sussurrò. Poi sorrise. Il piccino gli obbediva. Naturalmente non aveva sentito il suo ordine: era profondamente addormentato; ma lo rendeva felice ordinargli qualcosa sapendo che avrebbe obbedito.

Minseok rimboccò le coperte a suo marito, si vestì e uscì silenziosamente dalla stanza.

La giornata era iniziata in modo abbastanza piacevole, ma subito si guastò. Jongin attendeva il signore nella sala grande con l'annuncio che dal ministro Ong era arrivata un'altra richiesta di udienza con Jongdae. Anche questa volta il messaggero che l'aveva portata veniva dal signore di Jung, e l'uomo era in piedi al fianco di Jongin per ricevere la risposta di Minseok.

«Il ministro sta aspettando ai nostri confini?» chiese al soldato.

«No, signore. Ha mandato un suo rappresentante. Lo scopo è convincere Jongdae a incontrare il ministro Ong nei pressi del confine con la capitale.»

Minseok scosse la testa. «Mio marito non andrà da nessuna parte. Non parlerà col ministro Ong. Di' al tuo signore che lo ringrazio per aver agito da intermediario. Mi spiace che l'abbiano importunato. Saprò ripagare i suoi sforzi per mantenere il ministro e i vassalli lontani da questa fortezza.»

«Che cosa volete che dica esattamente al messaggero del ministro?» chiese il soldato. «Ricorderò ogni parola, signore dei Kim, e riferirò con precisione quello che voi avete detto.»

«Ditegli che mio marito non parlerà con nessun ministro, e che da parte loro è stupido continuare a tormentarlo.»

Il soldato s'inchinò e lasciò la sala. Minseok si rivolse a Jongin. «Non parlarne a Jondgae. Non occorre fargli sapere che il ministro sta ancora cercando di raggiungerlo»

«Come vuoi»

Minseok annuì. Cercò di non pensare più all'irritazione che gli procurava il ministro, ma la giornata non parve migliorare. I Park non portavano a termine i loro compiti, e prima di mezzogiorno erano già avvenuti tre incidenti. I soldati sembravano in ansia; si comportavano come se fossero stati gravemente insultati e non potessero sopportare l'idea di lavorare fianco a fianco con i Kim. Era evidente che ritenevano questi ultimi responsabili per la situazione in cui si trovavano.

Era strano, ma i Kim non amavano molto combattere. Minseok ne era rimasto stupito. Dovevano aver perso la voglia di lottare dopo essere stati derubati di tutto quello che possedevano, in occasione dell'ultimo assedio.

La fusione tra le due famiglie si stava rivelando più lenta e difficoltosa del previsto. Avrebbe voluto concedere a ogni membro il tempo di adattarsi ai cambiamenti, ma ora si rendeva conto di essere stato troppo accomodante. Tutto questo doveva finire. I suoi uomini dovevano mettere da parte le differenze tra loro, o sopportare la sua ira.

I lavori di costruzione del muro procedevano a passo di lumaca. In una giornata normale un soldato Kim poteva svolgere il lavoro di tre Park. Quel giorno, tuttavia, era anche peggio. I Park borbottavano fra loro come vecchi, e certamente non si preoccupavano del lavoro, né di altri compiti significativi che bisognava portare a termine.

La pazienza di Minseok era giunta al limite. Stava per affrontare un gruppo di soldati particolarmente rumorosi quando Jongin lo raggiunse con la notizia dell'arrivo di un secondo messaggero.

Minseok non era pronto per un'altra interruzione. Avrebbe di gran lunga preferito sbattere insieme due teste Park. E non gli importava neppure molto della notizia arrivata. Comunque, avrebbe reso felice suo marito.

E lui voleva che Jongdae fosse felice. Non sapeva perché gli importasse, ma era abbastanza onesto da ammettere che la sua felicità per lui contava molto.

Diavolo, si stava rammollendo. Il messaggero tremava quando Minseok si decise a lasciarlo partire. Gli fece ripetere il messaggio che voleva fosse riportato , poiché l'attenzione dell'uomo si era interrotta quando Dogo era tornato di corsa nella sala. Il cane aveva ringhiato, e Minseok aveva sorriso per la prima volta nella giornata alla vista del balzo del giovane terrorizzato.

La reazione di Jongdae alla notizia non fu quella che si aspettava. Avrebbe voluto attendere l'ora di pranzo per comunicargliela, ma Lui era sceso dalle scale proprio mentre il messaggero tentava di uscire dalle porte chiuse, e gli aveva chiesto che cosa desiderasse.

Dogo era alle calcagna dell'uomo. Jongdae, sbigottito per il trattamento riservato all'ospite, allontanò il cane, quindi aprì la porta per permettere all'estraneo di uscire. Lo salutò educatamente, ma lui non lo ascoltava. Era ormai al centro del cortile, intento a correre come un pazzo, e la risata di Minseok sovrastava le parole di commiato del marito.

Jongdae richiuse la porta e tornò in sala. Suo marito era vicino al camino e sorrideva come un uomo felice la mattina del suo compleanno. Inclinò la testa guardandolo.

«Non è gentile spaventare gli ospiti, mio signore.»

«Veniva dalla capitale, Jongdae», spiegò lui. Era convinto di avergli dato una giustificazione adeguata per il suo comportamento.

Jondgae era in agitazione. Scese rapidamente i gradini e si avvicinò al marito. «Era un messaggero, vero? Chi lo ha mandato? L'imperatore? Oppure era un'altra richiesta del ministro Ong?»

In meno di un minuto era passato dalla preoccupazione al terrore. Minseok scosse la testa.

«Non portava brutte notizie. Era un messaggio da parte di tua madre.»

Lui strinse la mano di Minseok. «È malata?»

Lui si affrettò a rassicurarlo. Non sopportava di vederlo spaventato. «Non è malata», disse. «Perlomeno non credo che lo sia», aggiunse. «Non verrebbe qui se fosse malata, no?»

«La mamma sta venendo qui?»

Aveva gridato la domanda. Lui ne fu sbalordito. Jongdae sembrava sul punto di svenire. La sua reazione non era certo quella che si aspettava.

«Non ti fa piacere?»

«Devo sedermi.»

Si lasciò cadere su una sedia. Minseok gli si mise davanti. «Rispondimi, marito. Se la notizia non ti fa piacere, posso mandare Jongin a fermare il messaggero con l'ordine di respingere l'offerta di visita.»

Lui scattò in piedi. «Non fare una cosa simile. Io voglio vedere mia madre.»

«Allora che problema hai? Perché ti comporti come avessi appena ricevuto una terribile notizia?»

Jongdae non prestava attenzione al marito. La sua mente sfrecciava da un pensiero all'altro. Doveva organizzare la casa. Sì, prima di tutto venivano i suoi doveri. A Dogo serviva un bel bagno. Non era tempo di insegnare a quel cane un po' di buone maniere? Non gli avrebbe certo permesso di ringhiare alla mamma.

Minseok prese il marito per le spalle e gli ordinò di rispondere. Lui gli chiese di ripetere la domanda.

«Perché non è una bella notizia, marito?»

«La notizia è stupenda», rispose Lui scandendo bene le parole e facendole seguire da uno sguardo stupito, come se lui avesse perso la ragione. «Non vedo la mamma da più di quattro anni, Minseok. Sarà un graditissimo incontro.»

«Allora perché sembri così spaventato?»

Jongdae liberò dalle mani di Minseok e cominciò a camminare avanti e indietro di fronte al camino.

«C'è molto da fare prima che arrivi», spiegò. «Dogo avrà bisogno di un bagno. La fortezza dev'essere ripulita da cima a fondo. Il tuo cane non dovrà ringhiare alla mamma, Minseok. Gli insegnerò un po' di buone maniere. Oh, le buone maniere.» Si girò di scatto verso suo marito. «I Park non le conoscono.»

L'ultima osservazione era stata quasi un gemito. Minseok non sapeva se ridere o preoccuparsi per l'ansia di lui.

Finì col sorridere e Jongdae rispose accigliandosi. «Non lascerò che si insulti mia madre», sbottò.

«Nessuno intende insultarla, marito.»

«Non voglio nemmeno che la si deluda. Mi ha educato per essere un bravo marito.» Si mise le mani sui fianchi e rimase in attesa. Suo marito non aveva niente da dirgli. «Allora?» lo spronò, vedendo che si ostinava a restare muto.

Lui sospirò. «Allora cosa?»

«A questo punto dovresti dirmi che sono un bravo marito», gridò, chiaramente frustrato.

«Va bene», cercò di placarlo Minseok. «Sei un bravo marito.»

Lui scosse la testa. «No, non lo sono», disse tristemente.

Minseok alzò gli occhi al cielo. Non capiva cosa volesse da lui. Pensò che glielo avrebbe detto una volta ripreso il controllo, e attese con pazienza.

«Ho trascurato i miei doveri. Comunque, è tutta acqua passata. Da stasera comincerò a insegnare ai tuoi uomini le buone maniere.»

«Suvvia, Jongdae», cominciò lui. «Gli uomini sono...»

«Non interferire, Minseok. Non ti devi preoccupare. I soldati ascolteranno le mie istruzioni. Pensi che sarai a casa per cena?» gli chiese.

Quella domanda lo confuse. Era già a casa, dannazione, e la cena sarebbe stata servita poco dopo.

«Io sono a casa», gli ricordò. «E la cena...»

Voleva digli che la cena sarebbe stata servita a breve ma lui lo lasciò finire. «Devi andare.»

«Cosa?»

«Vai a prendere Jun, marito. Ho avuto molta pazienza con te», aggiunse, vedendo l'espressione infastidita di lui. «Tuo figlio dovrà essere a casa quando arriverà la mamma. Jun probabilmente avrà bisogno di un bagno. Lo porterò al ruscello con Dogo. Chissà sa che cos'ha imparato finora tuo figlio. Probabilmente nulla.» Si fermò per sospirare. «Vai a prenderlo.»

Provò a lasciare la sala dopo avergli dato quell'ordine. Minseok lo prese per mano e lo costrinse a voltarsi.

«Non darmi ordini, marito»

«Non posso credere che approfitti dell'occasione per diventare scontroso, marito. Oggi non ho il tempo di calmarti. Devo occuparmi di molte cose importanti», aggiunse. «Voglio che Jun torni a casa. Pensi di mettermi in imbarazzo di fronte a mia madre?»

Minseok voleva che suo marito fosse felice. Decise di spiegargli la verità.

«Jun resterà con i suoi parenti finché...»

«Quel muro non finirà mai», lo interruppe lui.

«C'è un'altra ragione»

«Quale?»

«Non lo voglio qui finché i Kim e i Park non avranno superato i loro contrasti. Non voglio che Jun riceva... qualche offesa.»

Fino a un istante prima Jongdae si dibatteva per liberarsi dalla stretta di lui, ma dopo quella spiegazione rimase impietrito. La sua espressione era incredula.

«Perché qualcuno dovrebbe offendere Jun? È tuo figlio, no? Tu l'hai riconosciuto. Non puoi cambiare idea adesso. Jun ti crede suo padre, Minseok...»

Minseok gli coprì la bocca con la mano per impedirgli di continuare. Il suo sorriso era colmo di tenerezza, perché in quel momento ricordò che il suo dolce sposo non aveva mai accennato a negare i diritti di Jun in quella casa. Diavolo, non faceva che chiedergli per lui un trattamento adeguato.

Meritava di conoscere i motivi per cui teneva il bambino lontano. Lo guidò verso una sedia, vi si accomodò e lo prese sulle ginocchia.

Lui subito divenne timido. Non era abituato a sedersi in braccio al marito. Chiunque avrebbe potuto entrare e vederli insieme. Se ne preoccupò per qualche istante, quindi accantonò il pensiero. Che gli importava di quello che pensavano gli altri? Minseok era suo marito, dopotutto. E quello era suo diritto. Inoltre gli piaceva essere tenuto stretto da lui.

A dire il vero quell'uomo cominciava a piacergli più di quanto avesse mai creduto possibile.

«Smetti di fantasticare», gli ordinò Minseok vedendo l'espressione del suo volto. Sembrava intento a sognare con lo sguardo perso nel vuoto. «Voglio spiegarti qualcosa.»

«Sì, marito?»

Gli circondò il collo con un braccio e cominciò ad accarezzarlo. Minseok gli intimò di smettere, ma lui ignorò l'ordine. Minseok si accigliò.

«Quando i Kim si sono trovati in grande bisogno di un capo che li guidasse durante la guerra, mi hanno mandato a chiamare.»

Jondgae annuì, chiedendosi perché volesse spiegargli ciò che già sapeva. Comunque non lo interruppe. Aveva un'espressione concentrata, e sarebbe stato scortese fermarlo per dirgli che sapeva già com'era diventato signore. Junmyeon gli aveva spiegato la situazione.

Inoltre era la prima volta che Minseok divideva con Lui le sue preoccupazioni. Che lo capisse o meno, lo faceva sentire parte della sua vita, e importante.

«Per favore, continua», lo spronò.

«A battaglia conclusa i Kim sono stati lieti di avermi come signore. Ovviamente non avevano alternative», aggiunse con un cenno del capo. «Non sono stati altrettanto disponibili con i miei uomini.»

«Ma i soldati Park non hanno lottato al fianco dei Kim?»

«Sì.»

«E allora perché i Kim adesso non sono loro riconoscenti? Hanno dimenticato tutto?»

Minseok scosse la testa. «Non tutti potevano combattere. Woojin è un esempio. Ora è troppo vecchio per le battaglie. Pensavo che, col tempo, i Kim e i Park avrebbero imparato a tollerarsi, ma adesso capisco che non accadrà. La mia pazienza è esaurita, marito. Gli uomini dovranno andare d'accordo e lavorare insieme, o subire la mia collera.»

Quando finì la spiegazione stava ringhiando come Dogo. Lui gli accarezzò il collo. «Che cosa succede quando sei in collera?»

Lui scrollò le spalle. «Di solito uccido qualcuno.»

Certo stava scherzando. Gli sorrise. «Non permetterò duelli in casa mia, marito. Dovrai andare da qualche altra parte a uccidere qualcuno.»

Minseok era troppo stupito per offendersi. Aveva appena definito 'casa sua' la fortezza. Era la prima volta, perché fino a quel momento l'aveva sempre chiamata la casa di suo marito. Minseok non si era reso conto fino a quel momento di quanto gli avesse dato fastidio.

«È casa tua?»

«Sì», rispose «Non è vero?»

«Sì. Jongdae, voglio che tu sia felice qui.»

Sembrava confuso dalla sua stessa ammissione. Jongdae non poté evitare di imbronciarsi un poco.

«Sembri sorpreso», gli disse. Che occhi belli aveva. Pensò che avrebbe potuto passare giornate intere a fissarlo senza stancarsi. Era davvero uno stupendo demonio.

«Sono sorpreso», lo corresse lui.

Minseok d'improvviso desiderò baciarlo. Dannazione, gli piaceva anche l'espressione imbronciata con cui lo fissava. Scosse la testa rendendosene conto.

«Alcuni mariti vogliono la felicità dei propri consorti», disse Jongdae ad alta voce. «Mio padre certo voleva che la mamma fosse felice.»

«E tua madre cosa voleva?»

«Amare mio padre», rispose.

«E tu cosa vuoi?»

Lui scosse la testa. Non intendeva dirgli che voleva amarlo. Una simile dichiarazione l'avrebbe reso vulnerabile... o no?

«So cosa vuoi tu», esclamò nel tentativo di distogliere l'attenzione dai propri sentimenti. «Vuoi che mi sieda accanto al fuoco a leggere tutte le sere, e che mi riposi tutti i giorni. Ecco cosa vuoi.»

Si era quasi irrigidito tra le sue braccia. Ora non gli accarezzava più il collo. Gli tirava i capelli.

«Oh, ho dimenticato un'ultima cosa», esclamò Jongdae. «Vuoi che io rimanga dove vengo lasciato, giusto?»

«Non scherzare con me, Jongdae. Non è il momento.»

Non stava scherzando, ma pensò che non sarebbe stata una buona idea dirglielo. Non intendeva attizzare la sua collera. Voleva che restasse di buonumore lasciandolo fare a modo suo.

«Ci sono tanti modi per spellare un pesce», disse.

Minseok non capiva di che cosa diavolo stesse parlando, ma pensò che probabilmente non lo capiva neppure lui. Per questo non gli chiese spiegazioni.

«Credo che, col tempo, ci abitueremo l'uno all'altro», gli disse.

«A sentirti sembrerebbe che tu stia parlando dei Kim e dei Park», gli rispose Jondgae. «Ti stai abituando a me?»

«Ci vuole più tempo del previsto.»

Minseok lo stava deliberatamente punzecchiando. Jongdae cercò di non mostrargli quanto quella dichiarazione lo infastidisse. La prova, comunque, era nei suoi occhi. Ora erano un fuoco. Sì, era davvero irritato.

«Non ho molta esperienza in fatto di matrimoni», gli ricordò.

«Io sì», esclamò Jongdae.

Lui scosse la testa. «Tu non eri sposato. Tu eri uno schiavo. C'è differenza.»

Non poteva negarlo: era stato in schiavitù. Comunque non intendeva indugiare sul passato. «Il mio matrimonio che cosa c'entra con l'argomento in discussione?»

«Qual era esattamente l'argomento?»

«Jun», farfugliò «Ti stavo spiegando che ci sono tanti modi per spellare un pesce. Non capisci?»

«Come potrei capire? Qui nessuno spella i pesci.»

Jongdae pensò che volesse deliberatamente fare il testardo. Certamente non apprezzava i saggi proverbi. «Intendevo dire che ci sono sempre tanti modi per raggiungere un obiettivo», gli spiegò. «Non dovrò usare la forza per convincere i Park a comportarsi bene. Mi servirò di altri metodi.»

Finalmente lui parve riflettere sul problema. Lui insistette: «Mi hai detto che devo fidarmi di te. Più precisamente, me l'hai ordinato», gli ricordò. «Ora ti do lo stesso ordine. Affidami Jun con fiducia. Per favore, riportalo a casa.»

Lui non poteva rifiutare. «Va bene», sospirò. «Andrò a prenderlo domani, ma sarà solo per una breve visita. Se tutto andrà bene, potrà fermarsi. In caso contrario...»

«Andrà tutto bene.»

«Non lo metterò in pericolo.»

«No, naturalmente.»

Jongdae cercò di alzarsi. Lui lo trattenne stringendolo.

«Jongdae?»

«Sì?»

«Ti fidi di me?»

Lui lo fissò a lungo negli occhi. Minseok pensò che ci stesse riflettendo prima di rispondere. Ciò bastava a irritarlo. Erano sposati da più di tre mesi ormai, ed era un tempo sufficiente per imparare a fidarsi di lui.

«La tua esitazione mi irrita», esclamò.

Jongdae non parve particolarmente preoccupato. Gli sfiorò la guancia con la mano. «Si vede», gli sussurrò. «Sì, Minseok, mi fido di te.»

Si piegò in avanti e lo baciò. La convinzione che sentiva nella voce di Jondgae, unita a quella dimostrazione d'affetto, lo fece sorridere.

«Tu ti fidi di me?»

Minseok stava per scoppiare a ridere quando capì che era serio

«Un guerriero non si fida di nessuno, Jongdae, con l'eccezione del suo signore, ovviamente.»

«Così i mariti non devono fidarsi dei compagni?»

Lui non lo sapeva. «Non credo sia necessario.» Si strofinò il mento, quindi aggiunse: «No, sarebbe follia».

«Minseok?»

«Sì?»

«Mi fai venir voglia di strapparmi i capelli.»

«Vi chiedo scusa, mio signore» Era Hyuna che lo chiamava dalla porta. «Posso rubarvi un momento vostro marito?»

Jongdae balzò dalle gambe del marito. Stava arrossendo quando si voltò verso la cuoca invitandola a entrare.

«Chi è con Yixing?» chiese.

«In questo momento Baekhyun», rispose Hyuna.

Jongdae annuì. Minseok si alzò. «Perché non mi hai detto che si era svegliato?» chiese al marito.

Si avviò alla scala senza dargli il tempo di rispondere. Jongdae gli corse dietro. «Gli ho assicurato che può fermarsi qui.»

Suo marito non rispose. Lo seguì sulle scale evitando Dogo.

«Che cosa pensi di fare?»

«Voglio solo parlargli, Jongdae. Non è il caso che ti preoccupi.»

«Non può fare lunghe conversazioni, marito»

Quando arrivarono davanti alla porta Baekhyun stava uscendo dalla stanza, e Minseok entrò subito, seguito da Jondgae.

«Aspetta fuori, mentre gli parlo», ordinò Minseok.

«Potrebbe aver paura di te, marito.»

«Allora dovrà sopportare la paura.»

Poi gli chiuse la porta in faccia. Jongdae non sprecò tempo a sentirsi offeso per tanta durezza. Era troppo preoccupato per Yixing.

Appoggiò un orecchio alla porta cercando di sentire. Baekhyun scosse la testa e lo scostò.

«Lasciate a vostro marito un po' di riservatezza» disse. «Ormai dovreste sapere che il nostro signore non farebbe mai del male a nessuno.»

«Oh, questo lo so», si affrettò a dichiarare Jongdae. «Però Yixing potrebbe non saperlo.»

Jondgae aspetto fuori dalla stanza per tutto il tempo, al suo fianco Baekhyn cercava di calmarlo ogni qual volta fosse tentato di lanciarsi all'interno per scoprire di cosa stessero parlando. Poco dopo Minseok uscì, richiudendosi la porta alle spalle.

«Rifiuta di dirmi il nome del colpevole.» disse.

«Forse non lo conosce neppure», suggerì Jongdae prendendo istintivamente le difese di Yixing.

«Mi ha detto di aver trascorso una notte con quel soldato, Jongdae. Credi davvero che non si sia preoccupato di chiedergli il suo nome?»

«Minseok, non occorre che alzi la voce con me.»

Dopo aver rivolto al marito uno sguardo adirato, cercò di superarlo per entrare nella stanza di Yixing. Lui l'afferrò per il braccio.

«Lascialo riposare», ordinò. «Si è addormentato mentre gli facevo ancora delle domande. Se non avesse il viso così deformato dalle percosse, farei salire a turno tutti i miei uomini a guardarlo. Forse il vederlo risveglierebbe a qualcuno la memoria».

«Dunque credete che un Kim...»

«No, non credo che qualcuno di loro sia responsabile», disse Minseok. «I miei sono uomini d'onore.»

«Yixing ha detto che era un Kim?» chiese Jongdae.

Lui scosse la testa. «Non ha risposto neppure a questa domanda.»

«Minseok, Chanyeol è tornato dalla fortezza dei Zhang!»

L'annuncio era gridato da Jongin sulla porta d'ingresso. Minseok si congedò dal marito con un cenno del capo e scese al piano inferiore. Uscì sbattendo le porte con tanta violenza da rischiare di scardinarle. Jongin si affrettò a seguirlo.

Jongdae trascorse l'ora successiva lottando con Dogo per togliergli i punti. Lui si comportava come un bambino, e quando finalmente ebbe concluso il lavoro dovette fermarsi a coccolarlo. Era seduto sul pavimento e il cane, ignaro delle proprie dimensioni, cercò di saltargli in grembo.

Era ormai certo di puzzare come Dogo, e decise che era tempo di sottoporlo a un bel bagno.

Baekhyun gli procurò una corda. Jongdae ne legò un'estremità intorno al collo dell'animale, prese il suo sapone alla rosa e trascinò la bestia fuori dalla porta retrostante, giù per la collina.

Trovò Luhan al pozzo. Jongdae era di malumore. La preoccupazione costante per Yixing, unita alla collera per il vergognoso comportamento di Dogo, gli toglievano le forze. Le braccia erano doloranti per aver trascinato la bestia. Jongdae era consapevole che avrebbe potuto controllare meglio la propria collera se si fosse trovato in un diverso stato d'animo.

Luhan fu abbastanza gentile da salutarlo educatamente prima di chiedergli notizie di Yixing «Non penserete di lasciar dormire quel...ragazzo sotto lo stesso tetto del nostro signore, vero?»

Jongdae si fermò di colpo. Si voltò lentamente a fissare il Park. « Fai silenzio!» gridò. . Quel ragazzo si meritava soltanto un bel calcio nel sedere. Resistette alla tentazione e decise di prendere a calci piuttosto la sua arroganza.

«Non intendevo alzare la voce con voi, Luhan, perché non è colpa vostra se vi hanno spinto a credere che Yixing è un poco di buono. Eppure, considerato il vostro soprannome, avrei pensato che più degli altri vi sareste riservato di giudicare solo dopo avere tutti gli elementi. Non vi avrebbero soprannominato così se non lo meritaste, vero?» chiese. Annuì rivolgendosi alle altre donne appoggiate al muro.

Luhan scosse la testa. Sembrava confuso e diffidente. Jongdae raddolcì il suo sorriso. «Abbiamo solo la parola di Jeon secondo cui Yixing non si è comportato in modo onorevole, e non crederemo certo a quello che dice quell'uomo, vero? Yixing è un'ospite benvenuto in casa mia. Mi aspetto che venga trattato con dignità, e rispettato. Scusatemi, ora. Io e Dogo stiamo andando al ruscello. Buona giornata, Luhan.»

Jongdae rafforzò la presa sulla corda e si allontanò. Cominciò mentalmente a contare. Sentiva le donne alle sue spalle bisbigliare fra loro. Dubitò che Luhan potesse reprimere la sua curiosità per più di un minuto.

Il ragazzo infatti lo chiamò prima che avesse contato fino a dieci.

«Quale soprannome avete sentito, mio signore?»

Jongdae si girò con calma. «Suvvia, Luhan, credevo lo sapeste. Vi chiamano Puro.»

Luhan sussultò, impallidendo visibilmente. Jongdae avrebbe dovuto sentirsi colpevole per quella menzogna. Invece no. Luhan si riteneva molto perspicace con i suoi soprannomi bisbigliati alle spalle. Era convinto che Jongdae non sapesse che significavano il contrario di quanto dicevano.

«Dogo», mormorò, «lo lasceremo bollire fino a domani. A quel punto Luhan avrà capito com'è crudele il suo gioco. Allora gli dirò di avere inventato il nome.»

Il senso di colpa non gli permise però di aspettare tanto a lungo. Alla fine del bagno al cane si sentiva malissimo.

Decise di andare a casa di Luhan per confessargli la verità. Era bagnato fradicio, grazie allo sfrenato comportamento di Dogo nel ruscello, e ricevette diverse occhiate incredule mentre tornava al pozzo.

«Jondgae, che cosa vi è successo?»

La domanda era di Kyungsoo. Arretrò alla vista del cane mentre aspettava una risposta.

«Ho fatto il bagno a Dogo. E lui mi ha trascinato nel ruscello», spiegò Jongdae. «Due volte, per essere preciso. Dove abita Luhan? Vorrei scambiare qualche parola con lui.»

Kyungsoo gli indicò un villino. Jongdae si avviò trascinandosi dietro il cane, e mormorando contro la sua testardaggine. Raggiunse la casa, esitò solo un momento per scostarsi i capelli dal viso, e bussò alla porta.

Andò ad aprire Luhan, e spalancò gli occhi al vederlo. Jongdae notò che sembravano rossi per le lacrime. Le sue crudeli parole l'avevano fatto piangere? Il senso di colpa si fece più acuto. Era anche un po' sorpreso, perché Luhan non sembrava tipo da piangere.

In quel momento scorse il marito di Luhan seduto al tavolo. Non voleva che sentisse quanto aveva da dire.

«Mi potete concedere un istante del vostro tempo, Luhan? Vorrei parlarvi da solo.»

«Sì, certo», rispose Luhan <<Sehun, torno subito>> lo avvisò, ma il marito si avvicinò alla porta.

Vennero fatte le presentazioni. Il marito di Luhan era di almeno diversi centimetri più alto di lui. Aveva i capelli castani e il suo sorriso sembrava sincero.

Jongdae venne invitato a entrare, ma declinò educatamente l'invito prendendo a pretesto le sue pietose condizioni.

Quando Luhan si fu chiuso la porta alle spalle, Jongdae lo invitò ad avvicinarsi.

Luhan accennò ad avanzare, ma si fermò bruscamente. A quanto sembrava, il sordo ringhio di Dogo l'aveva spaventato.

Jongdae ordinò al cane di smettere, quindi si scusò.

«Sono venuto a dirvi che quel soprannome me lo sono inventato. Nessuno vi chiama Puro», disse. «L'ho fatto per dispetto, Luhan, e mi pento. Vi ho causato inutili preoccupazioni, ma a mia difesa dirò che pensavo di darvi una lezione. Fa male vedersi puntare addosso le proprie armi, vero?»

Luhan non rispose, ma era impallidito. Jongdae annuì. «So che siete stato voi a inventare il mio soprannome. So anche che quando mi chiamavate Coraggioso volevate dire che ero un codardo.»

«Sono cose di prima», farfugliò Luhan.

«Prima di cosa?»

«Prima di conoscervi bene e di sapere che non siete affatto un codardo»

Jongdae non intendeva farsi convincere da quel piccolo complimento. Era certo che Luhan stesse solo cercando di uscire da una situazione imbarazzante.

«Non m'importa dei vostri stupidi scherzi», disse «Se mi ritenete un codardo, abbiate il coraggio di dirmelo in faccia. Non giocate agli indovinelli. Fanno male».

Se Luhan avesse continuato ad annuire con tanta veemenza forse si sarebbe spezzato il collo.

«L'avete detto al signore?» chiese.

Jongdae scosse la testa. «Non è un problema che lo riguardi.»

«Smetterò di dare soprannomi», disse allora Luhan. «E vi chiedo scusa se la mia crudeltà vi ha ferito.»

«Voi siete stata ferito dalla mia?»

Luhan non rispose per un istante. Poi annuì. «Sì», mormorò.

«Allora siamo pari. Woojin non è pazzo», aggiunse. «È davvero intelligente. Se passaste del tempo con lui, ve ne accorgereste.»

«Sì.»

«Bene», concluse Jongdae. «Abbiamo risolto un problema. Buona giornata, Luhan.»

Fece un inchino e si girò per allontanarsi. Luhan lo seguì fino al sentiero. «Vi chiamavamo Coraggioso finché non avete rimesso in sesto Dogo. Poi vi abbiamo cambiato nome.»

Jongdae era deciso a non chiederlo, ma la curiosità ebbe la meglio. «E quale avete scelto?»

Si preparò a sostenere l'insulto che sapeva sarebbe arrivato.

«Timido.»

«Timido?»

«Sì. Vi chiamiamo Timido»

Jongdae d'improvviso si sentì di buonumore. Sorrise camminando verso casa.

Lo chiamavano Timido. Era un buon inizio.

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