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Probabilmente qualche giustificazione era necessaria, si disse, e con un po' di tempo avrebbe certo escogitato qualcosa di plausibile. Jongdae decise che non si sarebbe mosso di lì prima di esserci riuscito.
A Minseok serviva tutta la sua concentrazione per tenere l'ira sotto controllo. Tornò a guardare in basso e contò un'altra volta i dieci lupi morti, solo per accertarsi di non essersi sbagliato. Poi alzò gli occhi su di Jongdae.
Non si era affrettato ad ubbidirgli. A dire il vero non poteva farlo. La minaccia dei lupi non era ancora passata. Uno l'aspettava ancora là sotto, pronto ad avventarsi su di lui.
«Jongdae, scendi.»
Non gli piacque quel tono di voce burbero. Gli avrebbe fatto notare anche questo, ma non credeva che la sua opinione potesse turbarlo molto. Pensò che fosse meglio cercare di assecondarlo.
Sfortunatamente le sue gambe rifiutavano di accontentarlo. Le cosce erano rimaste strette intorno al ramo così a lungo da sembrare fatte di gelatina, ora che cercava di muoverle lungo il tronco.
Infine Minseok dovette salire a prenderlo. Fu costretto a staccargli le dita dal ramo. Sembrava che non riuscisse a toglierle da solo.
Minseok si mise le mani di Lui intorno al collo, quindi l'attirò a sé. Con una mano lo stringeva in vita, con l'altra restava aggrappato al tronco per non scivolare.
Per un lungo istante non si mosse. Jongdae non si rese conto del freddo che aveva finché il calore di lui non cominciò a scaldarlo. Ora tremava.
Notò che tremava anche lui. Era tanto furioso da tremare per la rabbia?
«Minseok?»
Il panico che sentì nella voce di Lui lo ammorbidì. «Dannazione, smettila di aver paura di me», disse in un sussurro incollerito «A dire il vero mi piacerebbe inculcarti un po' di buonsenso con la forza, ma non ti farei mai del male.»
Quel rimprovero lo colpì. In fondo non aveva fatto nulla per irritarlo... eccetto forse l'ignorare il suo ridicolo ordine di riposarsi. Sì, si disse, aveva ignorato quel suggerimento.
«Ho già smesso di aver paura di te, dannazione», gli mormorò contro il collo. Poi sospirò. Minseok rispettava la sincerità, e capì che l'avrebbe solo irritato maggiormente se non gli avesse dato subito una spiegazione completa.
Sembrava pronto a strangolare qualcuno. «Non ho sempre paura di te», si affrettò a ripetergli. «Perché sei così arrabbiato?»
Lui non rispose alla sua domanda. Non poteva. Rischiava ancora di mettersi a urlare. Doveva essere certo di avere il controllo completo sulla collera prima di spiegargli che gli aveva tolto vent'anni di vita con quello spavento.
Lo strinse ancor di più. La sua domanda doveva averlo sconvolto, ma non riusciva a immaginarne la ragione. Dopotutto non sapeva leggere nel pensiero. Pensò di dirglielo, ma cambiò subito idea. Non gli avrebbe certo giovato aumentare la sua collera.
Decise di cambiare argomento. Tentò con i complimenti, pensando di fargli piacere. «Avevi ragione, marito. I boschi sono infestati dai lupi.»
Era la frase meno opportuna. Giunse a quella conclusione quando lui rafforzò la stretta e sospirò con un brivido.
«Ti sto bagnando tutto, signore», esclamò allora, cercando di distoglierlo dall'infelice riferimento ai lupi.
«Sei completamente fradicio», replicò lui. «Ti prenderai la febbre e morirai in una settimana.»
«No», protestò. «Mi metterò dei vestiti asciutti e starò bene come sempre. Mi togli il respiro stringendomi così, marito. Lasciami più spazio.»
Minseok ignorò la sua richiesta. Dopo un'imprecazione si mosse bruscamente. Lui si strinse di più al suo collo e chiuse gli occhi. Lasciò che fosse lui a preoccuparsi di scostargli i rami davanti al viso mentre scendevano.
Non gli permise di camminare. Lo portò vicino al suo cavallo, lo sollevò sulla sella e ve lo lasciò ricadere senza troppa gentilezza.
Minseok, che gli dava la schiena, ordinò loro di occuparsi dei lupi. Chanyeol e Jongin scesero di sella con un balzo e si affrettarono a legare le carcasse per il collo.
«Portateli sulla cima e bruciateli», ordinò Minseok. Gettò le redini della giumenta di Jongdae a Junmin, ordinando a lui e agli altri soldati di tornare alla fortezza.
Voleva stare un momento da solo con suo marito.
Chanyeol gli rivolse uno sguardo di compassione prima di partire. Ovviamente pensava che si sarebbe scatenato l'inferno contro di lui. E lo stesso valeva per Jongin, se la sua espressione cupa non ingannava.
Jongdae tenne la testa alta, si strinse le mani in grembo e si impose un atteggiamento tranquillo.
Minseok attese che i soldati fossero partiti prima di voltarsi dalla sua parte. Gli pose una mano sulla coscia perché Lui lo guardasse.
«Non hai niente da dirmi, marito?»
Lui annuì. Poi attese. «Dunque?» lo spronò infine lui.
«Vorrei che ti passasse la rabbia.»
«Non è questo che volevo sentirmi dire.»
Jongdae mise la mano sulla sua. «Ti aspetti delle scuse, vero? Benissimo. Scusa se non ho rispettato il tuo suggerimento di riposare.»
«Suggerimento?»
«Non occorre che alzi la voce con me, marito. È sgarbato farlo.»
«Sgarbato?»
Non capiva perché ripetesse quello che Lui gli diceva. Minseok invece non capiva perché non fosse isterico dopo l'incontro con i lupi. Capiva quello che sarebbe potuto accadere?Quelle bestie selvagge avrebbero potuto dilaniarlo.
«Jongdae, mi devi promettere che non lascerai più la fortezza senza una scorta adeguata.»
Aveva la voce rauca. Pensò che doveva essere a causa dello sforzo per impedirsi di gridare. Se era così, allora suo marito mostrava davvero delle attenzioni verso i suoi sentimenti.
«Mio signore, non voglio diventare prigioniero in casa mia», gli spiegò. «Ho dovuto ricorrere all'inganno solo per andare un po' a caccia. Dovrei essere libero di andare e venire a mio piacimento.»
«Non lo sarai.»
«E con una scorta?»
«Dannazione, Jongdae, è quello che ti ho appena...»
«Suggerito?»
«Io non suggerisco. Io esigo una promessa da parte tua.»
Gli toccò dolcemente la mano. Lui tuttavia non era disposto a farsi raddolcire. Gli indicò un punto sotto l'albero dove era rimasto il suo abito lacerato. «Non capisci che avresti potuto farti ridurre in un momento come il tuo abito?»
La verità stentava a farsi avanti in lui. Spalancò gli occhi sorpresa. Minseok pensò che finalmente cominciasse a comprendere il pericolo corso. Annuì. «Sì, avrebbero potuto ucciderti, marito.»
Jongdae sorrise. Non era la reazione da Minseok sperata. Come poteva insegnargli la prudenza se Lui non si rendeva conto dei pericoli che lo circondavano?
La guardò, frustrato. «Mi sto abituando ad avere un marito, Jongdae. Tu però mi rendi difficile l'adattamento. Perché, adesso sorridi?>>
«Capisco solo ora, mio signore, che la tua collera è dovuta al rischio di perdermi. Credevo fossi sconvolto perché ho ignorato il tuo suggerimento di riposare. Ora capisco», aggiunse annuendo col capo. «In realtà stai cominciando a volermi bene. Il tuo cuore si è ammorbidito, vero?»
Non era disposto a lasciargli trarre conclusioni così ridicole. Scosse la testa. «Sei mio marito e ti proteggerò sempre. È mio dovere, Jongdae. Ma io sono prima di tutto un guerriero. Sembri aver dimenticato questo importante dettaglio.»
«Cosa c'entra l'essere un guerriero con il tuo atteggiamento verso di me?»
«I problemi di cuore non mi riguardano»
Lui raddrizzò le spalle. «Non riguardano nemmeno me», replicò perché capisse che non veniva ferito dalla sua opinione. «E anch'io ho dovuto abituarmi ad averti intorno.»
Dall'espressione negli occhi di Jongdae, Minseok capì di averlo ferito. Gli si avvicinò, gli prese la testa fra le mani e lo strinse a sé, baciandolo intensamente. Quando si ritrasse, Jongdae quasi cadde dalla sella. Dovette tenerlo perché non scivolasse.
«Voglio la tua promessa prima di ripartire.»
«Lo prometto.»
La pronta obbedienza di Jondgae migliorò il suo umore, ma non durò a lungo. Dannazione, era pronto a stuzzicare nuovamente la sua collera.
«Esattamente che cosa ti ho promesso, mio signore?»
«Hai promesso di non lasciare più la fortezza senza un'adeguata scorta!»
Non voleva gridare ma, Jongdae lo rendeva furioso. Di che avevano parlato negli ultimi dieci minuti?
Jongdae gli sfiorò il collo con le dita. Tutto quello che desiderava era raddolcire l'espressione severa di lui. Aggiunse un piccolo elogio alla sua carezza affettuosa.
«A dire il vero mi confondi quando mi baci. Per questo motivo ho dimenticato quello che ti avevo promesso, signore.»
Non poteva biasimarlo per aver dichiarato il vero. C'erano momenti in cui anche lui era stordito dai suoi baci. Certo non gli capitava spesso come a suo marito, si disse.
Jongdae passò la gamba sulla sella nel tentativo di scendere. Minseok rafforzò la stretta sui suoi fianchi per non consentirglielo.
«Vorrei mostrarti qualcosa», disse «Pensavo di aspettare fino a domani, immaginando che ci avresti messo del tempo per dimenticare il piccolo incidente di oggi, ma ho cambiato idea, Minseok. Voglio mostrartelo ora. La sorpresa migliorerà il tuo umore. Fammi scendere.»
«Non dimenticherò mai l'incidente di oggi», mormorò lui. Sempre accigliato, l'aiutò a scendere, poi lo tenne per mano mentre Lui cercava di allontanarsi.
Si fermò a prendere l'arco dalla sua sella, quindi lo seguì all'interno della caverna. Dovette abbassarsi e infilarsi di lato per superare l'ingresso, ma una volta entrato nell'antro, quando vide le botti, smise di brontolare per la scomodità cui suo marito lo costringeva.
L'entusiasmo di Lui gli piaceva più ancora del tesoro scoperto.
«Ora avrai qualcosa di valore da barattare», gli disse. «E non dovrai più rubare. Che cosa ne pensi, mio signore?»
«Ah, Jongdae, tu mi togli la gioia della caccia.»
Minseok scoppiò a ridere all'espressione inorridita di Jongdae. Il suono riecheggiò per la caverna, rimbalzando da una parete all'altra.
Minseok riuscì a mantenersi allegro finché non si rese conto che suo marito era entrato da solo alla ricerca del tesoro.
«Avresti potuto finire nella loro tana!» gridò improvvisamente.
Quel rapido cambiamento d'umore lo colse di sorpresa. Arretrò di un passo dal marito. Lui subito raddolcì il tono di voce. «Che cosa avresti fatto se i lupi ti avessero seguito qui dentro?»
Jongdae capì che stava lottando per controllare la collera. Minseok era davvero un uomo dal cuore buono. Sapeva che a Lui non piaceva sentirlo gridare, e cercava di accontentarlo.
Dall'espressione nei suoi occhi, capì che lo sforzo era per lui immane.
Non osò sorridere. Minseok avrebbe creduto che non prendesse sul serio le sue parole.
«E vero, mio signore, non ho pensato a quella possibilità. Ero tanto eccitato per aver trovato la caverna, da dimenticare ogni cautela. Eppure», si affrettò ad aggiungere quando lui parve pronto a interromperlo, «penso che tutto sarebbe andato bene comunque. Sì, lo penso», aggiunse con un cenno del capo. «Magari avrei rovesciato quelle botti. A dire il vero mi sono arrampicato sull'albero proprio per sfuggire alle orribili belve. Una mi ha afferrato il bordo dell'abito e io...»
L'espressione di suo marito gli disse che non avrebbe dovuto scendere in espliciti dettagli. Minseok si stava nuovamente irritando.
Ormai sapeva che cominciava a preoccuparsi per lui. Il suo cuore si era ammorbidito nei suoi confronti, che volesse ammetterlo o meno. Non sarebbe stato così sconvolto in caso contrario, no?
Jongdae fu lieto di quella prova d'affetto da parte di suo marito finché non si rese conto di quanto fosse importante per lui. Allora cominciò a preoccuparsi. Perché gli importava tanto di quello che lui sentiva nei suoi confronti? Cominciava forse ad amare quel barbaro?
La sola possibilità lo sconvolse. Scosse la testa per rifiutarlo. Non avrebbe permesso a se stesso di diventare così vulnerabile.
Minseok fu sollevato dal vederlo serio. Era anche impallidito. Annuì soddisfatto. Finalente aveva capito che cosa sarebbe potuto accadergli.
«Cominciavo a pensare che fossi del tutto privo di buonsenso», mormorò.
«Ne ho in abbondanza», replicò Jongdae senza modestia.
Lui non intendeva ribattere. Lo riportò all'esterno. Mentre Jongdae aspettava, chiuse l'ingresso con delle grosse pietre perché gli animali non potessero entrare.
Tornarono sullo stesso cavallo alla fortezza. Il sole splendeva nuovamente quando raggiunsero la sommità della collina.
Jongdae si costrinse a mettere da parte ogni timore. Sicuramente poteva controllare le proprie emozioni, e se non voleva amare Minseok, allora, non l'avrebbe amato.
«Sei teso come la corda del tuo arco, marito. Posso capirne il motivo, ovviamente. Infine hai compreso quanto ti sei avvicinato alla morte oggi. Appoggiati a me e chiudi gli occhi. Devi riposare.»
Jondgae fece come suggerito. Voleva comunque l'ultima parola: «Non ho mai pensato di essere vicino alla morte, signore. Sapevo che alla fine tu o gli altri soldati mi avreste trovato. Sull'albero ero al sicuro».
«Ma pur sempre preoccupato»
«Certo che ero preoccupato. C'erano lupi selvaggi che giravano in tondo sotto di me.»
Si stava di nuovo irrigidendo. Minseok lo strinse. «Eri preoccupato anche perché pensavi di deludermi?»
Lui alzò gli occhi al cielo. Suo marito di certo aveva dell'amor proprio. «Pensi che temessi di averti deluso?»
Lui si accigliò indovinando il riso nella sua voce. «Sì, è naturale»,rispose.
«Perché?»
«Perché cosa?»
«Perché dovevo temere di averti deluso?»
Lui emise un lungo sospiro. «Ti eri reso conto di procurarmi inutili preoccupazioni» spiegò.
«Dunque ammetti di esserti preoccupato per me?»
«Dannazione, Jongdae, te l'ho appena detto.»
Lui sorrise. Minseok era di nuovo scontroso. Non si girò a guardarlo in volto, ma sapeva che doveva essere serio. Gli picchiettò il braccio nel tentativo di calmarlo.
«Mi fa piacere sapere che ti sia preoccupato per me, anche se tu lo ritieni un inutile fastidio.»
«Lo è stato.»
Lui ignorò quel rimprovero. «Eppure devi imparare a fidarti di me, mio signore. So badare a me stesso.»
«Non sono dell'umore giusto per le tue battute scherzose, Jongdae.»
«Non stavo scherzando.»
«Sì, invece.»
Jongdae rinunciò a discutere. Dopo averci pensato per qualche minuto, decise che non poteva biasimare suo marito se l'aveva ritenuto incapace di badare a sé. Si era comportato da codardo la prima volta che l'aveva visto, e da allora era rimasto molto timido. No, non poteva biasimarlo se lo riteneva bisognoso di sorveglianza. Col tempo sperava di fargli cambiare idea. Non voleva che suo marito continuasse a ritenerlo un pauroso.
«Jongdae, non voglio che racconti a nessuno delle botti nella caverna.»
«Come desideri, marito. Sai già cosa farne?»
«Ne parleremo più tardi, dopo la cena», promise lui.
Lui Annuì. Poi cambiò argomento. «Come sei riuscito a trovarmi? Pensavo saresti rimasto tutto il giorno a caccia.»
«C'è stato un cambiamento nei piani. Il signore dei Jeon e dieci suoi soldati sono apparsi ai confini.»
«Pensi che vengano a casa nostra?»
«Sì.»
«Che cosa vorranno?»
«Lo scoprirò al loro arrivo», rispose lui.
«Quando sarà?»
«Nel tardo pomeriggio.»
«Si fermeranno a cena?»
«No.»
«Sarebbe sconveniente non invitarli a mangiare con noi.»
Lui scrollò le spalle. Jongdae non ne fu turbato. In veste di consorte, riteneva suo dovere inculcare al marito un po' di belle maniere.
«Devo insegnare ai domestici a preparare i posti al tuo tavolo per gli ospiti», disse.
Attese la replica di lui e fu piacevolmente sorpreso udendo che restava in silenzio.
Portò il suo pensiero al menu, e d'improvviso la colse un timore. Con un sussulto chiese:
«Minseok, non avrete rubato al famiglia dei Jeon, vero?»
«No», rispose lui sorridendo per il tono scandalizzato della domanda.
Jongdae tornò a rilassarsi contro il suo petto. «Allora non dobbiamo temere che siano venuti per combattere.»
«Combattere con solo dieci soldati? No, non c'è da temerlo», rispose lui scandendo lentamente le parole.
Il divertimento nella sua voce lo fece sorridere. Suo marito ora sembrava molto più allegro. Forse il suo buonumore era dovuto al pensiero di avere compagnia.
Si sarebbe assicurato che la cena andasse bene. Lo stufato di coniglio non poteva bastare, a meno che Lui non uscisse ancora a caccia. Rinunciò all'idea. La carne doveva sobbollire diverse ore per ammorbidirsi, e il tempo non sarebbe bastato. Decise che si sarebbe cambiato d'abito per poi scendere subito dalla cuoca a discutere il problema. Hyuna avrebbe saputo come far bastare la pietanza, e Lui ovviamente l'avrebbe aiutata nei preparativi.
Avrebbe voluto potersi sbarazzare dei soldati Park per quella sera. Erano così rumorosi, invadenti e terribilmente rozzi. Il modo in cui facevano a gara a chi ruttava più forte era disgustoso.
Tuttavia non voleva ferire i loro sentimenti. Facevano parte del famiglia di Minseok, e non dovevano sentirsi esclusi.
Avevano ormai raggiunto il cortile del castello. Minseok smontò per primo, poi si avvicinò per aiutarlo. Lo strinse più a lungo del necessario. Lui gli sorrise mentre aspettava che lo lasciasse.
«Jongdae, non cacciarti in altri guai. Voglio che entri e...»
«Lasciami indovinare», lo interruppe. «Vuoi che mi riposi, vero?»
Lui sorrise. Com'era seducente imbronciato. «Sì, voglio che ti riposi.»
Si chinò a baciarlo, quindi si allontanò per ricondurre il cavallo nella stalla.
Jongdae scosse la testa per i ridicoli ordini di suo marito. Come avrebbe potuto riposare quando avevano ospiti a cena?
Si affrettò a entrare, posò sul primo gradino arco e frecce e salì in camera sua. Non gli occorse molto per infilarsi degli abiti asciutti quindi scese di corsa al piano inferiore.
Baekhyun era davanti alla porta d'ingresso, e sbirciava fuori.
«Che cosa fai, Baekhyun?»
«Sono arrivati i soldati Jeon.»
«Così presto?» chiese Jongdae. Andò al fianco della cameriera. «Non dovremmo aprire le porte e accoglierli in casa?»
Baekhyun scosse la testa. Si scostò perché Jongdae potesse vedere fuori e sussurrò: «Qualcosa non va. Guardate i loro volti cupi. Comunque hanno portato un regalo al nostro signore. Vedete quel fagotto davanti al capo?»
«Il loro comportamento è contrastante», disse. «Sono accigliati, ma sembra che abbiano portato un dono per il signore. Forse si fingono soltanto scontrosi.»
«I soldati Jeon sono in collera per qualche ragione», intervenne Baekhyun. «Non sono abbastanza intelligenti per fingere.»
«Qual è il signore?» chiese in un sussurro.
«Il vecchio dagli occhi in fuori sopra il cavallo pezzato», rispose Baekhyun. «Fareste meglio a restare qui, finché vostro marito non deciderà se farli entrare o meno. .»
Jongdae annuì. I volti dei Jeon sembravano di pietra. Jongdae trovò vergognoso quel comportamento. Nessuno si degnava neppure di smontare. Non capivano com'erano offensivi?
Rivolse l'attenzione al capo. Baekhyun aveva ragione. L'uomo aveva davvero gli occhi in fuori, ed era anziano, con la pelle rugosa e le sopracciglia folte. Teneva lo sguardo fisso su Minseok. Jongdae scorse suo marito che arrivava dalla vicina radura. Si fermò a pochi passi dai soldati Jeon.
Il signore disse qualcosa che chiaramente fece infuriare Minseok. Suo marito assunse un'espressione cupa, raggelante. Jongdae non l'aveva mai visto così prima. Rabbrividì. Minseok sembrava pronto al combattimento.
I guerrieri Kim si avvicinarono al loro signore, subito imitati dai Park.
Jeon fece un cenno a uno dei suoi uomini. Il soldato si affrettò a scendere, raggiungendolo prontamente. Somigliava al capo, e Jongdae pensò potesse essere suo figlio. Lo guardò mentre afferrava il lungo fagotto che il signore teneva in grembo. Si aggiustò il peso tra le braccia, si voltò e avanzò davanti al cavallo pezzato. Si fermò a pochi passi da Minseok, alzò il sacco e lo scagliò a terra.
La tela si aprì, sollevando una nuvola di polvere. Quando si dissolse, Jongdae vide qual era il regalo dei Jeon. Un ragazzo, tanto percosso e sanguinante da sembrare irriconoscibile, rotolò sul fianco. Era nudo, e non c'era un punto del suo corpo senza lividi.
Jongdae si scostò dalla porta vacillando. Gemette tra sé. Si sentiva prossimo al vomito. Era così sconvolto dalla vista del ragazzo torturato che avrebbe voluto piangere per la vergogna... o gridare per l'ira.
Non fece nessuna delle due cose. Raggiunse invece il suo arco e le sue frecce.
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