12


«Qualcosa vi preoccupa?»

Jongdae trasalì, quindi si voltò per sorridere a Jongin e Chanyeol. «Mi avete spaventato», ammise, dichiarando ciò che era evidente.

«Non volevamo farlo», replicò il soldato Kim. «Abbiamo notato che sembravate preoccupato, e ci siamo chiesti se potevo fare qualcosa per migliorarvi l'umore.»

«Stavo pensando al tuo signore», rispose <<È un uomo complicato.»

«Sì, lo è», convenne Chanyeol.

«Mi piacerebbe capire in che modo ragiona.»

«Perché?»

Lui alzò le spalle. «Le domande dirette non funzionano», spiegò. «Ma sono tante le vie per entrare in un castello.»

Jongin non capì. «Sì, ci sono due ingressi, tre se contate quello della cantina.»

«Non parlavo della fortezza», spiegò «Intendevo dire che c'è sempre più di un modo per arrivare dove si vuole. Capisci?»

«Ma gli ingressi in un castello restano due soltanto,a», insistette caparbiamente.

Lui sospirò. «Non importa, Jongin.»

Il soldato cambiò argomento. «Uscirete con Woojin questo pomeriggio?»

«Forse», rispose. Si affrettò a salire la scala. Jongin si precipitò ad aprirgli la porta.

«Oggi è giovedì»

Aveva pronunciato di slancio quella frase. Lui sorrise.

«Sì, è vero. Per favore, scusami ma voglio controllare Dogo», disse al soldato che restava al suo fianco. Suppose che volesse sapere quali erano i suoi programmi. Doveva davvero trovare un modo per convincere Minseok che non gli serviva una scorta. Jongin e Chanyeol lo facevano impazzire con i loro inseguimenti. Aveva trovato un sistema per uscire a cavallo quel mattino, ma sapeva che il trucco non avrebbe funzionato un'altra volta. Ora erano più attenti. Inoltre non era dignitoso servirsi degli imbrogli per ottenere ciò che voleva.

Si sfilò la faretra dalle spalle e la posò con l'arco nell'angolo della scala.

«Così sapevate che è giovedì?» chiese Chanyeol.

«Non ci avevo pensato È importante?»

Lui annuì. «Dovreste portare i colori dei Park oggi.»

«Dovrei. Ma ieri...»

«Avevate i colori dei Kim. Lo ricordo benissimo.»

Era evidente che il soldato riteneva quello un errore «È importante che io non mi sbagli, vero?»

«Sì.»

«Perché?»

«Non vorrete oltraggiare una delle due famiglie, vero?»

«No, ovviamente no. Cercherò di stare attento in futuro, e ti ringrazio per avermi fatto notare l'errore. Andrò subito di sopra a cambiarmi.»

«Ma mezza giornata è trascorsa. Ormai potete anche tenere il plaid dei Kim. Dovrete indossare i colori dei Park domani e dopodomani. Così riparerete all'offesa.»

«Dopodomani, invece, dovrà mettersi i colori dei Kim, Chanyeol. È inaccettabile che la moglie di Kim porti i vostri colori per due giorni consecutivi.»

Jongin, ancora sulla porta, si era inserito nella conversazione. Jongdae stava per dargli ragione, ma l'espressione di Chanyeol gli fece cambiare idea. Dal momento che sembrava più irritato di Jongin, decise di schierarsi dalla sua parte.

Nessuno dei due soldati, tuttavia, sembrava particolarmente interessato alla sua opinione.

«Jongin, credo che Chanyeol abbia ragione quando...»

«Non si metterà i colori della tua famiglia per due giorni consecutivi.»

«Invece sì», ribatté Chanyeol con uno sguardo furioso. «Lui si mostra conciliante, Jongin. Faresti bene a seguire il suo esempio.»

«Così hai cambiato idea? Hai detto meno di un'ora fa che volevi restasse dove veniva lasciato.»

«Non era un'offesa. Il mio compito sarebbe facilitato se mi informasse su dove...»

«Da quando sorvegliare qualcuno, così minuto per giunta, è un compito difficile? E già che ci penso, da quando sei tu a decidere dove deve stare? Credo, dal momento che ora è un Kim, che sia mio compito metterlo dove...»

«Nessuno mi metterà da nessuna parte.»

I soldati ignorarono la sua protesta. Ora erano completamente coinvolti nella loro furiosa discussione. Jongdae inizialmente pensava di placarli, ma a quel punto avrebbe voluto piuttosto strangolare tutti e due.

Ricordò che si era ripromesso di andare d'accordo con tutti i membri della famiglia, persino con i comandanti testardi come muli. Dal momento che i due lo ignoravano, lentamente arretrò. Non se ne accorsero. Allora si voltò e si affrettò a scendere i gradini diretta verso il caminetto, dove Dogo stava riposando.

«Sono tutti così testardi, Dogo», sussurrò. Si inginocchiò e accarezzò il cane. «Perché degli uomini adulti dovrebbero preoccuparsi di quello che indosso? Vedo che non hai risposte. Smettila di ringhiare. Ora ti guardo sotto le bende per controllare che la guarigione proceda bene. Non ti farò male. Te lo prometto.»

La ferita stava guarendo rapidamente. Dogo agitava la coda quando Jongdae ebbe finito di risistemargli le bende lodandolo con qualche parolina affettuosa.

Jongin e Chanyeol erano usciti a continuare la discussione. Jongdae salì di sopra, cambiò L'abito con i colori dei Park e tornò nella sala grande per aiutare nei preparativi della cena. Fortunatamente quel giorno erano di turno Kyungsoo e Baekhyun. Le altre non l'avrebbero neppure ascoltato. Seyeon, una donna graziosa dai capelli bianchi, era la prima a offenderla. Era capace di voltarle bruscamente la schiena e allontanarsi indifferente mentre lui le parlava. Yuna era un'altra Park dall'atteggiamento arrogante verso di lui. Jongdae non sapeva come far cambiare comportamento alle due donne, ma era deciso a provarci.

Kyungsoo e Baekhyun erano eccezioni alla regola delle Park di ignorarlo. Sembravano ansiosi di assiterlo. La facilità con cui l'avevano accettato glieli rendeva ancor più simpatici.

«Che cosa volete sia fatto?» chiese Kyungsoo.

«Vorrei che andassi a prendere qualche bel mazzo di fiori di campo per la tavola», rispose Jongdae. <<Baekhyun, io e te stenderemo le tovaglie e disporremo i vassoi.»

«La sala ha un bell'aspetto, vero?» osservò Baekhyun.

Jongdae era d'accordo con lui.. Il profumo di pino si mischiava con la fresca fragranza delle stuoie sul pavimento. Il locale era abbastanza ampio da contenere almeno cinquanta soldati. L'arredamento, tuttavia, era un po' scarso. Lo stava notando quando entrarono due soldati portando due sedie dall'alto schienale.

«Dove credete di metterle?» li aggredì Baekhyun.

«Vicino al caminetto», replicò uno dei due. «Seguiamo gli ordini del nostro signore.»

Baekhyun si accigliò. Stese la tovaglia sul tavolo e la lisciò con la mano. «Mi chiedo perché...»

Jongdae lo interruppe. Prese l'altra estremità della tovaglia e la tirò oltre il bordo opposto del lungo tavolo. «Vuole che mi sieda a leggere accanto al fuoco», spiegò sospirando. I soldati con le sedie attraversarono il locale. Dogo cominciò a ringhiare. I due uomini erano entrambi giovani, e tutti e due evidentemente intimiditi dall'atteggiamento minaccioso dell'animale. Fecero un lungo giro per tenersi a distanza di sicurezza.

Jongdae comprendeva quei timori. Pensò di spiegare ai due che Dogo non li avrebbe aggrediti, ma cambiò idea. I soldati si sarebbero sentiti in imbarazzo scoprendo che Lui aveva notato il loro disagio. Finse dunque di essere troppo intento a stendere la tovaglia per guardarli.

Le sedie vennero sistemate accanto al fuoco. Gli uomini si inchinarono davanti a Jongdae che li ringraziava e si affrettarono a uscire.

Le due poltrone avevano morbidi cuscini e schienali imbottiti. Una, notò, era ricoperta col plaid dei Kim; l'altra con quello dei Park.

«Dannazione, pensate forse che dovrò alternare le poltrone come faccio con gli abiti?»

«Come?» chiese Baekhyun smettendo di disporre il pane sui tavoli. «Non ho capito che cosa intendete dire.»

«Stavo parlando da solo», spiegò Jongdae. Prese parte del pane e si avviò all'altro tavolo.

«Non è stato premuroso da parte di vostro marito pensare a mettervi comodo? Occupato com'è, si è ricordato di farvi portare le sedie.»

«Sì», si affrettò a convenire Jongdae, perché Baekhyun non pensasse che non apprezzava il gesto. «Credo che stasera leggerò un po'. Dovrebbe far piacere a mio marito.»

«Siete un bravo marito se vi preoccupate di farlo contento.»

«No, Baekhyun, non sono un marito molto bravo»

«Ma certo che lo siete», ribatté lentamente Baekhyun.

Minseok entrò in tempo per udire l'osservazione del ragazzo. Si fermò sul gradino più alto, aspettando che suo marito si voltasse e lo vedesse. Era occupato a disporre un vassoio davanti a ogni sgabello.

«Un bravo compagno è sottomesso»

«Essere sottomesse è una cosa brutta?» chiese Baekhyun ridacchiando <<Anche se certo io non sono sottomesso a Chanyeol>> ridacchiò.

«Sembra poco adatta a me», replicò Jongdae cercando un tono di voce allegro per un discorso doloroso.

«Non sembra», dichiarò Baekhyun. «Non vi ho mai visto in disaccordo con qualcuno, soprattutto non con vostro marito.»

Jongdae annuì. «Ho cercato di fare ciò che voleva perché si è dimostrato molto attento ai miei sentimenti. Gli farà piacere vedermi seduto a leggere accanto al fuoco, e dal momento che leggere mi piace, lo accontenterò.»

«È giusto da parte tua, marito.»

Minseok aveva brontolato la sua opinione. Jongdae si voltò a guardarlo, arrossendo per l'imbarazzo.

«Non ti ho mancato di rispetto, mio signore.»

«E io non ho pensato che lo facessi.»

Lo fissò per un lungo istante cercando di capire che cosa stesse pensando. La sua espressione era controllata, e non gli riusciva di comprendere se fosse in collera con Lui o divertito.

Per Minseok era piacevole osservarlo così rosso per l'imbarazzo, ma dal momento che sembrava preoccupato non gli sorrise. Si rese conto che suo marito aveva fatto molta strada da quando si erano sposati: in poco meno di tre mesi aveva vinto il suo timore di lui. Non tremava più al solo vederlo. Era ancora dannatamente timido per i suoi gusti, ma lui sperava che, col tempo e la pazienza, avrebbe vinto anche quel difetto.

«C'è qualcosa che desideri, marito?»

Lui annuì. «Non abbiamo guaritori qui, Jongdae. Dal momento che ti sei dimostrato abile con ago e filo, vorrei che ricucissi anche Jongin. Si è guadagnato un taglio sul braccio da un giovane inesperto che stava allenando.»

Jongdae stava già correndo su per le scale. «Sarò felice di aiutarlo. Vado a prendere quello che mi serve e torno subito. Povero Jongin. Deve soffrire terribilmente.»

Le sue previsioni si rivelarono errate. Quando tornò nella sala grande, Jongin lo stava aspettando. Era seduto su uno sgabello, circondato dalle attenzioni delle donne.

Kyungsoo, Jongdae lo notò, era sconvolto per le condizioni di Jongin. In piedi dalla parte opposta del tavolo, fingeva di sistemare i fiori che aveva raccolto. Aveva gli occhi umidi, e continuava a lanciare occhiate al soldato. .

Il Park evidentemente provava qualcosa per il soldato Kim. E cercava in ogni modo di nascondere i propri sentimenti. Jongdae si chiese se fosse perché Jongin non gli mostrava nessuna attenzione particolare o perché Kyungsoo era un Park e lui un Kim. Una cosa era certa: Kyungsoo stava malissimo. Jongdae sapeva di non doversi intromettere, ma Kyungsoo gli era tanto caro e Lui avrebbe voluto sinceramente aiutarlo.

D'improvviso un'altro Park arrivò di corsa.

«Sarò felice di ricucirti, Jongin», gridò Luhan «Non m'importa se sei un Kim. Farò comunque un bel lavoro.»

Jongdae raddrizzò la schiena e attraversò con decisione la sala. «Per favore, spostatevi», ordinò. «Mi prenderò cura io di Jongin. Kyungsoo? Portami uno sgabello.»

Minseok tornò in sala, vide l'affollamento e subito invitò i presenti a uscire. Jongdae studiò la ferita. Era un taglio lungo e stretto, che partiva dalla spalla sinistra di Jongin e finiva poco sotto il suo gomito. Era abbastanza profondo da richiedere i punti per guarire bene.

«Ti fa male?» chiese con voce colma di comprensione.

«No, per niente.»

Non gli credette. Dispose i suoi strumenti sul tavolo e si sedette sullo sgabello di fronte al soldato. «Allora perché fai quelle smorfie?»

«Ho mandato in collera il mio signore», spiegò Jongin in un basso sussurro. «Questa ferita da nulla è per lui una prova che non prestavo attenzione.»

Dopo aver dato la sua spiegazione, si voltò e fissò Kyungsoo accigliato. Lui subito abbassò gli occhi. Jongdae si chiese se il soldato non ritenesse il ragazzo responsabile per averlo distratto.

Jongin non batté neppure le palpebre mentre lui lavorava alla sua ferita. Gli occorse molto tempo per ripulirla, ma cucirla fu un lavoro rapido. Kyungsoo lo assistette tagliando lunghe strisce di cotone bianco da usare come bende.

«Ecco fatto», dichiarò Jongdae finito il lavoro. «Sei come nuovo, Jongin. Non bagnare le bende, e per favore non tendere i miei punti sollevando pesi. Ti medicherò tutte le mattine», concluse con un cenno di capo.

 Si scostò indietro perché Jongin potesse alzarsi, quindi andò dalla parte opposta del tavolo. Kyungsoo aveva lasciato i fiori sparsi alla rinfusa, e lui si accinse a disporli in un vaso di porcellana pieno d'acqua prima che cominciassero ad appassire.

Minseok si alzò e si rivolse al soldato. La sua voce era piena di collera quando gli ordinò di lasciare la sala. «Torna ai tuoi doveri, Jongin. Hai perso abbastanza tempo. Kyungsoo, rimani qui. Voglio scambiare quattro chiacchiere con te prima che te ne vada.»

L'asprezza nella sua voce stupì Jongdae. Evidentemente era furioso col soldato, e parte della collera si riversava anche su Kyungsoo, che sembrava paralizzato. Jongdae provò pena per lui. Voleva difenderlo, ma decise di scoprire prima di tutto che cosa avesse fatto per irritare il signore.

«Ho appena ordinato a Jongin di non sollevare pesi, mio signore.»

«Lavorerà alla costruzione del muro.»

«Intendi fargli portare le pietre?» Sembrava inorridito.

«Sì.» Lui pareva molto deciso.

«Non può.»

«Lo farà.»

Jondgae prese un fiore e lo infilò bruscamente nel vaso. Non prestava alcuna attenzione a quello che faceva. Era troppo occupato a fulminare suo marito con lo sguardo.

Pensò che forse non era giusto con lui. Minseok semplicemente non conosceva la gravità della ferita di Jongin.

«Il taglio era molto profondo, mio signore. Non dovrebbe lavorare affatto.»

«Non m'importa se perde il braccio. Lui lavorerà.»

«Strapperà i miei punti.»

«Per quello che me ne importa, può usare l'altra mano o spingere le pietre a calci. Kyungsoo?»

«Sì, signore Kim?»

«Non distrarre più i miei uomini quando sono al lavoro. Mi hai capito?»

Le lacrime riempirono gli occhi di Kyungsoo.

Sì, signore Kim. Ho capito. Non accadrà più.»

«Fai in modo che sia così. Ora puoi andare.»

Kyungsoo fece un rapido inchino e si girò per uscire. «Volete che torni domani per aiutare Jondgae?»

Jongdae stava per rispondere di sì, ma Minseok arrivò prima. «Non è necessario. Una donna Kim si farà carico dei tuoi doveri.»

Kyungsoo uscì di corsa. Jongdae era infuriato con suo marito. Gettò un altro fiore nel vaso e scosse la testa.

«Hai calpestato i suoi sentimenti, mio signore.»

«Non saranno i sentimenti a ucciderlo», replicò lui.

«Con questo che cosa vorresti dire?»

«Vieni, Dogo. È ora di andare fuori.»

Jongdae premette il resto dei fiori nel vaso e corse davanti al marito. Si fermò a un solo passo da lui.

Teneva le mani sui fianchi e lo fissava negli occhi.

Suo marito ora non si comportava certo da timido. A dire il vero aveva il fuoco nello sguardo. Minseok era così lieto del coraggio che dimostrava da provare la voglia di sorridere.

Invece si accigliò. «Stai criticando le mie ragioni?»

«Credo di sì, mio signore.»

«Non è consentito.»

Lui cambiò tipo di approccio: «Dire la mia opinione è consentito», gli ricordò. «E la mia opinione è che hai messo Kyungsoo in imbarazzo con i tuoi rimproveri.»

«Sopravviverà.»

Era difficile, ma Lui sostenne il suo sguardo. «Un bravo marito probabilmente lascerebbe cadere la discussione», mormorò.

«Sì, probabilmente.»

Lui sospirò. «Allora non credo di essere un bravo marito , Minseok. Voglio ancora sapere che cosa ha fatto Kyungsoo per mandarti in collera.»

«Ci è mancato poco che facesse uccidere il mio soldato.»

«Davvero?»

«Sì.»

«Ma certo non l'ha fatto di proposito».

Lui si abbassò finché il suo volto non fu a pochi centimetri da quello di Jondgae. «La colpa è di Jongin. A quanto pare deve aver preso la tua malattia, marito. Non prestava attenzione a quello che faceva.»

Lui raddrizzò la schiena. «Ti riferisci al piccolo incidente in cui mi sono trovato coinvolto, marito? Quando accidentalmente sono finito al centro delle tue esercitazioni?»

«Sì.»

«È brutale da parte tua riparlarne.»

Non sembrava turbato dalla possibilità di essere brutale. «Restare vivi è più importante che non avere i sentimenti feriti», mormorò.

«Questo è vero», gli concesse.

Dogo li interruppe abbaiando sonoramente. Minseok si voltò, lo chiamò e lasciò la sala senza neppure un'ultima occhiata al marito. Jongdae ripensò a quella conversazione per tutto il resto del pomeriggio. Sapeva che probabilmente non avrebbe dovuto interferire nelle decisioni del marito riguardanti i membri della sua famiglia, tuttavia non era riuscito a fermarsi. In quei pochi mesi da sposato era giunto ad affezionarsi molto sia a Jongin sia a Kyungsoo, che a Chanyeol e a Baekhyun.

In verità era stato sorpreso dal suo stesso comportamento. In passato aveva imparato a non stabilire legami perché conducevano all'affetto, e così il suo primo marito avrebbe avuto un'arma in più da usare contro di lui. Il suo affetto per il personale domestico avrebbe messo quest'ultimo in pericolo.

«Un brindisi alla bella giornata di lavoro.»

Il grido era di Jongin. I soldati Kim si alzarono tutti con la tazza in mano. I Park li imitarono. Si incontrarono tra i due tavoli, urtarono i bicchieri l'uno contro l'altro e tracannarono quello che restava della loro bevanda. Il resto si era rovesciato sul pavimento.

Jongdae si alzò scusandosi. Salì al piano di sopra a prendere uno dei suoi libri e tornò in sala. Si sedette su una delle poltrone e cominciò a lavorare.

Stava girando la prima pagina quando gli venne chiesto di spostarsi.

«Siete seduto sulla sedia dei Kim», le fece notare Chanyeol. Era in piedi di fronte a Lui con le mani dietro la schiena. Tre altri soldati Park erano alle spalle del comandante. Gli coprivano la luce, e tutti sembravano molto preoccupati per quella che doveva essere una terribile offesa.

Lui sospirò. «È importante dove mi siedo, vero Chanyeol?»

«Sì, Questa sera portate i colori dei Park, Dovete accomodarvi sui cuscini Park.»

I tre soldati intorno al loro comandante annuirono.

Jongdae non sapeva se ridere in faccia a quegli uomini accigliati o mettersi a gridare. Scese il silenzio sul gruppo in attesa delle sue mosse.

«Lasciatelo sedere dove gli pare», gridò un soldato Kim.

Lui trovava tutta la situazione ridicola. Sbirciò dietro i soldati in cerca del marito, sperando in un suo consiglio. Minseok lo stava guardando impassibile. Pensò che lasciava a lui decisione.

Decise di calmare i Park. Era ancora giovedì, dopotutto.

«Grazie per i tuoi suggerimenti, Chanyeol, e per essere tanto paziente con me.»

Si era sforzato di sembrare sincero, ma non era riuscito a nascondere il divertimento nella sua voce. Gli uomini indietreggiarono quando Lui si alzò. Uno addirittura si chinò a prendergli la piccola coperta.

Jongdae passò dall'altra parte del camino e si sedette sulla poltrona dei Park. Si sistemò e riprese a leggere.

Aveva la testa china sul libro. Finse un'intensa concentrazione, poiché i Park lo stavano ancora guardando. Quando udì i grugniti che dovevano essere suoni d'approvazione si morse le labbra per non scoppiare a ridere.

Chanyeol e Jongin restarono Minseok per tutto il resto della serata, intenti ad aggiornare il loro signore sulle ultime novità riguardanti le altre famiglie. Jongdae trovava la conversazione affascinante. Il soggetto erano sempre le lotte, e a Lui sembrava che tutte le famiglie fossero coinvolte in qualche conflitto. Le ragioni che portavano per spiegare le dispute erano per Lui ancora più sorprendenti. Dunque il più piccolo insulto mandava tutto in ebollizione. Uno starnuto era già motivo sufficiente per scendere in guerra.

«Amate così tanto la lotta non è vero?» Jongdae pronunciò ad alta voce la sua domanda senza alzare gli occhi dall'arazzo.

Gli altri attesero che i soldati Park fossero usciti in fila dalla sala prima di rispondere. Jongdae fu lieto di vederli uscire. Erano così rumorosi e smodati che risultava difficile qualsiasi discorso senza gridarne ogni parola.

«Sì, l'amiamo» rispose Chanyeol.

«Qual è il motivo?»

«Viene considerata onorevole», spiegò Jongin.

Jongdae tenne lo sguardo basso sul lavoro mentre chiedeva a suo marito se fosse d'accordo.

«Sì, è onorevole», disse Minseok.

Quel giudizio gli sembrava assurdo. «Sbattere le teste una contro l'altra viene considerato onorevole? Non riesco a immaginarne la ragione, mio signore.»

Minseok sorrise. Il modo di esprimersi di Jongdae, unito al suo tono di voce esasperato, lo divertiva.

«Il combattimento permette agli uomini di mostrare le qualità che loro ammirano più di tutte», spiegò Chanyeol «Il coraggio, la fedeltà al loro capo e la resistenza.»

«Nessun guerriero desidera morire nel suo letto», intervenne Minseok.

Scosse la testa per fargli capire che non credeva a nulla di quelle assurdità, quindi tornò a leggere. Chanyeol e Jongin ripresero ad elencare le loro notizie. Minseok faticava a prestargli attenzione, e teneva lo sguardo fisso sul marito.

Lo incantava. Una gioia mai provata prima gli riempiva il petto. Quando era molto giovane, sciocco e solo si addormentava ogni sera pensando al suo futuro. Fantasticava sulla famiglia che avrebbe avuto.

Le immagini che si costruiva nella mente da ragazzino impedivano alla dura realtà della sua squallida vita di sopraffarlo. La fantasia lo aiutava a sopravvivere.

Sì, era stato terribilmente giovane e fragile allora. Il tempo e l'esperienza, tuttavia, lo avevano indurito, e aveva superato la necessità di quegli stupidi sogni. Non sentiva più il bisogno di appartenenza. Aveva imparato a dipendere solo da se stesso. I sogni erano per i deboli. Sì, si disse, ora era forte e le sue fantasie quasi del tutto dimenticate.

Fino a quel momento. I ricordi tornarono a riversarsi su di lui mentre guardava il marito.

La realtà era terribilmente meglio della fantasia, decise Minseok. Non aveva mai immaginato di avere un compagno bello come Jongdae. Non aveva mai saputo che gioia sarebbe stata, come si sarebbe sentito e quale sarebbe stato il suo bisogno di proteggerlo.

Jongdae alzò casualmente gli occhi e incontrò lo sguardo del marito. La sua espressione lo confuse. Sembrava fissarlo perduto in importanti riflessioni. Sì, probabilmente pensava a qualcosa di preoccupante, si disse, perché era sempre più accigliato.

Ora toccava a Minseok guadagnarsi la sua fiducia. Oh, ricordava di avegli chiesto di fidarsi, ma subito dopo avergli dato quell'ordine arrogante si era reso conto che la fiducia va conquistata. Minseok era convinto di essere un uomo paziente. Poteva aspettare. Col tempo Jongdae avrebbe capito la sua fortuna, e apprezzato la protezione di lui. Avrebbe imparato a fidarsi, e la fedeltà avrebbe seguito quella presa di coscienza.

Un uomo non poteva chiedere niente di più.

<<Andiamo a dormire>> ordinò Minseok, congedando i due uomini al suo fianco, e Jongdae strinse il libro al petto per portarlo con sé. «Puoi lasciarlo sulla sedia, moglie. Nessuno lo toccherà.»

Dogo tornò nella sala, passò vicino a Jongdae diretta alle scale e ringhiò. Lui gli fece una carezza e continuò.

Minseok lo seguì per le scale. Sembrava preoccupato e pensieroso mentre preparava il letto. Lui sistemò un nuovo pezzo di legna sul fuoco poi si alzò, si appoggiò alla cappa del camino e rimase a fissarlo.

«A cosa stai pensando?»

«Un po' a tutto.»

«Non è una risposta precisa, Jongdae.»

«Sto pensando alla mia vita qui.»

«Non hai avuto difficoltà ad adattarti», osservò lui. «Dovresti essere felice.»

Jongdae legò la cintura della sua vestaglia e si girò verso il marito. «Non mi sono affatto adattato, Minseok. A dire il vero vivo quasi in un limbo. Sono schiacciato tra due mondi», aggiunse annuendo.

Suo marito si sedette sul bordo del letto e si sfilò gli stivali.

«Volevo parlarti di questo argomento già prima», gli disse . «Ma non sembrava esserci abbastanza tempo.»

«Che cosa stai cercando di dirmi esattamente?»

«Tu e gli altri mi trattate come un ospite, Minseok. E quel che è peggio, io mi sto comportando da tale.»

«Jongdae, dici cose senza senso. Io non mi porto gli estranei a letto. Sei mio marito, non un'ospite.»

Lui abbassò lo sguardo sulle fiamme. Era disgustato da sé. «Sai di cosa mi sono reso conto? Nel tentativo di proteggermi, mi sono completamente esaurito>>

«Non hai bisogno di preoccuparti della tua protezione. È mio dovere prendermi cura di te.»

Lui sorrise malgrado l'irritazione. Minseok sembrava offeso.

«No, è mio dovere prendermi cura di me.»

A lui non piacque sentirlo. La sua espressione era rovente come il fuoco nel camino. «Mi stai deliberatamente provocando col dubbio che io non sia in grado di proteggerti?»

Jongdae si affrettò a calmarlo. «Ovviamente no, Minseok», gli rispose. «Sono lieto di avere la tua protezione.»

«Ti contraddici.»

«Non sto cercando di confonderti, Minseok. Sto solo tentando di chiarire le cose nella mia mente. Quando una persona ha fame e non c'è cibo, quella persona è logorata giorno e notte dalla preoccupazione di trovarsi da mangiare. Non è vero, marito?»

Minseok scrollò le spalle. «Immagino che sia così.»

«Per molto tempo sono stato logorato dal terrore. Ho vissuto tanto con esso da credere che prendesse il controllo su di me; ma ora che sono al sicuro, ho avuto tempo di riflettere. Capisci?»

Non capiva. E non gli piaceva vederla accigliato. «Te l'ho detto, mi piaci. Non ti devi preoccupare.»

Era esasperato. Dal momento che suo marito non lo stava guardando, si lasciò sfuggire un sorriso. «Minseok, per quanto ti possa sorprendere sentirlo, la mia preoccupazione più grande non è piacerti.»

Lui, benché irritato, reagì con calma. «Sei mio marito gli ricordò. «Dunque è tuo dovere cercare di piacermi.»

Jongdae sospirò. Sapeva che suo marito non capiva ciò che voleva spiegargli. E non poteva biasimarlo: a malapena si capiva lui stesso.

«Non intendevo offenderti, mio signore.»

Sembrava sincero. Minseok ne fu lieto. Gli si avvicinò da dietro e lo cinse con le braccia. Poi si chinò a baciargli il collo.

«Ora vieni a letto. Ti voglio, Jongdae.»

«Anch'io ti voglio, Minseok.»

Si voltò e sorrise a suo marito. Minseok lo prese tra le braccia e lo portò a letto.

Fecero l'amore dolcemente, lentamente, e quando entrambi ebbero trovato soddisfazione continuarono a stringersi.

«Tu mi piaci, Jongdae» La voce di lui era roca ma colma d'affetto.

«Ricordatene, mio signore, perché sono certo che verranno momenti in cui non mi loderai.»

«È un timore o una profezia?»

Jondgae si sollevò sul gomito e gli accarezzò dolcemente il collo. «È solo la verità.»

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