11
Il mattino successivo, ancor prima di aprire gli occhi, Minseok capì che suo marito non era nel letto.
Diavolo, era appena l'alba e lui, in quanto signore e marito, avrebbe dovuto lasciare la camera per primo. La sua irritazione tuttavia diminuì al pensiero che Jongdae probabilmente lo stava aspettando al piano inferiore, nella sala grande. Ricordò che la sera prima sembrava preoccupato per Dogo; senza dubbio si stava già occupando del cane.
Il plaid dei Park era appoggiato sulla sedia. Jongdae doveva aver confuso i turni, perché evidentemente si era messo i colori dei Kim per due giorni di seguito. I Park avrebbero sollevato certamente uno scompiglio e, dannazione, lui non aveva tempo per questioni così futili.
Sia Jongin sia Chanyeol lo stavano già aspettando in sala. Entrambi s'inchinarono al loro signore quando apparve.
«Dov'è mio marito?»
I due soldati si scambiarono uno sguardo preoccupato, quindi Chanyeol avanzò di un passo per rispondere: «Pensavamo fosse di sopra con te Minseok».
«Non c'era.»
«Allora dov'è?» chiese Jongin.
Minseok lo fulminò con lo sguardo. «È la stessa domanda che vi ho fatto io», sbottò.
Dogo sollevò la testa all'udire la voce del padrone. La sua coda iniziò a battere sui giunchi. Minseok lo raggiunse, si inginocchiò e lo toccò sul fianco.
«Devo portarti fuori, Dogo?»
«Jongdae lo ha già portato fuori»
Le parole erano di Kyungsoo, entrato in quel momento. Il ragazzo si affrettò a scendere le scale, sorrise a Chanyeol e a Jongin, quindi si rivolse a Minseok: «Gli ha dato acqua e cibo. Ha detto che il vostro cane oggi sta molto meglio».
«Come può sapere che sta meglio?» chiese Jongin.
Kyungsoo sorrise. «Gli ho fatto la stessa domanda, e mi ha risposto che oggi il suo ringhio è un po' più forte. Da questo ha capito che sta molto meglio.»
«Dov'è?» chiese Minseok.
«È uscito a cavallo», rispose Kyungsoo. «Ha detto che la giornata era troppo bella per restare in casa.»
«Mio marito è uscito a cavallo da solo?»
Minseok non aspettò una risposta. Mormorando terribili imprecazioni lasciò la sala, seguito da Jongin e da Chanyeol che cercavano di trattenere una risata.
«Mi assumo la completa responsabilità di qualsiasi cosa possa accadere», dichiarò Chanyeol. «Sarei dovuto arrivare prima. Oggi toccava a me proteggerlo», aggiunse in tono esplicativo. «Dannazione, vorrei che restasse dove viene lasciato.»
«Ma oggi indossa il plaid dei Kim», esclamò Kyungsoo.
«Non dovrebbe», disse Jongin.
«Ma è così»
Jongin si strofinò il mento. «Ha confuso i giorni», disse ad alta voce. Fece l'occhiolino a Kyungsoo mentre lo superava, quindi accelerò il passo per raggiungere Chanyeol.
Minseok represse le preoccupazioni con la collera. Era stato molto chiaro con suo marito nelle settimane trascorse insieme. Doveva riposare, dannazione. Uscire solo a cavallo per le colline infestate dai lupi non era proprio la sua idea del riposo. Era necessario tenerlo sotto chiave?
Sean, il capo stalliere, vedendo il suo signore diretto da quella parte si affrettò a preparargli lo stallone per la giornata di caccia. Stava conducendo all'aperto la splendida bestia nera quando Minseok lo raggiunse. Gli strappò le redini di mano, grugnì una risposta alle sue parole di saluto e montò a cavallo con un solo agile movimento. L'animale era ormai lanciato al galoppo quando Chanyeol e Jongin riuscirono a raggiungere la stalla.
<<Credo che non abbia bisogno di noi>> ridacchiò Chanyeol.
<<Direi che sono d'accordo>> concordò Jongin.
Woojin udì il rumore degli zoccoli e alzò la testa. Era in ginocchio, intento a misurare la distanza tra l'uno e l'altro dei buchi che aveva scavato. Si affrettò ad alzarsi e chinò la testa quando il suo signore fermò il cavallo a un passo da lui.
«Buongiorno a voi, signore Kim.»
«Buongiorno anche a te, Woojin», rispose Minseok. Dopo aver scrutato i campi tutt'intorno tornò a fissare l'anziano guerriero. «Hai visto mio marito?»
«Lo sto guardando anche ora»
Woojin indicò un punto con la mano. Minseok si girò e alzò lo sguardo. Subito scorse Jongdae. Era sulla cresta a settentrione, in sella al suo cavallo.
«Che cosa diavolo sta facendo?» mormorò quasi fra sé.
«Contempla il paesaggio», rispose Woojin.
«Che cosa vuol dire?»
«Non saprei. Ripeto solo le parole che mi ha detto. È là da un'ora. Scommetto che ormai ha studiato tutto.»
Minseok annuì, quindi spronò il cavallo al galoppo. «È una giornata splendida per cavalcare», gli gridò dietro Woojin.
«Ed è ancor più splendida per restare a casa», mormorò Minseok in risposta.
Jongdae stava per ridiscendere sui campi quando notò il marito che risaliva la collina. Lo salutò agitando il braccio, quindi posò le mani sopra le redini e attese di essere raggiunto.
Si disse che era ben pronto a riceverlo. Fece un profondo respiro. Era tempo di mettere in azione il suo nuovo piano. Si sentiva un po' nervoso, ma ciò era prevedibile: non era abituato ad attaccare. Era lui il responsabile del suo destino. E doveva spiegarlo bene a suo marito.
Si era svegliato almeno un'ora prima dell'alba e aveva pensato lungamente ai cambiamenti che voleva mettere in atto. Per la maggior parte riguardavano il suo comportamento, ma c'erano anche quelli che, col suo aiuto, avrebbe dovuto compiere Minseok.
Era stato il cane di lui a dargli uno spunto per le riflessioni. Jongdae aveva imparato qualcosa di molto importante prendendosi cura dell'animale. Per prima era venuta la scoperta che il suo ringhio era solo rumore, se non addirittura una manifestazione d'affetto. Poi quella che non doveva temere la bestia. Una presa decisa e una parola gentile gli avevano assicurato la fedeltà di Dogo. Quel mattino, quando gli aveva dato da mangiare, il cane aveva brontolato affettuosamente leccandogli la mano.
E il suo padrone non era diverso.
Gli sguardi adirati del marito non lo spaventavano più. Jongdae dovette però ricordarlo a se stesso quando lui le giunse al fianco.
«Ti era stato ordinato di riposare», sbottò Minseok, la voce dura per la collera.
Lui ignorò quel saluto ostile. «Buongiorno. Hai dormito bene?»
Minseok gli era tanto vicino che la sua gamba destra era premuta contro la coscia sinistra di lui. Jongdae non riuscì a sostenere per molto il suo sguardo, e abbassò gli occhi sul ventre. Non voleva che l'espressione di lui gli togliesse concentrazione. Aveva molte cose da dire a suo marito, ed era importante ricordarle tutte.
Lui notò che Jongdae teneva il suo arco e le sue frecce in una sacca di cuoio sulla schiena. Portarsi le armi era stata una prova di buonsenso, pensò, purché le sapesse usare in caso d'aggressione. Un conto era allenarsi con un bersaglio appeso a un albero, un altro dimostrare la propria abilità con un oggetto in movimento... come un lupo affamato o un orso inferocito. Quei pensieri gli ricordarono i pericoli in agguato tra le colline. Subito le rughe sulla sua fronte si fecero più evidenti.
«Hai sfacciatamente disatteso le mie richieste, Jongdae. Non ti è permesso...»
Jongdae si sporse sulla sella, allungò la mano e gli accarezzò dolcemente il collo con la punta delle dita. La carezza era stata un tocco di farfalla, finita prima ancora che lui avesse la possibilità di reagire, ma era bastata per fargli perdere la concentrazione.
Quel breve contatto lo lasciò senza parole. Jongdae tornò a sedersi, incrociò le mani e gli sorrise.
Lui dovette scuotere la testa per chiarirsi le idee. Poi ricominciò.
«Non hai idea dei pericoli...»
E Lui lo fece ancora. Diavolo, gli rovinava di proposito la concentrazione accarezzandolo sul collo. Gli prese la mano prima che Lui potesse ritrarla.
«Che cosa diavolo stai facendo?»
«Ti accarezzo.»
Lui stava per dire qualcosa, ma cambiò idea. Lo fissò per un istante, cercando di capire che cosa gli fosse accaduto.
«Perché?» chiese infine, l'espressione diffidente.
«Volevo dimostrarti il mio affetto, signore. Il mio tocco ti dispiace?»
«No», brontolò lui.
Gli afferrò il mento con la mano e si chinò. La bocca scese su quella di Jongdae in un bacio lungo e appassionato.
Lui gli si strinse al fianco, gli cinse il collo con le braccia e si aggrappò a lui mentre il bacio si faceva più intenso.
Jongdae non capì come fosse accaduto, ma quando infine suo marito si ritrasse era seduto in braccio a lui.
Lo teneva stretto. Lui si abbandonò contro il suo petto, sospirò lievemente e sorrise soddisfatto.
Voleva ridere. Funzionava davvero. Aveva appena avuto la conferma di una teoria importante: Minseok e il suo cane si somigliavano molto. A suo marito piaceva mostrarsi aggressivo quanto piaceva al cane.
«È permesso a un marito di portare il consorte fuori a cavallo?»
«Certamente. Un marito può fare qualsiasi cosa desideri.»
Lo stesso io, si disse Jongdae.
«Perché sei sempre così serio, mio signore? A dire il vero non sorridi abbastanza per i miei gusti.»
«Io sono un guerriero, Jongdae.»
Dallo sguardo sul suo volto Jondgae capì che riteneva di avergli dato una spiegazione logica e completa.
Lo sistemò nuovamente sulla sua sella. «Tu sorridi poco» disse. «Perché?»
«Sono lo sposo di un guerriero, signore.»
Rise dopo quella risposta pungente. Minseok non poté evitare di imitarlo.
«Sei molto bello quando sorridi, mio signore.»
«Ma a te non piacciono gli uomini belli, ricordi?»
«Lo ricordo. Cercavo solo di farti un complimento»
«Perché?»
Lui non gli rispose.
«Che cosa fai quassù tutto solo?»
Jongdae replicò con un'altra domanda. «Puoi trovare un'ora per cavalcare con me? Sono alla ricerca di una caverna di cui mi ha parlato Woojin. C'è un tesoro là dentro.»
«E di che tesoro di tratta?»
Lui scosse la testa. «Devi prima aiutarmi a trovare la caverna. Poi ti dirò che cosa c'è dentro. So quanto sei occupato, ma certo un'ora non farà differenza, vero?»
Lui si accigliò riflettendo sulla proposta. Aveva compiti importanti che lo aspettavano quel giorno, e che ovviamente venivano per primi. Gironzolare amenamente non aveva alcun senso per lui. Non era... produttivo.
Eppure l'idea di passare qualche minuto, certo non poteva concedersi di più, in compagnia del suo bel marito lo attirava.
«Vai avanti tu, Jongdae. Io ti seguirò.»
«Grazie, mio signore.»
Sembrava sopraffatto dalla gratitudine. Il suo dolce sposino ricavava tanta gioia da piccolissimi piaceri. Minseok d'improvviso si sentì in colpa per il tempo impiegato a riflettere incerto sulla proposta di lui.
Jongdae non intendeva dargli la possibilità di cambiare idea. Voleva allontanarlo dalla sua fortezza... e dalle sue responsabilità, per potergli parlare a lungo da solo. Afferrò le redini e spronò il cavallo al galoppo giù dalla collina.
Jongdae era molto abile in sella, e questo stupì Minseok. Gli era parso troppo delicato per qualsiasi attività all'aperto.
Minseok si accontentò di seguirlo finché non raggiunsero la foresta. Allora fu lui ad assumere il comando.
Proseguirono a zig-zag, cercando l'imboccatura della caverna. Dopo un'ora di ricerche, Jongdae si decise a rinunciare. «La prossima volta dobbiamo chiedere ad Woojin di accompagnarci. Così ci indicherà lui la via.»
Si infilarono fra gli alberi e si fermarono in una piccola radura accanto al ruscello che scendeva a valle.
«Sei pronto a tornare?» chiese Minseok.
«Volevo prima parlarti, mio signore, e se non avessi tanta fame ti chiederei di fermarti per il resto della giornata. È incantevole questo posto. Hai notato com'è verde e rigogliosa la tua valle?» Aveva gli occhi scintillanti di malizia.
Minseok trovò eccitante l'entusiasmo di Jongdae. Non l'aveva mai visto prima tanto allegro. Si sentì riscaldare il cuore. A dire il vero anche lui era riluttante ad andarsene.
«Potrei occuparmi io della tua fame, marito.»
Lui si girò a guardarlo. «Andrai a caccia di cibo?»
«No, ho già tutto quello che occorre.»
Minseok smontò, poi aiutò Lui a scendere. «Sei troppo magro, Jongdae. Pesi quanto un fuscello.»
Lui ignorò quella critica. «Dov'è il cibo di cui ti vanti, marito? Credi che scenderà come la manna dal cielo?»
Lui scosse la testa. Mentre Jongdae lo fissava aprì la tasca della sella e ne tolse un piatto di metallo. Una borsa era legata dietro con una stringa.
Minseok gli fece segno di spostarsi sulla radura. Legò a un ramo le redini delle due cavalcature prima di raggiungerlo.
Quel suo buonumore confondeva Minseok, spingendolo a chiedersi che cosa avesse provocato tale cambiamento. .
Qualche minuto dopo Lui era seduto sull'erba e osservava Minseok che preparava il cibo. Aveva acceso un fuoco con torba e ramoscelli, ponendo il piatto di metallo sulla viva fiamma. Si versò poi sulla mano della farina d'avena presa dalla borsa, vi aggiunse un po' d'acqua del ruscello, e rapidamente formò un tortino. Lasciò cadere l'impasto sul piatto e, mentre cuoceva, ne preparò un altro.
Il sapore del tortino d'avena a Jongdae ricordò la legna bruciata mista a cenere, ma dal momento che suo marito si indaffarava tanto per preparargli il pasto, non gli rivelò che gusto orribile avesse.
Minseok trovò comica l'espressione sul volto di Lui mentre mangiucchiava il tortino. Diverse volte Jongdae raggiunse il ruscello per bere e aiutare così la discesa di quell'impasto asciutto, e riuscì a mangiarne solo metà prima di dichiararsi sazio.
«È stato previdente da parte tua portare del cibo», osservò.
«Tutti i guerrieri si portano sempre qualcosa da mangiare nella sella, Jongdae.» Si sedette al suo fianco, appoggiò la schiena contro un albero e aggiunse: «Ci portiamo tutto quello che serve, che si tratti di una battuta di caccia o di una battaglia »
«Oppure lo rubate agli altre famiglia.»
«Anche.»
«È sbagliato prendere senza permesso.»
«È il nostro modo di fare», spiegò lui ancora una volta.
«Le altre famiglia derubano voi?»
«Non abbiamo niente che potrebbero desiderare.»
«Ma tutti si derubano a vicenda?»
«Naturalmente.»
«È una barbarie», dichiarò «Nessun signore usa mai il baratto per ottenere ciò che vuole?»
«Alcuni lo fanno», rispose Minseok. «Due volte all'anno si tengono riunioni del Consiglio al fiordo. Vi prendono parte tutte le famiglie che non sono in lotta fra loro. Ho sentito che là si svolgono numerosi commerci.»
«Hai sentito? Dunque non hai mai partecipato a queste riunioni?»
«No.»
Lui si aspettava ulteriori spiegazioni, ma Minseok rimase in silenzio. «Non sei stato invitato?»
Sembrava furioso per la possibilità di un'offesa simile. «Tutti i signori sono invitati, marito.»
«Allora perché non vi hai mai preso parte?»
«Non ho avuto il tempo né l'inclinazione a farlo. Inoltre, come ti ho già spiegato diverse volte, non abbiamo niente da barattare.»
«Ma se avessi qualcosa?» chiese «Andresti al Consiglio?»
Lui scrollò le spalle.
<<Quando tornerà Jun?>>
«Jun tornerà quando il muro sarà completato», rispose. «Mi hai chiesto la stessa cosa ieri. Hai dimenticato la mia risposta?»
«Probabilmente te lo chiederò ancora domani.»
«Perché?»
«Un figlio dovrebbe vivere con suo padre. È felice di aspettare? Si trova bene con la famiglia di sua madre? Ti fidi delle persone che si occupano di lui? Un bambino piccolo come Jun ha bisogno delle attenzioni di suo padre», concluse infine.
A dire il vero lo stava insultando con quelle domande. Riteneva che avrebbe lasciato suo figlio in mano e dei miscredenti?
Minseok tuttavia non pensò che volesse offenderlo. L'espressione preoccupata sul suo volto diceva quanto era in apprensione per il bambino.
«Jun me lo direbbe se fosse infelice o maltrattato.»
Lui scosse la testa con veemenza. «No, potrebbe anche non dirtelo. Potrebbe soffrire in silenzio.»
«E perché dovrebbe farlo?»
«Perché se ne vergognerebbe, è ovvio. Penserebbe di aver fatto qualcosa di sbagliato per meritarsi un trattamento così crudele. Portalo a casa, Minseok. È con noi che deve stare.»
Minseok o strinse a sé e gli fece sollevare il mento. Per un istante lo fissò negli occhi, cercando di capire che cosa gli passasse per la mente.
«Lo porterò a casa per una visita.»
«Quando?»
«La settimana prossima», promise lui. «Allora gli chiederò se è infelice o se viene maltrattato.»
Con la mano gli coprì la bocca perché non lo interrompesse. «E sicuramente», aggiunse con voce più decisa quando Lui osò scuotere la testa, «lui mi dirà la verità. Ora vorrei che rispondessi a una mia domanda, Jongdae.»
Ritrasse la mano, attese che Lui assentisse col capo, quindi chiese: «Per quanto hai sofferto in silenzio?»
«Hai frainteso», disse «Io ho avuto un'infanzia stupenda. I miei genitori erano gentili e affettuosi. Papà è morto tre anni fa. Sento ancora molto la sua mancanza.»
«E tua madre?»
«Lei ora è rimasta sola. Sai, non avrei mai accettato di venire qui se Junmyeon non mi avesse promesso di occuparsene. È un figlio devoto.»
«Probabilmente vedevi spesso i tuoi genitori quando eri sposata col ministro, ma la distanza tra questo posto e la casa di tua madre è troppa per consentire più di una visita all'anno, marito.»
«Mi lasceresti andare da mia madre?»
Sembrava sbalordito. «Ti porterei io», rispose lui. «Ma solo una volta all'anno. Non puoi aspettarti di vedere la tua famiglia spesso come facevi quando eri sposata con il ministro»
«Ma in quel periodo non ho mai visto mia madre né mio padre.»
Fu la volta di lui a essere sbalordito. «Tuo marito non ti consentiva visite?»
Lui scosse la testa. «Non volevo vederli io... allora no. Non dovremmo tornare, ora? Si sta facendo tardi e ti ho tenuto lontano dai tuoi doveri abbastanza a lungo.»
Lui si accigliò, irritato. Jongdae gli sembrava incomprensibile. Era parso entusiasta quando gli aveva detto che poteva tornare a casa di sua madre una volta all'anno, eppure si contraddiceva affermando che aveva scelto di non vedere i genitori per tutto il tempo in cui era stato sposato col ministro.
A lui non piacevano le risposte parziali. Era pronto a chiedergli una spiegazione esauriente, subito.
«Jongdae», cominciò, la voce quasi un ringhio. «Ti contraddici. Non mi piacciono gli indovinelli...»
Lui sollevò le mani che teneva in grembo e si allungò ad accarezzargli il collo. Quel gesto lo colse di sorpresa, ma non si lasciò distrarre. Gli prese la mano per impedirle di interromperlo ancora e continuò: «Come ti ho detto, non mi piace...»
Con l'altra mano Lui gli sfiorò nuovamente il collo.
Minseok si lasciò distrarre. Sospirò per la propria mancanza di autocontrollo, gli prese anche l'altra mano, l'attirò più vicino e lo baciò.
Voleva solo gustare il suo sapore, ma la calda risposta di Jongdae gli fece desiderare di più. Ora si sentiva esigente. La bocca si abbassò su quella di lui, e la lingua duellò con l'altra in una mimica che ricordava l'accoppiamento.
Anche Jondgae voleva di più. Liberò le mani dalla stretta e gli circondò il collo. Le dita passavano tra i capelli di Minseok, mentre Lui gli si agitava inquieto addosso, cercando di farsi più vicino.
La dolce risposta al suo tocco gli fece desiderare di perdersi. Dovette fare appello a un'estrema forza di volontà per ritrarsi. Chiuse gli occhi per non essere tentato dalla bocca sensuale di Lui e si lasciò sfuggire un gemito di frustrazione.
«Non è il momento, marito.» Il suo tono di voce era duro.
«No, certamente no.» La voce di Jongdae era un lieve sussurro.
«Ci sono pericoli...»
«Sì, i pericoli...»
«E ho dei doveri.»
«Devi ritenermi una sfrontato perché cerco di distrarti dalle tue importanti responsabilità.»
«Sì, lo sei», convenne lui con un sorriso malizioso.
Minseok lo confondeva. Gli accarezzava una coscia elencandogli nel contempo tutte le ragioni per le quali dovevano immediatamente far ritorno alla fortezza.
Gli risultava difficile prestare attenzione a quello che diceva. C'era sempre qualcosa che lo distraeva. Per esempio il suo pulito odore di maschio. Minseok sapeva di aria aperta, e questo era affascinante.
Lo stesso era per la sua voce, profonda, vibrante. Non lo intimidiva affatto il suo tono brusco. A dire il vero lo trovava eccitante.
«Minseok?»
La mano di lui saliva lungo la sua coscia. «Che cosa c'è?»
«Volevo parlarti delle importanti decisioni che ho preso.»
«Potrai spiegarmele dopo, Jongdae.»
Lui annuì. «Ci sono lupi da queste parti?»
«Qualche volta», rispose lui.
«Non sembri preoccupato.»
«I cavalli fanno bene la guardia. La tua pelle è liscia come seta.»
Lui si piegò all'indietro solo un poco, perché lui potesse baciargli il mento. La mano giunse nel punto più alto, dove le cosce si congiungevano. Istintivamente Jongdae aprì le gambe. Lui strinse la sua erezione e e cominciò ad accarezzarlo mentre il suo bacio si faceva caldo e bagnato.
Spogliarsi era complicato quanto frustrante per il tempo che richiedeva.
D'improvviso Minseok si fece impaziente. Non poteva più aspettare. Lo costrinse a salirgli sopra cavalcioni, lo sollevò e rimase immobile.
«Prendimi dentro», ordinò, la voce un rauco sussurro. Avrebbe voluto gridargli «subito», ma disse: «Quando sei pronto tu, marito».
Luivsi aggrappò con le mani alle spalle del marito e lentamente si abbassò su di lui. Si fissarono negli occhi finché Minseok si fu immerso nel corpo di Jongdae.
Il piacere era quasi insopportabile. Lu istrinse gli occhi ed emise un lieve gemito. Quando si spostò avanti per baciarlo, avvertì il flusso caldo dell'estasi. Riprese deliberatamente a muoversi.
Quei movimenti lenti, stuzzicanti, lo facevano impazzire. Minseok l'afferrò per i fianchi e gli mostrò che cosa voleva che facesse. I movimenti si fecero frenetici, ed entrambi persero il controllo. Minseok trovò soddisfazione prima di Lui ma l'aiutò a trovare la sua facendo scivolare la mano sulla sua erezione per accarezzarlo. Jongdae lo strinse dentro di sé e affondò il viso nel cavo del suo collo. Mormorò il nome di lui con un singhiozzo mentre l'orgasmo lo consumava.
Minseok lo tenne stretta per alcuni minuti, quindi gli fece alzare il mento e lo baciò intensamente. La lingua si accoppiò pigramente con quella di lui. Solo allora si ritrasse.
Non gli diede molto tempo per riprendersi. Lo baciò ancora una volta e gli ordinò di vestirsi. Gli disse che stavano perdendo tutta la giornata.
Jongdae cercò di non lasciarsi ferire da quell'atteggiamento. Avrebbe voluto indugiare ancora un po', ma sapeva che i doveri lo stavano aspettando.
Si lavarono nel ruscello, si vestirono e camminarono fianco a fianco fino ai cavalli.
«Non uscire da solo, Jongdae. Te lo proibisco.»
Lui non disse né sì né no. Suo marito lo guardò con durezza prima di metterlo sulla sella. Jongdae si aggiustò la faretra sulla schiena, si infilò in spalla l'arco e prese le redini dalle mani di lui.
«Quando torneremo alla fortezza, andrai a riposare.»
«Perché?»
«Perché te l'ho detto io», rispose lui lentamente.
Lui non era dell'umore giusto per discutere. E non era neppure dell'umore giusto per lasciarlo andare con quell'atteggiamento freddo e distaccato. «Minseok?»
«Sì?»
«Ti è piaciuto stare con me?»
«Perché me lo chiedi? Doveva esserti chiaro che mi piaceva toccarti.»
Dopo quell'ambiguo elogio lui raggiunse la cavalcatura e vi salì in sella.
«Non era chiaro», sbottò.
«Doveva esserlo», ribatté lui lentamente.
Suppose che Jongdae fosse alla ricerca di complimenti. Subito si sentì il vuoto nella mente. Era del tutto ignorante quanto a chiacchiere frivole o corteggiamenti. Eppure l'espressione desolata sul volto di Lui gli diceva quanto le fosse necessaria qualche lode. Non voleva che quel loro momento si concludesse con Jongdae abbattuto.
«Mi hai fatto dimenticare i miei doveri.»
Ecco, quella dichiarazione l'avrebbe certo convinto di quanto era stuzzicante per lui.
A Lui parve un'accusa. «Ti chiedo scusa, Minseok. Non succederà più.»
«Ti stavo facendo un complimento, Jongdae»
Lui spalancò gli occhi sorpreso. «Davvero?»
Apparentemente non gli credeva. «Certo che era un complimento. Un signore non dimentica facilmente i suoi doveri. Una simile mancanza di autodisciplina sarebbe devastante. Per questa ragione, capisci, ti stavo facendo un complimento.»
«Di solito i complimenti non si fanno con un ruggito, mio signore. Credo sia stato per questo che non ho capito.»
Lui grugnì. Jongdae non capì che cosa dovesse significare quel versaccio. La discussione comunque era finita. Minseok colpì con la mano il fianco sinistro del suo cavallo perché partisse.
Non gli rivolse più la parola finché raggiunsero le stalle. Poi gli ordinò che doveva riposare.
«Perché devo riposare? Non sono decrepito, mio signore.»
«Non voglio che ti ammali.»
L'espressione di lui gli comunicò che era inutile ribattere. Era comunque troppo irritato per arrendersi. «Ti stai mostrando irragionevole. Io non voglio restare a letto tutto il giorno. Così non riuscirei più a dormire la notte.»
Minseok lo posò a terra, quindi lo prese per mano trascinandolo verso la fortezza. «Ti permetterò di sedere accanto al fuoco nella sala grande. Potrai anche leggere, se ti piace farlo.»
L'immagine che si formò nella sua mente gli piacque. Sorrise al pensiero di Jongdae impegnato in quelle attività.
Lui lo stava fissando furibondo. Fu così sorpreso di quella reazione che scoppiò a ridere.
«Hai le idee molto chiare su come dovrei trascorrere le mie giornate, signore. Mi chiedo da dove arrivano. Tua madre stava spesso accanto al fuoco a cucire?»
«No.»
«Allora come riempiva le sue giornate?»
«Con lavori di quelli che spezzano la schiena. È morta quando ero molto giovane.»
Lo sguardo sul suo volto e il suo tono di voce lo indussero a non indagare oltre. Evidentemente era molto sensibile riguardo alla propria infanzia. Quel semplice commento, tuttavia, gli aveva rivelato molto sul suo modo di ragionare. Fatiche da spezzare la schiena avevano ucciso sua madre... e non era per questo che Minseok lo voleva a riposo tutta la giornata?
Sapeva di non dovergli chiedere altro, ma la curiosità vinse sulla prudenza. «Amavi tua madre?»
Lui non rispose. Provò con una domanda diversa: «Chi si è preso cura di te dopo la sua morte?»
«Nessuno.»
«Non capisco.»
Lui aumentò l'andatura come se cercasse di sfuggire a quell'interrogatorio. D'improvviso si fermò voltandosi a guardarlo.
«Non occorre che tu capisca. Entra, Jongdae.»
Suo marito poteva essere molto rude quando voleva. Lo scacciò dai suoi pensieri senza neppure voltarsi a vedere se obbediva agli ordini.
Jongdae rimase sulla scala, intento a riflettere sul marito. Voleva capirlo. Era sua marito, ed era importante sapere che cosa lo rendeva felice e che cosa accendeva la sua collera. Una volta stabilito questo, avrebbe saputo come rispondergli.
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