10



«Chi ha osato chiamarti codardo?»

La voce tonante di suo marito scosse Jongdae da un sonno profondo. Aprì gli occhi e lo guardò. Minseok era in piedi di fianco al letto, e lo fissava. Aveva finito di vestirsi, e sembrava furioso, pronto a scattare fuori dalla loro stanza per urlare contro chi aveva usato chiamarlo in quel modo.

Con uno sbadiglio Jongdae decise che occorreva placarlo. Si alzò a sedere e scosse la testa guardandolo. «Nessuno mi ha chiamato codardo», gli disse con voce assonnata.

«Allora perché hai detto...»

«Mi sembrava giusto che tu lo sapessi», spiegò. «Era per farti l'esempio concreto di un insulto.»

La collera di lui diminuì. Jongdae scostò le coperte e fece per alzarsi, ma Minseok lo fermò tornando a coprirlo e orinandogli di rimettersi a dormire.

«Oggi ti riposi», ordinò.

«Mi sono riposato abbastanza, mio signore. È ora che io mi curi dei doveri che competono a tuo marito»

«Riposati.»

Com'era testardo. L'espressione di lui gli disse che era inutile protestare. Non aveva nessuna intenzione di oziare a letto tutta la giornata, ma non intendeva discutere con suo marito.

Minseok si girò per andare, ma Lui lo fermò con una domanda.

«Che programmi hai per questa bella giornata?»

«Andrò a caccia di altre provviste.»

«Come il grano?» chiese. Si alzò dal letto e prese la sua vestaglia «Come si caccia il grano?»

«Lo si ruba.»

Lui sussultò. «Stai scherzando!», esclamò.

Minseok era sinceramente divertito dall'espressione inorridita di suo marito. L'idea del furto sembrava sconvolgerlo, e non gli riusciva di comprenderne la ragione.

«Non puoi essere serio.»

«Sono serissimo, Jongdae.»

«Minseok...»

«Non è tuo compito biasimarmi, marito.»

Minseok attendeva delle scuse, ma al contrario si sentì contraddire. «Oh, sì, è mio compito biasimarti, mio signore sono tuo marito»

«Questo è ridicolo», ribatté lui lentamente.

Lui sussultò ancora. Minseok stava per scoppiare a ridere, ma si fermò in tempo. «Pensi sia ridicolo che io mi preoccupi per te?»

«Ti preoccupi per me?»

«Certo, è naturale.»

«Allora cominci a essermi affezionato?»

«Non ho detto questo, mio signore. Tu cambi le mie parole»

«Non mi servono le tue preoccupazioni, o le tue prediche.»

«A un marito è permesso di esprimere le sue opinioni, no?»

«Certo», convenne lui. «Quando vengono richieste, è ovvio.»

Lui ignorò quella precisazione. «La mia opinione è che dovresti procurarti ciò che ti occorre col baratto.»

L'esasperazione di lui si stava facendo incontrollabile. «Non abbiamo niente di valore da scambiare», sbottò. «Inoltre, se le altre famiglie non sanno difendere ciò che possiedono, meritano di esser lasciati senza provviste. È il nostro modo di pensare. Ti abituerai, marito.»

La discussione per Minseok era conclusa. Per Jongdae no. «Che giustificazioni...»

«Basta», ordinò Minseok uscendo.

Era sposato con un uomo testardo.

Passò la mattinata allenandosi con arco e frecce, e il pomeriggio giocando con Woojin al suo inutile quanto piacevole passatempo.

Woojin era diventato il suo unico vero amico.

Gli disse quanto l'aveva turbato la scoperta delle razzie di Minseok. Woojin si mostrò indulgente, arrivando addirittura a elogiare l'astuzia del suo signore.

Discutevano in cima alla collina, impegnati nei lanci lunghi. Spesso le pietre si frantumavano per la forza dei colpi.

«I traditori hanno distrutto i nostri raccolti. Il signore si assicura che la famiglia non patisca la fame il prossimo inverno», disse Woojin. «Come potete considerarlo crudele?»

«Ma sta rubando», ribatté Lui lentamente.

Woojin scosse la testa

«Sono tante le vie per entrare in un castello, Woojin. Minseok dovrebbe trovare un altro modo per dar da mangiare alla sua famiglia.»

Il vecchio aggiustò la mazza contro la pietra rotonda, allargò le gambe e sferrò il colpo. Strinse gli occhi per vedere nella luce del sole a che distanza fosse giunto il sasso, annuì soddisfatto e si girò verso Jondgae.

«L'ho fatto volare tre volte più lontano di una freccia. Colpite voi, testa piena di preoccupazioni. Vedete se vi riesce di mettere il vostro sasso proprio accanto al mio.»

Jongdae riportò l'attenzione al gioco. Scatenò una sonora risata di Woojin quando raggiunse la sua stessa distanza. La pietra era finita a pochi centimetri da quella di lui.

«Avete proprio un talento per il gioco», lo lodò il vecchio. «Ora faremmo meglio a tornare. Vi ho tenuto separato dai vostri doveri più a lungo di quanto ne avessi il diritto.»

«Io non ho doveri», sbottò. Si infilò la mazza sotto il braccio e si girò verso l'amico. «Ho provato ad assumermi gli obblighi di casa, ma nessuno mi dava ascolto. I Kim sono sicuramente più gentili. Loro sorridono mentre impartisco gli ordini, poi proseguono nei loro affari completamente indifferenti a quello che ho detto. I domestici Park sono molto più sgarbati, tanto da mettermi a disagio. Mi ignorano fin da principio.»

«Che cosa dice il signore di questo atteggiamento?»

«Non gliene ho parlato. E non lo farò neppure, Woojin. Il problema da risolvere è mio, non suo.»

Woojin lo prese sottobraccio e cominciò la discesa della collina. «Siete qui da molto ormai?»

«Da quasi dodici settimane.»

«Per un po' siete stato contento, vero?»

Lui annuì. «Infatti lo ero.»

«Perché?»

Passata la sorpresa per quella domanda, alzò le spalle. «Venire qui mi ha reso... libero. E sicuro», si affrettò ad aggiungere.

«Eravate come una colomba con un'ala rotta», disse Woojin. Gli diede qualche pacca sulla mano prima di continuare. «La più timida che avessi mai visto.»

«Ora non sono timido», ribatté Jongdae. «Almeno non quando mi trovo con voi.»

«Ho notato il vostro cambiamento. Gli altri no. Col tempo capiranno che avete trovato del coraggio.»

Non capì se aveva appena ricevuto una critica o una lode. «Ma i furti, Woojin. Che cosa dovrei fare con mio marito?»

«Per il momento lasciate stare», suggerì lui. «Sinceramente non riesco ad arrabbiarmi per qualche piccolo furto. Il signore ha promesso di portarmi l'orzo, e sono ansioso di riceverlo, furto o meno. Mi serve per la mia bevanda», aggiunse annuendo. «I nemici si sono bevuti tutte le mie scorte» Scoppiò a ridere, se lo strinse al fianco e sussurrò: «Però non hanno preso i barili d'oro liquido».

«Cosa sono i barili d'oro liquido?»

«Ricordate quel varco tra i pini, sull'altro versante?»

«Sì.»

«C'è una caverna appena oltre», annunciò lui. «Piena di barili di quercia.»

«Ma dentro i barili che cosa c'è?»

«Suju», rispose lui. «Invecchiato di dieci anni, forse quindici ormai. Deve avere un sapore divino. Uno di questi giorni vi porterò là per farvi dare un'occhiata. L'unico motivo per cui è rimasto al sicuro è che non hanno mai saputo che c'era.»

«E mio marito sa della caverna?»

Woojin rifletté a lungo prima di rispondere. «Non mi pare di avergliene parlato», ammise. «E sono l'unico a ricordare dove i vecchi capi Kim tenevano i barili. Non lo dicevano, è ovvio, ma un pomeriggio li ho seguiti a loro insaputa. So essere silenzioso quando lo decido», aggiunse con un cenno del capo.

«Quando ci siete andato l'ultima volta?»

«Qualche anno fa» disse Woojin. «Avete notato, Jongdae, che indossando il plaid dei Park giocate delle splendide partite, mentre con i colori dei Kim non riuscite ad azzeccare un colpo?»

Diceva sciocchezze, era ovvio. Gli piaceva canzonarlo. Jongdae pensò che era il suo modo di dimostrare affetto.

Raggiunto il cortile del castello Lui si fermò, mentre Woojin proseguì lungo il pendio. Jongdae scorse Chanyeol, chinò la testa in segno di saluto e affrettò il passo. Si sentiva a disagio col soldato Park da quando gli aveva spiegato che cosa significasse in realtà il soprannome datogli dalle donne.

Inoltre voleva lavarsi le mani prima che suo marito tornasse e notasse come erano sporche. Sapeva diventare davvero irragionevole riguardo al suo aspetto, ma dal momento che gli chiedeva poco, quando era possibile cercava di assecondarlo.

Stava salendo i primi scalini di casa quando un urlo lo fermò. Si girò e vide i soldati che gli correvano incontro. Molti avevano la spada in pugno.

Non sapeva che cosa avesse causato quell'agitazione. «Entrate, signore, e chiudetevi la porta alle spalle.» L'ordine era di Chanyeol. Jongdae non intendeva protestare col soldato o interrogarlo in quel momento. Supponendo che fossero attaccati dai nemici, si affrettò a ubbidire.

Poi udì un ringhio profondo, minaccioso. Si girò nuovamente, e scorse il cane di suo marito che lentamente avanzava nel cortile. Alla vista della bestia gli sfuggì un grido. Dogo era coperto di sangue. Anche da lontano poteva notare la sua parte posteriore sinistra lacerata.

Il cane cercava di arrivare a casa per morire. Gli occhi di Jongdae si riempirono di lacrime nel vedere l'estrema battaglia di Dogo.

I soldati accerchiarono l'animale, tenendosi tuttavia lontani. «Entrate, Jongdae», gridò Chanyeol. D'improvviso Lui capì quali erano le intenzioni degli uomini. Stavano per uccidere il cane allo scopo di evitargli ulteriori sofferenze. Da come gli si avvicinavano lentamente capì che temevano un'ultima reazione violenta da parte della bestia.

Non avrebbe certo permesso che si facesse altro male al cane. Un soldato gli si avvicinò con la spada alzata, pronta a colpire.

«Lascialo stare.»

La violenza del suo grido gli garantì l'attenzione dell'uomo. Tutti si girarono a guardarlo, lo stupore più che evidente nella loro espressione smarrita.

Qualche soldato Kim si allontanò addirittura dal cane. I guerrieri Park, invece, non si mossero.

Chanyeol raggiunse di corsa la scala e afferrò Jongdae per il braccio. «Non occorre che stiate a vedere» disse. «Per favore, entrate.»

Lui si liberò bruscamente dalla sua stretta. «Dogo vuole entrare. È abituato a dormire accanto al fuoco. È lì che sta andando. Aprigli la porta, Channyeol. Aprila subito.»

Gridò l'ultimo ordine prima di guardare gli altri soldati. Era convinto che Dogo non avrebbe permesso a nessuno di loro di aiutarlo. Sapeva che il cane doveva soffrire molto, perché di tanto in tanto vacillava mentre cercava di salire lentamente i gradini.

«Almeno allontanatevi da lui.»

«Ordina agli uomini di lasciarlo entrare.»

«Ma...»

«Fa' come ti ho detto», ripeté . «Se qualcuno tocca Dogo, ne dovrà rispondere davanti a me.»

Il suo tono di voce fece capire a Chanyeol che era inutile discutere. Diede l'ordine, quindi afferrò nuovamente Jongdae per il braccio cercando di allontanarlo dall'ingresso.

«Le porte, Chanyeol. Aprile.»

Jongdae parlò senza spostare lo sguardo dal cane. Kyungsoo e Baekhyun, giunsero di corsa per capire cosa stesse succedendo.

«Che cosa gli è successo?» chiese Baekhyun.

«Tornate dentro, Jongdae», gridò Kyungsoo. «Povero Dogo. Non riesce a salire»

«Nessuno lo toccherà», ribatté Jongdae. «Baekhyun, vai a prendermi ago e filo. Kyungsoo, sotto il mio letto c'è una borsa con erbe e medicinali. Portamela.»

Dogo crollò sul terzo scalino. Quando tentò di rialzarsi gli sfuggì un lamento. Ora alternava ringhi e guaiti. Jongdae non poteva sopportare oltre la vista di quella sofferenza. Aveva sperato di poterlo avvicinare in casa, mentre si riposava accanto al fuoco, ma capì che non sarebbe mai riuscito a entrare senza il suo aiuto.

Lasciò il fianco di Chanyeol, che nel frattempo era stato affiancato da Jongin, e corse ad aiutare la povera bestia. Al suo avvicinarsi il cane emise un ringhio minaccioso. Lui rallentò l'andatura, allungò la mano e cominciò a sussurrare parole rassicuranti.

Ancora una volta Chanyeol pensò di trascinarlo via, ma quando lo toccò il cane ringhiò con maggior forza.

Jondgae gli ordinò di allontanarsi. Alzando lo sguardo scorse due soldati Kim con le frecce già pronte per essere scagliate. Lo stavano proteggendo, che lo volesse o meno. Se il cane avesse tentato di aggredirlo, le frecce l'avrebbero ucciso prima che potesse far danno.

La pietà di Jongdae per l'animale ferito lottava contro la sua stessa paura. Sì, era terrorizzato, e chinandosi lentamente per circondare il cane con le braccia non riuscì a reprimere i propri gemiti.

La bestia non smise di ringhiare, ma gli concesse di assisterla.

Jongdae non sapeva valutare le proprie forze. Il cane si coricò contro di lui, facendogli quasi perdere l'equilibrio. Riprovò ancora una volta a circondare l'animale con le braccia. Lo prese sotto le zampe anteriori. Era concentrato nello sforzo, il volto premuto contro il collo del cane. Continuando a incoraggiarlo con una sequenza regolare di parole sussurrate, trascinò l'animale sui gradini restanti. Era una fatica da spezzare la schiena, ma quando ebbero raggiunto la sommità della scala l'animale ritrovò le forze necessarie per scostarsi da lui. Con un nuovo ringhio varcò da solo la porta d'ingresso.

Si fermò sulla scala che scendeva nella sala grande. Ancora una volta Jongdae venne in suo aiuto e, in parte trascinandolo, lo guidò fino all'ultimo gradino.

Gli uomini che terminavano le rifiniture della cappa del camino si allontanarono velocemente alla vista di Dogo che si dirigeva dalla loro parte. Il cane girò due volte in tondo davanti al fuoco, poi cominciò a gemere. Evidentemente il dolore era troppo intenso per coricarsi.

Baekhyun giunse di corsa con l'attrezzatura richiesta. Jongdae lo mandò subito a prendere le lenzuola che erano nel letto.

«Ne prenderò di pulite dal baule», disse allontanandosi.

«No», gridò Jongdae. «Prendi quelle sul mio letto, Baekhyun. Dogo sarà confortato dall'odore di mio marito.»

Pochi minuti dopo Baekhyun gettava le lenzuola. Jongdae si accucciò a terra e preparò un giaciglio per il cane. Quando ebbe finito, battendo con la mano sulle lenzuola ordinò al cane di coricarsi.

Dogo fece un altro giro, quindi crollò sul fianco.

«L'avete portato dentro», sussurrò Chanyeol alle sue spalle. «È un grande risultato.»

Lui scosse la testa. «Quello è stato facile», rispose. «Ciò che arriva ora è un po' più difficile. Devo ricucirlo. A dire il vero il compito mi terrorizza. Dogo non capirà.»

Diede qualche pacca affettuosa sul collo del cane prima di chinarsi in avanti a studiare la ferita profonda sul suo fianco sinistro.

«Non potete parlare seriamente Il cane vi ucciderà se solo proverete a toccarlo.» disse Jongin.

«Spero sinceramente di no», replicò Jongdae.

«Ma voi avete paura di lui», esclamò il soldato.

«Sì», convenne «ho paura. Però questo non cambia niente, no? Dogo ha comunque un taglio che deve essere ricucito. Kyungsoo? Hai trovato gli unguenti?»

«Sì, eccoli.»

Jongdae si girò e scorse Kyungsoo e Baekhyun in piedi fianco a fianco sul gradino più alto. Baekhyun stringeva il filo e l'ago, mentre Kyungsoo sembrava abbracciare il sacchetto grigio.

«Portatemi la roba, per piacere, e posatela sul lenzuolo.»

I due non si mossero. Cominciarono ad avanzare quando Lui li chiamò con un gesto, ma si fermarono d'improvviso. Dogo aveva ricominciato a ringhiare sordamente. Era raggelante.

I due avevano troppa paura per avvicinarsi. Il capirlo sbalordì Jongdae. Pensava di essere il solo a temere il cane. Provò simpatia per loro e andò personalmente a prendere l'attrezzatura.

«State attento», mormorò Kyungsoo.

Jongdae annuì. Pochi minuti dopo era pronto a cominciare il suo lavoro. Chanyeol non intendeva lasciargli correre il rischio di farsi mordere: si inginocchiò di fronte al cane e si sistemò in modo da poterlo afferrare facilmente per il collo e immobilizzarlo a terra se avesse tentato di aggredire Jondgae.

Il cane sbalordì entrambi. Non emise alcun suono per tutto il tempo in cui Lui lo medicò. Jongdae faceva invece abbastanza rumore per tutti e due: mormorava parole di scusa e gemeva ogni volta che il fazzoletto di lino imbevuto d'unguento passava sul taglio. Sapeva che il medicamento provocava bruciore, e per questo soffiava sempre sul punto dove l'aveva applicato.

Nella confusione di quel momento entrò Minseok. Jongdae aveva appena infilato l'ago quando udì la voce di suo marito alle spalle.

«Che cosa diavolo è successo?»

Jongdae sospirò di sollievo, e si girò sulle ginocchia per guardare suo marito. Non era mai stato tanto felice di vederlo. Lo fissò mentre attraversava la sala per fermarsi a torreggiare accanto a lui. Teneva le sue grandi mani sui fianchi, e lo sguardo fisso sul grosso cane.

Chanyeol si alzò prontamente. Gli altri soldati che l'avevano seguito nella sala arretrarono per fargli spazio.

«Scommetto che Dogo ha incontrato un paio di lupi», disse.

«Pensi che abbia trovato il nostro Cucciolo?» chiese Jongin avvicinandosi a Chanyeol.

Jongdae tornò al lavoro. Annodò l'estremità del filo, ripose l'ago e prese il secondo vasetto di pomata.

«Possiedi un altro cane, mio signore?» chiese spalmando delicatamente l'unguento sulla ferita. Con una pezzuola di lino massaggiò poi i lembi del taglio perché assorbissero bene il medicamento.

«Chiamano Cucciolo un lupo in particolare. Ti tremano le mani.»

«Lo vedo da solo.»

«Perché?»

«Il tuo cane mi terrorizza.»

Jongdae finì di spalmare l'unguento sulla ferita. Doveva proteggere il taglio dalle infezioni, oltre a intorpidire un poco l'area dolorante. Ora Dogo avrebbe sentito appena la puntura dell'ago.

«Eppure lo sta curando, signore.»

«Vedo che lo fa, Jongin», replicò Minseok.

«La parte più difficile è terminata», disse Jongdae. «Dogo non dovrebbe sentire più niente ormai. Inoltre...»

«Inoltre cosa?»

Jongdae bisbigliò la risposta, ma Minseok non riuscì a capire le parole. Si inginocchiò accanto al marito e posò le mani sul collo del cane. Dogo subito cercò di leccargli le dita.

«Cos'hai appena detto?» chiese Minseok accarezzando l'animale.

«Ho detto che ora ci sei tu», mormorò lui. Alzò lo sguardo, notò l'espressione fiera di lui e subito aggiunse: «Dogo ne sarà confortato. Prova affetto per te, mio signore. Immagino sappia che con te è al sicuro».

«Anche tu lo sai, Jongdae.»

Capì che lui si aspettava una conferma. Pensò tuttavia che la sua arroganza sarebbe diventata insopportabile se avesse ammesso che si sentiva al sicuro con lui vicino; decise per questo di restare zitto.

Non gli occorse molto tempo per ricucire la ferita. Minseok lo aiutò a fasciare il cane con lunghe bende di cotone, e ne legò poi le estremità.

«Non gli sarà difficile liberarsene», commentò.

Lui annuì. D'improvviso si sentì vinto dalla fatica. Probabilmente era stata la paura a togliergli le forze.

Raccolse la sua roba e si alzò. Una folla di curiosi era alle sue spalle. Jongdae notò Luhan nel gruppo e subito distolse lo sguardo.

«Ha portato dentro il vostro cane di peso, Minseok. Sì, da solo.»

Mentre Jongin riferiva la sua esagerata versione dei fatti, Jongdae si fece largo tra la folla. Si affrettò a salire la scala e a percorrere il corridoio fino alla sua camera. Ripose i medicamenti, si lavò ancora le mani e si sfilò le scarpe prima di gettarsi sul letto. Pensò di riposare solo per qualche minuto, tornando poi in sala per la cena.

Pochi istanti dopo si addormentò. Minseok salì due volte quella sera per controllare come stesse. Una volta Lui aprì gli occhi, lo fissò accigliandosi, poi prontamente tornò a dormire. Lui prese dal baule una coperta pulita e coprì suo marito prima di spogliarsi e infilarsi nel letto al suo fianco.

Non dovette raggiungerlo: non appena si fu sistemato, Jongdae gli rotolò tra le braccia. Minseok loo strinse a sé, e lui rispose infilando la testa sotto il suo mento.

Minseok ripensò al racconto di Jongin. Cercò di immaginarsi suo marito che abbracciava Dogo e lo trascinava per la scala.

Era fiero del coraggio da lui dimostrato, ma non voleva che in futuro corresse altri rischi come quello. Dogo era in preda al dolore e un animale ferito, per quanto sottomesso, era sempre pericoloso.

Il giorno dopo gli avrebbe ordinato di non prendere mai più iniziative tanto rischiose. Minseok si addormentò preoccupato per il suo piccolo e delicato sposo.

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