Capitolo 2. Una vecchia storia
Erano le dieci di un sabato mattina quando era apparsa la prima nebbia della stagione.
Un fitto velo bianco calava sul cielo, ma il vento irrompeva in quella massa di vapori lacerandola. Abigail distinse un sorprendente numero di sfumature cangianti; in un punto era scuro come al declinare del giorno, in un altro splendeva una luce di uno strano incendio, e quando la nebbia si rompeva per un istante, una pigra lama di luce diurna balenava tra i vortici di nebbia.
Con questa atmosfera spettrale Abigail lasciò casa.
Se ne stava stretta nel suo cappotto, aggiustandosi la pesante sciarpa di lana attorno al collo. Percorreva a passo lento il vialetto davanti a casa, mentre pensava sul da farsi. La prima tappa sarebbe stata al McDonald's per un caffè espresso bollente e un donut alla vaniglia. Era la colazione del sabato; aveva bisogno di caricare bene le batterie prima di spendere il resto della giornata in biblioteca.
Sbadigliò.
Era ancora assonnata, e a testimoniare la sua notte passata in bianco due aloni violacei le contornavano gli occhi. Aveva trascorso fin troppo tempo a rimuginare sul significato di quel enigmatico biglietto che ora teneva chiuso nella borsa a tracolla. Avrebbe voluto seguire il buon senso e rimandare tutto al giorno dopo, ma la curiosità aveva avuto ancora una volta la meglio. Aveva trascorso intere ore a passare al setaccio tutta la rete di internet digitando diverse combinazioni tra le chiavi di ricerca, che alla fine non la avevano condotta a nessun risultato.
La data corrispondeva alla festa di Halloween di un lontano 1988, mentre Céline doveva essere senza dubbio il nome di una persona.
– Che cosa vuole farmi cercare?
Pensava tra sé e sé, mentre nella sua testa continuava a ripetersi la scena di quella bambola danzante senza fili e l'immagine di quel losco figuro che aveva preso a pedinarla dall'inizio del mese.
– E se fossi semplicemente pazza? Magari mi sono immaginata tutto e il biglietto l'ho scritto io.
Entrò al McDonald's.
L'aria di patatine fritte che impregnava l'aria aveva risvegliato lo stomaco di Abigail, che rispose con un gorgoglìo sommesso. Diversamente da come si aspettava non trovò coda alla cassa, e riuscì a ordinare la sua colazione da portar via in meno di dieci minuti.
All'esterno gli aloni di nebbia volteggiavano a mezz'aria impedendo di vedere oltre a un palmo dal naso; ma Abigail non aveva benché la minima intenzione di tornare a casa. Si strinse nel suo cappotto e uscì fuori.
Quel giorno, aveva deciso la sera prima, che si sarebbe concentrata esclusivamente sullo studio. La prossima settimana aveva ben tre verifiche, e non voleva deludere le aspettative dei suoi insegnanti. Aveva sprecato fin troppo tempo in quella assurda ricerca e non poteva più permettersi di perderne dell'altro. "Tempus fugit" – le tornarono in mente le parole del suo professore di storia.
Le strade erano insolitamente deserte, ma questo non era rilevante per Abigail. Dopotutto, era lecito domandarsi quale anima sana di mente sarebbe uscita di casa con quel tempo da lupi.
Passati pochi isolati arrivò finalmente a destinazione.
La biblioteca comunale si presentava come un enorme edificio di mattoni rossi e con il tetto scuro, spiovente e le finestre grandi e polverose. L'interno era accogliente e i pavimenti profumavano di detergente alla lavanda. Prima di entrare in aula studio, Abigail si fermò a fare colazione nell'area break come di consueto. Anche lì non trovò nessuno.
Questo la sorprese un po', perché al sabato la biblioteca era spesso gremita di studenti. Ma non quella mattina. A quanto pare avevano deciso di prendersi una pausa, o semplicemente vedendo il tempo che faceva fuori si erano ricreduti di uscire.
Quell'aria di desolazione iniziò a far sentire ad Abigail la nostalgia di avere qualcuno intorno. Non impazziva per la folla; ma in quel frangente avrebbe volentieri gradito sentire il solito vociare per i corridoi, gli studenti che bisbigliavano nelle aule, lo scalpiccio sulle scale... ma non c'era niente di tutto ciò.
Un innaturale silenzio regnava incontrastato nella biblioteca.
Appena terminata la colazione decise di andare nella sua aula preferita. Era l'unica stanza a base ottagonale con le scrivanie larghe di legno d'acero e le sedie foderate di una stoffa rosso vino, che per questo ricordava vagamente la sala di Griffondoro.
Si accomodò nella sua solita postazione in fondo al tavolo accanto alla finestra, e iniziò a tirar fuori i libri dalla borsa a tracolla. Quando la aprì non poté fare a meno di notare che il messaggio era ancora lì. Ora non aveva più paura di toccarlo.
Lo aveva sfiorato accidentalmente la sera prima e non le era successo nulla, perciò aveva decretato che non era maledetto.
Rimase a fissarlo per qualche secondo prima di richiudere la borsa e cominciare a sfogliare il libro di storia.
●○●○●○●○
Abigail si stiracchiò sulla sedia.
Per qualche ignoto motivo non riusciva a concentrarsi. Eppure la biblioteca non era mai stata più silenziosa di così; ma forse era proprio quello il problema.
Quel silenzio surreale aveva un ché di sinistro e faceva sentire Abigail irrequieta, come se continuasse a sentirsi osservata da una presenza invisibile.
Tentò più volte di rincuorarsi col fatto che il Burattinaio non l'aveva mai seguita al di fuori del plesso scolastico. Tuttavia, sapeva di non essere da sola in biblioteca.
Certamente doveva esserci anche Doris, la bibliotecaria. Aveva grosso modo l'età di sua madre e i capelli corti e ricci di un color rosa confetto. La si poteva trovare, a qualsiasi ora del giorno, a completare la settimana enigmistica dietro la sua scrivania.
Alla fine si rassegnò e uscì dall'aula studio.
In cuor suo sperava che potesse aiutarla nella sua ricerca. Doris non era solita fare domande se qualcuno le chiedeva di dare un'occhiata agli archivi; ma Abigail aveva già una scusa pronta.
– Ciao Doris, potrei dare un'occhiata agli archivi per una ricerca scolastica?
– Una ricerca di che genere?
– Uhm... storia.
Poi, tirò fuori dal cassetto della scrivania un mazzo di chiavi.
– Quali annali vorresti consultare?
– Mi interessa il 31 ottobre 1988.
La donna batté le palpebre come un gufo dietro le lenti azzurro chiaro come se non avesse ben recepito il messaggio.
– Qualcosa non va?
– Oh no, solo non pensavo ti interessasse una data così precisa... e non una di quelle date a cui devo ricordi piacevoli...
– Perché?
Doris si inumidì le labbra. Nei suoi modi, aveva lasciato trasparire ad Abigail che l'argomento la metteva leggermente a disagio. Si aggiustò la montatura degli occhiali prima di parlare di nuovo.
– Dimenticavo che all'epoca non eri ancora nata. Forse i tuoi genitori se lo ricorderanno ancora di quel incidente...
– Quale incidente?
– Oh fammici arrivare Abigail! La memoria non è più quella di una volta.
Si giustificò, estraendo dal cassetto della scrivania un mazzo di chiavi e iniziando a farle strada per i corridoi. La sala archivi si trovava al piano sotterraneo della biblioteca, in una stanza piena di stantie traboccanti di fascicoli e raccoglitori. L'aria era stagnante, umida e si sentiva un leggero odore di muffa. Ad Abigail iniziò a pizzicare il naso per via della polvere quando varcarono la soglia.
– Allora, hai iniziato a ricordare qualcosa di quella storia?
Domandò Abigail con una certa incontinenza.
– Non ricordo i dettagli, dovrei trovare quell'articolo... ma visto che sei tanto impaziente, va bene, ti racconterò quello che ricordo.
Accadde alla vecchia fabbrica degli Enfield.
Era un'industria siderurgica e fondevano leghe e metalli per poi esportarli in tutto il mondo. Il loro commercio andava forte e quasi mezza città lavorava per loro, mio marito compreso. Fallirono nel 1988 dopo lo scandalo dei lingotti d'oro che venivano ricoperti di lega per poi essere spediti in Russia per conto di un boss della mafia. Alla polizia arrivò una segnalazione anonima e siccome il procuratore stava già indagando da tempo su quella pista, non perse tempo e andò a controllare. Colse in flagrante il signor Enfield che prendeva accordi con Ronnie Beretta, il boss mafioso ricercato in più di cinquanta Stati per commercio di armi da contrabbando, droga e donne vendute per prostitute. Ci fu una sparatoria, ma alla fine la polizia riuscì ad arrestare tutti. Fu un grande colpo per il procuratore... ma purtroppo alcuni degli operai non furono proprio contenti della cosa. Infatti, quando la fabbrica chiuse i battenti più di 500 persone rimasero disoccupate e ai tempi c'era anche la grande crisi. Trovare lavoro non era così facile come lo è adesso. Alcuni di loro se la presero ingiustamente con chi aveva fatto la segnalazione alla polizia. Da allora iniziò una caccia senza tregua. Alla fine, i sospetti ricaddero tutti su un giovane operaio. Si chiamava Jonathan Blake ed era uno degli amici più stretti di mio marito. Aveva anche una moglie e un figlio piccolo... ma questo a nessuno di loro importava.
Accadde la notte di Ognissanti, quando la gente era impegnata nei festeggiamenti. Lo presero di forza e lo portarono alla fabbrica degli Enfield. Chissà per quante ore torturarono quella povera anima prima di finirlo. Chi si trovava nei paraggi della fabbrica disse di aver sentito delle urla strazianti. Qualcuno avvisò la polizia, ma quando arrivarono era troppo tardi. Quando ritrovarono il corpo dissero che gli avevano riempito le cavità oculari e la bocca con l'oro fuso. Ci vuole tanta crudeltà per uccidere in quel modo qualcuno...
– Che fine hanno fatto i suoi aguzzini?
– Morti. Tutti si impiccarono nella propria cella in circostanze sconosciute. La stessa fine che fecero anche il Signor Enfield e Ronnie Beretta...
– E sua moglie?
– Céline? Lei... oh mi stai chiedendo troppo Abigail. Forse, non ti dovevo neanche raccontare tutte queste cose. Dimentica tutta questa storia.
– Doris! Voglio sapere cosa è accaduto alla moglie di Jonathan Blake!
– Non dovevo parlarti di questa storia... esci per favore.
– Doris ho bisogno di saperlo! Ho ricevuto un biglietto con quel nome e quella data...
– Esci ti ho detto!
Doris alzò di un tono la voce, ma Abigail non cedette il passo. Era determinata ad andare fino in fondo a quella storia. Doris la afferrò in malo modo, strattonandola per la felpa e costringendola a uscire dalla sala degli archivi.
Nei suoi occhi grigio cenere era impresso uno sguardo spaurito, come se avesse appena riesumato dalla memoria un tremendo segreto su cui era bene tacere. Un segreto che da tempo aveva cercato di seppellire nella sua coscienza, dimenticandone il motivo.
Mai, Doris, aveva alzato le mani su qualcuno degli studenti che frequentavano la biblioteca; e mai avrebbe pensato di farlo proprio su Abigail.
Non solo era una delle più giovani frequentatrici, ma anche una delle studentesse più corrette ed educate per la quale non si era mai dovuta dar pena. Le dispiacque averla trattata ingiustamente a quel modo, e ancora di più vederla andare via con l'aria di chi sapeva di non aver fatto nulla di male e di essersi meritato una punizione ingiusta.
Doris non provò a fermare Abigail quando la vide lasciare la biblioteca in fretta e furia, sbattendo la porta mentre usciva.
La sua espressione divenne più triste e desolata; ma qualcosa le aveva fatto tornare alla memoria, come una paura primordiale dettata da un istinto di conservazione, che su certe vecchie storie era bene tacere...
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L'aria fredda di mezzogiorno sferzava il viso il Abigail, mentre l'umidità nell'aria aveva iniziato a cotonarle i capelli. Era molto infastidita dal comportamento che Doris aveva avuto con lei. Lo trovava assolutamente ingiusto. Quando era uscita, con la coda dell'occhio aveva visto l'espressione di Doris mutare in una dall'aria più affranta.
Evidentemente non era sua intenzione reagire a quel modo; ma perché le aveva raccontato tutta quella assurda storia se non voleva che ne venisse a conoscenza? Perché non aveva voluto parlarle di Céline? 31 Ottobre 1988. Adesso quella data aveva finalmente un senso! Mancava solo un ultimo tassello per completare il quadro... doveva scoprire cosa era successo alla moglie di Jonathan.
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