Prologo
Ricordo ancora molto bene quel giorno in cui aprii la porta, a 12 anni, pronta ad accogliere in casa quello che sarebbe stato il mio miglior incubo. Era un solo un ragazzino, eppure quei suoi occhi blu riuscirono subito a catturarmi.
Mi sorrise, in difficoltà, e lo feci passare, proprio mentre mio fratello stava arrivando per investire il suo nuovo amichetto.
Rimasi ferma, come un palo, troppo intenta ad osservare quel bambino scheletrico ed altissimo.
Per me fu un colpo di fulmine, ma non altrettanto per lui.
A quell'età non avevo alcuna capacità di resistere, motivo per cui facevo sempre di tutto pur di non essere presente quando c'era lui. Ogni volta che quel bambino decideva di farci visita - ed era sempre di più una presenza fissa in casa nostra - io mi rinchiudevo in camera, per cercare di rendermi il meno ridicola possibile.
Ovviamente per questione di educazione, dovevo sempre andare a salutarlo quando arrivava, e mio fratello non mancava mai di farmi una delle sue battutine. Dopotutto, la mia cotta per il suo migliore amico era chiara a tutti, probabilmente anche a lui.
Con il passare degli anni, cambiò semplicemente il mio modo di fare: riuscii ad essere più contenuta ogni volta che incontravo quei suoi occhi blu, o quel sorriso che diventò di metallo, dato l'apparecchio fisso.
All'età di sedici anni ormai mi ero messa l'anima in pace: non avrebbe mai ricambiato il mio sentimento. Era evidente: il suo sorriso non faceva capolino ogni volta che mi guardava, la sua espressione rimaneva impassibile ed il suo corpo si irrigidiva a causa dell'imbarazzo che gli causava sapere.
Fu proprio a diciassette anni che però accadde una cosa insolita: come la maggior parte delle volte che suonava alla porta, io ero sempre quella presente in salone, quindi quella più vicina alla porta. Non lo vedevo da mesi, perché aveva iniziato insieme a mio fratello il college. Mio fratello era tornato il giorno prima a casa per godersi il weekend in famiglia e lui aveva deciso di raggiungerci proprio quel giorno.
Non appena aprii la porta, lo vidi aggrottare la fronte e socchiudere leggermente gli occhi, come a vederci meglio. Accennai un sorriso, ormai sconfitta dal sentimento che provavo, dal rossore che mi tradiva ogni volta ed al sussulto del cuore.
Notai il suo leggero imbarazzo quando sorrisi. - Prego, entra - dissi, facendomi da parte. Sembrò pensarci un secondo di troppo, anzi pensai addirittura di aver parlato troppo a bassa voce, perché rimase immobile. Lo guardai, attenta ed agitata.
- Tuo fratello? - chiese lui, d'un tratto rigido.
- Si sta asciugando i capelli, dovrebbe scendere tra poco - risposi io, la voce bassa per non fare fuoriuscire la solita voce da aquila che mi usciva quando ero agitata. - Ma puoi entrare intanto.
Abbassò gli occhi a terra ed entrò, per poi chiudere la porta al posto mio. Si soffermò un attimo sui miei occhi e poi iniziò a perlustrare il salone. Iniziai a sudare, perché questo suo cambio di atteggiamento mi rendeva ancora più insicura. Avevo qualche caccola? Non mi ero truccata, eppure mi sembrava di aver lavato bene tutto.
- I tuoi? - volle sapere lui, continuando a guardarsi intorno.
- Emh... fuori - replicai io, indicando il giardino.
Lui annuì ed accennò un sorriso. Avanzò verso la finestra e raggiunse i miei genitori.
Preferiva addirittura loro a me. Preferiva stare con signori di cinquant'anni pur di non stare insieme a me.
Sbuffai e tornai sulla mia poltrona preferita a leggere un libro.
Dopo pochi minuti, dei passi pesanti mi riportarono alla realtà. Dalle scale scese mio fratello, di corsa e senza alcuna grazia. Dopotutto, era cento chili di muscoli. - Ryan! - urlò mio fratello, facendomi sussultare. Mi lanciò un'occhiata, accennando un sorriso malizioso. - Smettila di fare gli occhi dolci al mio migliore amico - mi ammonì lui.
- Non lo stavo nemmeno guardando! - esclamai io, rossa in viso.
Mio fratello ridacchiò e Ryan entrò in salone. Si diedero una pacca come saluto ed iniziarono a parlare a bassa voce. Mio fratello mi dava le spalle, tuttavia potevo comunque vedere il viso del suo migliore amico. Quest'ultimo era attento alle parole di mio fratello, ma c'era qualcosa che lo disturbava: probabilmente io.
Il fatto strano era che lui aveva sempre ignorato senza alcun problema i miei sguardi. Invece quel giorno per la prima volta mi sembrò a disagio.
Proprio mentre ero intenta ad osservare i suoi tratti sempre più da uomo, con un accenno di barba bionda e quelle labbra piene, lui portò i suoi occhi su di me. Si irrigidì ancora di più, aggrottò ancora una volta la fronte e strinse le mani in pugni.
Arrossii, capii che il mio comportamento lo stava innervosendo; quindi, presi il libro e tornai in camera mia, per lasciare a lui ed a mio fratello il giusto spazio.
Era una bella vita quella, ma ancora non me n'ero resa conto. Me ne resi conto anni dopo, all'età di vent'anni, quando dovetti dire addio a mia madre.
Gli anni erano passati veloci, fino a quel momento.
Mi ricordavo poco e niente del funerale invece, a malapena mi ricordavo degli occhi dispiaciuti di Ryan, o del suo modo di stare in un angolo della chiesa, lo sguardo a terra e le mani conserte.
Non mi abbracciò, tuttavia sentii il suo dispiacere ugualmente. Dopotutto, sapevo che anche per lui era stata come una seconda mamma.
I mesi dopo passarono caotici, con mio padre sempre più lontano ed io sempre più apatica. C'era come un velo che mi distaccava dalla realtà. Io ero là, parlavo di mia madre, mi ricordavo tutto quello che era successo il giorno in cui era morta... eppure le poche lacrime che mi uscivano sembravano fredde come la mia voce.
Mio fratello era l'unico che probabilmente stava affrontando la morte di nostra madre in modo sano. Mia sorella invece... sembrava un po' me, nonostante il carattere completamente diverso.
Eppure, Ryan non ci lasciò un attimo. Era sempre là, in disparte, ma sempre presente se ne avevi bisogno.
Io non avevo mai voluto appoggiarmi a lui e lui non mi aveva mai chiesto di farlo. Tuttavia, i suoi occhi di tanto in tanto incontravano i miei, quando parlava a mio fratello, o dava una pacca sulla spalla a mia sorella.
Dopo tre mesi, ancora le cose cambiarono ulteriormente tra di noi. Successe un giorno, che poteva essere un giorno come un altro. Ero sovrappensiero e continuavo a mettere in ordine la cucina, soprattutto non usavo la lavapiatti per lavare tutto quello che la gente usava. E passava ancora tanta gente a casa, dopotutto mia mamma era una persona a cui non si poteva non voler bene.
Sovrappensiero e piuttosto nervosa, iniziai ad asciugare l'ennesimo bicchiere, mentre mia nonna continuava a piangere davanti agli amici dei miei genitori.
Mio fratello, mia sorella e Ryan si trovavano in giardino, parlavano controvoglia davanti ad un bicchiere di vino rosso.
Proprio mentre stavo buttando un occhio verso la finestra, il bicchiere mi scivolò dalle mani. Cadde a terra e mi ritrovai a fissare mille pezzi di vetro sul pavimento di marmo. Mi irrigidii e le lacrime fecero capolino, ma come ogni volta cercai e riuscii a buttarle dentro.
- Va tutto bene? - volle sapere Ryan, apparso dal nulla.
Annuii, alzando lo sguardo sul resto delle cose da pulire. Afferrai un piatto.
- Aspetta, D. Ti fai male. Vado a prendere la scopa - disse tranquillamente, avanzando verso di me per fermarmi. Prese delicatamente il piatto dalle mie mani, in cerca dei miei occhi. - Non devi fare tutto subito. Puoi venire di là con noi, parlare e bere un po'.
Scossi la testa e presi lo strofinaccio. Iniziai a stritolarlo. - Torna di là - mormorai, completamente apatica.
- Fammi almeno togliere i vetri - disse, prima di andare a prendere la scopa, a pochi metri da noi.
- No.
Alzò di nuovo gli occhi su di me, confuso. - D, sei scalza...
- Ho detto no.
Sospirò e cercò di sistemarsi i capelli biondi. Un chiaro gesto che faceva quando era nervoso. - Vuoi fare tu?
- Sì, puoi andare.
- D...
- Che cosa vuoi? - urlai io, guardandolo per la prima volta dopo tanto tempo.
Sgranò per un attimo gli occhi, assolutamente scioccato dal mio tono. Dopotutto, non avevo mai provato ad alzare la voce con lui. - Sono preoccupato per te. Perché... Perché non andiamo a fare una passeggiata? Da quanto tempo non corri un po'?
Ridacchiai, senza alcuna gioia. - E da quando ti interessa quante volte corro a settimana? - ringhiai io.
Aggrottò la fronte, un po' come se non sapesse nemmeno lui che risposta dare a questa mia domanda. - D, io... Ti conosco da tanto tempo. Come può non interessarmi? - volle sapere lui, eppure non mi sembrò convinto nemmeno lui.
Mi salii una rabbia incontrollabile, per questo presi e feci per andarmene.
- Deitra! - urlò afferrandomi malamente, affinché non passassi sopra i vetri. Finii contro il suo petto e d'impulso mi irrigidii. Lo guardai con gli occhi sbarrati, a pochi centimetri di distanza. Non appena si rese conto della nostra vicinanza, socchiuse le labbra e mi osservò a lungo, immobile come una statua.
Deglutì ed abbassò lentamente gli occhi sulle mie labbra. Il mio cuore iniziò ad andare troppo veloce, il fiato si fece corto per l'ansia.
Scosse la testa e si allontanò di scatto. - Bisogna togliere questi vetri - mormorò. Si schiarì la voce e prese nuovamente la scopa.
Proprio mentre stava buttando gli ultimi pezzi, la mia vista si appannò. Quel bicchiere faceva parte della collezione che piaceva di più a mamma. Ed io ne avevo appena rotto uno.
Il secondo dopo mi ritrovai a singhiozzare, davanti a quello che pensavo fosse l'amore della mia vita.
Lui si girò lentamente verso di me, come scioccato da quella mia reazione, con tanto di bocca spalancata. Si avvicinò lentamente a me, per poi stringermi a lui. Era sempre stato molto alto in confronto a me, per questo mi ritrovai stretta a lui, con il viso attaccato al suo ampio petto.
Portai le mie piccole mani sulle sue spalle, stringendolo a me, quasi a volerlo stritolare.
Ma lui non si scostò, non si irrigidì nemmeno. Anzi, mi strinse ancora più forte a lui. Posò il mento sulla mia testa e sospirò.
Non pronunciò una parola. E nemmeno io.
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