Capitolo 7: Non ti amo più
Esiste, forse, un sentimento più illusorio dell'amore?
(Émilie du Châtelet)
Erano più di venti minuti che lo stavo cercando in giro per il campus. Ero furiosa. Non l'avrebbe fatta franca in questo modo. Avevo bisogno di parlargli, di dirgli tutto quello che mi era passato per la testa durante quella notte e l'intera mattina.
Per questo avevo lasciato la mia coinquilina a seguire l'ultima lezione. Aveva capito che c'era qualcosa che non andava, ma non aveva fatto domande, perché sapeva che altrimenti io ne avrei fatte di altre a lei.
Non appena lo vidi parlare con dei suoi amici, il mio cuore fece un balzo. D'un tratto, inizia ad avere dei ripensamenti. Dopotutto, c'eravamo solamente baciati. Era stato il momento, la sua camera... Forse non dovevo essere così arrabbiata con lui. Forse...
No. No. Dovevo fare qualcosa, non potevo farmi baciare in quel modo ed accettare tutto quello che faceva.
Ryan si sentì osservato, perché iniziò a guardarsi intorno ed i suoi occhi incrociarono dopo poco i miei. Non cambiò espressione, tuttavia dal modo in cui iniziò ad irrigidire la mascella potei capire che non era felice di vedermi. Ma dopotutto non lo era mai.
Ci dovevo fare l'abitudine.
Diede una pacca ai suoi amici e venne verso di me. Forse voleva parlare anche lui.
Patetica. Ero veramente patetica.
Si avvicinò a me lentamente. Non mi sfuggì il modo diverso che aveva di guardarmi: con più intensità e meno paura di osservare. E forse questo lo fece innervosire ancora di più, a giudicare dall'andatura rigida che aveva.
– Ciao, D – sussurrò, una volta davanti a me. – Speravo di vederti.
Sussultai. – Davvero? – chiesi, con il cuore a mille.
Patetica. Cazzo, patetica.
La sua espressione si fece più dubbiosa. – Sì, dobbiamo parlare.
Annuii. – Ti ho cercato per questo – replicai. Deglutii per cercare di buttare giù quel groppo che avevo in gola.
– Ascolta, mi dispiace, davvero. Sono stato stupido – iniziò lui. Il mio cuore si spezzò, il petto iniziò a farmi male... ma mi aspettavo un discorso del genere. Era stato impossibile immaginarsi un discorso diverso, dopo la sua fuga. – Mi sono comportato come un adolescente in piena crisi ormonale. Non è stato giusto, né nei tuoi confronti e nemmeno nei confronti di tuo fratello.
Scossi la testa. – Io non ti capisco, ti giuro – dissi ridacchiando. Mi misi indietro i capelli, nervosa, e cercai di concentrarmi su altri volti attorno a noi. – Sei un codardo del cazzo – ringhiai, inchiodandolo con gli occhi.
– Non si tratta di codardia – replicò lui, freddo.
– Ah, no? E di che cosa? – lo schernii io.
– Di fiducia.
Risi. – Sì, certo – continuai io. – Ci si vede in giro.
Mi girai e me ne andai. Non disse una parola in più. Eppure, io non avevo detto nemmeno una parola, non veramente. Avevo pensato tante cose, il più delle frasi avevano anche un senso e spiegavano meglio i miei sentimenti. Non era uscito niente, niente di quello che pensavo veramente. La rabbia aveva preso il sopravvento.
***
Quando mi aveva detto quello che provava, tempo prima, quella sera mi aveva detto "c'è differenza tra attrazione fisica e mentale". Non capivo come potesse uno come lui provare attrazione fisica per me. Ero sempre stata quella bruttina, quella che inizia a piacere una volta che la si conosce, per il suo carattere... Quella per cui si inizia a provare solamente attrazione mentale, poi quella fisica con il sentimento.
Quindi quello che lui provava era attrazione fisica. Unicamente attrazione fisica. Per una come me.
Mi sembrava impossibile. Era il primo con cui mi accadeva una cosa del genere. Avevo sempre voluto essere attraente per qualcuno di importante in questo modo, eppure ora che era successo non mi piaceva affatto. Forse proprio perché volevo essere di più per Ryan, volevo essere prima di tutto interessante sotto un altro punto di vista, e non quello fisico. Non solo almeno.
Nonostante questo, però volevo mettere alla prova Ryan, anzi probabilmente gliela volevo proprio far pagare. Per questo mi ritrovai seduta alla mia postazione, con indosso una gonna piuttosto attillata ed una camicia grigia. Nessuno ci fece caso, perché in realtà ero vestita come la maggior parte delle donne dentro quell'azienda.
Quando bussai alla porta di Ryan, mi fece un cenno ed entrai. Non mi guardò nemmeno per un secondo, facendomi innervosire ancora di più.
– Non riesco a trovare la fattura per questa entrata – mormorai, avvicinandomi alla sua scrivania. Gli indicai l'importo, avvicinandomi un po' a lui.
Si irrigidì visibilmente, tuttavia annuì ed osservò il foglio. Prese la calcolatrice e fece alcuni calcoli. – A volte il pos somma più entrate, magari perché sono entrate dello stesso giorno – osservò. – Probabilmente quest'entrata fa riferimento sia alla fattura numero centotredici, sia alla fattura centoquindici. – Mi fece vedere l'importo sulla calcolatrice. – Infatti.
– Perfetto, ti ringrazio – borbottai, afferrando il foglio dalle sue mani.
– Non c'è di che – disse, affatto convinto. Avanzai verso la porta a vetri. – Sai che non c'è bisogno di vestirsi in questo modo, vero?
Arrossii, quindi non mi girai. – In quale modo?
– Con la gonna – replicò. – Sei un'apprendista. Per voi c'è un dress code meno rigido, soprattutto per la tua età.
Ridacchiai. – Eh sì, perché sono così tanto giovane, rispetto a te – lo presi in giro io, girando il viso verso di lui. – E comunque non mi costa niente. I jeans non mi sembrano appropriati.
– Se non lo fossero stati te l'avrei detto – replicò lui.
L'osservai, innervosita. – Perché ti dà così tanto fastidio la mia gonna? – ringhiai.
– Non mi dà affatto fastidio – disse lui. Dal suo modo di guardarmi negli occhi e la sua postura potei capire che non stava mentendo. – Era solo per dire. Non sentirti obbligata. Tutto qua.
– Bene – ringhiai.
– Deitra... – mi richiamò lui, stanco. – Per favore, non fare così. Non è tutto un attacco.
Mi girai completamente verso di lui. – Perché l'hai fatto?
Per un secondo sembrò confuso, ma capì il riferimento al nostro bacio. – Te l'ho già detto. Mi sono fatto prendere dal momento, non succederà più.
Ridacchiai. – Puoi scommetterci – concordai. Alzò le sopracciglia, facendomi capire che non si aspettava una risposta del genere. – Non sono la tua bambola, è chiaro? Non sono quella da cui vai quando sei eccitato, esattamente come non sono quella dove vai per fare quello che vuoi fare, per poi pentirti.
– Non lo sei mai stata – concordò.
– Non mi è sembrato.
Sospirò, posando i fogli sulla scrivania. – Che cosa vuoi che ti dica, Deitra? – volle sapere.
– La verità – risposi, arrabbiata. – Tu credi che non ti capisca, ma riesco a capire quando menti. E quando sei con me, menti la maggior parte del tempo.
– Anche tu lo fai.
Risi. – Che cos'è, una gara a chi mente per primo?! – esclamai. Io ero costretta a mentire, perché dovevo cercare di non dire tutto quello mi passava per la testa. Non ero masochista, non avevo intenzione di dire tutto quello che provavo. Non aveva senso.
Scosse la testa, afferrando nuovamente i fogli. – Non è il luogo adatto e lo sai anche tu. Torna al lavoro.
Lo guardai, delusa. – E poi tu non saresti codardo – dissi.
Sbuffò, sempre più nervoso. – Ne parliamo dopo – ringhiò.
– Sì, certo – borbottai, affatto convinta.
Tornai alla mia postazione, dove vi trovai Ian, pronto a punzecchiarmi. – Dimmi, voi due nella vita non fate altro che discutere? – chiese.
– Non discutiamo mai – mentii io.
– Ah – replicò lui, prendendomi in giro. – E come lo chiami quello?
Ci pensai un attimo di troppo. – Parlare.
– Certo – continuò lui.
Gli lanciai un'occhiata di fuoco, ma la sua espressione con tanto di sopracciglio alzato mi fece ridacchiare. Scossi la testa. – Che cosa devo fare con te? – gli chiesi.
– Di certo non quello che dovresti fare con lui.
– Ovvero? – volli sapere, incuriosita.
– Sesso.
Arrossii e tornai a guardare lo schermo.
– Sei così ingenua o lo fai apposta? – mi chiese.
– Smettila – mormorai, ancora più rossa in viso.
Rise. – Oh, mio Dio, sei veramente così! – esclamò. – Non ci posso credere. Ancora esistono le ragazze come te.
Non gli risposi.
– Merda, il tuo capo ci guarda malissimo.
Non alzai nemmeno lo sguardo, non c'era bisogno. In qualche modo, mi incenerì ugualmente con lo sguardo.
– Mi spieghi come fa ad essere geloso di un gay? – chiese.
***
Quando tornai a casa di mio fratello e Ryan, del primo non c'era nemmeno l'ombra. Invece, vi trovai il suo migliore amico, appoggiato all'isola che divideva l'angolo cottura dal salone con in mano una bottiglia di birra.
Mi osservò, non sembrò affatto sconvolto nel vedermi già a casa sua con le chiavi in mano.
Non lo salutai nemmeno. Mi tolsi gli stivali e mi misi seduta sul divano. Accesi la televisione e feci finta di guardarla. In realtà, lo sguardo inceneritore di Ryan non mi faceva pensare ad altro se non a quello.
– Stasera esco, non credo di tornare a dormire – annunciò.
Feci un respiro tremolante. – Per davvero questa volta – dissi. – Spero.
Continuò a fulminarmi. – Sì.
Scrollai le spalle. – Divertiti anche stasera allora – replicai. Mi diedi il cinque mentalmente, perché nonostante stessi morendo dentro, avevo la voce piatta perfetta per una persona assolutamente incurante.
Proprio in quel momento, suonarono alla porta. Osservai Ryan andare verso il citofono, titubante, perché non stava aspettando nessuno. – Sì? – chiese, affatto convinto. Gli si irrigidirono le spalle. – Come, scusa? – aggiunse, girando lentamente il viso verso di me. Riuscii a vedere i muscoli della mascella guizzare. – Certo.
Chiuse con delicatezza.
– È Aiden – disse.
– Bene – esclamai, alzandomi dal divano. Mi infilai nuovamente gli stivali alti, sotto i suoi occhi. Mi ravvivai i capelli, guardandomi allo specchio vicino alla porta principale. – Come sto? – gli chiesi, girandomi verso di lui.
Rimase in silenzio per qualche secondo, a guardarmi negli occhi. – Come oggi pomeriggio – replicò.
Feci una smorfia. – Fino a là ci arrivavo anche io – mormorai. Afferrai la borsa e le chiavi, per poi andarmene.
Aiden ed io andammo a mangiare un panino, poco lontano da casa di mio fratello. Avevo accettato di vederlo solamente perché mi aveva giurato che successivamente non mi avrebbe più dato fastidio... e per dare una bella lezione a Ryan.
Una volta cenato in silenzio, ci andammo a sedere su una panchina in un piccolo parco. Provò ad avvicinarsi di più, guadagnandosi un'occhiata di fuoco.
– Non so più come farti capire che sono veramente dispiaciuto – mormorò. – Io non avrei mai voluto ferirti. Mi sono ritrovato invischiato in una faccenda più grossa di me ed ho avuto paura del giudizio della gente. Non lo farò mai più. Non te lo farei.
Scossi la testa. – Non posso, Aiden – replicai. – Veramente, è troppo tardi. Non solo quello che mi hai fatto è stato troppo grosso... Io non ti amo più.
I suoi occhi si riempirono di lacrime. Per un attimo sembrò sul punto di sgretolarsi, poco dopo però la sua espressione si fece cattiva. – Io ti vedo. Vedo come guardi il migliore amico di tuo fratello. L'hai sempre guardato in un determinato modo, mi hai sempre detto di non preoccuparmi... ma adesso è cambiato. Adesso lo guardi con ancora più sentimento. Io lo vedo. Non sono stupido.
Scrollai le spalle. – E se anche fosse? Non sono affari che ti riguardano.
– Oh sì, invece – ringhiò lui, nero dalla gelosia. – Sono affari miei.
L'osservai. – Ti ho appena detto che non c'è speranza tra noi due. Come potrebbero essere affari tuoi? – chiesi, cauta.
– Lui non ti ama. Non l'ha mai fatto e mai lo farà – mi ferì lui. – Apri gli occhi, Dei.
– Non lo pretendo – sussurrai.
Rise amaramente. – Tu lo ami?! – esclamò.
– No, non ho detto questo – replicai, calma. – Ma è vero, mi è sempre piaciuto.
– E non è mai successo niente tra di voi? – volle sapere.
– No – mentii io.
– E questo non ti spinge a lasciartelo alle spalle?
– Non è così facile – mormorai io. – Semplicemente non ci riesco.
Scosse la testa. – Non ci posso credere, davvero – ringhiò. – Aveva ragione Luke. Sei solo una povera stupida, una ragazzina ingenua.
Mi alzai, con le mani tremanti. – Ecco quello che sei – dissi, cercando di mantenere la calma. – Corri da lui. Nasconditi, dopotutto non sai fare di meglio.
Si alzò, furioso. Avanzò verso di me, quindi feci un passo indietro, confusa. Il suo sguardo non mi piaceva affatto e così nemmeno il modo in cui il suo corpo tremava.
Mi strinsi nel mio giacchetto. – Io me ne vado – dissi.
– Sì, torna da lui! – urlò Aiden dietro di me. – Cercalo come il cagnolino che sei.
Strinsi i denti e chiusi le mani in pugni, arrabbiata. Ma non risposi, non gli diedi modo di continuare questa discussione.
Non tornai a casa di mio fratello. Mi ritrovai semplicemente davanti la mia nuova casa.
Mi addormentai coi vestiti dell'ufficio addosso e solamente una coperta, sul divano. Quando mi svegliai, trovai Callie ad osservarmi. – Sei inquietante – borbottai, chiudendo nuovamente gli occhi.
– Che cos'ha fatto questa volta? – volle sapere.
La osservai, pensai di raccontarle tutto per un momento. – Niente, ho solo visto Aiden e ci ho litigato. Non mi andava di tornare a casa da Ryan, mi avrebbe visto e avrebbe capito che tra me ed Aiden non c'è niente.
– Quindi vuoi farlo ingelosire adesso? – chiese, affatto convinta.
Scrollai le spalle. – Sì.
– E che cosa ti ha fatto cambiare idea? – continuò lei.
– Non lo so – mormorai, poco convincente.
– Non me lo vuoi dire – concluse lei. – Va bene, non c'è problema. Tanto prima o poi me lo dirai.
***
Entrammo nel lungo corridoio, per andare a lezione. Callie mi stava parlando del suo professore e del suo modo di riprenderla ripetutamente. Ridacchiai, perché non l'avevo mai vista così nervosa ed il suo tono di voce cambiava totalmente, facendola sembrare una bambina di cinque anni.
Mi arrivò un messaggio, non appena lo aprii, il mondo iniziò a tremare sotto i miei piedi. Mi guardai attorno. Ero immobile. Controllai tutti i miei compagni attorno a me, li osservai. Ma nessuno di loro mi stava guardando.
– Deitra? – mi chiamò Callie, per cercare di attirare la mia attenzione, ma la sentivo lontana da me.
Continuai a guardarmi in giro. Perché adesso il mio soggetto era cambiato.
– D-Deitra? Stai bene? – ci riprovò Callie.
Non risposi. Lo avevo trovato.
Aiden si trovava a poca distanza da me. Stava con un suo amico, il quale stava parlando; tuttavia, Aiden aveva lo sguardo fisso sul suo cellulare ed un sorrisino. Strinsi il mio cellulare in mano e mi girai completamente verso di lui, che stava appoggiato al muro, assolutamente incurante dell'ambiente circostante.
– Deitra! – esclamò Callie, non appena mi vide avanzare velocemente nella direzione opposta a quella dove stavamo andando.
Non la sentii più.
Aiden non fece in tempo ad alzare il suo guardo, che lo spintonai. Batté la schiena contro il muro e mi sentii meglio. Lo afferrai per il colletto della sua maglietta costosa – Che cazzo ti credi di essere?! – tuonai. Lo spinsi tramite il colletto e questa volta fu la sua testa a battere leggermente contro il muro. Si irrigidì completamente, per non darmi più alcun vantaggio. – Pensi sia tutto come prima? Pensi di farmi paura? Vattene a fanculo da dove sei arrivato!
– Deitra! – mi chiamò Callie.
– Sei un viscido infame – ringhiai io, spintonandolo. – Ti meriti di essere come sei. Sei uguale a tuo padre.
Si raddrizzò completamente e fece un passo verso di me, furibondo. Gli diedi uno schiaffo in pieno viso. Questo sembrò farlo quasi scattare, quindi feci per spintonarlo nuovamente, quando sentii qualcuno afferrarmi proprio la mano che stava per toccare il petto di Aiden.
Mi ritrovai ad essere girata, per poi sbattere contro un petto. Trattenni il respiro, non appena i miei occhi caddero negli occhi di Ryan.
– Che cazzo stai facendo? – ringhiò lui a bassa voce.
Ero così arrabbiata che anche la sua voce la sentivo lontana. Ancora. Deglutii, per poi mettermi indietro i capelli completamente scompigliati. Avevo il cuore a mille ed il fiatone.
Ryan passò a guardare Aiden, dietro di me, quindi mi girai. Ryan avanzò, per mettersi in mezzo tra me e lui. – Che diavolo sta succedendo qua? – chiese ad Aiden.
Aiden alzò il mento, furioso. Ora era ancora più arrabbiato, proprio perché Ryan si era messo in mezzo. Non una persona qualsiasi.
– Tu ne sai qualcosa? – ci riprovò, guardando l'amico di Aiden.
– Ah, non ne ho la più pallida idea. Un secondo prima stavo parlando con il mio amico ed il secondo dopo è piombata lei – replicò lui.
Da dietro la spalla di Ryan, notai un sorrisino malizioso formarsi sulla bocca di Aiden. Strinsi le mani in pugni, furiosa. Alzò un sopracciglio, con fare saccente. Avanzai di scatto, per cercare di tornare su di lui. Tuttavia, Ryan alzò il braccio, quindi andai a sbattere contro di esso.
Girò il viso verso di me, nervoso, e mi intimò di non muovermi solamente con lo sguardo. Fu lui ad avvicinarsi ad Aiden, proprio mentre Callie mi prendeva per mano, per farmi allontanare.
Osservai Aiden posare gli occhi su Ryan, furioso. Non disse niente, ascoltò semplicemente le parole sussurrate di Ryan. Dal modo in cui si irrigidirono entrambi potei capire che ad Aiden non era piaciuto sentire quello che aveva detto Ryan ed a Ryan non era piaciuto dire quello che aveva detto.
Non appena Ryan si girò verso di me, facendo capire ad Aiden che la conversazione fosse chiusa, i suoi occhi mi incenerirono. Cercai Aiden, tuttavia se ne stava già andando, più rabbioso che mai. Ryan fece per parlare, quando decisi di andarmene.
***
***
Fu Callie a trovarmi per prima. Si mise seduta accanto a me, nell'aula ormai vuota. Sospirò. – Bé, diciamo che mi hai ricordato un po' quello scimmione di tuo fratello – borbottò, nella speranza di farmi ridere.
Abbassai lo sguardo sulle mie mani. – Non so cosa mi sia capitato, davvero – mormorai.
– Io lo so – replicò lei. – Qualsiasi cosa ti abbia mandato quel pezzo di merda, ti ha spaventato e fatto incazzare così tanto da farti chiudere la vena. – Scrollò le spalle. – Succede anche ai migliori.
Scossi la testa, triste. – Non a me.
– A quanto pare, succede anche a te e non devi fartene una colpa – ribatté lei. Rimase in silenzio a guardarmi. Sapevo che mi avrebbe chiesto spiegazioni da lì a poco. – Che cosa ti ha mandato? – chiese.
Rimasi in silenzio.
Sospirò. – Bé, vorrai almeno sapere quello che è successo quando te ne sei andata – annunciò lei. – Tipo il modo in cui Ryan mi ha chiesto di te.
– Che vorresti dire con questo? – bofonchiai.
– Che mi ha portato letteralmente dentro uno sgabuzzino – rispose lei, guadagnandosi un'occhiataccia da me. Alzò le mani in segno di resa. – Non è successo niente. Mi ha solo chiesto che cosa fosse successo.
– E tu?
Scrollò le spalle. – Gli ho detto che non sapevo niente, che Aiden ti aveva probabilmente mandato qualcosa sul cellulare e questo ti aveva fatto scattare.
Rimasi in silenzio, stanca, per molto tempo. – Che cosa gli ha detto? – chiesi. – Ad Aiden, intendo.
– Non lo so, non l'ho sentito e non me l'ha voluto dire, ma ho visto Aiden incazzato come una biscia – rispose lei, con un sorrisino malefico.
Mi mordicchiai il labbro inferiore, preoccupata. Avevo paura che questo potesse far scattare ancora di più Aiden. Non sapevo mai di che cosa potesse essere capace.
– Se sei preoccupata, posso fare in modo che Aiden non si avvicini più a te – se ne uscì Callie. – Sì, insomma... sarò la tua ombra. Non lo farò avvicinare.
Ridacchiai. – Ti ringrazio.
Sorrise dolcemente.
Sospirai. – Ha delle foto di me e lui – mi aprii io, osservando le mie mani. – Non ti saprei nemmeno dire perché ho fatto in modo che le avesse... ero piccola ed inesperta. Lui era la mia unica ragione di vita praticamente. Sono rimasta accecata da lui e dal suo modo di fare. Mi fidavo ciecamente di lui e...
– È così che dovrebbe essere – mi interruppe lei. – Chi sta nel torto è lui, non te. Tu non hai fatto niente di male, Deitra. È lui il coglione.
Annuii. – E allora perché mi sembra di aver fatto l'errore più grande della mia vita? – chiesi.
– Perché lui l'ha reso sporco.
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