Capitolo 58: Una cosa mia
All'inizio pensai di essermi svegliata per la sensazione di un corpo addosso, attaccato così tanto a me da non farmi respirare. Sentii degli ansiti. Rabbrividii svegliandomi, il corpo completamente rigido ed il respiro incastrato in gola, mentre un senso di nausea mi bruciava dentro.
Ero a casa di Ryan. Durante la notte dovevamo aver scacciato le coperte, perché mi ritrovai solamente con indosso gli slip ed una canottiera.
Fu in quel momento che lo sentii parlare nel sonno. – No... No – mormorò Ryan, con il respiro veloce ed alcuni scatti del corpo. – Ti prego, no.
Mi girai verso di lui, con le lacrime agli occhi, sedendomi.
– No, lascia... No!
Lo scossi leggermente. – Ry, svegliati...
– Ti prego!
Con il petto completamente distrutto dalla tristezza, lo scossi con maggiore forza. Aprì immediatamente gli occhi, aprendo la bocca quasi per urlare. Sussultò. – Sono io – sussurrai, togliendogli ciocche di capelli biondi dalla fronte umida di sudore. – Va tutto bene, era solo un incubo.
Si mise seduto immediatamente, dandomi le spalle.
Sospirai, triste. – Era ancora quello? – volli sapere. Non volevo immaginare i suoi incubi mesi prima, quando aveva appena scoperto di Lucas. – Ryan...
– Va tutto bene – disse lui, ma la voce era roca. – Era solo un sogno.
– Devi smetterla di ucciderti in questo modo – sussurrai. – Non è stata colpa tua.
– Va tutto bene – ripeté, dandomi ancora le spalle.
– Non va bene – ringhiai. – Basta con questo senso di colpa. Non hai mai ricevuto il messaggio da me, quella sera. Non potevi sapere che ti volevo dare appuntamento-
Ryan si alzò di scatto dal letto, facendomi sussultare. Lo vidi correre in bagno, chiuse la porta e lo sentii rimettere. Il rumore dei suoi conati mi fece rabbrividire. Alcune lacrime bagnarono il mio viso. Lo raggiunsi, aprendo delicatamente la porta. Lo trovai accovacciato a terra, con il volto rivolto verso il water.
– Esci! – tuonò, prima di tornare a rimettere.
– Fammi aiu-
– Porca puttana, Deitra, esci! – tuonò ancora.
Sgranai gli occhi, ma feci come voleva lui. A volte mi risultava difficile accettare quei suoi momenti di chiusura totale. Sapevo che aveva ricominciato da poco a rivedere la psicoterapeuta, e giustamente non sapevo gli argomenti trattati, anche se speravo... speravo tanto che potesse aiutarlo con questa questione di Lucas.
Mi recai in cucina, per preparare due camomille. Quando tornai in camera da letto, lo ritrovai seduto là, con il volto nascosto tra le mani. Posai delicatamente la tazza fumante sul suo comodino, accendendo l'abatjour, che gli illuminò le mani ancora leggermente tremanti.
– Bevi un po' – sussurrai. – Ti aiuterà con lo stomaco.
– Che cosa... Che cosa ti ha fatto? – chiese, d'un tratto.
Rimasi rigida a guardarlo, con occhi grandi e spaventati. – Ryan...
– Ti sento, durante la notte, quando ti svegli e non riesci a respirare.
Strinsi la tazza tra le mani. – Stanno migliorando – mormorai. – Ho meno incubi. – Era vero. C'erano sicuramente alcune nottate più difficili, ma... li sentivo meno soffocanti.
– Mi hai detto che non ti ricordi molte cose – ricominciò lui, girando il viso verso di me. Era così pallido da farmi sussultare. – Forse se questo è il tuo meccanismo di difesa, è giusto non ricordare, ma... è entrato con l'intenzione di violentarti? Ti ha parlato? Come ti sei fatta così male? Avevi tagli ovunque...
Il ricordo di quella sera mi investì e dovetti sedermi. – Non penso sia sicuro per te parlarne adesso – annunciai. – Hai appena avuto un incubo-
– Sogno che ti blocca completamente – sussurrò, guardando un punto indistinto davanti a lui. – Ti tiene ferma le braccia. Ti sta sopra, tu non riesci mai a muoverti... – Per un attimo fu sul punto di correre nuovamente in bagno. – Ma non è così, non è vero? – mi chiese, guardandomi duramente. – Ha cercato di prenderti da dietro.
Strinsi i denti, mentre dei brividi iniziavano a correre lungo le braccia. – Non ti fa bene sapere, Ryan.
– Non starò mai bene – mormorò con voce dura. – Quello che ti è successo... mi... ci perseguiterà per sempre.
– Non dire così – dissi, con la gola secca dal nervosismo. – Certo che riusciremo a stare bene. Io sto già molto meglio! Gli incubi stanno diminuendo e... e ieri sera al ristorante-
– Che cosa ti ha detto? – ringhiò.
Per un attimo fui tentata di non parlare, perché ero veramente preoccupata per lui. Però quello era anche un lato importante di Ryan: doveva sapere tutto, nei minimi dettagli, per avere anche solo la sensazione di poter avere il controllo sulla situazione. – Non era lucido – bofonchiai. – Era sicuramente ubriaco, ma penso che avesse dei problemi con la realtà. Non mi sembrava veramente consapevole di tutto. Ha iniziato a dirmi che era stato lui a dire ad Aiden di me, che era stato lui ad accorgersi di me per primo e che il mio rapporto con Aiden li aveva fatti allontanare.
– Quindi era arrabbiato? – chiese.
– Tra le altre cose – replicai. La mia voce era così distaccata che quasi pensai di stare raccontando la storia di un'altra persona. – Diceva che quelli come me e lui non venivano mai visti davvero, che eravamo come fantasmi.
Ryan aggrottò la fronte e mi guardò per un attimo in faccia, confuso. – E poi?
– Ho cercato di scappare. Avevo un calice in mano e quando mi ha preso per i capelli si è schiantato contro l'armadio davanti a me – continuai. Annuì, collegando i tagli che mi aveva visto tempo prima. – Da là è tutto sfogato. So che si è seduto su di me, ma non riuscivo a vederlo, visto che ero caduta con la faccia rivolta verso il pavimento.
– Non ti ricordi se ti ha detto altro?
– Non penso abbia detto altro – mormorai. – Era... aveva l'affanno ed ha iniziato ad alzarmi il vestito.
– Non ha mai esitato?
Scossi la testa. – No – risposi. – Era completamente perso.
Ryan chiuse gli occhi, deglutendo a vuoto. – Se non avessi trovato il modo per ferirlo, probabilmente non si sarebbe fermato – sussurrò.
Era un qualcosa di cui ero certa al cento percento, perché lo avevo sentito il suo modo di tenermi sotto di lui, il modo in cui le sue mani tremavano ed il modo in cui respirava e si agitava... Era l'unica cosa vivida nella mia mente.
– L'incubo che hai fatto – se ne uscì.
– Ryan, basta – ringhiai alzandomi.
Per un attimo sembrò sul punto di ribattere, poi però abbassò il viso sulla camomilla, capendo la mia situazione. Si mise a sorseggiare il liquido ancora caldo.
– Non capisco perché ancora ti dai la colpa di tutto questo – ringhiai. – L'avevi visto solo una volta e ti avevo fatto credere che fosse una persona normale.
– Io non mi lascio mai persuadere, Deitra – disse, la voce tagliente. – Se una persona mi esprime un parere su una questione o su un'altra persona, poi comunque arrivo io alle mie conclusioni, senza essere influenzato.
– Eri arrabbiato – gli ricordai. – Non eri lucido.
– Non lo ero – confermò. – Per una volta che non sono stato lucido, ti è successo questo.
– Mi sarebbe successo anche se fossi stato lucido – replicai. – Non puoi avere il controllo di tutto quello che succede. Non potevi sapere che ero salita al piano di sopra.
– Se fossi rimasto là, invece di tornare a casa per cercare inutilmente di sfogarmi tramite Katy, ti avrei notato – ringhiò. – Non ti rendi conto di quanto io sia consapevole della tua presenza, anche in una casa come quella. Per questo me n'ero andato: non ce la facevo più a stare là a fare finta di non guardarti, di non sentirti, mentre giravi per la casa.
– Non potrai controllarmi sempre, Ryan.
Alzò il viso verso di me, con un sorrisino triste. – Forse non hai capito, tesoro – disse con voce tagliente. – Non è mia intenzione controllarti. Non sono mai stato come tuo fratello, non ti soffocherò mai a causa della mia smania di proteggerti. Il fatto è che, dovunque io mi giri, ti ritrovo davanti. È il mio corpo che si muove in base al tuo, senza rendersene conto.
***
Ryan si riaddormentò dopo ore, ma lo sentii ugualmente rigido. Io riuscii ad addormentarmi solamente alle sei del mattino, per poi risvegliarmi un'ora dopo.
Per fortuna quel giorno non avevamo impegni, men che meno lavorativi.
Mi alzai quando sentii il respiro pesante di Ryan, a conferma del fatto che si era rilassato sufficientemente. Mi diressi verso la cucina e mi misi seduta sullo sgabello, davanti all'isola, con una tazza di caffè fumante.
Pensai e ripensai allo stato di Ryan, alle sue parole, alle sue mani tremanti. Il dispiacere di vederlo in quello stato mi portava a sentire il cuore così pesante da sentirlo come un camion sul mio corpo.
Non era colpa di nessuno, lo sapevo, eppure la piccola voce dentro di me mi incolpava, per averlo fatto avvicinare così tanto quella notte di Capodanno, per averlo incolpato e per avergli fatto vedere quello che era realmente il mio stato mentale.
Se non mi fossi fatta accompagnare da Ben, forse le cose sarebbero andate diversamente per lui. Non si sarebbe incolpato così tanto e non mi avrebbe vista così sotto shock.
Chiusi gli occhi, stanca.
La parte più arrabbiata di me ricacciò fuori la stanchezza dell'essere attenta al dolore degli altri per una situazione che era successa a me.
Non a loro.
A me.
Sapevo che era dovuto all'affetto, che una parte di me si sarebbe dovuta sentire quasi felice di non essere sola in questo dolore, in questi incubi.
Ma non ci riuscivo.
Strinsi le labbra. Forse avrei dovuto prendere le distanze da Ryan, per renderlo libero dal passato che mi legava, eppure la sua fragilità in quel momento mi preoccupava troppo. Non potevo allontanarmi in quel momento. Inoltre, non potevo essere certa di liberarlo dai suoi incubi, allontanandomi.
In realtà, il fatto che precedentemente ne avesse avuti anche di più, senza la mia presenza, era la conferma: non c'era soluzione radicale per un problema così radicato dentro la sua mente.
Dovevamo solo attendere, forse.
- Buongiorno.
Sussultai, quando la voce di Ryan mi riportò alla realtà. Accennai un sorriso affatto convinto, che non sfuggì a Ryan. – Buongiorno, Ry – sussurrai. – Come ti senti?
- Come se avessi un dopo sbronza – bofonchiò. – Tu?
- Sto bene.
Strinse i denti, ma non aggiunse altro. Si versò del caffè nella sua tazzina e si mise seduto davanti a me. Sospirò, studiando il mio viso. – Non hai dormito? – chiese.
- Un po' – replicai, prima di attaccarmi alla tazza del caffè per non parlare.
Annuì lentamente, studiandomi. – D...
- Tra un po' vado – annunciai, fermandolo. – Devo fare delle commissioni.
Aggrottò la fronte, dispiaciuto. – Va bene.
Finii il caffè e mi alzai in fretta. Mi diressi in camera sua, per vestirmi. Lo sentii avvicinarsi, quindi mi girai verso di lui. Si era appoggiato allo stipite della porta, con ancora la tazzina di caffè in mano, e mi stava osservando.
– Perché stamattina mi guardi così tanto? – borbottai, infilandomi i vestiti del giorno precedente.
– Perché ti conosco – replicò duramente. – E voglio vedere fino a che punto arriverai.
Mi fermai, con solo la maglietta addosso. – Cosa?
Ridacchiò, nervoso, passandosi la mano sulla mascella. – Fai quello che vuoi. Ci mancherebbe. – Si girò e tornò in cucina.
Finito di vestirmi, andai in bagno e trovai uno spazzolino nuovo, ancora imballato, sul lavandino. Sotto, un biglietto con su scritto: "spazzolino, primi due cassetti del comò ed uno scaffale del bagno liberi". Mi fermai a guardare la scrittura elegante di Ryan. Trattenni il respiro.
Lo raggiunsi in cucina, con in mano il biglietto. Girò il viso verso di me e sospirò. – È di ieri – si limitò a dire.
– Grazie – mormorai.
Non disse niente. Si alzò ed andò a posare la tazzina del caffè dentro il lavabo. Posò le mani ai lati di esso, irrigidendo i muscoli della schiena. – Se vuoi chiudere, fallo e basta – disse, con voce fredda e distaccata, senza girarsi per guardarmi.
Per un attimo non riuscii a trovare nemmeno una lettera, per formulare una parola qualsiasi. Sgranai gli occhi e basta.
– Non te ne farei una colpa, né ora né mai – aggiunse, continuando a non girarsi. – Le coppie si lasciano tutti i giorni. Un giorno pensi di conoscere una persona, pensi di riuscire a vivere in una relazione, ed il giorno dopo non ti riconosci più. Può succedere. Non eravamo mai stati realmente insieme, non per così tanto tempo. Ci si conosce anche in una relazione.
– Ryan...
– No – disse freddamente. – Niente "Ryan". Dillo e basta.
Rimasi in silenzio, con le lacrime agli occhi.
Non si mosse, rimase rigido e vigile.
– Ti voglio sereno, libero da tutto questo – mi limitai a dire.
Rise senza alcuna gioia, quindi si girò verso di me. Aveva il viso rosso per lo sforzo. – Pensi che prendendo le distanze, mi libererai da "tutto questo"? – chiese, quasi con cattiveria.
Rimasi in silenzio, con occhi grandi.
– Le mie debolezze sono mie – ringhiò, posandosi una mano stretta in pugno sul petto. – Mie. La tua lontananza non le porterà via.
– Se non fossi andata da Ben, quella notte-
– Ti sarei venuto a cercare – ringhiò. – Appena saputo che era successo qualcosa.
– Non ti avrei aperto...
– Ti avrei aspettato fuori.
Alzai lo sguardo su di lui, spaventata.
– Io ti amo – dichiarò. – Ti amavo prima e ti amo tutt'ora. Ti avrei aspettato fuori, per giorni, settimane addirittura. – Mi guardò duramente. – Se vuoi lasciarmi, non farò niente per farti cambiare idea. Accetto di essere lasciato, ma cazzo, Deitra... Se pensi che lasciandomi, smetterò di punto in bianco di fare incubi e vomitare, ti stai sbagliando di grosso.
Scossi la testa, confusa. – E come posso fare? – chiesi. – Io non ti voglio vedere così. Sapere quello che ti sta creando tutta questa situazione...
– Sono incubi, D – ringhiò. – Non si possono fermare.
– Smetti di sentirti così in colpa! – sbottai, con le lacrime agli occhi. – Non puoi incolparti di tutto questo, non ancora! Basta! Non è stata colpa tua, non è stata colpa di nessuno! Quel ragazzo non stava bene!
– Tu proprio non capisci – mormorò, prima di lasciarmi da sola in cucina.
– No, non capisco! – concordai, seguendolo. – Non capisco perché tu stia soffrendo ancora così tanto, per una cosa che non è successa nemmeno a te!
Trasalimmo entrambi.
Ryan si immobilizzò, dandomi la schiena, furioso. Girò lentamente il viso oltre la sua spalla. Aveva gli occhi sgranati. – Sto soffrendo per una cosa... – ripeté a bassa voce. Lo vidi rabbrividire. Si girò completamente verso di me. – Il problema sono io che soffro per una cosa che non mi è accaduta in prima persona, D? – chiese, a voce così bassa da risultare un ringhio roco.
– No – mi affrettai a dire. – No. Non è questo quello che intendevo.
– E che cosa intendevi?
– Sono stufa di vedere quello che Lucas ha fatto a voi e non a me – mormorai. – Voi non avete niente da recriminare, niente da ricordare. Smettetela di renderla una cosa vostra. Non lo è. È mia.
Trattenne il respiro. – Scusami – si limitò a dire. – Scusami se tutta questa situazione mi porta ad essere così debole. Per una cosa che nemmeno mi è successa.
Alzai il mento, sulla difensiva, nonostante le lacrime.
– Scusami se non riesco a non vomitare quando mi ritrovo a vedere la ragazza che amo in quella situazione – ringhiò. – Effettivamente, come già ti ho accennato, è una mia debolezza. Non tua.
– Smettila di pensarci!
– Oh, ottima idea! – tuonò lui, avvicinandosi a me, furioso. – Ottima idea, tesoro. Ora che me l'hai detto, vedrai che smetterò di pensarci! Tu non hai idea... non hai ide-
Si fermò.
Gli occhi gli diventarono lucidi.
– Non hai idea di quello che si prova, quando l'amore della tua vita viene completamente strappata dalla sua vita – mormorò, la voce rotta dalle lacrime. Non mi guardò. – Il senso di colpa, il senso di impotenza... Mi sembra di sentire il tuo dolore tutti i giorni. E lo prenderei. – Mi guardò duramente. – Se potessi, mi prenderei ogni singolo momento.
Mi tremò il mento.
– Vorrei semplicemente... estirpare il tuo dolore e se per farlo dovessi prenderlo tutto io... Accetterei una vita di incubi, se volesse dire ricominciare a sentirti... a vederti stare bene – sussurrò, senza staccare gli occhi dai miei. – Ma non posso. Gli incubi sono ancora i tuoi ed i movimenti sono ancora tuoi nemici. E questo, scusami... ma non riesco ad accettarlo. Non riesco a non pensarci.
– Non puoi rendere tuoi i miei dolori – ringhiai. – Non voglio questo per te.
– Lo faccio, anche se non lo vuoi – ribatté. – Perché sei tu, D. Perché ti amo così tanto che mi sembra di riuscire a respirare solo se tu stai bene.
Strinsi le mani in pugni, con il desiderio di abbracciarlo. – Io sto bene se tu stai bene – sussurrai. – Ho bisogno che vai avanti.
– Lo farò – confermò. – Ma non limitare i miei pensieri. Non limitare il mio dolore per te.
Annuii. – Ma promettimi che ci proverai davvero.
– Te lo prometto.
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