Capitolo 55: Mai lei

Per ore rimasi seduta in bagno, a guardare un punto indistinto.

Non pensai a Ryan, che si trovava ancora dall'altra parte della porta.

Avevo disgusto per tutto quello che c'era al di fuori di quel bagno. Avevo disgusto anche per quei suoi occhi impauriti. Ma soprattutto... mi disgustavo.

Debole.

Debole e ridicola.

Solo una povera cogliona.

Che cosa pensi che facciano le persone che sono state violentate davvero? Quello che fai tu? C'è una piccola differenza: loro l'hanno subito davvero.

Ingrata.

Stupida.

Esagerata.

Nessuno poteva odiarmi più di me stessa.

Nessuno poteva provare disgusto più di me stessa.

Nessuno.

Nemmeno Lucas stesso.

Odiavo il mio corpo... ed odiavo la mia mente così debole.

Ryan bussò alla porta, dopo quella che mi parve un'eternità. – Esci. Mi devi far capire qualcosa, dannazione.

Anche Ryan provava rabbia. Verso di me.

Trattenni una risata isterica. Non ero stata nemmeno in grado di dargli quello di cui aveva bisogno.

Inutile, stupida, ingrata, esagerata... ragazzina debole.

Mi alzai da terra ed aprii la porta. Davanti a me, trovai Ryan, con la camicia abbottonata in modo disordinato e pieghettata ed i pantaloni neri addosso. Era scalzo. I capelli una massa disordinata. Abbassò lo sguardo indagatore sul mio viso, senza provare a scendere ulteriormente verso l'enorme maglietta che avevo trovato in bagno.

I muscoli della sua mascella guizzarono. – Che cos'è successo? – mi chiese, con la voce rigida e carica di tensione.

– Non lo so.

– Cazzate – ringhiò. – Un secondo prima stavi gemendo ed il secondo dopo sei diventata di pietra ed hai iniziato a mormorare frasi sconnesse.

– Non lo so.

– Cazzate! – ripeté, alzando la voce, senza però fare un passo verso di me. – Che cos'è stato?

– Non lo so.

Rimase in silenzio qualche secondo, poi sbottò a ridere. Scosse la testa e si girò, solo per allontanarsi da me. Andò a prendere le scarpe.

– Te ne vai. Bravo – mormorai.

– Ti avevo chiesto chiarezza, Deitra! – sbottò lui, intento ad allacciarsi le scarpe. – Ti avevo detto che avevo paura, che non dovevamo fare cose-

– Mi stava piacendo! – urlai.

– Non mi è sembrato, cazzo! – tuonò, alzandosi dal divano, con il viso rosso dalla rabbia. – Non respiravi, cazzo!

– Non è colpa mia – ringhiai, trattenendo le lacrime.

– Non ho mai detto questo – disse, la voce rauca a causa delle urla. – Ma non respiravi. Mi hai spaventato tantissimo. E mi dispiace, se ho perso il controllo, ma non ho fatto niente di quello...

– Ti avevo detto che non sapevo bene che cosa mi spaventasse – ringhiai. – Non puoi farmene una colpa.

– Non te ne sto facendo una colpa – ribatté. – Ti ho chiesto più volte di non buttarmi fuori, in questa storia.

Risi. – In questa storia?!

Chiuse le mani in pugni. – Non rendermi il cattivo.

– In questa storia?! – ripetei, alzando il tono. – Pensi sia una storia?

– Non farlo – ripeté, arrabbiato.

– Non sono stata violentata!

– Porca troia, Deitra, non respiravi! – urlò di nuovo Ryan.

Sbottai a piangere.

Non si avvicinò. Sembrava arrabbiato ma anche... terrorizzato. Si portò una mano davanti il viso, quasi a volerlo staccare. Grugnì, frustrato. – Non... Non sapevo più come riportarti da me.

Singhiozzai.

– Quello è un trauma, Deitra – disse, la voce piatta ma che non ammetteva repliche. – Quello è un cazzo di trauma. È un cazzo di incubo. Soltanto perché non ti ha penetrata, non significa che tu non possa esserne stata traumatizzata.

Scossi la testa, piangendo. Mi coprii il viso, in difficoltà.

– Ti ha costretta a... fare qualcosa – aggiunse. – Ti ha tenuto contro la tua volontà e ti ha toccata. Questo è un trauma. E quella – disse, indicando il letto, – ne è stata l'ennesima conferma.

– Non è così... Sto bene – dissi, senza guardarlo.

– Tu? – mi schernì, quasi con cattiveria. – Tu stai bene? Mi vuoi dire che mentre guardavi un punto fisso, mentre piangevi, mentre mi ripetevi che non respiravi, che mi dovevo allontanare, che non volevi... stavi bene?

Aggrottai la fronte, non ricordandomi niente di quello che aveva appena descritto. – Cosa? – chiesi, senza fiato.

Fece un passo indietro, guardandomi con durezza. – Tu non c'eri più, Deitra – ripeté. – Ma io sì. E non riuscivo a... capire come fare.

– Te l'avevo detto che non c'era più modo.

– Fanculo, Deitra! Il modo c'è eccome, devi soltanto fermarmi prima che arriviamo a quel punto!

Come potevo farglielo capire? Come potevo fargli capire che in realtà tutto era confuso anche a me, che non sapevo nemmeno quale fosse "quel punto"?

– Non è uno schema – dissi semplicemente. – Non ci sono risposte multiple.

Annuì, ma non a me, più a sé stesso. Stava pensando e non mi stava includendo.

Mi strinsi nelle braccia, a disagio.

Continuò a stare davanti a me, ad osservarmi, sovrappensiero.

Poi strizzò gli occhi, portando la mano sul viso. Sospirò. – Non voglio che ti capiti più una cosa del genere – annunciò, guardandomi negli occhi. Tirò su col naso. – Non voglio più vederti così.

– Non capiterà – risposi, convinta.

– Stiamo parlando di soluzioni diverse – tradusse.

– Io ti amo, ma...

Grugnì e si girò, dandomi le spalle. Si mise le mani nei capelli. – Non farlo, Deitra.

– Non è giusto! – esclamai. – Non devi stare appresso a queste cose per me. Devi essere libero di fare sesso nel modo più-

– Io non voglio fare sesso con chiunque! – urlò, avvicinandosi a me. Mi guardò negli occhi, a pochi centimetri di distanza dal mio viso. – Non ne sento il bisogno.

Scossi la testa. – Quello...

– Quello era nostro – ringhiò. Solo nostro. Avevo bisogno di noi.

– Ryan...

– Non puoi mollare anche tu.

Sgranai gli occhi, rendendomi conto di quello che mi stava dicendo. Quando portai l'attenzione sul suo viso, mi resi conto che stava piangendo.

– Non puoi. Non tu.

Buttai le braccia attorno al suo collo e lo strinsi a me. Cacciò il viso nell'incavo del mio collo, piangendo sommessamente.

Forse, pensai, avevamo bisogno solo di questo. Di noi. Presenti e senza barriere.

Capii che non mi avrebbe lasciato andare così facilmente, ed era esattamente quello di cui io avevo bisogno. Avevo bisogno di lui e della sua testardaggine quando a me veniva meno il coraggio... quando i dubbi e le insicurezze vincevano dentro di me.

Non cercavo un supereroe, non cercavo una salvezza... Sapevo benissimo che quello che covavo dentro di me dovesse essere curato in un altro modo, non di certo da lui o tramite una relazione.

Ma avevo bisogno dello scontro costruttivo. Avevo bisogno di Ryan, del suo modo di analizzare tutto e del suo modo di trovare una soluzione... sempre una soluzione.

E Ryan aveva bisogno di me, delle mie braccia e delle mie carezze, quando semplicemente non riusciva più a controllare il suo corpo. Forse infondo aveva bisogno semplicemente di una persona che potesse vederlo realmente, oltre quello strato superficiale di apatia, così da potersi lasciar andare e lasciar sanguinare le ferite senza nasconderle.

***

Ci riunimmo tutti a casa di Ben. Lo trovai piuttosto divertente, perché nonostante la casa sfarzosa di Daniel e quella elegante di Ryan... tutti preferivamo il caos di Ben.

Quando trovai Louisa, quasi ebbi un sussulto.

Non la vedevo dalla sera in discoteca. Appena la vidi... mi tornò in mente il suo modo di ballargli addosso, il mio senso di impotenza e la tristezza di Ryan.

Ryan e Dan si misero a parlare, a bassa voce, mentre Ben, Justin ed altri ragazzi si stavano organizzando per una partita alla Play Station. Callie ancora non era arrivata, ma sapevo che aveva avuto dei problemi con il fratello. A volte, semplicemente, si comportava come il ragazzino viziato che era sempre stato.

Sospirai, osservando Ryan da lontano, mentre cercavo di rendere presentabile almeno il tavolo, dove Louisa stava posizionando alcune pietanze... sicuramente più buone rispetto ai miei soliti tramezzini e patatine confezionate.

Fu quando la vidi in cucina, intenta a girarsi e rigirarsi con confidenza, che pensai...

Mi girai di scatto verso Ben, che però stava urlando a Justin parole sconnesse. Aggrottai la fronte, confusa.

– Possiamo parlare? – mi chiese d'un tratto Lou, facendomi trasalire.

– Certo – risposi.

Quindi mi fece segno di seguirla in cucina e si chiuse addirittura la porta dietro di lei. Deglutii, nervosa, e passai il peso del corpo da un piede all'altro.

Mi guardò con attenzione, quasi pensai al peggio. Poi intravidi di nuovo quella luce... che l'aveva sempre caratterizzata: quella bontà trasformata in bellezza, quella dolcezza ed eleganza che mi aveva sempre spinta a volerle bene. – Mi dispiace, per quello che è successo quella sera – annunciò.

Sospirai. – Posso capire, Louisa – dissi, a bassa voce, senza guardarla. Cercai di fare altro: misi a posto uno strofinaccio, cercai di pulire le poche briciole rimaste sul bancone della cucina... – Non ti devi scusare. Non è con te che dovrei prendermela.

– So che è difficile da crederlo – mi fermò, avvicinandosi a me. – Ma Ryan si atteggia sempre con me con libertà, perché sa bene di aver messo in chiaro le cose. Ryan non è mai stato realmente attratto da me. Quelle poche volte che siamo andati a letto insieme, è stato solo frutto di due corpi.

Strinsi i denti.

Sapevo benissimo la verità: forse per lui era sempre stato questo, ma per lei...

– Lo so – sembrò leggermi nella mente. – So che sai che l'ho amato. Ed è così: l'ho amato tanto, D. Forse è anche per questo che io e te ci siamo trovate... a sentirci simili. Ma non lo amo più, da mesi ormai.

Mi trovai ad analizzarla. Ad analizzare i suoi pantaloncini, il modo in cui lasciavano scoperte quelle gambe lunghe, al modo in cui quel body le metteva in risalto i seni... Tutto in lei poteva urlare "pericolo", eppure io l'avevo sempre trovata di una bellezza disarmante... perfino per me. Tutto in lei mi spingeva ad adorarla. Non l'avevo odiata perfino quando mi aveva confessato di amarlo, piangendo sulle mie gambe. Non l'avevo odiata nemmeno quando mi aveva stretto a lei, nel suo letto, chiedendomi di dormire accanto a lei.

E se lei mi diceva che non lo amava più... io le credevo.

E così le credetti, senza un attimo di esitazione... o forse giusto due secondi.

Mi ritrovai a guardarla e rendermi conto di volerle bene. Mi aveva protetto difronte ad Aiden ed aveva cercato di mentire per me quando lo aveva creduto più opportuno. Era andata contro il suo amore per Ryan, pur di aiutarmi, di venirmi incontro.

Non avrei mai potuto odiarla.

Non lei.

Mai lei.

– Non è stato immediato – continuò, capendo che ero in grado di ascoltarla. – Vorrei tanto poter dire il contrario, ma è stato un sentimento forte e... c'è voluto del tempo, ma si è... assopito. Lentamente. Un po' come un fumo. È successo e ne sono felicissima. Per questo, ti dico... che non c'è stata malizia da nessuna parte: né da parte mia, né men che meno da parte sua.

– Ti credo – sussurrai.

– Ryan... in questo periodo è più complicato e sicuramente più scorbutico – aggiunse. – Aveva bisogno di una distrazione. Era arrabbiato con sé stesso, con la madre... e con il sentimento che prova nei tuoi confronti.

Annuii. Me lo aveva detto, me lo aveva gettato addosso con disperazione e forse non avrei mai più dimenticato il modo in cui quelle parole mi erano rimaste attaccate alla pelle.

– Ma so benissimo che troverà un modo per... accettare tutto – concluse. – Accettare la perdita dell'amore materno... ed accettare che si può amare in un modo più confusionario.

– Lo confondo? – sussurrai, con occhi grandi e spaventati.

– L'amore confonde sempre – replicò Lou, con un sorriso gentile e dolce. – L'amore vero, forte... porta sempre con sé un po' di confusione. Perché ci porta a dubitare di tante cose, ci cambia...

– Mi dispiace per quello che hai dovuto passare – aggiunsi così, di getto. – Lo meritavi più di chiunque altro.

Aggrottò la fronte e si avvicinò a me. Mi posò una mano sulla guancia, carezzandomi dolcemente. – Non pensare mai una cosa genere, D – mi sussurrò dolcemente. – Non c'è merito. C'è solo appartenenza.

Forse, pensai.

Sapevo che saremmo stati insieme. Non ero disposta a lasciarlo andare e nemmeno lui sembrava in grado di farlo. Tuttavia... forse l'amore era anche quello: la consapevolezza di dover sempre fare di più, di dare sempre il meglio di noi stessi, per dare amore e felicità alla persona, e di conseguenza alla relazione.

Erano delle capacità che non avevo di certo maturato.

Non ero mai stata in una vera relazione. Quella con Aiden... era stato un massacro dopo l'altro.

Qualcuno bussò alla porta, quindi Louisa si allontanò da me. Ben aprì e ci osservò, poi abbozzò un sorrisino malizioso. – Ho interrotto qualcosa in interessante? – chiese.

Louisa scosse la testa, sorridendo a malapena, e tornò in salone.

Notai il modo in cui Ben non le staccò gli occhi di dosso, fino a quando fu impossibile per lui guardarla senza girarsi completamente.

Incrociai le braccia e, quando lui si rigirò verso di me, questa volta fui io a sorridergli maliziosamente.

– Che c'è? – mi chiese, un po' titubante.

– Benjamin – lo chiamai. – Se ti piace una ragazza... se ti piace davvero... direi di iniziare a mettere da parte le battutine da viscido e scoprire qualcosa di più.

– Il cazzo?

Alzai gli occhi al cielo. – Sei incorreggibile.

– Non era questa la risposta giusta? – chiese sorridendomi.

– Vuoi davvero continuare così? – gli chiesi, seria.

– Così come?

Strinsi le labbra. – Se non ne vuoi parlare, me lo puoi dire.

– Non ne voglio parlare.

Annuii. Mi dispiaceva realmente per lui. C'era qualcosa di veramente doloroso nel modo in cui si proteggeva. Forse fu per questo che mi ritrovai ad avvicinarmi a lui, a posargli una mano sulla spalla ed accarezzarla dolcemente. – Ti voglio bene, Ben – sussurrai, prima di andarmene.

Fu quando fui sulla soglia della porta, che lo sentii sussurrare. – Sono così sporco da non meritare un amore puro.

Sgranai gli occhi pieni di lacrime. Dovevo essermi irrigidita a tal punto da aver messo in allerta Ryan, perché posò immediatamente lo sguardo indagatore su di me. Mi tremò il mento. Lentamente, mi girai verso il mio amico e lo trovai a guardarmi con uno sguardo colpevole. Chiusi lentamente la porta e mi appoggiai ad essa, perché mi tremavano le gambe. – Sei buono, Ben – mormorai, con voce tremante. – L'ho sempre saputo, ma... sai quando l'ho capito? Quando mi hai accompagnato a casa, la notte di Capodanno. L'ho capito quando sei stato con me tutta la notte, quando hai capito il mio modo di fare ed hai allontanato Ryan. Tu... tu non sei sporco. Tu sei empatico, sei... sei un amico fantastico... e sei stato un amico per me.

– Empatico?! – ripeté ridendomi in faccia. – Sono un maledetto.

– Ben... Ma che cosa...?

– Lascia stare – disse, riportando a galla il suo sorriso malizioso. – Se fossi stato empatico, non ci avrei provato con te.

– Perché no? – stetti al gioco.

– Perché no.

Si avvicinò e mi fece segno di allontanarmi dalla porta. Lo ascoltai e mi feci da parte. L'aprì e tornò in salone, urlando: – Fanculo, Justin sposta quel culo dal mio divano!

Mi appoggiai al bancone, leggermente scossa dalle parole del mio amico, ed abbassai lo sguardo a terra.

– Va tutto bene? – mi chiese Ryan entrando in cucina.

– Si... tutto bene – replicai, senza alzare lo sguardo.

– Ben... ti ha detto che cosa gli è successo? – ci riprovò.

Alzai di scatto gli occhi su di lui. – Tu lo sai? – mormorai, scossa.

– Non me l'ha detto in modo diretto – borbottò, posizionandosi accanto a me, appoggiando le mani sul bancone dietro di lui. Sospirò e mi guardò. – Ma ci sono arrivato dopo un po'.

Lo guardai a lungo, in cerca di quella risposta. Vi trovai tanta tristezza. – Si sente sporco...

Annuì, stringendo le labbra in una linea fina. – Ho provato a dargli il numero di uno psicoterapeuta, ma non è ancora pronto.

– Con Daniel ne ha parlato?

Annuì nuovamente. – Si, con Daniel è più tranquillo.

Mi vennero le lacrime agli occhi. – Che cosa gli è successo?

– Vuoi una conferma, D? – mi riprese Ryan.

Trasalii. – Puoi darmela? – chiesi ancora.

– Non ne hai bisogno.

Lo guardai fisso in viso. Quel volto bellissimo, stravolto dal disgusto. – Chi?

– Nessuno me l'ha mai detto – rispose semplicemente. – Se vorrà, me lo dirà lui. Ce lo dirà lui.

– Daniel...

– Daniel non parla delle situazioni altrui – mi fermò, il tono quasi minaccioso.

– Possiamo fare qualcosa per aiutarlo? – domandai.

Sospirò. – Ogni caso è a sé, D – borbottò. – Ognuno di noi ha un bisogno diverso.

– Solo amici – mormorai. – Possiamo solo cercare di esserci per lui, poi sarà lui a guidarci...

– Solitamente è così.

Mi asciugai le lacrime velocemente. – Louisa... lo sta aiutando?

Accennò un sorriso. – Ci sta provando.

– Da quanto?

– Non me l'ha mai detto – replicò ridacchiando. Abbassò il mento verso di me, con una strana luce negli occhi. – E neanche Ben. I due stanno cercando di tenere tutto privato. Nemmeno Justin lo sa.

Annuii. Potevo capirlo. – Louisa è sempre stata in grado di far uscire il lato più fragile di tutti, senza spaventare nessuno – mormorai, sovrappensiero. Fu quasi un pensiero sussurrato. – Sono sicura che aiuterà Ben.

– Anche tu lo fai.

– Come? – chiesi, tornando alla realtà.

Sorrise dolcemente e mi portò indietro un ciuffo di capelli biondo scuro. – Anche tu, con la tua delicatezza e la tua empatia, sei in grado di far uscire tante emozioni... tante sofferenze nascoste.

Arrossii. – Con te ci sono riuscita – ridacchiai, dandogli una spallata. Ovviamente nemmeno si mosse.

– Con me ci sei riuscita di certo – confermò, rispondendomi con un'altra spallata. Che mi spostò. Rise appena gli lanciai un'occhiata torva. – Anche per questa tua determinazione. Non ti sei mai arresa realmente, con me.

– Sentivo che dovevo combattere, che c'era anche da parte tua un sentimento – mormorai.

Sorrise. – Tu vedi oltre tutti – aggiunse. – È un qualcosa che mi ha sempre spaventato di te. Sei sempre stata in grado di vedere oltre le barriere. Per questo non ti sei mai arresa con me. E per questo sei sempre stata disponibile e scherzosa con Ben.

– Mi dispiace tanto per lui – borbottai, di nuovo appesantita dal pensiero di lui... così sofferente. – Vorrei fare di più.

– Dagli tempo – replicò. – Sii paziente e vedrai che ti farà entrare.

– Dici?

– Sì, con te è disposto a parlare, lo vedo.

Deglutii. – Mi dispiace per oggi pomeriggio – annunciai. – Non volevo... non volevo spaventarti, o rendere tutto così sbagliato.

Rimase in silenzio per molto tempo. Così tanto che dovetti alzare nuovamente lo sguardo su di lui. Ma non c'era. Era perso da qualche parte, dentro la sua mente.

– Ry...

Io non volevo spaventarti – ringhiò. – Non ti devi scusare. Diavolo, non farlo mai più.

– Ma...

– Non ti devi mai scusare per quel terrore, Deitra. Mai. Nessuno dovrebbe.

Ero in imbarazzo.

– Sono stato un codardo – borbottò. – Lo sono ancora... ma sappi che se vorrai parlarmi di quello che ti è successo... sappi che io ci sono e ci sarò sempre.

– Non c'è bisogno.

– Forse – rispose. – Ma io ci sono. Non posso promettere che non vomiterò, e questa è la conferma della mia codardia... ma posso andare oltre. Possiamo andare oltre.

Non riuscii a sorridere, tuttavia... poggiai delicatamente la tempia sul suo braccio flesso. Lo sentii buttare fuori l'aria e posò il mento sulla mia testa.

Chiusi gli occhi, sentendomi a casa.

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