Capitolo 54: Caos
La paura era diversa per tutti.
Forse... forse per questo tutti ci muovevamo in modo caotico.
Mi immaginavo davanti al fuoco, ad aspettare, a guardare senza vedere realmente.
La paura di Ryan, avevo imparato, era diversa dalla mia. La sua non era caos. Era quasi in grado di trasformare in una linea anche quella. Dopo quelle settimane insieme, però, avevo imparato a conoscere una nuova paura, un nuovo modo di affrontarlo: lui scappava. Ma scappava solamente di fronte all'impossibile, quando il fuoco invadeva tutto. Sennò... sennò combatteva. La sovrastava.
Era quello che faceva con gli incubi.
Si obbligava a rimanere, a lottare... anche quando non era obbligato.
Era l'esatto opposto di me. Perché io... mi arrendevo ancora prima di iniziare a lottare. Perché per me non c'era scampo, non difronte a due occhi grigi... non difronte alla forza, al sorrisino malizioso ed i brividi.
Non c'era, quando tutto si faceva stretto.
Non c'era, quando tutto diventava caos.
Non c'era e basta. Avevo smesso di cercarlo.
No, mi sbagliavo ancora.
Non avevo mai iniziato.
Tutto era iniziato con il caos, e tutto era destinato a finire come tale.
Non potevo cambiarlo. Non ancora. Non ne ero in grado.
Quel caos era nero, ma era anche tremila altri colori. Era un vortice di colori, anime, bruciori... era qualcosa che non potevo toccare, perché mi immobilizzava. Era qualcosa che mi toglieva il respiro, il calore, il contatto.
Che fosse con la realtà o con l'immaginazione... aveva poco conto. Perché era quello che era, ed io non potevo di certo fermare il caos.
Era soffocamento.
Era qualcosa di diverso dalla morte.
Non era nemmeno mancanza di speranza.
Forse... forse era niente e tutto insieme.
Non sarei mai stata in grado di spiegare la paura. Non quel terrore. Mai.
Guardai il ragazzo di cui ero innamorata, parlare con mio fratello, a casa di Ben. Lo osservai in silenzio, catturata dal modo in cui riusciva sempre ad essere così a suo agio, così affascinante e così bravo a mentire.
Perché quello stesso ragazzo stava vivendo un'altra vita. Lo vedevo, nel suo sguardo, quando pensava di potersi rintanare nella sua testa.
Lo notavo, quando tornava dalla psicoterapeuta, con lo sguardo un po' perso.
La mamma non se n'era ancora andata. Anzi, ci aveva invitato a cena in un ristorante fin troppo elegante, proprio quella sera.
E noi avevamo accettato.
Eppure Ryan si trovava là, con loro, e li osservava urlarsi a vicenda per una partita alla PlayStation. Si era aggiunta anche mia sorella, che era venuta a stare da noi per il weekend.
Si trovava seduta accanto a me, intenta a prendere in giro mio fratello. Mi diede una gomitata, per attirare la mia attenzione. – Sono ritornati quelli di una volta, eh? – mi chiese.
Osservai Ryan e Daniel, le occhiate che si lanciavano ed i sorrisini. – Quasi – sussurrai. Perché, di tanto in tanto, mio fratello si fermava a guardarlo in modo diverso, con un po' di sfida sulle labbra o un po' di diffidenza negli occhi. Ryan cercava di non dargli troppo peso, anzi faceva proprio finta di non notarlo... ma lo conosceva troppo bene per non accorgersene.
E, quando lo guardava con diffidenza, Ryan a volte ricambiava lo sguardo, come a dirgli: "provaci, dì che ho sbagliato, che mi sono innamorato della persona sbagliata". Erano quelli i momenti che mi facevano stringere il cuore.
– Sai... a volte te e Ryan mi ricordate un po' mamma e papà.
Mi girai di scatto verso mia sorella, allarmata. Notò il mio modo di stare seduta, composta e rigida. – Tu sei tutta occhi per Ryan – continuò. – Anche Ryan ti guarda con amore... Ma i tuoi occhi sono uguali a quelli di papà, quando guardava mamma.
Mi morsi il labbro, sentendo qualcosa di brutto crearsi dentro il mio petto. La guardai con occhi grandi e spaventati.
– Ma lui è freddo... un po' come mamma – sorrise Dayna puntando gli occhi su di lui. – Però, anche se cerca di non farlo vedere, non si stacca mai da te.
– Non l'avevo mai visto così – borbottai, quasi senza voce.
Mi sorrise. – Perché non ci pensi – mi disse. – Preferisci buttare dentro, non ricordare e non pensare a queste cose, pur di non riviverle.
Guardai un punto indistinto davanti a noi. La luce soffusa mandava ombre sul muro... e mi sentii fare parte di esse.
– Pensi che ritroveremo mai quello che abbiamo perso? – mi chiese Dayna, d'un tratto seria e con le lacrime agli occhi.
Strinsi i denti, ferita. – Io e te ci siamo spezzate male, Dayna. C'è qualcosa di dannatamente sbagliato nel modo in cui siamo cadute. Qualcosa che non si aggiusterà mai. Resteremo spezzate per sempre, in punti del cuore che nessuno potrà mai toccare.
Il mento le tremò terribilmente. Non staccò gli occhi color nocciola dai miei. – Lo pensi davvero?
Annuii. – Non ci rende sbagliate – ribattei, sorridendole a malapena per cercare di non rendere tutto nero come quello che avevo in testa io. – Ci rende solo... un pochino rotte.
– Non lo sono tutti? – chiese.
– Esatto – annuii. – Lo sono tutti, in un modo o in un altro. Se ci pensi, tutti noi cadiamo, ad un certo punto della nostra vita. Noi siamo cadute insieme a mamma. Gli altri... saranno caduti per altre ragioni.
Sospirò, senza aggiungere altro.
Era bellissima e terribilmente simile a mia mamma. A volte, guardarla mi procurava dolore. Altre volte, ne ero quasi gelosa.
Riportai la mia attenzione sui ragazzi, e notai immediatamente gli occhi indagatori di Ryan. Non smise di guardarmi, quando lo beccai a studiarmi. Inclinò il viso, chiedendomi silenziosamente se andasse tutto bene. Sorrisi ed annuii, perché quel nero ce l'avevo così incastrato nell'anima che a volte sembrava quasi andare bene.
Non mi sembrò affatto convinto. Strizzò gli occhi, come a vedermi meglio, e ridusse le labbra in una linea fina.
Quindi mi alzai ed andai da lui. Gli accarezzai dolcemente i capelli, mentre alzava il viso verso di me e portava un braccio attorno alle mie gambe, per tenermi più vicino a lui. Appoggiò la tempia sul mio fianco e sospirò, chiudendo per qualche secondo gli occhi.
E lo guardai, mentre aveva il viso rivolto verso l'alto, verso di me, con le labbra carnose semichiuse e gli zigomi alti. Il mio cuore aumentò i battiti, come a ricordarmi che si, lo amavo proprio tanto.
E Dio... se era bello.
Mia sorella ci guardò, ancora seduta sul divano, con diffidenza. Ma la sua era una diffidenza generale... lo era nei confronti dell'amore.
Era vero. Faceva soffrire come mai. Eppure... il mio cuore sembrava come più leggero in sua presenza. Era come se fosse sorretto dalle sue mani, dal modo in cui mi guardava o mi sorrideva... Era un potere terrificante, a cui ormai non potevo più sottrarmi.
Aprì di nuovo gli occhi e cadde nei miei scuri.
– Sei casa – sussurrò, così a bassa voce da farsi sentire a malapena.
Il cuore ebbe un altro sussulto. Gli passai delicatamente le dita tra i capelli e gli sorrisi.
Forse era quello: era casa. Ci appartenevamo totalmente. Forse... forse potevo cercare un po' di pace.
Forse potevamo farlo entrambi.
– Dovremmo andare – annunciai.
Grugnì. – No...
Ridacchiai. – Si.
– Ci puoi andare solo tu? – propose.
– Se non te la senti, certo – risposi immediatamente.
Mi strinse il fianco. – Andiamo a prepararci.
***
Seduti l'uno accanto all'altra, mi pentii di non essere più sfacciata, più cattiva. Perché quella donna davanti a Ryan lo stava guardando e gli stava parlando della sua nuova vita come se nulla fosse.
– Ha figli?
La donna girò il viso verso di me, come accorgendosi per la prima volta della mia presenza. I suoi capelli biondi erano una cascata ordinata in morbide onde. Le labbra avevano ancora il rossetto di un bel colore rosso e gli occhi... non erano poi così simili a quelli di Ryan, perché avevano decisamente delle sfumature più chiare.
– Oltre a Ryan, ovviamente – aggiunsi, lanciandole un'occhiata.
Deglutì e guardò suo figlio, leggermente in difficoltà. – Si.
Ryan si irrigidì immediatamente.
Non era la risposta che mi aspettavo.
Sgranai gli occhi e girai il viso verso il mio fidanzato. Gli posai la mano sul ginocchio, per cercare di dargli almeno un po' di aiuto fisico. Ma lui non respirava più.
– Ho un... Ho un fratello? – chiese Ryan, a bassa voce.
– Fratellastro – rispose la madre.
Ryan era bianco in faccia ed il pomo d'Adamo si muoveva velocemente.
– Lui sa di Ryan? – chiesi, girandomi nuovamente verso la madre, senza staccare la mano dalla coscia di Ryan.
– Certo.
Ryan rise. – Ironico, perché io non lo sapevo – ringhiò. – Fammi indovinare: non mi vuole conoscere.
La donna abbassò lo sguardo sul suo piatto, colpevole. – Ry, è... complicato.
– Non lo è – ringhiò Ryan. – Ti sei scopata l'amico di mio padre e ci hai fatto un figlio, lontano da quest'altra vita. E non vuoi che le due vite si intreccino.
Guardai la signora davanti a Ryan con le lacrime agli occhi, sperando... pregandola di risparmiare a Ryan altro dolore.
– Non vado fiera della vita che ho creato qua – se ne uscì.
Ryan sembrò sul punto di perdere il controllo sul suo stesso corpo, per quanto era rigido. – La vita che hai creato... – ripeté, il tono gelido. – Sono io. È la mia vita.
La donna strinse le posate. – Mi dispiace, Ryan. Non... non potevo portarti con me. Non ci avrebbe permesso una cosa del genere.
– Ha un lavoro là? – cercai di cambiare argomento, perché ormai era evidente che Ryan volesse continuare a stare in quel ristorante con lei, ma andare avanti in quel modo non avrebbe portato altro che distruzione.
– Quindi hai preferito andartene e lasciarmi – continuò Ryan, senza staccare lo sguardo accusatore dal viso della mamma.
Sospirò. – Non potevo rimanere.
– Quindi hai preferito andartene e lasciarmi – ripeté il figlio.
– Pensavo fossimo andati oltre i rancori, Ryan – lo ribeccò la mamma.
– Non si può cancellare il dolore – mi misi in mezzo, stringendo la coscia del figlio. – Se Ryan deve avere rispetto verso il suo dolore e capirlo, lei dovrebbe fare altrettanto con quello di Ryan.
Un'ombra passò davanti al viso della donna. – Non sto cercando di minimizzare niente.
– No, stai cercando di cancellarlo – replicò Ryan. – Non ti hanno insegnato che non si può avere una doppia vita?
– Cosa vuoi che faccia? – chiese lei. – Che scelga tra le due? Tra i miei due figli?
Ryan rise. Una risata bassa, roca e cattiva. – Non c'è mai stata possibilità di scelta.
Mi tremò il mento ed abbassai lo sguardo verso la sua mano, che si posava sopra la mia. Mi stritolò, per cercare di far fronte a quello che era il suo dolore.
– Siamo venuti a pranzo per parlare, non per litigare – mormorò lei.
– Tornatene a casa – se ne uscì Ryan.
Io e la mamma sussultammo.
– Ryan... – mormorai.
– No. – Negli occhi di Ryan c'era una rabbia che avevo visto raramente. Fu il dolore che covava dentro a togliermi il respiro. – Non ti voglio nella mia vita. Sei dannosa.
La mamma non riuscì a dire niente per molto tempo, con le lacrime agli occhi. – Io ti amo, Ryan, più della mia stessa vita – sussurrò, la voce rotta dal pianto. – Dovevo solo imparare ad amare.
– Io non ne sono capace – annunciò Ryan. – Non sono in grado di amarti.
Si alzò, senza altre parole.
Cercai di prendere la sua mano, perché anche se non era stata una brava mamma... Era... Era sua mamma.
– Andiamo, Deitra – mi incitò, senza guardandomi. Si girò e se ne andò, senza più girarsi.
– Io ci ho provato – disse la mamma, piangendo.
– No... No, non può arrendersi – sussurrai, guardandola con occhi spalancati.
– Non mi vuole! Mio figlio non mi vuole!
– Lotti per lui! Lotti per il suo amore! – esclamai, straziata. – Faccia quello che non è stato in grado di fare anni fa. Lotti. Lotti per suo figlio...
– Non posso – mormorò scuotendo la testa, abbattuta. – Non ce la faccio. È... è troppo.
– Non lo farà nessun altro – cercai di dire, con la voce strozzata. – Dice di amare suo figlio. Lotti per lui. La fiducia di Ryan... è difficile da conquistare.
– Non posso.
Non.
Poteva.
Mi alzai dalla sedia. Sentii i piedi della sedia strusciare, facendo un rumore che mi sembrò assordante. La donna posò lo sguardo su di me. – Non se lo merita un figlio come Ryan – ringhiai, prima di correre fuori dal ristorante stellato.
Trovai Ryan fuori dal ristorante, intento ad aspettare la sua macchina. Non si girò nemmeno a guardarmi. Era distrutto. – Fammi indovinare – disse, senza girarsi verso di me, – non può. Non ci riesce.
– Ryan...
– No – mi interruppe. – No. È tutto troppo tardi.
– Per favore...
– Ho bisogno di silenzio, Deitra.
Cercai di ribattere, ma una sua occhiata glaciale mi fece chiudere le labbra.
Tornò a guardare davanti a lui, con le mani dentro le tasche dei pantaloni eleganti.
***
Raramente Ryan camminava trascinandosi i piedi. In realtà, non l'avevo mai visto farlo, fino a quel giorno. Quando varcammo la soglia di casa mia, lo vidi togliersi la maschera di apatia. Si trascinò fino al divano e ci sprofondò.
Si tolse la cravatta grugnendo.
– Ryan...
– Non voglio sentire.
Annuii, anche se non mi stava nemmeno guardando.
Quindi andai in camera mia, per togliermi quel fastidioso vestito. Quando rimasi in biancheria intima, la porta si aprì. Mi girai verso Ryan, che mi stava osservando con occhi spenti, appoggiato allo stipite della porta come se non riuscisse nemmeno a rimanere in piedi.
Mi morsi l'interno della guancia. – Cosa? – chiesi.
Appena presi una canottiera, disse: – Aspetta.
Girai nuovamente il viso verso di lui, con la canottiera in mano. Aggrottai la fronte, leggermente confusa.
– Aspetta – ripeté, a bassa voce.
Lo ascoltai.
Abbassai le mani ed aspettai.
Sospirò, esausto. – Scusami.
– Per cosa? – chiesi.
– Devo tornare a casa.
Cercai di mascherare un'espressione di delusione. – Oh... ma sei appena arrivato...
– Ho bisogno di stare un po' per conto mio – annunciò.
Annuii, capendolo. – Va bene. Scrivimi quando vuoi – mormorai.
Si avvicinò lentamente a me, per poi lasciarmi un bacio sulla fronte. Quindi si allontanò, guardandomi negli occhi, sistemandomi i capelli dietro le spalle. – Ti chiamo.
Si girò e si allontanò, lasciando aperta la mia porta. Lo lasciai andare.
Poi però arrivò alla porta principale, posò la mano sulla maniglia...
Si girò verso di me e, velocemente, si avvicinò. Mi prese il viso con entrambe le mani e pressò le sue labbra contro le mie. Trasalii leggermente, non aspettandomi un cambio di decisione del genere. Nonostante questo, le sue labbra erano ormai così familiari per me che le mie si aprirono pochi secondi dopo.
Quando la sua lingua trovò la mia, lo sentii grugnire. Mi strinse i fianchi con disperazione, mordendo e succhiando le mie labbra.
Capii che non aveva bisogno di stare da solo... ma di una distrazione.
Quindi inarcai la schiena e mi alzai sulle punte, per appoggiare il mio corpo seminudo al suo. Sospirò, come se avesse avuto bisogno di quello da tempo. Portai le mani ai suoi capelli, stringendo tra le dita ciocche bionde.
Tolse le mani dai miei fianchi solo per togliersi la camicia, con il respiro affaticato. Lo aiutai, slacciandogli la cinta e tirando giù la lampo dei pantaloni, che scalciò poco dopo. Proprio mentre si stava togliendo la camicia, infilai la mano destra dentro i suoi boxer.
Sibilò, mentre gli mordicchiavo la mascella. Spinse i fianchi in avanti, mentre la mia mano si stringeva attorno al suo membro. Gemette rumorosamente, buttando indietro la testa. Le sue mani si fermarono sui miei glutei, stringendoli con forza.
– Per favore, D – mi pregò, prima di baciarmi affondo. Mi strinse a lui, limitando anche i movimenti della mia mano. – Per favore.
– Si – capii il suo bisogno di usare il sesso. Lo capivo bene. Quindi lo spinsi a sdraiarsi sul mio letto, proprio mentre gli toglievo i boxer. Mi misi a carponi su di lui, per poi mordergli il labbro inferiore. Mi scostò gli slip, spingendomi ad avvicinarmi a lui, affinché lo potessi accogliere.
Non aveva mai avuto un bisogno del genere. Non era mai stato così affrettato da non togliermi l'intimo.
Quando aprì gli occhi, notando che non rispondevo ai suoi movimenti, vidi solo desiderio e bisogno. Il blu aveva fatto spazio al nero delle pupille.
Avevamo entrambi il respiro corto, ma il modo in cui mi cercava era primitivo. Scosse la testa e cercò di baciarmi, ma ancora una volta non risposi a lui.
Mi guardò, di nuovo, ma più confuso. – Va... va tutto bene? – chiese, preoccupato.
Annuii e mi abbassai, solo per baciargli il collo. C'era un punto, poco sotto il suo orecchio, particolarmente sensibile. Appena iniziai a succhiare quel punto, i suoi fianchi scattarono verso di me. Grugnì ed inarcò la schiena, annaspando.
– Cazzo.
Gli morsi la pelle, senza paura di fargli del male, fino ad arrivare alle clavicole. Mi capì all'istante, quando lo guardai.
Buttò la testa indietro, stringendomi la spalla. – Oh, cazzo, si – mormorò, tremando.
Ridacchiai, leccando e succhiando il suo petto già leggermente sudato. Giocai coi suoi capezzoli e morsi i fianchi, facendolo sussultare.
– Ti prego, D... – gemette.
– Dammi il tempo...
– Ti prego, impazzisco! – esclamò, tremando tutto, mentre abbassava nuovamente gli occhi su di me, che ormai ero a carponi a terra, tra le sue gambe. – Fanculo. Cazzo...
Ridacchiai e vidi il suo membro sussultare, proprio davanti a me. Lo afferrai e lo presi in bocca. I muscoli delle sue cosce si irrigidirono immediatamente. Le sue mani strinsero così tanto le lenzuola da avere le nocche bianche e le vene bluastre in rilievo. Buttò la testa indietro, gemendo così forte da farmi stringere le cosce.
Cercai di ricordarmi quello che gli era piaciuto l'ultima volta, stando attenta a non fargli del male coi denti, anche se a volte sembrava quasi ruggire quando distrattamente non gli toccavo la parte inferiore coi denti. Si spinse senza alcun riguardo dentro la mia bocca, perdendo totalmente il controllo.
– Oh, si... – mormorò, aiutandomi a muovermi come meglio credeva. – Deitra...
Mi aiutai con la mano, quando pensai di strozzarmi.
Con un ringhio, mi prese e mi tolse da lui.
Senza accorgermene, mi ritrovai sul letto. Ridacchiai.
Mi prese il viso con foga e mi baciò. Succhiò furiosamente il labbro inferiore, facendomi rabbrividire contro di lui. Mi tolse il reggiseno, senza troppe cerimonie, e poi mi abbassò gli slip.
Appena fece entrare un dito dentro di me, lo sentii sospirare, come se fosse la cosa più bella dopo tanto tempo. Mi succhiò avidamente un seno, facendomi gemere sonoramente. – Amo questa voce – disse, senza staccarsi troppo dalla mia pelle, mentre faceva entrare un altro dito dentro di me. – Mmmh – commentò, sentendomi già totalmente pronta per lui.
– Ryan... – lo chiamai, tornando a toccarlo.
Mugolò, spingendosi contro la mia mano. Si mosse velocemente, facendomi capire che era prossimo all'apice del piacere. Quindi si mise completamente sopra di me. Si avvicinò totalmente. Il suo petto finì sopra il mio. I miei seni furono schiacciati dal suo peso, anche se le braccia accanto a me lo tenevano comunque un po' sospeso. Si insinuò tra le mie cosce e lo sentii rabbrividire contro di me.
Pensavo di esplodere da lì a poco.
Lo pensavo davvero, ma...
Forse fu il peso.
Forse fu il modo in cui rabbrividì contro di me, che ero stesa sotto di lui.
Davvero, non lo sapevo.
Ma venni inghiottita da qualcosa.
Tutti si fece gelo.
Smisi di respirare.
Smisi di pensare.
Smisi di...
Guardai il soffitto bianco sopra di me.
Era nausea, quella che stavo sentendo?
O forse non era niente?
Forse... forse... Che cos'era?
Era panico.
Non respiravo. Ero intrappolata. Qualcosa mi schiacciava...
– No... no, no...
Ero io? Stavo parlando io?
– No, no...
Il peso si tolse, ma continuai a non respirare.
Il pranzo mi tornò su.
– D? No... D?
Fu come tornare a vedere. Pensavo di continuare a guardare il soffitto, ma in realtà mi ritrovai rannicchiata all'angolo del letto.
Mi alzai di scatto, nuda, e feci così tanti passi indietro... e più passi indietro facevo, e più la faccia di Ryan si trasformava in sofferenza, incredulità e... disgusto.
Incontrai il freddo del muro. Qualcosa cadde a terra.
– No, no...
Stavo parlando io.
– Togliti, vattene.
– C-cosa? – mi chiese Ryan. – D... Sono io...
– Mi viene da vomitare, vattene! – urlai chiudendo gli occhi.
– Deitra...
Sentii il pranzo tornarmi su. Sgranai gli occhi.
Ryan se ne accorse e... socchiuse le labbra, scioccato.
Non vomitai, ma ci mancò così poco. – Non guardarmi, cazzo! – urlai.
Abbassò immediatamente lo sguardo sul letto, tremando. Stavo piangendo ormai. Qualcosa dentro di me mi spinse ad odiarlo. Odiare lui, il suo corpo nudo sopra il mio letto. Mi tremavano le gambe.
Anche in lui ormai non c'era più niente. Tutto il desiderio era sparito.
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