Capitolo 53: Scambio di incubi in omaggio
Ci mise mezz'ora a riaddormentarsi e mi sembrò di sentirlo rigido per il resto della notte.
Ero preoccupata, ma non potevo obbligarlo a raccontarmi una cosa che non voleva. Ci riaddormentammo attaccati, io non lasciai quel punto in cui il suo cuore batteva forte.
La mattina, mi svegliai in modo completamente diverso.
Ero rivolta verso le persiane chiuse, sdraiata sul fianco. Sentii il mio corpo rispondere ancora prima di svegliarmi completamente. Un bacio umido assestato nell'incavo tra la spalla ed il collo. Una mano che scendeva verso l'interno delle mie cosce.
Il suo profumo inconfondibile.
Socchiusi le labbra. – Ry? – lo chiamai.
Mi rispose con uno strano verso rauco. – Annuisci se ricordo bene.
– C-cosa? – chiesi, mentre mi stringeva completamente a lui. Portò l'altro braccio sotto il mio corpo.
– Sono venuto a casa tua ubriaco... – Inarcai la schiena e le sue labbra mi mordicchiarono la pelle esposta. – Mi hai detto che non mi dovevo preoccupare di nessuno...
Annuii, appena sentii le sue dita allontanarsi dai miei pantaloncini. Sentii la sua erezione e decisi di strusciare le natiche contro.
Sibilò, spingendosi contro di me. – Mi hai fermato dal prenderti contro la porta, perché ero ubriaco.
Annuii ed il suo indice toccò per pochi secondi il punto che già pulsava. Ansiami, portando immediatamente la mano sulla sua, per incitarlo.
Lo sentii sorridere contro la mia pelle. – Anche dopo averti detto che ero più che lucido e di averti giurato di volerti?
Annuii. – Non volevo... – mormorai, ma la voce mi morì in gola, appena le sue dita iniziarono a muoversi pigramente sul mio punto. – Ryan...
– Non volevi, cosa? – mi incitò a continuare.
– Non volevo che pensassi che ti stavo usando – mi sbrigai a dire.
Allontanò le dita da me, portandosi dietro alcuni dei miei umori. Mi mossi verso la sua mano, implorante. Ridacchiò, mordendomi il lobo. – Sbaglio, o mi hai iniziato a toccare per provocarmi? – chiese.
– Volevo rilassarti – cercai di dire, con la voce quasi irriconoscibile.
Si allontanò completamente, facendomi serrare i denti. – Mi toccavi in quel modo, per farmi dormire? – mi prese in giro, il tono di voce divertito.
– L'idea era quella...
– Così ingenua, la piccola D – continuò, sfregandosi contro di me. Ansimai. – Finta ingenua, la mia piccola D.
– No... – mormorai, la voce ridotta ad una preghiera stridula.
Ridacchiò e portò la mano che si trovava sotto il mio corpo a coppa sul mio seno. Sospirai, felice, quando lo sentii stringere il capezzolo già turgido. – No? – ripeté. – Forse no quando mi accarezzavi i pettorali... Ma dopo...
– Non- – Deglutii a vuoto, sentendo l'altra mano risalire dall'interno della coscia. – Non ti tranquillizzavi...
– Sì – rise, rauco. Strinse forte il capezzolo, facendomi trasalire. – Mi hai fatto implorare, piccola D?
Annuii, mordendomi il labbro per non sorridere.
– Ti è piaciuto? – mi provocò, notando il mio sorriso.
– Molto – risposi.
Sembrò la risposta che proprio non voleva sentire. Si mise seduto e mi portò a sdraiami a pancia in su quasi con prepotenza. Ci guardammo negli occhi. I miei sbarrati, i suoi avevano un luccichio divertito e perverso. Mi mordicchiai il labbro, inarcando la schiena, sentendo le sue unghie entrare a forza sui miei fianchi. – Ryan... -- lo chiamai, provocandolo.
Ringhiò, portando i suoi occhi su tutto il mio corpo. Si mise in mezzo alle mie gambe, dopo averle aperte prepotentemente con il ginocchio. Osservò la mia canottiera, il modo in cui si alzava sulla mia pancia ed i seni. Si umettò le labbra.
– Non sono né ubriaca, né cieca – lo imitai.
Alzò gli occhi verso i miei, non aspettandosi una risposta del genere. – Il prossimo passo, piccola D – mi mormorò, il tono basso a rauco, – è sentirti urlare di più.
Sospirai. – Ieri non ti è bastato?
Le sue mani vagarono sulla mia pancia, per poi arrivare ai seni. Li strinse, nelle mani. – E pregare.
Ridacchiai. – Qualcuno l'ha presa sul personale. – Deglutii sonoramente, abbassando lo sguardo sul suo corpo: sul modo in cui il suo petto si alzava ed abbassava velocemente, sulla protuberanza, sul modo in cui i muscoli delle cosce erano rigidi. Mi venne in mente il conato che aveva avuto. – Dovremmo... parlare, non credi?
Alzò un sopracciglio, prendendomi in giro. – Ti sto in mezzo alle gambe, e tu pensi a parlare?
Portai una mano sul cuscino, sopra la mia testa, sovrappensiero. Il suo sorrisino malizioso sembrò sul punto di sparire e qualcosa balenò nei suoi occhi. – Abbiamo tempo per questo, Ryan – dissi.
Non mi sembrò affatto contento di questa risposta. I suoi occhi blu si posarono sui miei seni, sul modo in cui sussultavano, a causa del respiro ancora accelerato. Si abbassò su di me, portando le mani accanto alle mie spalle. Il suo respiro batté contro le mie labbra, percorse la mandibola, per poi arrivare al mio orecchio. Ci fu un momento di silenzio, in cui potei sentire il cuore pompare sangue velocemente. Ansimai, sentendolo sul punto che più mi doleva.
– Dovrai essere più convincente di così – mi sussurrò all'orecchio, prima di mordicchiarmi il lobo. Si dondolò su di me, facendomi trasalire. – Molto, molto più convincente.
Insinuò una mano sotto la canottiera, per stuzzicare i seni. Annaspai, inarcando la schiena, mentre la frizione dei nostri corpi mi stava provocando dei tormentosi calori all'interno del corpo, fino agli organi. Le labbra si spostarono sul collo, torturandomi la pelle, fino a quando non mi ritrovai ad aggrappare le cosce attorno ai suoi fianchi.
Deglutii a vuoto e mi strusciai addosso a lui, procurandogli un lieve sussulto. – Ryan – lo chiamai, mentre le sue labbra finivano sulla scollatura della canottiera.
– Di più – aggiunse, con un sorrisino vittorioso sulle labbra.
Tolse velocemente la canottiera e si allontanò abbastanza per osservare il mio corpo nudo dai pantaloncini in su. Sembrò divorarmi solamente con lo sguardo e questo mi portò a socchiudere gli occhi. Non provavo più vergogna, notai. Anzi, il suo sguardo su di me era ancora più sensuale.
Sembrò notarlo anche lui, perché i suoi occhi tornarono sul mio viso e intravidi dolcezza nei suoi occhi. Ricominciò a baciarmi, tornando a mordicchiare l'incavo tra il collo e le spalle. Ansimai, inarcando la schiena, ed il contatto con la sua pelle nuda mi fece gemere lievemente.
– Vuoi ancora parlare, D? – mi chiese, con ancora le labbra sulla mia pelle. Mi mordicchiò il seno. Sobbalzai e strinsi le labbra, cercando di incamerare aria. Ridacchiò, capendo che non mi avrebbe sentita pregarlo molto presto. – Testarda come te... veramente poche – commentò, prima di rituffarsi su di me.
Succhiò avidamente, facendomi guizzare i fianchi. Portai le mani nei suoi capelli, tirandoli.
Morse con più convinzione, portando l'altra mano tra le mie cosce, massaggiando il fascio di nervi. Gemetti rumorosamente, buttando indietro la testa.
– Non sei ancora convincente... – mormorò. Portò le labbra sull'altro seno ed infilò la mano nei pantaloncini.
Annaspai, in cerca disperata di aria. – Ry... – sussurrai.
Infilò un dito dentro di me, nel momento esatto in cui i denti afferravano il capezzolo ed il palmo emetteva dei giri su quello che era diventato il posto perfetto per la sua mano. Urlai il suo nome, per poi piagnucolare, mentre iniziava a succhiare.
– Quasi – mi prese in giro.
Iniziai a perdere il controllo sul mio stesso corpo. Mi mossi sotto di lui, muovendo i fianchi contro la sua mano ed inarcando la schiena per far fronte al tormento della sua bocca sui miei seni.
Iniziai a sentire le gambe tremare, il respiro sempre più affannato...
– No.
Tolse la mano dalle mie cosce e si alzò leggermente.
Con il respiro rotto e le gambe tremanti, sgranai gli occhi. Lo beccai a guardarmi, così divertito da farmi quasi perdere il controllo. – Che cosa fai?! – ansimai.
– Stavi venendo troppo presto, per i miei gusti – disse.
Aveva un mezzo sorriso, le labbra leggermente gonfie e le guance di un bellissimo rosa. Gli occhi erano illuminati dalla malizia e dal divertimento. Era bellissimo, ma maledettamente stronzo.
– Cosa?! – chiesi, buttando la testa sul cuscino. – Ryan!
– Dimmi.
Sgranai gli occhi, furiosa. Strinsi le labbra in una linea fina.
– Vuoi parlare, giusto?
Aprii la bocca, ma mi uscii un lamento a dir poco imbarazzante. Chiusi gli occhi, sofferente. Ruotai i fianchi verso di lui, ma si era alzato abbastanza da non riuscire a toccarlo. Piagnucolai.
– Mi piace questo verso, sembra simile ad una preghiera.
Feci per mandarlo a quel paese, quando d'un tratto la sua mano fu di nuovo su di me, due dita dentro di me. Mugolai, muovendomi insieme alle sue dita. Dentro e fuori. Ansimai e cercai di aumentare il ritmo. – Oh... – mormorai, quando l'altra mano si concentrò sull'altro punto sofferente. – Sì, Ryan...
Mosse le dita più velocemente, dentro e fuori, andando a ritmo anche con i movimenti circolari dell'altra mano. Gemetti rumorosamente, nascondendo il viso dalle mie braccia.
Mi strusciai sulla sua mano con più prepotenza, di nuovo sull'orlo del piacere...
Si fermò nuovamente.
Portai le braccia lungo il mio corpo, senza alcuna delicatezza. – Ryan! – urlai, arrabbiata.
Si morse il labbro inferiore per non ridere. – Questa non assomigliava affatto ad una preghiera.
– Ma ad un urlo sì! – urlai.
Rise. – Sei impaziente, piccola D.
Piagnucolai. – Ryan...
Posò la mano sui pantaloncini, muovendosi in modo circolare. Chiusi gli occhi. – Così? – mormorò.
– S-sì... – risposi, posando la mano sulla sua, per cercare di non farlo fuggire nuovamente.
– D?
Annuii, in preda al piacere.
– Guardami.
Aprii gli occhi. Si mise seduto tra le mie gambe e, con una velocità tale da farmi sobbalzare, mi fece scivolare lungo le gambe i pantaloncini e gli slip. Li tolse velocemente, e mi sorrise, malizioso. Deglutii a vuoto, capendo i suoi pensieri.
Mi aprì ancora di più le gambe e ne prese una. Si sdraiò completamente, portandosi più all'orlo del letto. Annaspai, quando mi fece posare una gamba sulla sua spalla e sentii il suo respiro sulla mia pancia. Roteai i fianchi appena i suoi occhi scesero tra le mie cosce.
Ridacchiò, lanciandomi un'occhiata lasciva. Poi le sue labbra furono su di me, all'inizio assaporando lentamente, poi iniziando a succhiare.
Annaspai terribilmente, portando le mani tra i suoi capelli. – Oh... ti prego...
– Mmh – disse semplicemente, senza staccarsi da me, e come premio si fece aiutare da due dita.
Inarcai la schiena, respirando a malapena. Il modo in cui mi stava divorando mi portò a tremare terribilmente, sentendomi così piena di desiderio per lui... Succhiò avidamente, facendomi sobbalzare. – Ryan... Ry...
Iniziò a picchiettare con la lingua. Su e giù. Le dita dentro e fuori. Sempre più velocemente. Alternandosi con la lingua. Succhiando.
Il groviglio che era cresciuto per tutto quel tempo dentro di me esplose, facendomi sobbalzare. E Ryan non si spostò, cercando di portare avanti il piacere che mi stava dando.
Quando mi afflosciai, completamente appagata, si allontanò da me. Non disse una parola. Lo sentii rimettersi seduto.
Appena ricominciai a respirare, aprii gli occhi, per notare che non aveva mai smesso di osservarmi. Aveva un sorriso soddisfatto, nonostante il tremolio del suo corpo a causa dell'eccitazione ed il modo in cui i boxer sembravano stringerlo più del previsto. – Vederti così, solo con me, è qualcosa che non mi basterà mai – disse.
Si avvicinò a me, tornando sopra di me. Le dita tracciarono dei disegni dall'ombelico fino al solco tra i due seni. Abbassò il viso sul mio, senza smettere di guardarmi negli occhi. – Tu, piccola D, sei mia – dichiarò.
Sorrisi debolmente.
Sembrò bastargli come risposta, perché si tolse da me e si alzò dal letto. – Doccia veloce e poi facciamo colazione – annunciò. – Porta quel culetto in doccia con me.
– Non mi funzionano bene le gambe – ridacchiai.
Girò il viso sopra la spalla, per osservare tutto il mio corpo. – Giuro che non ti toccherò per almeno un giorno, ma... la colazione è importante.
– Anche la doccia, a quanto pare.
Mi sorrise. – Per me sicuramente.
Abbassai lo sguardo sulle sue natiche.
– Fredda – aggiunse ridacchiando, prima di chiudere la porta del bagno dietro di lui.
***
Finito di fare colazione, lo osservai dal tavolo mentre sistemava le ultime cose in lavapiatti. Presi un biglietto e scrissi la prima cosa che mi venne in mente.
Se ne accorse subito, quindi si avvicinò a me e si appoggiò all'angolo del tavolo, praticamente davanti a me. – Che è? – chiese, incuriosito, mettendo lo strofinaccio sulla spalla, come nei film.
Con il viso in fiamme, gli porsi il foglietto. Lo afferrò, guardandomi negli occhi, leggermente diffidente.
"Scambio di incubi in omaggio."
Si mordicchiò il labbro inferiore, per non sorridere. Probabilmente era infantile come scritta, probabilmente era infantile proprio scrivere... Ma non volevo obbligarlo a parlare.
Nei suoi occhi vidi turbamento.
– Non devi usarlo subito – mormorai. – Quando vuoi, puoi utilizzarlo.
– Non ha una scadenza? – ridacchiò, ma la luce non arrivò al suo sguardo.
Scossi la testa. – Sei fortunato.
Rimase in silenzio, osservando il mio viso a lungo. Non distolsi mai lo sguardo, per cercare di fargli capire che ero sincera.
– Mi dispiace per quello che è successo l'altra sera – ripeté. Strinsi i denti, ma annuii. – Il pranzo con mia madre era stato più stressante del previsto e... avevo bisogno di... Non lo so nemmeno io con certezza.
Non sapevo bene cosa dire. Perché di certo non potevo essere nella sua testa e... per la prima volta, tutto quello che vedevo nei suoi movimenti e sul suo viso era confusione. Presi un respiro profondo e dissi: – Se hai bisogno di un'altra persona, in questo momento-
– No – ringhiò immediatamente. – Louisa era consapevole di tutto. Ha sempre saputo che tra me e lei non ci sarebbe mai più stato niente. Non ho bisogno di lei in quel senso. È la mia migliore amica.
Non mi erano sembrati solo amici, dal modo in cui si muovevano. Sospirai, ravvivando i capelli. – Ryan...
– Anche quella sera, sapeva benissimo il perché lo stessi facendo – mi fermò, scuotendo la testa per cercare di fermare i miei pensieri. – Ne abbiamo parlato in questi giorni ed ha confermato. Avevo... avevo bisogno di ballare come un coglione, avevo bisogno di sentire... sentire quello che eravamo. Non so come spiegartelo.
– Volevi che facessi una scenata? – chiesi, titubante, visto il suo odio per le scenate di gelosia.
– No – replicò. – Quella sera ero così incasinato che probabilmente non ti avrei mai dato una soluzione, perché non c'era. Non ti avrei permesso di fare una scenata, probabilmente non ti avrei permesso nemmeno di avvicinarti abbastanza a me per parlare...
Capii, forse per la prima volta, il suo modo di fare. – Ero diventata il nemico.
Per un momento sembrò sorpreso e sul punto di negare, ma poi annuì, abbassando lo sguardo verso il foglietto che aveva ancora in mano. – Rappresenti tutto quello che nella mia vita, nella mia educazione non è mai esistito – disse semplicemente.
Avevo il cuore in gola. Avevo paura. Non sapevo se concedergli un po' più di tempo senza restrizioni, o... o spingerlo oltre. Si era evidentemente spaventato, quella notte, vedendomi così vicina dall'essere la sua fidanzata...
– Quando poi ti ho vista arrivare insieme a Justin... Ero ubriaco. Ovviamente se fossi stato sobrio, avrei immediatamente capito la dinamica... Ma mi sono ingelosito. Quella sera per me, vederti lontana da me, dopo che mi avevi visto in quel modo con Louisa, e poi vederti con lui... è stata una conferma – borbottò, leggermente in imbarazzo.
– Era come se ti avessi confermato tutto quello che hai sempre saputo – bofonchiai.
Annuì. – Niente relazioni, niente amore vero che ti porta a scopare solo con una persona...
Sospirai. – Non era quello che volevo far trasparire, ovviamente – ribattei, senza guardarlo in viso. – Non sapevo cosa fare, avevo semplicemente capito che non volevi stare con me.
– Non sono sempre così, D – aggiunse, convinto. – Mesi fa, quando ti chiesi di dire tutto a Dan perché volevo fare le cose sul serio... ero sincero e per niente titubante. La comparsa di mia madre ha riportato a galla un po' di pesi morti.
– Se non te la senti, posso capire – ribattei, cercando i suoi occhi blu. – Abbiamo aspettato così tanto. Non fa differenza.
Scosse la testa. – No. Io voglio stare con te. Ti chiedo solamente... un po' di pazienza. Non sarò più il ragazzo di quella sera, questa è una promessa. Ma potrà capitare di vedermi distaccato. Non toglierà niente a noi, né a te. Sono semplicemente io.
Non capii bene quello che mi stava chiedendo, ma decisi comunque di annuire.
Poi posò il biglietto sul tavolo.
Lo guardai, leggermente confusa.
– Voglio usare l'omaggio – dichiarò.
– Adesso?
Annuì. – Adesso.
Dal modo in cui mi guardava capii che voleva fossi io a parlare per prima. Presi un respiro tremolante e giocherellai con il foglio di carta. – Sono confusionari, la maggior parte delle volte – borbottai. – Inizia con dei gemiti, che ovviamente non sono i miei. Sento mani che mi toccano, che mi afferrano... ma la maggior parte delle volte le immagini sono veloci e confuse.
– Le altre volte?
Gli scoccai un'occhiataccia, che però non sembrò fare alcun effetto sui suoi occhi. Continuò a fissarmi, come a sfidarmi. – Non mi ricordo tutto – risposi. – A volte è lui che si avvicina fino a quando non mi sveglio, altre è lui che mi aspetta da qualche parte.
Diventò un po' più bianco in faccia e dovette distogliere lo sguardo. I muscoli della mascella guizzarono. Deglutì sonoramente. Lo vidi andarsene, da qualche parte, nella sua testa o nei suoi ricordi.
– Tocca a te – sussurrai, solo per riaverlo.
Infatti, sbatté le palpebre più volte, prima di parlare, ma non mi guardò più. – È sempre lo stesso – mormorò, a voce così bassa da sentirsi a malapena. – Ti cerco, ti cerco ovunque e nessuno nota la tua assenza. È tutto buio. Ci sono troppe porte... Ed apro sempre quella sbagliata.
Divenne così bianco da portarmi a pensare che si sarebbe sentito male da un momento all'altro.
Non lo obbligai a continuare. Presi il foglio e lo accartocciai, per fargli capire che mi bastava così. Mi alzai dalla sedia.
– Ti sento piangere, urlare il mio nome... Mi preghi di aiutarti...
Mi vennero le lacrime agli occhi. Gli tremò il mento. – Ryan... – lo chiamai. Portai le dita tra i suoi capelli.
– Quando apro la porta giusta è sempre troppo tardi – disse, sul punto di sbottare a piangere. – Lo vedo sopra di te e tu... tu...
– Basta – lo fermai, con il cuore in gola.
Scosse la testa e delle lacrime gli rigarono il viso angelico. Cercai di abbracciarlo, ma non me lo permise, anzi mi allontanò.
Annaspai, trattenendo le lacrime.
Mi scivolò via solo per chiudersi in bagno.
Capii che questo era uno di quei momenti in cui aveva bisogno di spazio. Quando uscì, dopo dieci minuti, mi trovò in camera da letto. Mi guardò, con distacco. – Non è stata colpa tua – dichiarai. – Non potevi saperlo.
– Io ti ho sempre controllato, D – rispose. – Anche quella sera, ho controllato i tuoi movimenti, fino... fino a quando non me ne sono andato con Katy, perché non riuscivo più a stare dentro quella maledetta casa e fingere.
Annuii, ricordandomi il completino di pizzo di Katy. – Non me lo aspettavo nemmeno io, e conoscevo Lucas – dissi. – Quindi non fartene una colpa, perché non potevi immaginarlo. Nessuno poteva.
Non mi sembrò affatto convinto.
– Non è colpa nostra – conclusi.
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